L’OPINIONE / Salvatore Martilotti: Progetto Baker Hughes opportunità per il Porto di Corigliano Rossano

di SALVATORE MARTILOTTI – Il progetto Baker Hughes per il Porto di Schiavonea (Corigliano-Rossano), senza nessun pregiudizio ideologico, sicuramente va valutato attentamente, anche perché potrebbe rivelarsi una grande opportunità per il “porto del vuoto e del silenzio” che ha dato inizio alla sua costruzione, circa, 56 anni fa.

Tuttavia, contestualmente, dovrebbe essere definita la tempistica per dare il via ai lavori della “banchina crocieristica” e, in particolare, alla sistemazione della flotta peschereccia con il completamento dei servizi e il decollo del distretto ittico partito con l’ex-Comune di Corigliano Calabro ma, purtroppo, arenatosi con la fusione. Considerato che è patrimonio della nostra comunità sarebbe opportuno che il Comune di Corigliano-Rossano incominciasse a dare concretezza allo sviluppo futuro della nostra economia ittica. È tempo di fare sul serio, di dare avvio alla valorizzazione di un patrimonio che non può più attendere.

Un porto che ha visto l’avvio della costruzione nel lontano 13 dicembre 1967 (sottoscritto l’atto di sottomissione dell’Impresa vincitrice della gara d’appalto) può ancora permettersi il lusso di aspettare ancora il decollo? In tutti questi decenni il nostro territorio è stato “traumatizzato”, le attese non sono mai diventate concrete, abbiamo ascoltato tanti rappresentanti politici ma sono rimaste solo parole portate via dal vento.

Oltre a drenare risorse importanti, ha coinvolto un settore rilevante dell’economia locale. Infatti, con gli inizi della costruzione del porto, prima verso il mare, e a seguire nell’entroterra con l’esproprio di una intera zona agricola con i piccoli lotti di agrumeti a poche centinaia di metri dalla spiaggia, il settore della pesca ha subito “uno sviluppo spontaneo” capace di trasformare una parte consistente della flotta da “artigianale a industriale” con i pescatori di Schiavonea protagonisti.

I pescatori e le micro-imprese a conduzione famigliare, senza nessun intervento pubblico, hanno avuto il coraggio di investire su se stessi, sulla propria capacità lavorativa, dando il via ad una profonda trasformazione dell’economia ittica locale. Tuttavia, solo agli inizi degli anni novanta si è preso atto che erano venuti meno gli obiettivi che avevano portato alla costruzione del grande porto di Sibari, oggi di Corigliano. E cosi nel porto del “vuoto e del silenzio” è stato consentito alla flotta da pesca una sistemazione “provvisoria e transitoria” nell’ambito della banchina n.7 della seconda darsena in quegli anni a scarpata naturale.

A seguire l’ex-Comune di Corigliano Calabro ha istituito il “Distretto ittico di Schiavonea” dando il via alla realizzazione del Mercato ittico e ad altri servizi pesca e nel 2005, per chiarire in maniera definitiva che la pesca non vuole essere da intralcio all’eventuale sviluppo portuale, le Autorità competenti hanno aperto il secondo varco del porto nei pressi della seconda darsena. Tutto ciò significa che, sia l’Autorità di Sistema Portuale del Tirreno e dello Jonio di Gioia Tauro che il Comune di Corigliano-Rossano insieme alla Regione Calabria, a nostro avviso, hanno l’obbligo di definire l’organizzazione complessiva del settore pesca nella seconda darsena per la valorizzazione della risorsa locale pesca. Ora di fronte ad una richiesta di investimento con il progetto della Baker Hughes dobbiamo solo rispondere con un “no ideologico”? A tanti, compreso me, immagino, non convince una risposta di questo tipo.

