TROPEA (VV) – Pupi Avati incanta il pubblico del Tropea Film Festival con aneddoti e invettive contro i “ruffiani”

La quinta giornata del Tropea Film Festival sfoggia ospiti di prestigio come i due pilastri della produzione cinematografica italiana degli ultimi cinquant’anni: il maestro Pupi Avati e la produttrice Alessandra Infascelli.
La programmazione ha preso il via con la formazione dei giovani aspiranti attori che hanno partecipato alla lezione “Let’s use our immagination” tenuta da Francesco De Vito interprete di Pietro Apostolo nella Passione di Cristo di Mel Gibson.

A seguire a Palazzo Santa Chiara la proiezione di tre corti fuori concorso prodotti dalla Mediano Film. Prima di domani della regista Giulia Zanfino con gli attori Walter Cordopatri, Mariadea Galiano, Stefania De Cola; Giuseppe Letizia – La mafia non uccide i bambini della regista Giulia Zanfino con gli attori Annalisa Insardà, Rino Rodio, Gennaro Bertucci, Luigi Cantoro e Salvatore Bonavita, Ci vediamo di là scritto da Valentina Gemelli e diretto da Giulia Zanfino e Mauro Nigro con l’interpretazione di Valentina Gemelli e Francesco Rizzi.

Dei sei cortometraggi in gara, quello decretato vincitore della prima edizione del Tropea Film Festival è stato The Delay di Mattia Napoli. Ad assegnare il premio è stata la giuria presieduta da Salvatore Romano (regista) e composta da Annalisa Insardà (attrice), Giulia Zanfino (regista), Walter Cordopatri (attore) e Roberto Giordano (musicista), che si è espressa con questa motivazione: “Idea originale, che si distingue per la sua struttura e per la sua messa in scena, sempre dentro al tema. Ottima regia che ben fotografa il soggetto dell’opera e ne dilata i tempi in modo appropriato. Un’estrema considerazione del tempo che passa, che ritorna e si perde, nel marasma di oggi in cui nessuno veramente sembra sentirsi in orario”.

Nel corso della premiazione in maniera del tutto inattesa l’iniziativa della produttrice Alessandra Infascelli che ha pubblicamente assunto l’impegno di visionare i lavori di tutti i giovani artisti che hanno partecipato alla gara: «È questo il sostegno che possiamo dare ai giovani. Prestare attenzione ai loro prodotti e dissuadere chi non dimostra di avere un talento autentico in questo settore».

Ferrara, anni Settanta. Pupi Avati è impegnato a girare Thomas e gli indemoniati. Il set è una chiesa sconsacrata. L’attesa per l’avvenente attrice selezionata ai casting di Milano è grande, ma si presenta una ragazza molto diversa. Non era alta, non era bionda, né particolarmente attraente. Il maestro, deluso, le chiede di accomodarsi fuori. Lei esce dalla chiesa e si siede su un muretto. Resterà lì fino a sera quando, alla chiusura del set, il regista se la ritroverà davanti. Quella caparbia aspirante attrice era Mariangela Melato ed è stato così che il maestro impressionato dalla sua determinazione, le ha dato una chance: dal canto suo la donna è riuscita ad incantare l’intera troupe alla prima interpretazione.

Ecco che le storie del grande cinema italiano hanno costellato la quinta giornata del Tropea Film Festival, cofinanziato dalla Calabria Film Commission, con conversazioni e testimonianze che hanno oltrepassato le transenne, fino ad entrare nell’intimo degli ospiti. Il maestro Pupi Avati, la produttrice di Febbre da cavallo Alessandra Infascelli, Luca Manfredi, figlio del celebre attore, si sono raccontati e hanno raccontato il cinema di ieri e di oggi. Il primo protagonista è stato Avati autore di grande respiro che, dal ’68 ad oggi ha girato oltre quaranta film.

«Il cinema è lo specchio di quello che siamo, di quello che siamo stati e di quello che potremo essere. Ci osserva, ci racconta, ci critica come solo un maestro sa fare». Sul momento critico del settore: «Il cinema riflette in modo puntuale il paese” spiega. “Raccoglie quello che suggestiona ed esalta. Un mondo in cui la meritocrazia è diventata l’ultimo elemento per valutare una persona. Questa società produce privilegi, tanto che quando si apre la finestra su un’ipotesi di opportunità si pensa ad un amico». Avati entra nel vivo di una delle piaghe che ha danneggiato e danneggia tutt’ora l’arte cinematografica.

