L’OCCASIONE PERDUTA DI BAKER HUGHES
SFUMATO L’INVESTIMENTO A CORIGLIANO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – B

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ker Hughes ha rinunciato a investire nel Porto di Corigliano Rossano. Sfuma, così, l’ennesima opportunità di sviluppo di un territorio che ha un’insaziabile fame di lavoro, ma anche di riscatto e di rilancio di un’area portuale non valorizzata quanto dovrebbe.

Una «difficile ma inevitabile decisione», ha spiegato l’azienda che in Italia opera principalmente attraverso la società Nuovo Pignone, provocata «dall’incertezza legata ai tempi di sviluppo, rallentati da un ricorso dell’Amministrazione comunale di Corigliano-Rossano, e quindi il venire meno delle condizioni temporali necessarie per realizzare il progetto come inizialmente concepito, inclusa la concentrazione di tutte le attività in un’unica area idonea ad ospitarle, cioè la banchina».

«Baker Hughes l’ha assunta con grande rammarico – prosegue la nota – nonostante le risorse impiegate e il grande impegno dedicato nel corso dell’ultimo anno e mezzo al confronto e all’ascolto degli attori del territorio: istituzioni, parti sociali e società civile. A fronte di questa mancata espansione in Calabria, e per poter rispondere alle esigenze dei clienti nei tempi appropriati, Baker Hughes sta valutando soluzioni interne di medio termine per garantire la continuità del proprio business».

E, mentre i progetti a Corigliano Rossano sono sfumati, l’Azienda ha confermato, invece, che «gli investimenti annunciati nel proprio stabilimento di Vibo Valentia, che consentiranno di potenziarne la capacità produttiva e realizzare nuove infrastrutture, a testimonianza del ruolo della Calabria nelle strategie aziendali e nella filiera globale di Baker Hughes».

«L’azienda riconosce e apprezza l’impegno, la disponibilità e la collaborazione offerte al progetto nelle numerose e frequenti interazioni da parte di Regione Calabria, Autorità di sistema portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio, Zes, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Confindustria, organizzazioni sindacali e quanti altri siano stati coinvolti nel percorso», conclude la nota.

«Al di là di un incomprensibile e ingiustificato formalismo procedurale, la verità è che la Giunta Comunale ha dimostrato, nei fatti, che non voleva l’insediamento industriale in un porto deserto da 40 anni, condannandolo ad altri 100 anni di solitudine», ha commentato il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio, Andrea Agostinelli, ribadendo come l’Autorità di Sistema «aveva fortemente voluto, con l’appoggio convinto della Regione, degli industriali, di tutto il fronte sindacale e anche della società civile», un progetto che avrebbe portato tra Vibo Valentia e Corigliano-Rossano, la creazione di duecento nuovi posti di lavoro, indotto, sviluppo, riqualificazione industriale di un intero quadrante.

Per Agostinelli, dunque, «hanno detto no ad un’imperdibile occasione di sviluppo nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale. Hanno detto no a 200 posti di lavoro e a 200 giovani che da domani prenderanno la via del Nord per cercare la propria occupazione. Chi non ha voluto che questo progetto si insediasse nel Porto di Corigliano Calabro, si goda questa tragica vittoria».

A puntare il dito contro l’Amministrazione comunale di Corigliano Rossano è anche il presidente della Regione, Roberto Occhiuto: «ha da sempre avuto un atteggiamento ostativo nei confronti di questa multinazionale che aveva deciso di scommettere sulla Calabria.
Sono amareggiato, quasi sconfortato».

«Sto facendo di tutto per attrarre investimenti, per creare opportunità, per raccontare alla comunità nazionale e internazionale una Calabria nuova, che ha voglia di crescere, di competere e di mettersi in gioco», ha spiegato il Governatore, ricordando che incontra quotidianamente imprenditori, decisori, politici e istituzioni.

