Nella Fattoria Urbana di Catona, nell’ambito del Salotto dei poeti, è stato presentato il libro La ragazza di Palmi di Pina De Felice.
Ha moderato e condotto l’incontro la prof. Nanà Berte e hanno brillantemente relazionato il dr. Antonino Santisi e la prof. Francesca Neri, mentre alcuni brani del volume sono stati letti da Teresa Lofaro, Nancy Calabrò e Antonella Martino.
La preziosa opera della scrittrice, reggina di adozione e palmese di origine, raccoglie ventitré racconti scritti, anzi dipinti, come è stato evidenziato dalla moderatrice, con il cuore. La meraviglia, lo stupore, la ricerca, le immagini, i colori, i profumi, le fragranze, il garbo, la gentilezza, il rispetto, i fermenti giovanili, che offrono questi racconti, narrano, anzi dipingono, un periodo storico dove trionfa l’umanità, quella umanità che trasudava nei rapporti interpersonali dell’epoca, che Pina De Felice ha vissuto e, oggi, con delicata dolcezza li trasferisce al lettore. L’Italia usciva da ben due guerre mondiali, ecco che le ansie, le paure e anche i sogni, le speranze, le aspettative di vita della Ragazza di Palmi, tale Pinuzza, “figlia di Melina, chi aviva i mani d’oru ed era na fimmina ‘ngarbata e di don Colino, persona a modo e istruita” non si può collocare nell’ambito di episodi e vicende locali.
La “Ragazza” si può benissimo definire figlia dell’Italia del dopoguerra. La protagonista, infatti, poteva essere di Cesenatico, di Ventimiglia, di Forte dei Marmi, di Amalfi, di Cefalù, di Porto Torres, insomma la ragazza di qualsiasi cittadina d’Italia, perché allora e, purtroppo, solo allora, le condizioni mentali, economiche e sociali dell’Italia erano omogenee. Pina De Felice racconta, con taglio poetico, il periodo doloroso, ma nello stesso tempo avvincente, della storia italiana, in quanto in quegli anni si percepiva una grande povertà, ma sembra un paradosso, non c’era miseria. La povertà, infatti, era economica, ma non si riscontrava quella miseria umana e la meschinità che in seguito hanno, in parte, devastato l’Italia.
C’è inoltre, per arricchire i contenuti dei racconti, come ha dichiarato l’autrice: «la storia di un vissuto che si esprime spesso con la genuinità di un dialetto che sintetizza ed armonizza il pensiero e lo proietta in vicende che sugli affetti familiari, sulle condivisioni e il rispetto sociale preparavano la rinascita».
Le prime rivendicazioni femminili, infine, si avvertono in brani che fanno del libro un volume di altissimo valore letterario, in quanto narrano di un’epoca dove per la prima volta nella storia stava emergendo come categoria sociale: la gioventù. Nel passato, infatti, il passaggio tra età adolescenziale ed età adulta non aveva vie di mezzo e questo è un concetto ben chiaro a Pina De Felice che lo pone, con poetica semplicità, come tema da analizzare con attenzione in quanto, al momento, poco approfondito.
Si può dire quindi che questi racconti fotografano con candore e vena poetica il secondo dopoguerra e sono, di fatto, un punto di riferimento letterario da leggere, studiare e prendere come esempio per la naturale capacità narrativa dell’autrice e l’alto valore storico presente in ogni riga di questo straordinario libro. (rrc)