«Il mediocre vuole persone da controllare. C’è questa catena di incompetenza che ho constatato nell’arco di sessant’anni di cinema. Ho incontrato persone inadeguate al ruolo che avevano, che definisco ruffiani». Quanto alla tensione sentimentale che lo ha spinto a raccontare la nostra società per decenni, Avati spiega il suo legame con l’humanitas di Roberto Rossellini. «Il tentativo di condividere emozioni, questa è la parte autentica. Io mi emoziono di fronte a una scoperta e con spirito rosselliniano avverto di volerla condividere con gli altri e lo faccio con il cinema e la scrittura. La missione di Rossellini è stata condividere una gioia, un’emozione. Un percorso che ho intrapreso molto tardi, perché ho vissuto i primi decenni della mia vita impegnato in un progetto musicale. Il giorno che ho lasciato la musica, quando ho scoperto che non disponevo del talento per fare il musicista, è stato doloroso. Una sera ho convocato alla fine di una prova i miei amici con cui condividevo quell’avventura per comunicare che smettevo di suonare, nessuno di loro ha detto di no. Nessuno ha insistito a farmi cambiare idea».

A proposito di talento, dopo l’amara riflessione il regista spiega il suo metodo. «Per capire se i giovani hanno talento devi metterli alla prova. Dandogli in mano un testo, facendoli cimentare in un monologo. Ognuno dispone di un talento. Ma quando replicano: tanto io ho un piano B, trovo una risposta scadente. Una volta non avevamo paura. Più i sogni sono grandi e improbabili e più è possibile che si avverino. Io vendevo il pesce surgelato, ero distante anni luce dal cinema. Come potevo immaginare che avrei fatto 54 film? La fortuna non ha ruolo in questa vicenda».

Il maestro fa un accurato distinguo nella sua categoria spiegando che, a suo parere, ci sono due tipi di registi: «Quelli che producono per essere riconosciuti e quelli, come me, che invece lo fanno perché sentono l’esigenza di raccontare un’esperienza vissuta. Appartengo alla cultura contadina che racconta sempre» ci dice. E aggiunge: «Se racconto sto generando vita, sono come una donna incinta che ha un cuore che batte dentro al ventre. La storia è vita. Produce un’infinità di coinvolgimento di persone».

Avati si sofferma in una goliardica performace in cui tratteggia una conversazione avuta con Edwige Fenech. La proposta di farle interpretare un suo film, al telefono, la commuove al punto che scoppia in lacrime. «Scopri come dare gioia sia più bello di ricevere gioia». Il regista racconta la parabola che lo ha portato a varcare la soglia di Cinecittà, divenendo uno dei riferimenti italiani più noti e talentuosi. «Nel ’68 vendevo pesce surgelato» ricorda.

«8½ di Fellini mi ha cambiato la vita. Come è accaduto a tante altre persone. Questo fa capire le potenzialità del cinema. All’epoca sono corso dai miei amici al Bar Margherita e ho proposto di provare a fare un film. Iniziò un’avventura con il coinvolgimento di un finanziatore a cui hanno fatto “perdere” 170 milioni per la produzione del primo film, che Avati ebbe il coraggio di definire come una prova per ottenere altri 110 milioni per il secondo, Thomas e gli indemoniati. Neanche questo fu un successo».

Pupi Avati, dal Tropea Film Festival, ha ricevuto il Premio alla Carriera, realizzato dal maestro orafo Michele Affidato, e consegnato a Palazzo Santa Chiara dal Commissario di Calabria Film Commission, Anton Giulio Grande. L’impegno è quello di sdoganare la narrazione di queste terre da preconcetti e luoghi comuni:
«La Film Commission – esordisce – si sta impegnando per cambiare il trend produttivo della Calabria spesso stereotipata e raccontata come una terra di ’ndrangheta. Punta molto sull’attrattiva del turismo e sulla cultura che questa regione è in grado di esprimere. Si stanno avvicendando tantissimi set, circa cinquanta su 124 richieste, dove si narrano delle storie e un racconto cinematografico diverso dal solito cliché celebra la bellezza paesaggistica delle nostre suggestive location a cielo aperto».

