PER RITORNARE A VIVERE LA CITTÀ SERVE
UN PENSIERO FORTE PER SUPERARE CRISI

di FRANCO ROSSI – Un fenomeno appare ormai consolidato. Siamo troppo distratti da quello che ci sta accadendo intorno che corriamo il rischio di disperdere un immenso patrimonio  culturale e sociale, attraverso il quale siamo riusciti, quasi  sempre, a dare risposte positive alle crisi in atto.

Oggi, molte parole hanno iniziato a tradirci. Prendiamone una, quasi per caso “Città”, una parola simbolo dei sogni, delle aspirazioni e delle speranze della società, una parola che ha contribuito a costruire culture, religioni, divisioni, unioni, e che è stata promotrice di pensieri e storie.

Chiusi negli spazi delle nostre abitazioni, rifiutiamo qualunque contatto con gli “altri”, non incontriamo più amici, parenti, non viviamo più la città. Quelle poche volte che usciamo per qualche ragione, ci affrettiamo a rientrare al più presto spinti a farlo da scenari inimmaginabili. Città vuote dove i colori che ci incantavano si trasformano in tristi sfumature di grigi, temiamo di incontrare conoscenti, vorremmo far scomparire i parchi.

Ma ciò che è più crudele è la rovinosa consapevolezza che implica l’annullamento di un patto, della fiducia che abbiamo affidato alla città e della condivisione che abbiamo avuto con essa –la città – verso un ideale in cui credevamo, verso la sua capacità di reagire alle crisi.
La pandemia da Coronavirus e il confinamento conseguente hanno cambiato il nostro modo di rapportarci alla città ed ai modi di viverla.

La città è diventata il nemico, la causa di tutti i nostri mali.

Le nostre risposte sono state di rifiuto nei suoi confronti accettando supinamente le restrizioni imposte al suo “uso”, al suo “consumo” e al suo “sviluppo”. La città ci ha tradito annullando una possibilità di futuro perché non ha avuto la forza, la capacità di reagire ad una crisi. Una città silenziosa, timorosa, cupa, solitaria, grigia e fredda, un luogo irriconoscibile.

Un tradimento che non ci aspettavamo, da cui nasce una questione socio-spaziale, accompagnata dalla crescita delle diseguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri, ma anche una questione ambientale ed ecologica di proporzioni mai conosciute fino a una questione di cittadinanza.

Abbiamo il dovere, nonostante il tradimento, di superarlo e riprendere un percorso, un ragionamento, smettendola di chiuderci in un silenzio assordante verso soluzioni scomposte dettate dalla scoperta del tradimento. Ecco cosa accade quando le parole ci tradiscono. Non possiamo permetterlo.

Ricominciamo a riflettere, ragionare, costruire possibili futuri delle nostre città anche e soprattutto in momenti di crisi.
Nel passato ci siamo riusciti.  In tale percorso Enzo Siviero è stato un protagonista attivo e spesso innovativo.

Faccio un appello a tutti ad uscire dai propri rifugi e iniziare una riflessione per la costruzione di un futuro possibile in tempi di pandemia.

La grande crisi pandemica mondiale determinata dal Covid-19 ha aperto, forse è meglio dire ha costretto ad aprire, una riflessione sul tema di come le città contemporanee sono state pensate e costruite. Una riflessione che investe i fondamenti delle discipline che si interessano di città e di costruire luoghi per la vita nelle città.

Tra le tante questioni l’etica della città, spesso affrontata da Siviero, sembra assumere un ruolo centrale. Un obiettivo volto a dare concretezza a una visione del futuro, ma allo stesso tempo attenta alle presenti esigenze della città. Sociale, ecosostenibile, solidale, moderna: questi i valori principali che caratterizzano il concetto di città. Una città che si prende cura delle sue periferie e delle sue ferite; della natura, del paesaggio e del valore del suolo; delle necessità di tutti i cittadini. Una città capace di immaginare un futuro valorizzando i punti di forza e “riparando” i punti deboli.

I governi locali e regionali, i sindaci sono in prima linea nella risposta al coronavirus. I loro servizi di base sono sotto pressione a causa della distanza sociale e l’assistenza ai malati e alle persone vulnerabili, mentre le loro fonti di reddito si riducono a causa del Coronavirus.

In buona sostanza si tratta di un fenomeno non conosciuto, percepito in termini di emotività e che richiede una profonda riflessione su come affrontarlo, razionalizzarlo nel tentativo di dare risposte efficaci.

Al fine di tentare di razionalizzare la questione ci si è sostanzialmente limitati nel fornire informazioni, tabelle e mappe relative alla diffusione del virus attribuendo ai diversi territori diversi parametri per descriverne la diffusione con colori dal rosso al giallo o bianco a secondo della pericolosità, il numero dei contagiati, dei guariti con indici e bollettini ed attribuendo regole a seconda della nuova mappa del colori.

Il tutto determina una situazione di concorrenza nella attribuzione dei valori e dei relativi benefici: orari di apertura, luoghi e locali frequentabili, dove la questione non è più come controllare o sconfiggere la pandemia ma come farsi attribuire il colore giallo per accedere ai benefici.

Il virus in questa euforia frenetica si gode i suoi colori continuando a diffondersi. In buona sostanza ci troviamo di fronte ad un nemico che non conosciamo e ci alleniamo a definirlo in vari modi nella illusione di fermarlo.

Dovremmo invece produrre un pensiero forte capace di prefigurare futuri possibili e capaci di delineare nuovi scenari capaci di riportare al centro delle risposte che siamo chiamati a produrre una nuova immagine di futuro in grado di salvaguardare la storie e le storie del nostro passato e dei nostri futuri con una mente libera e rivolta a costruire diversi e affascinanti domani. In tale prospettiva Enzo Siviero ha rappresentato un riferimento importante nelle nostre discipline.

Sarebbe utile riprendere alcune sue riflessioni per uscire dalla stagnazione nella quale ci troviamo. (fr)

[Franco Rossi è docente all’Università della Calabria e già assessore alla Regione Calabria]