SAN FERDINANDO (RC) – Diocesi e Autorità portuale riflettono su etica e responsabilità sociale

Nell’ambito del percorso di avvicinamento al 3° Congresso Eucaristico Diocesano, che culminerà a San Ferdinando il prossimo 8 giugno per volontà del Vescovo di Oppido-Palmi Monsignor Francesco Milito, si è tenuta nella Sala Consiliare del Municipio una tavola rotonda dal titolo “Carità, Lavoro e Cultura d’Impresa”.

Il meeting si è aperto con la proiezione dello short-film d’autore “Luce del Porto – Vedrai ciò che prima desiderasti” realizzato dal regista Francesco De Melis con la direzione scientifica di Patrizia Nardi, già presentato al Senato Italiano e a Dubai dal presidente Adsp Ammiraglio Andrea Agostinelli.

Un’opera poetica realizzata per evolvere la narrazione dell’area portuale attraverso una visione culturale dell’infrastruttura, rappresentata come elemento antropologico e come elemento armonico del paesaggio.
Una prospettiva inedita che, insieme con le altre iniziative culturali in atto, vuole indurre a una riflessione collettiva sul rapporto tra portualità e territorio e sulla vocazione di una vasta area che si ritrova, in esito a complesse vicende storiche, a essere centro strategico nel mar Mediterraneo.

Una telefonata del Vescovo, assente per sopravvenuti impegni improrogabili, ha aperto i lavori, proseguiti con i saluti introduttivi del sindaco di San Ferdinando Luca Gaetano e con gli interventi del presidente dell’Assemblea dei Sindaci “Città degli Ulivi”, Giuseppe Zampogna, dalla garante della Salute della Regione Calabria Anna Maria Stanganelli, dall’Amministratore delegato di Terminal Mct Antonio D. Testi, dal Comandante della capitaneria di Porto di Gioia Tauro Vincenzo Zagarola, dal responsabile medico Usmaf del Porto di Gioia Tauro Giuseppe Zampogna e dal diacono Michele Vomera, direttore della Caritas Diocesana di Oppido-Palmi. Moderatore Filippo Andreacchio, responsabile comunicazione sociale della Diocesi.

Gli interventi, che hanno spaziato dalla responsabilità sociale d’impresa fino al benessere dei lavoratori del mare, dall’importanza delle cure mediche fino al lavoro come possibilità di riscatto, si sono chiusi con le parole di Andrea Agostinelli che ha sottolineato il concetto di dignità del lavoro e della persona all’interno di un contesto strategico e internazionale, proiettato al futuro, come quello del porto. Parole toccanti e profonde che hanno sottolineato, ancora una volta, come l’attività di governo e direzione di realtà complesse sia sempre legata a forme di attenzione verso la società e le singole persone.

Il fil rouge di tutti i contributi è stato il valore della responsabilità e dell’etica nel lavoro e nell’economia e di come tutti i portatori di interessi (stakeholder e shareholder) debbano sottoscrivere un patto sociale per contribuire con una visione unitaria allo sviluppo del territorio e delle comunità locali.

La comunità di San Ferdinando, con la sua storia breve ma intesa e costellata di avvenimenti talvolta traumatici, non è mai venuta meno ai doveri di carità e accoglienza. Una città che deve al duro lavoro dei padri fondatori la nascita di un meraviglioso giardino sul mare e che oggi è chiamata responsabilmente a costruire il proprio futuro sui binari dello sviluppo ma sempre nel segno tangibile della carità.

Il sindaco, Luca Gaetano, al termine dell’incontro ha commentato: «Questo evento ci ha consentito di condividere una serie di riflessioni molto profonde che a mio avviso devono essere considerate il momento fondativo di un nuovo patto sociale per lo sviluppo responsabile e fruttuoso del territorio. Intendo ringraziare pubblicamente Monsignor Milito per aver creduto in San Ferdinando che, per volontà del Vescovo, l’8 giugno sarà qualificata come Cittadella della Carità. E’ all’interno di questo percorso, in continuità con il Sinodo recentemente conclusosi, che la Diocesi ha voluto questo incontro: per ragionare sul valore della carità e dei valori cristiani negli ambienti produttivi e nel mondo del lavoro. Altrettanto vivamente porgiamo sinceri sentimenti di gratitudine all’Ammiraglio Agostinelli, a Patrizia Nardi, agli illustri relatori e agli autorevoli ospiti che hanno voluto condividere con la comunità locale una occasione di socialità ricca di interessanti contenuti. Esprimo apprezzamento e riconoscenza a tutti coloro che in questo periodo stanno lavorando duramente per realizzare il Congresso Eucaristico nella nostra piccola città e infine, voglio dedicare un pensiero ai tanti lavoratori diretti e indiretti del Porto, senza i quali nessun traguardo sarebbe raggiungibile». (rrc)