Sul sostegno da accordare ai giovani autori emergenti e le nuove produzioni: «Abbiamo un database molto corposo e i nostri bandi sono aperti a tutti, a registi consolidati ed emergenti, a chi si vuole occupare di film, di documentari, di serie televisive su piattaforme. Un set aperto a chi vuole realizzare prodotti di qualità».
Sulla crisi creativa del cinema attuale: «La crisi dipende dal periodo pressapochista che stiamo vivendo. Dovuta soprattutto all’improvvisazione. Serve lo studio, la conoscenza del passato per scrivere una nuova pagina della cinematografia. I giovani talenti devono studiare e avere l’umiltà di attingere al passato dai grandi riferimenti intellettuali che hanno fatto la storia».

Celebrata anche la figura del grande Nino Manfredi, uno degli artisti italiani più iconici di sempre. Con i suoi cento e più film, per il grande e piccolo schermo, è riuscito a stupire, emozionare, far ridere e commuovere, entrando nelle case di tutti gli italiani con la naturalezza di un amico di famiglia. Il racconto è stato affidato al figlio dell’attore romano, Luca Manfredi che nelle pagine del libro Un friccico ner core. I cento volti di mio padre Nino pubblicato da Rai Libri, offre ai lettori uno scorcio inedito, privato, intimo dell’artista. Al centro della narrazione c’è un rapporto sofferto e complicato: «È stato un padre assente, sempre occupato sui set. Quando era a casa, si chiudeva nel suo studio con gli sceneggiatori. Il merito di portare avanti la famiglia è di mia madre Erminia, che ha sopportato e perdonato le sue varie “scappatelle”: ne ha fatte di cotte e di crude» dichiara durante la conversazione con Antonio Ludovico: «Abbiamo recuperato il rapporto in seguito, cominciando a lavorare insieme» aggiunge snocciolando poi una serie di aneddoti sulla condotta di Nino, all’anagrafe Saturnino Manfredi, sul set: «Era un perfezionista. Qualcuno lo definiva un orologiaio. Era un attore molto avanti rispetto agli altri. Artigiano della recitazione. Cesellatore del copione, sempre alla ricerca della battuta migliore fino al momento prima che partisse il “motore”».

Lo dipinge come un uomo orgoglioso che non sapeva mai chiedere scusa, con le radici ben impiantate nel mondo contadino della Ciociaria: «Mio padre si è fatto interprete della “perdenza”, dei personaggi sconfitti dalla vita, degli ultimi. Personaggi che cercano riscatto. Una sorta di collegamento con le sue origini contadine». Un uomo semplice, che non faceva troppi giri di parole, molto schietto al punto da non trattenersi dall’esprimere il proprio giudizio neppure di fronte al Papa: «Un giorno fu invitato in Vaticano, nell’appartamento di papa Giovanni Paolo II, per assistere alla lettura di una delle sue drammaturgie giovanili, La bottega dell’orefice. Alla fine della lettura, tutti i presenti si sperticarono in applausi e complimenti, in modo probabilmente eccessivo anche per lo stesso Wojtyla che rimase un po’ perplesso davanti a questa reazione. Perciò si rivolse a Nino e gli disse: “Manfredi, lei che ne pensa di questa commedia? Le è piaciuta?” Nino lo guardò con il suo sorriso e gli disse: “Santità, penso che abbia fatto bene a cambiare strada perché temo che come commediografo non sarebbe mai arrivato in alto come sta adesso”».

In qualche passaggio dell’intervista condotta da Marilù Simoneschi e Lorella Ridenti si è percepito un velo di malinconia: «Mi è mancato un padre amico e complice. Cerco di non commettere lo stesso errore con i miei figli. Cerco di non essere assente perché io ho sofferto per la sua mancanza. Non è mai venuto a vedere una mia gara di canoa».

