di DON ENNIO STAMIILE – A volte capita di tornare a casa per l’ora di pranzo e, soprattutto d’estate, avere poca voglia di cucinare. Così ho avuto la pessima idea, la vigilia di ciò che chiamiamo Ferragosto, di fare un salto ad un grande supermercato, in questo splendido lembo del tirreno cosentino dove dimoro. Mentre mi accosto al banco della tavola calda, mi rendo conto che sono in tanti ad aver avuto la mia stessa idea e dopo aver preso il numero dal distributore automatico che mi assegnava il numero 94 attendo il mio turno, mentre il tabellone che campeggia di fronte a me segna il numero 80. C’era un bel po’ da attendere. Ormai è diventata una consuetudine per tutti, ovunque si è costretti a fare la fila si ricorre al cellulare. C’è sempre da controllare le mail o rispondere ai vari messaggi.
Orbene, mentre anch’io facevo ricorso allo strumento tecnologico di cui non possiamo fare più a meno, tanto che ormai è diventato una sorta di seconda pelle, scorgevo a poca distanza da me un giovane che ostentava i suoi numerosi tatuaggi sulle braccia e sui polpacci, con vistosi occhiali da sole presso il banco della tavola calda. Quel giovane ha attirato subito la mia attenzione, non per il suo abbigliamento e per i suoi demenziali tatuaggi quanto, piuttosto, perché avevo avuto la netta sensazione che avesse saltato a piè pari la fila. La conferma arrivava dopo pochi istanti.
Di fronte a lui, all’ingresso del bar dove i clienti della tavola calda possono comodamente sedersi e consumare i loro pasti, sostava il giovane boss di turno che attendeva quasi impaziente, che il suo fido scagnozzo gli portasse il vassoio con le pietanze già pronte. Per non dare nell’occhio il giovane aveva anche ritirato il numero che il personale ha evitato di riscontrare, concentrandosi a servirlo con pronta e cordiale disponibilità. Arrivato il mio turno ho fatto in modo di avvicinarmi a quel foglietto posato sul banco che segnava il numero 96.
L’episodio, benché non eclatante, simboleggia ciò che gli studiosi del fenomeno chiamano “signoria territoriale” della ‘ndrangheta, che si manifesta anche attraverso questi gesti di ossequiosa riverenza. Ai suoi membri tutto è dovuto anche non pagare il conto. La Calabria da oltre un secolo e mezzo è costretta a sopportare questo pesante fardello. La priorità, per l’attuale Governo, sembra essere il ponte sullo stretto che dovrebbe rappresentare la panacea di tutti i mali di questo profondo Sud di isolani e isolati. Di ‘ndrangheta se ne parla poco o non se parla affatto.
Men che meno di tutte le urgenze di cui necessità la Calabria: sanità, lavoro, viabilità, sviluppo del settore turistico e molto altro ancora.
Anzi, lo stesso Governo ha ben pensato di tagliare ben 300 milioni di euro di fondi dedicati alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, di cui ben 57.827.472,94 euro destinati in Calabria. Con buona pace di quelle amministrazioni locali che hanno investito risorse pubbliche e attivato manifestazioni di interesse con l’Anbsc, per poter trasformare gli immobili confiscati, in beni a servizio della società civile. Tutto in fumo.
Molte decisioni governative sembrano andare in “direzione ostinata e contraria”, non solo al buon senso, ma alle concrete azioni da attuare per contrastare il fenomeno mafioso: dalle intercettazioni, all’abolizione del reato di concorso esterno. Altro che lotta alle mafie! Si sta facendo di tutto e di più per poter incrementare il loro potere economico anche in tema di contrasto alla corruzione che, come sappiamo, è una delle tante porte d’ingresso dello strapotere mafioso.
Francamente ciò che mi indispettisce di più è la mancata coerenza di chi dai banchi dell’opposizione sostiene delle tesi, quasi sempre molto popolari come, ad esempio, il taglio delle accise, la defiscalizzazione, dire di tutto e di più contro l’Europa, la politica estera americana e della Nato. Salvo poi, una volta occupati gli scranni del potere governativo, fare l’esatto opposto. Molti dicono: questo oramai da svariati decenni è l’andazzo della politica in Italia. A mio sommesso avviso, rappresenta la più totale e disgustosa forma di assoluta antipolitica, alla quale proprio non riesco a rassegnarmi. (es)
[Ennio Stamile è già referente di Libera]