L’ACCORATO APPELLO DI ANTONINO DE MASI AL “CORRIERE DELLA CALABRIA”

8 settembre – L’imprenditore Antonino de Masi ha affidato al “Corriere della Calabria” un amaro sfogo e un vibrante appello sulla situazione sempre più drammatica in cui sta finendo la Calabria, una terra che il coraggioso imprenditore antimafia della Piana ama incondizionatamente. È un messaggio che tutti i calabresi devono conoscere e, magari, condividere. È un messaggio accorato, ma racchiude qualche speranza: «La nostra rabbia – dice De Masi – diventi la nostra risorsa per dare un futuro ai nostri figli, in questa magnifica terra».

«Quale autunno ci dobbiamo aspettare, quante e quali foglie cadranno? Foglie che metaforicamente sono rappresentate dalle speranze di un territorio e della sua gente. Certamente la nostra regione ha già perso, temo definitamente, quelle foglie rappresentate dai giovani costretti ad andare via. Quanti ragazzi pieni di speranze hanno lasciato e stanno lasciando questa terra? tantissimi, troppi. Assieme ad essi abbiamo perso anche quel poco di speranza che rimaneva nella crescita, nello sviluppo e nel lavoro.
Abbiamo perso l’illusione delle tante promesse fatteci di grandi cambiamenti, di sogni, di prosperità.
Abbiamo perso la speranza di non vedere più morti ammazzati per le strade, di una terra affrancata dalla criminalità.
Abbiamo perso la speranza di essere uomini e donne libere dai potenti “padrini e padroni” che hanno ammazzato e distrutto questa terra.
Abbiamo perso la speranza di vivere in un luogo civile dove il “sistema paese” funzioni, dove vi sia una sanità che funzioni con un minimo di decenza, dove vi siano strade ed infrastrutture accettabili.
Abbiamo perso la speranza di avere una classe politica che abbia come unico scopo il bene collettivo e non certo quello delle proprie tasche o, peggio ancora, degli interessi di malfattori e criminali.
Queste sono alcune foglie che il tempo ha fatto cadere in modo irreversibile dall’albero della nostra terra.
Diversi critici hanno spesso descritto la Calabria come una terra persa, suscitando le contestazioni e lo sdegno di molti. Si è gridato all’offesa ed alla denigrazione di un territorio. Tanti pseudo intellettuali, ieri come oggi, hanno rappresentato la “fiaba” di una mafia buona con dei codici d’onore e quindi rispettabile, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ed una mafia nuova costituita da criminali. Si è cercato e si sta cercando di giustificare un fenomeno, distinguendo tra vecchio e nuovo, che ha alla base un unico elemento: essere organizzazioni barbare e criminali, in cui la sopraffazione e la violenza costituiscono il modo di agire.
Altro che nobili principi. Sono la criminalità e le sue organizzazioni che hanno rappresentato e rappresentano la causa principale dell’arretratezza culturale ed economica di questa terra. Come può un popolo sottomesso a tali organizzazioni essere libero di esprimersi, di agire e di creare prosperità per sé ed il prossimo? Come in contesti come questi si può esprimere un libero voto e quindi eleggere dei rappresentanti che rispondano ai bisogni reali di un popolo e di un territorio libero? La povertà – spesso anche morale – e la disperazione che ci circonda sono la drammatica risposta a queste domande.
La rassegnazione che ha portato ad una forma di omertà più o meno spinta, ed a volte a forme degenerate di collusione, ci ha progressivamente messo nelle condizioni di vivere ed accettare come normale “il male”.
Siamo purtroppo un popolo ed una terra persa, abbiamo perso la voglia di combattere, abbiamo perso l’orgoglio di essere calabresi, abbiamo perso la speranza. Ci siamo assuefatti ad essere “puzzolenti” portatori di male, ad essere trattati con disprezzo come “calabresi”.