A mettere il sigillo alla serata presentata da Linda Suriano e Andrea Santonastaso, è stato il concerto della pianista Gilda Buttà e il violoncellista Luca Pincini sulle musiche di Ennio Morricone. (rvv)

TROPEA (VV) – Al Film festival il ricordo di De Seta e la dura vita degli stunt-man

A scrivere la quarta pagina del Tropea Film Festival è stata la condivisione e la memoria. La condivisione di idee e progetti di una nuova ed emergente generazione di attori e registi e il ricordo di uno dei più grandi autori della storia del cinema mondiale, Vittorio De Seta, celebrato più volte dallo stesso Martin Scorsese che lo ha sempre ritenuto suo maestro.

Un intenso pomeriggio dedicato al mondo del cinema ha preso avvio con la formazione attoriale a cura della Scuola di Recitazione della Calabria diretta da Walter Cordopatri. La lezione è stata affidata a Paolo Asso, insegnante di recitazione, che ha argomentato su “L’obiettivo dell’attore”.

A prendersi la scena, poi, è stata la brillante e dinamica creatività dei giovani registi Andrea Belcastro e Sara Serinelli che hanno presentato al pubblico del Festival i loro cortometraggi, entrambi in concorso.

Lo sport nazionale prodotto da Lago Film con il sostegno di Calabria Film Commission, è stato girato interamente a Cosenza. Narra con originalità e ironia la ludopatia, una tematica che il disagio di un’intera generazione, quella dei trentenni di oggi, che ormai in maniera cronica si ritrovano senza lavoro e senza reali prospettive sul futuro e che, dunque, spesso cercano una “facile” via d’uscita. In questo caso la ricerca ossessiva del sistema perfetto delle scommesse calcistiche. Il messaggio del cortometraggio alimenta il sentimento della speranza: quando il protagonista, Alessio, capirà che tutti i suoi sforzi sono vani, finirà per mettersi nei guai coinvolgendo i suoi genitori e il suo migliore amico in una pericolosa truffa. Un lavoro che viene accostato alla commedia all’italiana, un genere poco frequentato nel mondo dei cortometraggi ma che ha consentito di raccontare tematiche importanti con una ironia imprescindibile in questo periodo storico senza, però, rinunciare a un certo formalismo estetico. Ci sono anche altri aspetti che permettono di sostenere questa tesi in quanto il cast è molto ampio e la struttura in tre atti, si può parlare quasi di un film in miniatura frutto di un lunghissimo lavoro di scrittura.

Tredici a tavola è un’opera divertente e spiritosa sulle credenze e le tradizioni popolari del nostro Paese. Il racconto si sviluppa interamente durante una cena di famiglia quando l’anziana padrona di casa è costretta a mettere da parte controvoglia le sue superstizioni per accogliere il 13 ospite a tavola. Accadrà di tutto e alla fine l’ospite indesiderato viene fatto sedere all’angolo. Il raduno della famiglia in un momento di convivialità non è solo un riferimento ad una consuetudine degli italiani, ma anche un richiamo all’arte. Qualche similitudine si potrebbe ritrovare ad esempio in “Ragazzo morso da un ramarro” e in “Cena in Emmaus” di Caravaggio. E ancora nell’”Ultima cena” d i L. Da Vinci e nell’atmosfera del film “Amarcord” di Federico Fellini.

Riflessione letteraria con libro che celebra la figura di Vittorio De Seta e ripercorrere la straordinaria eredità lasciata dall’autore, custodita per anni a Catanzaro, dalla “Cineteca della Calabria”. E non poteva che essere il regista Eugenio Attanasio, allievo legato da una profonda amicizia al grande maestro, a essere ideatore, custode e promotore di un’opera necessaria, quanto preziosa. Dalle pagine del libro “Vittorio De Seta. Lettere dal Sud”, presentato nella quarta giornata del Tropea Film Festival, manifestazione cofinanziata dalla Calabria Film Commission, affiora quel mondo perduto che lo ha reso immortale. La pesca del pesce spada, il rito di Santa Maria del Carretto, ma anche lettere inedite che raccontano il maestro sotto una luce più intima e sconosciuta. Un volume che raccoglie testimonianze della figlia Francesca e della nipote, Vera Dragone, attrice e cantante.