«Qualcuno, invece – e mi piacerebbe conoscere a tal proposito l’opinione dei sempre loquaci rappresentanti dell’opposizione in Consiglio regionale –, si diletta a fare il ‘signor no’ di professione – ha concluso – distruggendo senza alcuna ragione ciò che altri faticosamente provano a costruire.Un comportamento davvero incomprensibile»-

«Fa male, dopo aver profuso tanto impegno per creare un contesto favorevole ad un insediamento produttivo significativo, come quello proposto da Baker Hughes nel porto di Corigliano Rossano, vedere svanire l’opportunità di un investimento da 60 milioni di euro che avrebbe potuto cambiare le sorti di un intero territorio», ha commentato l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Rosario Varì.

«In Calabria c’è un governo regionale, guidato dal presidente Occhiuto – ha ricordato – che lavora quotidianamente per attrarre investimenti, fonti di crescita, sviluppo e ricadute occupazionali per i nostri giovani. C’è poi un’altra parte politica che, invece, lavora nella direzione opposta, condannando i territori che amministra all’oblio e facendo scappare aziende e opportunità».

Sulla vicenda è intervenuto il sindaco Flavio Stasi, ribadendo la necessità di fare chiarezza: «purtroppo, a differenza di chi racconta altro, paghiamo il fatto che da 30 anni il nostro Porto sia colpevolmente sprovvisto di pianificazione ed il Comune non poteva dare alcuna conformità urbanistica, se non violando le norme».

«Lo sapete che, nonostante questo – ha proseguito il primo cittadino – l’investimento aveva da mesi una autorizzazione valida a tutti gli effetti? Questo perchè il Comune non ha mai chiesto alcuna “sospensiva”, ma attende da un anno una proposta di pianificazione o una nuova conferenza dei servizi. Una proposta l’abbiamo persino fatta noi, senza risposta».
«Continuiamo ad essere disponibili a trovare soluzioni condivise che garantiscano l’investimento e la compatibilità con un piano di sviluppo complessivo del Porto – ha concluso – intervenendo anche nella zona industriale ed assicurando che quello di Schiavonea non diventi un porto totalmente industriale. Ovviamente nel rispetto delle procedure e delle vocazioni del territorio».

I segretari generali di Cgil Pollino Sibaritide Tirreno, Cisl Cosenza e Uil Cosenza, rispettivamente Giuseppe GuidoGiuseppe LaviaPaolo Cretella, hanno definito la rinuncia di Baker Hughes come «una notizia non certa inaspettata, motivata dall’azienda dal ricorso presentato dal Comune che ha rallentato e bloccato le fasi autorizzative e di realizzazione dell’investimento».

«Abbiamo sempre sostenuto, unitamente alle federazioni di categoria – hanno spiegato – la bontà dell’investimento per le sue ricadute occupazionali, circa 200 posti di lavori, per l’indotto che sarebbe stato generato e per le competenze che sarebbero state trasferite sul territorio. I nostri appelli rivolti all’amministrazione comunale e al Sindaco sono caduti nel vuoto. Il Consiglio Comunale non ha trovato il tempo di discutere di un argomento così importante, anche dopo una conferenza dei capigruppo aperta alle forze sociali, nella quale come Cgil, Cisl e Uil, abbiamo spiegato le ragioni del nostro si all’investimento. Un’occasione persa per il territorio. Hanno vinto le associazioni senza associati, i Presidenti del nulla. Hanno vinto le sindromi di nimby e nimto. Non nel mio giardino, non nel mio mandato elettorale. Ha vinto il nostro autolesionismo. Un investimento pienamente compatibile con le altre vocazioni della struttura portuale: pesca, commercio, diporto».
«Noi lo ripetiamo, affidare il nostro futuro soltanto alle sorti magnifiche e progressive di agricoltura e pesca, settori pur importanti, è un errore strategico – hanno ribadito –. L’investimento era ed è pienamente compatibile con queste vocazioni. Se ci fosse un solo spiraglio di riaprire la partita, tutti, nessuno escluso, dovrebbero coglierlo; il nostro è un appello accorato a tutte le Istituzioni che richiamiamo al senso di responsabilità nell’interesse di una comunità che ha fame di lavoro dignitoso. In attesa di decine e decine di navi da crociera, che sono lì, alla rada, e che aspettano solo di entrare nel Porto». (ams)

L’OPINIONE / Salvatore Martilotti: Progetto Baker Hughes opportunità per il Porto di Corigliano Rossano

di SALVATORE MARTILOTTI – Il progetto Baker Hughes per il Porto di Schiavonea (Corigliano-Rossano), senza nessun pregiudizio ideologico, sicuramente va valutato attentamente, anche perché potrebbe rivelarsi una grande opportunità per il “porto del vuoto e del silenzio” che ha dato inizio alla sua costruzione, circa, 56 anni fa.

