di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Caro, “Futuro”, Presidente della Repubblica, se non mi rivolgo a lei con il suo nome, come conviene, è sol perché mi ritrovo qui a scrivere a chi ancora un nome definito non lo ha, seppure il suo ruolo, è già un destino.
Non so che volto avrà, caro “Futuro” presidente della Repubblica Italiana, ma sono certa che, da cittadina di questo paese, mi sarà sin da subito carissimo.
La Repubblica, con il capo che la rappresenta, è un perfetto non luogo che, nell’anima dei cittadini che la contemplano, diventa perfetto stato, sentimento e patriottismo.
Se l’Italia è un grande paese, il presidente della Repubblica, è necessario sia un grandissimo uomo. E se mi vien naturale fidarmi delle sensazioni a dir poco “patriottiche” che provo mentre la immagino e le scrivo, cerando di ritrarre il suo profilo, posso ben affermare che di fidarmi già di lei. Delle sue capacità umane, delle sue doti morali, dell’abnegazione con cui il suo operato si dichiarerà fedele alla storia di questa Repubblica, e soprattutto del senso altissimo dell’onore con cui accetterà l’incarico che le verrà affidato.
Il Presidente della Repubblica è un simbolo, un divo, un mito. Un riferimento a cui tutto il paese si appella, quale garante assoluto della sua Costituzione.
Non ho precise richieste da fare, al futuro Presidente della Repubblica, la sua agenda sarà certamente oberata di impegni. C’è però una questione che vorrei poter condividere con Lei, e prima ancora che varchi la soglia del rispettosissimo Quirinale. Essa mi preme forte dentro al cuore. E si chiama “Unità Nazionale”.
Le scrivo da una parte del paese, caro Presidente, che troppe volte si è vista pisciare sulla testa dal resto d ’ Italia. Le scrivo dal Sud, quella terra che per colpa dei disfacimenti della storia, è stata ingiustamente destinata all’inferno, e che invece splende, a tutt’oggi, di luce propria come un paradiso.
Le scrivo dalla Calabria, Presidente, dalla ineguagliabile Magna Grecia, dove ancora è viva e ardua la bellezza della suo glorioso corso. E le scrivo pervasa da contagiosa speranza, mentre dalla finestra che ho davanti, dirimpetto allo Stromboli, vedo scorrere lento il verso azzurro del Tirreno verso Tropea, per ricordare alla gaudiosa Repubblica italiana che andrà a presiedere che, per rinvigorire i suoi processi di sviluppo sulla base delle più lungimiranti visioni europee, è necessario che l’ Italia si riscopra una e una cosa sola. Un grande paese d’ Europa. Si slanci da “Quel ramo del lago di Como che volge a Mezzogiorno, fino a “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte”, per raggiungere poi, le meravigliose nostre isole. Acquisisca l’importanza della sua storia primordiale, e riparta dal cuore antico della sua paesologia.
Dai ritmi umani del Sud, e da quelli laboriosi del Nord. E si includa in un’unica visione repubblicana di paese. Ma affinché ciò avvenga, è necessario che il Nord riconosca il Sud come parte di sè, e non più sulla base della visione romantica degli amanti sedotti dal piacere dei corpi che si intersecano, ma dell’ unica carne di due corpi che fondano in uno, attribuendole i reali meriti e il giusto valore.
Il nuovo Presidente della Repubblica, e mi consenta il mio dire, è con pellegrinaggi verso i paesi del Sud, che auspico cominci il suo mandato. Inauguri la vita della tredicesima Repubblica italiana. Tra le misconosciute terre del vecchio Regno d’ Italia. Dove ancora è palpitante e viva la storia del paese, e qui vi sventola, sospinto dal grecale, aiutato dallo zefiro, corretto dallo scirocco, invogliato dal libeccio e ansimato dalla tramontana, il Tricolore.
In mezzo alle vigne rosseggianti di Cirò, tra le sopravvissute vetuste aspromontane, al fianco dei volti coloriti dei carbonai delle Serre, in alto ai santissimi loricati del Pollino; da Montalto a Sant’Elia, da Mongiana a Soverato, da Mileto a Nicotera a Tropea, da Cariati a San Giovanni in Fiore, da Ferramonti a Tarsia, da Cerchiara a Laino Borgo.
Allora capirà, e lo riporterà all’Italia il suo concetto inequivocabile di paese; agli italiani dirà con orgoglio che quaggiù non v’è sfrido di razze, ma uomini, conciatori illustri di una grande Repubblica. In fondo è dalla costala del Sud che nasce l’Italia, come da quella di Adamo nacque Eva.
Non so quali saranno le sue precisi origini, Presidente. Se il genio della Nazione lo partorirà dal Nord o dal Sud, il suo nuovo Capo dello Stato. La certezza è che sarà italiano, come me, i miei figli, mio padre e mia madre, il Mezzogiorno e la Mezzanotte.
Unità, Presidente. Unità Nazionale. Parità geografiche, uguaglianze territoriali. Meritocrazie estese, e identici progetti di formazione umana e professionale. La scuola, Presidente. Venga da questa
Italia che andrà a rappresentare, proprio la scuola, certificata come la massima istituzione del paese, e su di essa si costruisca il futuro di questa Repubblica. Garanzie di identità. Formazioni e prestazioni omogenee nei confronti dei giovani, quale futura classe dirigente del paese, affinché siano tutti pronti e preparati per assolvere questo nobile compito, adornando la loro mente di condizioni utili che serviranno al loro domani per svolgere attività nel nostro paese. Così si espresse il Presidente Pertini nel suo discorso all’Italia, il 31 dicembre del 1983.
Sincerità di credo, Presidente, per il bene del paese. Condanna ferrea, al concetto frammentario delle due Italie. Una e una sola ne celebra la Costituzione, e uno e uno solo è il popolo a cui essa parla, che tutela, garantisce e protegge. Una e una sola la legge, uno e uno solo il paese. Senza allusivi sinonimi e senza neppure i benché minimi contrari. Integrità e autoctonia.
L’Italia di disimpegni categoricamente dal progetto dei malfattori, nel costruire una un paese abitato da teste di legno come Pinocchio, e si processi immediatamente pronta a favore dei tantissimi padri con il cuore di carne come Geppetto. Con il ventre materno e paterno della Repubblica che rappresenta. Il bene prevalente di onorata Madre Patria.
Il Tempo è un Dio breve, Presidente, arriva e passa. Ma è proprio nella sua irrefrenabile corsa che, insieme agli italiani, da buon padre di famiglia, dovrà Lei, scrivere un altro pezzo di storia del paese. È una grande responsabilità, è vero, ma si ricordi, caro, “Futuro” Presidente, che la responsabilità è bellezza a questo mondo. E a dirlo è una donna italiana e una mamma calabrese.
In attesa che l’Italia affidi a Lei, Signor “Futuro” Presidente della Repubblica Italiana, chiunque sia, da ovunque venga, questo preziosissimo mandato, il tredicesimo della nostra storia repubblicana, a Iddio mi preme affidare la sua coscienza di uomo. Tutto il suo popolo.
E niente venga mai meno al “mio” paese.
Viva l’Italia! (gsc)