Un affresco di uno dei più grandi registi del mondo, ecclettico, profondo, capace di un punto di vista irripetibile, celebrato da Moravia e Pasolini. A dialogare con Eugenio Attanasio, nel corso della presentazione, il giornalista Luigi Stanizzi, il regista Domenico Cosco, anche lui allievo del maestro e direttore della Casa del Cinema di Catanzaro e l’amico e medico della famiglia De Seta, Domenico Levato. Lo stesso Levato ha dato un contributo personale al libro ed è consigliere della Cineteca della Calabria.

«Il rapporto di De Seta con la Calabria è molto conflittuale. Nel libro si parla anche delle origini del maestro. Nasce a Palermo da una famiglia calabrese, nobili originari di Belvedere Marittimo che si trasferiscono nel catanzarese nella metà dell’Ottocento. Il nonno diventa uno dei primi sindaci di Catanzaro che dà nuova veste alla città» spiega. Il dibattito si accende e scende in profondità, esplorando quanto De Seta sentisse le sue radici calabresi. «Quello con la sua terra è un rapporto molto forte» aggiunge «ritrovato nell’età della maturità quando da Roma si trasferisce a Sellia Marina, si riappacifica con il suo mondo, con i contadini che lui aveva ripreso negli anni Cinquanta e ritorna al cinema nella seconda fase girando anche in Calabria (lettere dal Sahara è un’opera scritta nella tenuta di Sellia Marina)».

L’autore del libro sottolinea il valore dell’opera, legato anche al rapporto molto forte e molto importante che De Seta aveva con la Calabria. «De Seta è un intellettuale del Sud, uno degli ultimi meridionalisti. Ci è sembrato doveroso dedicargli questa pubblicazione che raccoglie anche corrispondenza e materiale inedito di De Seta e su De Seta. Ho avuto la fortuna di averlo come maestro ed è stato un punto di riferimento anche in quello che abbiamo realizzato dopo. Anche la Cineteca della Calabria è nata in virtù di una sua lezione».

Il regista ricorda «quell’amore per il cinema e la voglia di riscoprire un cinema intimamente legato al territorio. Il territorio legato alla cultura calabrese voleva dire la civiltà contadina, proprio quella che era stata oggetto di rivalutazione e di riscoperta grazie all’opera di grandi intellettuali come Luigi Lombardi Satriani. Il regista ma anche l’uomo. Chi lo ha conosciuto sa che era un uomo difficile, volubile, complesso, molto in conflitto con se stesso. Proveniva da una famiglia nobile ma lui aveva aderito al marxismo. In questo conflitto esistenziale era nata poi questa figura di grande poeta contadino. Ha dato moltissimo sia al cinema che alla cultura nazionale».

“Un uomo a servizio del cinema”. Il regista Cosco ricorda il suo maestro con un aneddoto affettuoso mentre nell’impresa di girare Banditi a Orgosolo, opera pionieristica nella diffidente Sardegna pastorale degli anni Sessanta. De Seta portava a spalla cavalletto e telecamera, inerpicandosi tra le vette e i pendii dell’isola. «Un uomo che ha saputo raccontare un cinema che poi si è fatto negli anni un po’ troppo borghese, consolatorio» prosegue Cosco, e conclude «De Seta è riuscito ad arricchire il cinema italiano con uno sguardo che nessun autore è più stato capace di recuperare. Mi riferisco a quella parte che il neorealismo era riuscito a stendere e tratteggiare. Oggi è impensabile che un regista, sul set, prenda a spalla un cavalletto».