Tuttavia, contestualmente, dovrebbe essere definita la tempistica per dare il via ai lavori della “banchina crocieristica” e, in particolare, alla sistemazione della flotta peschereccia con il completamento dei servizi e il decollo del distretto ittico partito con l’ex-Comune di Corigliano Calabro ma, purtroppo, arenatosi con la fusione. Considerato che è patrimonio della nostra comunità sarebbe opportuno che il Comune di Corigliano-Rossano incominciasse a dare concretezza allo sviluppo futuro della nostra economia ittica. È tempo di fare sul serio, di dare avvio alla valorizzazione di un patrimonio che non può più attendere.

Un porto che ha visto l’avvio della costruzione nel lontano 13 dicembre 1967 (sottoscritto l’atto di sottomissione dell’Impresa vincitrice della gara d’appalto) può ancora permettersi il lusso di aspettare ancora il decollo? In tutti questi decenni il nostro territorio è stato “traumatizzato”, le attese non sono mai diventate concrete, abbiamo ascoltato tanti rappresentanti politici ma sono rimaste solo parole portate via dal vento.

Oltre a drenare risorse importanti, ha coinvolto un settore rilevante dell’economia locale. Infatti, con gli inizi della costruzione del porto, prima verso il mare, e a seguire nell’entroterra con l’esproprio di una intera zona agricola con i piccoli lotti di agrumeti a poche centinaia di metri dalla spiaggia, il settore della pesca ha subito “uno sviluppo spontaneo” capace di trasformare una parte consistente della flotta da “artigianale a industriale” con i pescatori di Schiavonea protagonisti.

I pescatori e le micro-imprese a conduzione famigliare, senza nessun intervento pubblico, hanno avuto il coraggio di investire su se stessi, sulla propria capacità lavorativa, dando il via ad una profonda trasformazione dell’economia ittica locale. Tuttavia, solo agli inizi degli anni novanta si è preso atto che erano venuti meno gli obiettivi che avevano portato alla costruzione del grande porto di Sibari, oggi di Corigliano. E cosi nel porto del “vuoto e del silenzio” è stato consentito alla flotta da pesca una sistemazione “provvisoria e transitoria” nell’ambito della banchina n.7 della seconda darsena in quegli anni a scarpata naturale.

A seguire l’ex-Comune di Corigliano Calabro ha istituito il “Distretto ittico di Schiavonea” dando il via alla realizzazione del Mercato ittico e ad altri servizi pesca e nel 2005, per chiarire in maniera definitiva che la pesca non vuole essere da intralcio all’eventuale sviluppo portuale, le Autorità competenti hanno aperto il secondo varco del porto nei pressi della seconda darsena. Tutto ciò significa che, sia l’Autorità di Sistema Portuale del Tirreno e dello Jonio di Gioia Tauro che il Comune di Corigliano-Rossano insieme alla Regione Calabria, a nostro avviso, hanno l’obbligo di definire l’organizzazione complessiva del settore pesca nella seconda darsena per la valorizzazione della risorsa locale pesca. Ora di fronte ad una richiesta di investimento con il progetto della Baker Hughes dobbiamo solo rispondere con un “no ideologico”? A tanti, compreso me, immagino, non convince una risposta di questo tipo.

