La presidente della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu) Daniela De Blasio ha commentato il nuovo drammatico caso di femminicidio avvenuto a Montebello Jonico. «Ci stiamo abituando – ha scritto in una nota – a un’escalation continua di violenza basata sul genere, ogni 72 ore, in Italia, una donna viene uccisa, quasi sempre dalle persone che le sono vicine. L’ultimo caso lo registriamo a Montebello Ionico dove, come al solito, una donna subisce l’ultima efferata violenza, dopo anni di maltrattamenti, violenze sia psicologiche che molto probabilmente anche fisiche, associate agli atteggiamenti di minaccia e di sopraffazione, legati ad un vortice di follia incontrollabile da parte del suo partner, gelosia?? Non chiamatela gelosia!!! questo è il frutto di ignoranza e incultura, rivelatrice della profonda e ancestrale misoginia dell’assassino assuefatto da un ingiustificabile istinto primordiale di predominio e prepotenza del maschio sulla femmina e che vuole la donna subalterna e “inferiore” all’uomo.
«Purtroppo quelli sopra descritti sono tutti segnali premonitori di violenze estreme che sfociano troppo spesso in omicidi o tentativi di omicidio. Ma questi segnali quando non sono raccontati dalle donne che vivono questi disagi non potranno mai essere raccolti e utilizzati per salvarle. Il silenzio ha ucciso, sta continuando ad uccidere e, probabilmente, lo farà ancora. Il silenzio è una mancanza, è una solitudine di una donna che non riesce a reagire, è il sintomo di un malessere più grande che prende il sopravvento.
«C’è realmente bisogno di dare sostegno e vicinanza alle donne, a quelle poche donne che ce l’hanno fatta, a quelle pochissime donne che hanno affidato la propria vita ad un’Istituzione, credendoci.
«Nonostante i numeri, purtroppo, in Italia, solo pochissime strutture sono in grado di raccogliere le istanze delle donne che chiedono aiuto.
«È necessario insistere con diverse campagne di sensibilizzazione rivolte soprattutto ai giovani e agli studenti delle scuole al fine di trasmettere il messaggio che perdonare una violenza non è amore. Siamo tutti chiamati a contrastare con azioni concrete questo fenomeno in crescita costante, c’è bisogno soprattutto di prevenirlo perché troppo spesso da una “piccola” violenza psicologica si passa inevitabilmente alla violenza fisica.
«Il cambio di passo che abbiamo auspicato nel recente passato, ad esempio con l’entrata in vigore del cosiddetto Codice rosso piuttosto che gli altri progetti delle forze dell’ordine a contrasto della violenza sulle donne, ancora ad oggi, deve fare i conti con un problema culturale che è spesso causa e origine delle violenze. Ma non solo. Ciò che spesso rende la donna “subalterna” all’uomo è sicuramente la mancanza di indipendenza economica che crea una condizione d’inferiorità nel rapporto di coppia e aumenta il rischio di violenza nei soggetti predisposti. A mio avviso è’ proprio il lavoro ad essere lo strumento cardine per far uscire le donne dal contesto familiare violento. Infatti, spesso le donne non denunciano per la mancanza di un lavoro e per paura di non poter sostentare i propri figli. Sarebbe opportuno avviare iniziative che sostengano realmente anche l’occupazione femminile, quella delle donne che vogliono uscire dalla violenza domestica.
«Le donne vittime di violenza devono avere l’opportunità di usufruire di un percorso di enpowerment e di indipendenza economica, attraverso percorsi di formazione professionale dedicati, incentivi e percorsi di sensibilizzazione rivolti alle imprese che, incentivate, potrebbero inserire le donne vittime di violenza nelle proprie aziende. È certamente sul genere femminile che occorre puntare nel futuro e per il futuro». (rrc)