Domani pomeriggio, a Monsoreto di Dinami, alle 16, si terrà l’evento Voci di memoria in ricordo di Giuseppe Russo Luzza a trent’anni dalla sua tragica morte, organizzato da Libera Vibo Valentia e Csv Calabria Centro.
Un’iniziativa fortemente voluta dall’amministrazione comunale di Dinami e dalle parrocchie del territorio. Un momento di comunità e di dialogo in ricordo di un giovane barbaramente ucciso dalla violenza criminale.
L’evento prevede la scopertura di una targa in ricordo del giovane ucciso, un monito, «una pietra di inciampo che aiuti tutte e tutti noi a scegliere da che parte stare»
A seguire la testimonianza di Teresa e di Matteo, madre e fratello di Pino in piazza Scarano, nell’ambito di un momento di riflessione e memoria che si inserisce nei Cento passi verso il 21 Marzo, Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie che, quest’anno, si terrà a Roma.
«La storia di Pino è una storia d’amore negato – si legge in una nota – in una terra nella quale purtroppo, c’è chi si arroga il diritto di decidere chi puoi amare e chi invece, no. L’amore, forza dirompente e incontenibile, dissacrante, profonda e senza limiti, si scontra con le rigide e becere regole della ‘ndrangheta che non conosce sentimenti ma soltanto giochi di potere e di forza. Pino aveva 21 anni quando scomparve misteriosamente dopo aver iniziato da poco a frequentare la cognata del boss Gallace, quest’ultimo, oggi, all’ergastolo. La giovane non era libera di scegliere il suo futuro ma silente pedina, oggetto alla mercé della famiglia di ‘ndrangheta per creare ponti e alleanze criminali. Era il 15 gennaio quando Pino uscì per andare a Vibo Valentia purtroppo, però, non fece mai ritorno a casa».
«Due mesi dopo, il 21 marzo, i suoi resti vennero ritrovati in una zona impervia nei pressi di Dinami, paese vicino al suo paese natio – continua la nota –. Uno degli omicidi più sanguinari del vibonese, la ricostruzione è un pugno allo stomaco. Lo uccidono, inveiscono sul corpo e lo gettano in un fosso. Un messaggio eclatante: il boss deve mostrare di avere il controllo sulla sua famiglia e quindi, sul territorio. Non c’è spazio alla spensieratezza di un primo amore vissuto tra i vicoli stretti di quella cittadina nell’entroterra calabro, di quei sorrisi accennati e la fierezza di un giovane uomo che si affaccia alla vita».
«Pino è colpevole d’amore. Il tribunale clandestino della ‘ndrangheta ne sentenzia la morte. Non c’è appello. Una storia, un volto, un nome destinati all’oblio. Ed è una comunità intera che, invece, a trent’anni di distanza, squarcia il velo tetro della morte, facendo propria la storia di un giovane figlio di questa terra contradditoria; una comunità che ha deciso di ritrovarsi proprio sul luogo dove furono trovati i resti di Pino in località Giardino a Monsoreto di Dinami».
«Oggi, quel giovane alto e magro, dai capelli scuri e il volto di uomo – conclude la nota – continua ad amare. Lo fa grazie alla madre Teresa che dispensa sempre un sorriso anche se dentro ha il cuore a pezzi, grazie a Matteo che porta la storia di Pino nelle scuole e nelle carceri, grazie a chi, con la sua storia, anima la quotidianità di gesti coraggiosi per poter rivendicare anche il più elementare dei diritti, quello all’amore». (rvv)