Queste sono le foglie, le speranze, che sono volate via dall’albero della nostra vita.
Ci sarà mai una primavera interiore che possa far ricrescere quelle foglie?
Certamente no se aspettiamo gli altri, certamente no se speriamo che arrivi un cavaliere straniero con la bacchetta magica e risolva i nostri problemi. Certamente no se ognuno di noi continuerà a far finta di non vedere e sentire. Certamente no se non comprendiamo un elemento essenziale: che il nostro domani, il domani dei nostri figli, sta proprio nella nostra determinazione “combattere” per il nostro futuro. Oggi dobbiamo tutti capire che se non mettiamo al centro della nostra vita questo elemento essenziale non avremo mai un domani. Oggi dobbiamo riappropriarci del diritto dovere di essere parte di un sistema “pubblico”, di una società civile che ha proprio nell’interesse collettivo la ricchezza di ognuno.
Dobbiamo capire che una società civile, un sistema sociale ha nel suo essere e vivere insieme un elemento essenziale del proprio sviluppo; il bene pubblico, collettivo, rappresenta quindi la base di una società non solo moderna, ma funzionale e positiva che genera ricchezza. La piazza, la strada, l’ospedale, l’aiuola, sono beni di tutti, proteggiamoli. Ed un bene pubblico primario, che è il pilastro della società civile, è la legalità. La legalità infatti distingue una società evoluta, civilizzata, che punta per mezzo del rispetto delle regole (le leggi) alla prosperità. La legalità è quindi un bene pubblico e ciò dovremmo capirlo e fare di tutto per tutelarla.
Impariamo a vivere insieme rispettandoci, non solo con i sorrisi ed i saluti, ma rispettando anche noi stessi, vivendo dentro quei valori che garantiscono la nostra prosperità. Dignità, orgoglio, onore sono valori che sono insiti in ognuno di noi, in ognuno dei tantissimi – la stragrande maggioranza – calabresi per bene, risvegliamoli e giriamoci le maniche facendo quello che serve per far rifiorire le nostre speranze e – cosa principale – quelle dei nostri figli.
Solo da noi passa il riscatto della nostra terra e non certo dagli altri.
Questa credo possa essere la base della primavera che può far ricrescere le nostre speranze. Non più l’aspettare che altri facciano per noi, ma un mettersi in discussione per divenire attori principali del nostro domani, parlando di sviluppo, di lavoro, di legalità e di prossimo.
Occupiamoci, chiedendo conto, delle strategie sull’area industriale di Gioia Tauro, dove in altre sedi in questi momenti stanno discutendo il destino anche dei nostri figli. Cerchiamo di capire che il Porto non è solo un’attività produttiva come tante, ma può diventare invece con il lavoro che genera uno strumento di riscatto dalla criminalità.
Chiediamo e pretendiamo la prossima nomina all’Autorità portuale di persone competenti che abbiano al centro il solo interesse collettivo, e pretendiamo di conoscere i criteri di assegnazione dell’utilizzo di banchine a player che vorrebbero investire su Gioia Tauro.
Insomma rappresentiamo a tutti che il lavoro e lo sviluppo sono gli unici strumenti che possono sconfiggere la criminalità, liberando un territorio e la sua gente dalla sopraffazione criminale. Il lavoro in questa regione rappresenta, più che in altri territori, uno strumento di legalità, una politica per marginalizzare e sconfiggere un male, un fenomeno, che da decenni condiziona il futuro di questa terra e dell’intero Paese.
Chiediamo conto di tutte le positività e delle opportunità che ha questa Regione, dal Pollino sino allo Stretto, e facciamole diventare risorse; facciamo diventare risorsa la nostra rabbia, il nostro disperato bisogno di dare un futuro ai nostri figli in questa magnifica terra, diventiamo risorsa noi stessi e con rinnovato orgoglio diciamo “siamo Calabresi”». (rrm)