Al contrario va valutato, senza pregiudizi, il progetto di investimento e capire che, forse, potrebbe essere una grande opportunità per il decollo del “porto dormiente” e una buona occasione di sviluppo e occupazione per il nostro territorio. (sm)

[Salvatore Martilotti è già responsabile regionale di Lega Pesca]

L’OPINIONE / Francesco Forciniti: No alla svendita del porto di Corigliano Rossano

di FRANCESCO FORCINITI –  In questi giorni il dibattito politico locale è quasi interamente concentrato sulla richiesta della multinazionale americana Bakery & Hughes, che vorrebbe occupare una vasta area del Porto di Corigliano per realizzare un insediamento di industria pesante legato alla filiera del GNL, il gas naturale liquefatto.

La prima cosa che lascia perplessi è il fatto che un’intera comunità sia costretta a interrogarsi su qualcosa che gli viene calata dall’alto dall’oggi al domani, e soprattutto senza che ci sia uno straccio di documento o atto pubblico a disposizione della comunità per capire quali siano le reali intenzioni di questa grande azienda. Nessuno sa cosa si costruirebbe in concreto, che tipo di macchinari sarebbero necessari, quanto spazio occuperebbero, quanti scarti, scorie, emissioni e rifiuti ed emissioni sarebbero liberati, quanto sarebbe compatibile tale insediamento con le attività di pesca, turismo e agricoltura che ad oggi ci danno da vivere, quali ripercussioni ci sarebbero sugli altri progetti che riguardano il porto, alaggio e varo e banchina crocieristica in primis.

Nessuno ci ha detto nulla, nessuno sa nulla, eppure la campagna propagandistica della multinazionale buona che viene qui ad arricchirci tutti con l’industria pesante è già partita a spron battuto. In assenza di informazioni ufficiali siamo costretti a fare l’esegesi di alcune blande e generiche dichiarazioni dei vertici della Bakery & Hughes, i quali parlano di «un concentrato di tecnologia all’avanguardia che incontra la crescente domanda di gas naturale liquefatto (GNL) e da una risposta concreta al cosiddetto trilemma energetico».

Dunque, una delle poche certezze che abbiamo è che le produzioni che si vorrebbero realizzare al porto, a poche decine di metri dai bagnanti, dalle abitazioni e dai pescatori, riguardano il GNL. E il GNL – che arriva in Europa principamente dagli Stati Uniti –IOè una fonte di energia drammaticamente inquinante, insostenibile e costosa, perché siamo costretti a importarlo da oltreoceano con delle petroliere, per poi lavorarlo con i rigassificatori, i quali rilasciano in mare una quantità impressionante di scarti e rifiuti, con un conto finale che arriva a costarci come Paese anche tre-quattro volte in più rispetto al gas naturale che ci forniva la Russia.

Poi che i rigassificatori siano piazzati nel nostro porto oppure altrove in Calabria o in Italia (ci sono iter autorizzativi in corso nei porti di mezza Italia da Vado Ligure ad Agrigento) cambia poco: la filiera del GNL arricchisce solo chi ce lo vende, mentre noi come Paese ci impoveriamo, costretti a pagare sempre di più l’energia e sempre più subalterni e dipendenti dagli interessi geopolitici americani. Peraltro il boom del GNL è un fenomeno che rischia di rivelarsi temporaneo e volatile, e non dà alcuna garanzia di medio-lungo periodo.

Questi sono solo alcuni dei motivi per cui, secondo me, dovremmo tutti respingere questo ennesimo tentativo di occupazione quasi “coloniale” del nostro porto. La nostra economia si regge su altri asset che sono chiaramente incompatibili con l’industria pesante a poche decine di metri dalle spiagge che ci danno da vivere, e inoltre la filiera del GNL porta ricchezza e benessere solo a chi ce lo vende. Piuttosto che elemosinare con il cappello in mano quattro presunti posti di lavoro pagati con i proventi di una speculazione energetica che nel complesso ci impoverisce, dovremmo opporci contro la svendita un pezzo alla volta del nostro Paese agli americani, reclamare lo stop alle folli sanzioni alla Russia, il ripristino dei rapporti con il vicino oriente, e la fine della folle corsa al riarmo voluta oltreoceano.

[Francesco Forciniti è già deputato del Gruppo Misto – L’Alternativa c’è]