Al contrario va valutato, senza pregiudizi, il progetto di investimento e capire che, forse, potrebbe essere una grande opportunità per il decollo del “porto dormiente” e una buona occasione di sviluppo e occupazione per il nostro territorio. (sm)

[Salvatore Martilotti è già responsabile regionale di Lega Pesca]

L’OPINIONE / Francesco Forciniti: No alla svendita del porto di Corigliano Rossano

di FRANCESCO FORCINITI –  In questi giorni il dibattito politico locale è quasi interamente concentrato sulla richiesta della multinazionale americana Bakery & Hughes, che vorrebbe occupare una vasta area del Porto di Corigliano per realizzare un insediamento di industria pesante legato alla filiera del GNL, il gas naturale liquefatto.

La prima cosa che lascia perplessi è il fatto che un’intera comunità sia costretta a interrogarsi su qualcosa che gli viene calata dall’alto dall’oggi al domani, e soprattutto senza che ci sia uno straccio di documento o atto pubblico a disposizione della comunità per capire quali siano le reali intenzioni di questa grande azienda. Nessuno sa cosa si costruirebbe in concreto, che tipo di macchinari sarebbero necessari, quanto spazio occuperebbero, quanti scarti, scorie, emissioni e rifiuti ed emissioni sarebbero liberati, quanto sarebbe compatibile tale insediamento con le attività di pesca, turismo e agricoltura che ad oggi ci danno da vivere, quali ripercussioni ci sarebbero sugli altri progetti che riguardano il porto, alaggio e varo e banchina crocieristica in primis.

Nessuno ci ha detto nulla, nessuno sa nulla, eppure la campagna propagandistica della multinazionale buona che viene qui ad arricchirci tutti con l’industria pesante è già partita a spron battuto. In assenza di informazioni ufficiali siamo costretti a fare l’esegesi di alcune blande e generiche dichiarazioni dei vertici della Bakery & Hughes, i quali parlano di «un concentrato di tecnologia all’avanguardia che incontra la crescente domanda di gas naturale liquefatto (GNL) e da una risposta concreta al cosiddetto trilemma energetico».

Dunque, una delle poche certezze che abbiamo è che le produzioni che si vorrebbero realizzare al porto, a poche decine di metri dai bagnanti, dalle abitazioni e dai pescatori, riguardano il GNL. E il GNL – che arriva in Europa principamente dagli Stati Uniti –IOè una fonte di energia drammaticamente inquinante, insostenibile e costosa, perché siamo costretti a importarlo da oltreoceano con delle petroliere, per poi lavorarlo con i rigassificatori, i quali rilasciano in mare una quantità impressionante di scarti e rifiuti, con un conto finale che arriva a costarci come Paese anche tre-quattro volte in più rispetto al gas naturale che ci forniva la Russia.

Poi che i rigassificatori siano piazzati nel nostro porto oppure altrove in Calabria o in Italia (ci sono iter autorizzativi in corso nei porti di mezza Italia da Vado Ligure ad Agrigento) cambia poco: la filiera del GNL arricchisce solo chi ce lo vende, mentre noi come Paese ci impoveriamo, costretti a pagare sempre di più l’energia e sempre più subalterni e dipendenti dagli interessi geopolitici americani. Peraltro il boom del GNL è un fenomeno che rischia di rivelarsi temporaneo e volatile, e non dà alcuna garanzia di medio-lungo periodo.

Questi sono solo alcuni dei motivi per cui, secondo me, dovremmo tutti respingere questo ennesimo tentativo di occupazione quasi “coloniale” del nostro porto. La nostra economia si regge su altri asset che sono chiaramente incompatibili con l’industria pesante a poche decine di metri dalle spiagge che ci danno da vivere, e inoltre la filiera del GNL porta ricchezza e benessere solo a chi ce lo vende. Piuttosto che elemosinare con il cappello in mano quattro presunti posti di lavoro pagati con i proventi di una speculazione energetica che nel complesso ci impoverisce, dovremmo opporci contro la svendita un pezzo alla volta del nostro Paese agli americani, reclamare lo stop alle folli sanzioni alla Russia, il ripristino dei rapporti con il vicino oriente, e la fine della folle corsa al riarmo voluta oltreoceano.

[Francesco Forciniti è già deputato del Gruppo Misto – L’Alternativa c’è]