Nelle risposte alle domande della platea, Attanasio ha tracciato la parabola della riflessione esistenziale che si rispecchia nella produzione cinematografica dell’autore. «Quello di De Seta resta sempre un cinema moderno, perché ha l’umiltà di porsi come strumento di conoscenza e non solo come punto di arrivo. Oggi i ragazzi si illudono che conoscendo il mezzo tecnico si può fare cinema. Per fare del cinema devi fare delle esperienze, altrimenti non le puoi raccontare». Tra gli obiettivi, quello di custodire e diffondere il patrimonio del maestro. «Le sue opere circolano. Le ha la Cineteca di Bologna e la Filmoteca Siciliana». E spiega: «Noi come Cineteca della Calabria abbiamo voluto dedicare gran parte del nostro lavoro alla sua produzione cinematografica. Per primi, nel 2001, abbiamo ristampato i suoi documentari in 35 millimetri e li abbiamo anche digitalizzati. Prima delle edizioni di Feltrinelli le uniche copie in digitale a circolare erano quelle della nostra Cineteca. Non è detto che faremo una nuova digitalizzazione, magari in 4k, per riportarli allo splendore originale. È un lavoro stimolante perché da tutto il mondo ci hanno visto come punto di riferimento. Abbiamo portato i suoi lavori anche in Argentina, all’estero».

Il grande impegno di Eugenio Attanasio lo ha reso un riferimento mondiale per conoscere e accedere ai lavori del maestro De Seta. Una responsabilità che il regista ha accolto con entusiasmo, impegno e grande spirito di abnegazione. Sentimenti che sottendono l’affetto che ha legato per anni il maestro al suo allievo calabrese.

Tradizionalmente chiamati “cascatori”, sono stati gli stuntmen a chiudere i lavori della quarta serata del Tropea Film Festival, che ha ospitato due storici professionisti del campo. Così Marco Stefanelli e Massimo Vanni hanno acceso i riflettori dietro le quinte dei grandi film d’azione della nostra storia. Voli acrobatici, risse memorabili, inseguimenti rocamboleschi, salti tra un grattacielo e l’altro, fughe. La produzione cinematografica mondiale è costellata da scene mozzafiato, rimaste nella storia come spettacolari. Ma spesso a realizzarle non sono gli attori protagonisti, ma le loro controfigure. Uomini e donne che nella vita hanno scelto un ruolo nel cono d’ombra, perché presta il corpo per arrivare dove gli attori non potrebbero arrivare. In passato gli stuntmen erano anche “caratteristi”. Attori che riuscivano a interpretare scene acrobatiche. Sergio Leone ne ha valorizzato le doti in molti dei suoi film, mentre oggi lo scenario è cambiato e ha relegato questo mondo a quello delle controfigure tout court. E nell’incontro di ieri, presentato da Andrea Santanastasio, i due ex stunt, oggi maestri d’armi, hanno dialogato con il giornalista Paolo Di Giannantonio. Con il contributo dell’attore e direttore della Scuola di Recitazione della Calabria, Walter Cordopatri. Figlio del noto maestro d’armi e attore che ha lavorato ai western di Leone, Benito Stefanelli, Marco spiega quanto sia importante essere preparati per poter interpretare in tutta sicurezza il ruolo di controfigura in scene ad alto rischio.

«Nel nostro lavoro l’allenamento e la professionalità sono essenziali. Solo così si può lavorare in sicurezza”. I due maestri ricordano il passato da stuntmen, nei film di Bud Spencer e Terence Hill. Massimo Vanni ricorda quei set e le giornate passate a preparare le scene delle risse nei bar di quei film che hanno accompagnato intere generazioni. “La scena più difficile che ho girato» ricorda Vanni «è stata in un film con Giuliano Gemma, uno degli attori più bravi a lavorare senza controfigure. Ero sul tetto di un palazzo molto alto e lui mi teneva sospeso nel vuoto. Sotto non c’erano protezioni. È stata un’esperienza incredibile!».

Nel corso della serata, a intervallare il dibattito, le esibizioni canore di Demetra. E mentre le pellicole di Mucchio selvaggio, Bulldozer e Roma violenta scorrevano sullo schermo, i maestri d’armi hanno ringraziato gli organizzatori. «Non capita spesso di poter testimoniare la nostra esperienza al pubblico. Di solito siamo sempre dietro le quinte». (rvv)

TROPEA (VV) – Al film festival si discute di cinema indipendente

La manifestazione che sta calamitando l’attenzione di tutti i cinefili e gli amanti della bellezza e del bién vivre continua a proporre con successo gli appuntamenti del variegato carnet, sulla scia dell’intrattenimento ma anche della riflessione critica su tutto ciò che ruota intorno al mondo del cinema attuale, attraverso gli interventi dei protagonisti del grande schermo come Ettore Bassi, Saverio Vallone e Giorgio Colangeli.

