Si è alzato il sipario, a Vibo Valentia, sulla nona edizione del Festival Leggere&Scrivere, dall’evocativo sottotitolo “Dialoghi per ripartire”.
Presenti, all’inaugurazione, l’assessore comunale alla Cultura, Daniela Rotino, che ha spiegato come il Festival rappresenti «il punto focale di “Vibo capitale del libro”», il presidente del Sistema Bibliotecario e sindaco di Monterosso Calabro, Vibonese Antonio Lampasi, che ha sottolineato «l’alta valenza del Festival nel panorama culturale calabrese e la grande importanza del Sistema bibliotecario nel garantire massimo impegno affinché la cultura sia tutto l’anno ed in ogni luogo».
I direttori artistici ed organizzatori, Gilberto Floriani e Maria Teresa Marzano, hanno voluto ringraziare in maniera sentita tutti gli sponsor, che con donazioni grandi e piccole «ci hanno permesso di essere qui», ed in particolare la famiglia Caparrotta-Miceli, che con uno slancio non comune ha messo a disposizione i locali per la nuova location. Una location nata dalle necessità «ma che – è stato l’auspicio di Floriani – potrebbe rivelarsi una grande occasione per la città. Perché è bellissima, è un moderno centro culturalez».
«E perché – ha aggiunto Marzano – bisogna uscire dalla fissità delle nostre idee, aprirsi alle novità, che come in questo caso sono straordinarie». La stessa “padrona di casa”, Daila Miceli, ha ricordato che «l’importante è che ognuno metta a disposizione ciò che ha, ciò che può». Infine il maestro Antonio La Gamba ha illustrato le installazioni e le esposizioni che hanno trasformato la sede del Festival in una vera e propria galleria d’arte.
Tra i partecipanti, il presidente della Commissione di Vigilanza della Rai Alberto Barachini, che ha rimarcato la necessità di «raccontare una Calabria e una Vibo Valentia migliore. E quale occasione più adatta – ha evidenziato – di una manifestazione culturale come il Festival Leggere&Scrivere per riscoprire questo orgoglio, ma stavolta senza pregiudizio».
Il presidente della Commissione di Vigilanza ha, poi, ricordato l’importanza della lettura specie in questo periodo di pandemia «in cui molti, per solitudine, si sono avvicinati al libro»; ed ha ricordato il ruolo della Rai in passato e quello che deve avere in futuro: «Insegnare ai giovani non ad usare i nuovi mezzi ma a dominarli». Alla fine, un auspicio ed una convinzione: «Lettura e cultura sono il confronto che ci serve. È da qui che possiamo ripartire».
Nel corso della giornata, poi, il senatore Pietro Grasso, intervistato dal giornalista della Gazzetta del Sud, Arcangelo Badolati, ha ricordato Paolo Borsellino e Giovanni Falcon, in occasione della presentazione del suo libro Paolo Borsellino parla ai ragazzi, edito da Feltrinelli.
«Gioviale, empatico, generoso. Così era Paolo Borsellino. Un magistrato, un uomo, che non si risparmiava mai nel lavoro come nella vita» ha raccontato Grasso, spiegando che «Borsellino fu il primo ad offrirmi la sua collaborazione quando mi trovai a studiare le carte del Maxiprocesso».
«Mi diede i suoi appunti – ha ricordato – con tutti i riferimenti per trovare ciò che cercavo tra montagne di faldoni. Mi rese il lavoro molto più facile. “È pronto l’esplosivo per me”, mi disse una volta che c’incontrammo a Roma. In quel momento ho avuto la consapevolezza che andava incontro alla morte sapendo che la sua sorte era già segnata, come un destino al quale non ci si può sottrarre. Questo è bene farlo sapere ai ragazzi affinché comprendano il senso di quel sacrificio, fatto non da eroi ma da persone normali che hanno creduto nelle loro idee fino al punto di rimetterci la vita».
Dall’analisi di Grasso emerge la figura di un magistrato dalla grande umanità ma al tempo stesso rigoroso, protagonista, con Giovanni Falcone, di una delle pagine più importanti della storia della giustizia italiana.
«Il Maxiprocesso fu un banco di prova superato – ha spiegato Grasso –. Lo Stato in tutte le sue componenti portò i risultati sperati ma nessuno si aspettava che quel processo avesse quel successo con 19 ergastoli e migliaia di anni di carcere. Da quel momento, però, quello che doveva essere l’avvio di un percorso nuovo, suscitò una dura reazione contro quei magistrati che ne furono protagonisti».
«A volte – ha aggiunto – ho la sindrome del sopravvissuto, perché le persone in trincea accanto a me sono state colpite e spesso ho provato un grande senso di colpa perché le stragi sono state la conseguenza del successo del Maxiprocesso. Beh se non ci fosse stato tutto quello, se io non avessi collaborato a quel successo, forse loro sarebbero ancora vivi».
«Questo è terribile – ha concluso – ma mi faccio forza razionalizzando perché, conoscendoli, so che non avrebbero mai smesso mai di fare ciò che hanno fatto. Tuttavia resto convinto che se Falcone e Borsellino non fossero stati uccisi, oggi avremmo un’Italia migliore». (rvv)