Si conferma l’interesse per gli approfondimenti formativi curati dalla Scuola di Recitazione della Calabria diretta da Walter Cordopatri. Quello inserito nella programmazione della terza giornata della kermesse è stato incentrato su “Scherma e lotta scenica”. In cattedra il maestro Renzo Musmeci Greco, docente di scherma scenica. Dopo la lezione ospitata dall’Antico Sedile dei Nobili, gli allievi sono stati anche protagonisti di un flash mob nello spazio del suggestivo affaccio Raf Vallone, durante il quale hanno messo in scena la simulazione di un duello con interpretazione che richiama i “faccia a faccia” del 1500.

Poi in sala, a Palazzo Santa Chiara, per assistere alla proiezione di due cortometraggi in concorso.
Due generi diversi: Dark Compost della regista Alice Tamburrino con l’interpretazione dell’attrice Elena Stefanuto, un thriller e dark comedy, girato a Roma in cui la violenza e la morbosità che spingono una donna a commettere un rapimento e a tenere condotte crudeli fino all’esasperazione, pongono la riflessione sulla pericolosità dei rapporti malati.

Un thriller psicologico, invece, Inchiostro, scritto e interpretato da Marco Gistri con la regia di Armando Di Lillo e la partecipazione in post produzione di Paolo Guerrini. L’opera girata in Toscana racconta la storia di Francesco che vive nascosto da anni all’interno della sua camera da letto sommersa da fogli su sono impresse con l’inchiostro nero parole che riportano il protagonista indietro nel tempo. Nell’intimità di questo spazio angusto, l’uomo vive la sua inquietudine sulle tracce indelebili lasciate dall’inchiostro, esattamente come possono fare i giudizi e i pregiudizi.

L’attore Saverio Vallone, ospite del Tropea Film Festival, si racconta. Figlio del candidato al premio Oscar Raf Vallone, celebre per le sue interpretazioni nei film di Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, per il ruolo del cardinale Lamberto nel terzo atto del Padrino, capolavoro di Francis Ford Coppola. Vallone junior non ha seguito subito le orme del padre. Il figlio d’arte di una vera e propria icona del palcoscenico ha esordito nel mondo dello spettacolo dietro la macchina da presa. «Ero assistente di Pasqualino De Santis, premio Oscar per la fotografia. Poi ho cominciato a lavorare con il teatro Stabile di Palermo, per conto mio, poi con mio padre, cercando comunque di lavorare in modo indipendente. Con mio padre non c’è mai stato confronto, perché il suo livello era altissimo. È stato, tra l’altro, candidato al premio Oscar per la sua interpretazione nel film Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet. E questo, pur non facendo scattare la molla della competizione, mi ha spinto a dare sempre il massimo. A teatro ho lavorato con Arnoldo Foà, con Vittorio Gassman, con mio padre. Poi anche nel cinema con Bolognini, con Scola cercando di tenere alto il livello della professionalità. Oggi curo laboratori di teatro».

Sul rapporto con la città di Tropea che ha dato i natali a suo padre, Saverio Vallone ha espresso sentimenti di affetto. «C’è un legame fortissimo, anche se mio padre si è spostato a Torino e, in seguito, in tutto il mondo. Era sempre molto felice di tornare nella sua città di origine e mi ha trasmesso questo attaccamento. Vengo molto spesso, faccio parte del consiglio comunale e sono molto legato alla Calabria, in generale».

Dal padre ha ereditato l’amore per la natura e l’attenzione al dettaglio, la capacità di sapersi guardare intorno. «Mio padre mi ha trasmesso l’amore per lo sport, la natura, l’avere cura di me. Per essere forte, indipendente e avere la tempra del guerriero».

Altro protagonista del Tropea Film Festival è l’attore Ettore Bassi. Definito un artista poliedrico, capace di spaziare dai programmi per bambini alla fiction, dal teatro al cinema, è oggi impegnato a portare sui palcoscenici di tutta Italia la coraggiosa vicenda di Angelo Vassallo, sindaco pescatore del Cilento, freddato dai clan per le sue battaglie contro il malaffare. «Da sette anni porto in scena questa storia, con grandissima soddisfazione».

Ripensando alla parabola di una vita professionale intensa, Bassi confessa di avere un debole per il suo esordio. «I programmi per bambini sono stati un’esperienza bellissima, nella quale mi sono divertito molto e ho anche avuto modo di sentire un po’ quell’atmosfera di contatto e crescita per il pubblico dei piccoli. Averli in studio, creare con loro un rapporto, è stato molto bello. E oggi, dopo anni, mi fermano ragazzi e ragazze grandi e mi dicono di essere cresciuti con le mie trasmissioni. Questa cosa mi piace molto».

Da allora ad oggi sono passati vent’anni. E dopo il grande successo, l’attore ha fatto un percorso. «Si cambia ed è naturale. Il successo stesso cambia, ci sono ondate, ci sono movimenti. Prima, da giovane, avevo un altro modo di vivere le cose. Oggi a cinquant’anni posso dire che ne ho viste tante e, il mio trascorso, ha cambiato il mio modo di affrontare le cose». Spesso però, il mondo patinato dello spettacolo, può essere ingrato. E riservare momenti grigi anche alle carriere più brillanti.

«In un percorso di vita e di lavoro, come il nostro, ce ne sono di momenti grigi. Però l’importante è riuscire a trovare una prospettiva, una strada presso cui proiettarsi e creare movimento, così le cose poi accadono».

Nonostante tanti anni fa si sia trasferito a Roma, per motivi di lavoro, è rimasto legato al suo Sud. Tanto che oggi vive in Puglia. Di recente Bassi ha girato alcune fiction ma, tendenzialmente, questa è una fase professionale in cui il teatro è centrale. «Ho un progetto teatrale pronto, Trappola per topi di Agatha Christie, continuo a portare nei teatri la vicenda di Angelo Vassallo, avrò qualche data anche con Il mercante di luce, lo spettacolo tratto dal libro di Roberto Vecchioni con il quale ho debuttato quest’anno e che anche si è rivelato uno spettacolo di fortissimo impatto emotivo. Quindi sono molto contento di come stanno andando le cose”. Era il 1992 quando, quasi per caso, è stato eletto Il più bello d’Italia. “Quella fu un’avventura molto divertente, vissuta in totale inconsapevolezza, proprio perché io andai lì per fare il concorrente prestigiatore. Andaì lì, scoprendo che poi il terzo giorno c’era la sfilata per la votazione del più bello d’Italia. E mi ritrovai con lo scettro e la corona. Era un’altra fase, ero un’altra persona».

Spettacolare, conturbante, misterioso. Il fascino del cinema del passato ha riecheggiato tra le mura di Palazzo Santa Chiara, nella serata di chiusura della terza giornata del Tropea Film Festival. Cinema indipendente: il caso Italia è stato il tema al centro del dibattito, introdotto da Andrea Santonastaso. Ospiti del confronto, l’attore Ettore Bassi, il regista Fabrizio Giordani, gli attori Giorgio Colangeli e Saverio Vallone, lo scrittore Antonio Ludovico e il maestro di scherma Renzo Musmeci Greco. A moderare l’incontro, il giornalista Poalo Di Giannantonio.

La discussione è stata intervallata dall’esibizione canora di Martina Difonte. «Il cinema non ha più quel senso e quel posto nella nostra società. Prima gli attori erano come le divinità dell’Olimpo, difficili da raggiungere. Si provava venerazione per loro e questo consentiva loro di veicolare dei messaggi importanti», ha spiegato Giorgio Colangeli.

«Manca una società a cui gli sceneggiatori possano parlare. È difficile raccontare un mondo che si auto-omologa”, ha concluso. Non sono mancate le riflessioni sul cinema indipendente, un tempo pionieristico, un azzardo difficile da portare a compimento. “Oggi i giovani registi lavorano grazie alle piattaforme» spiega Giordani «perché la fruizione è cambiata, offrendo grosse opportunità. In passato l’indipendenza era una strada molto più difficile da perseguire». Ci si è poi soffermati sull’importanza dei finanziamenti pubblici, oggi spina dorsale della produzione cinematografica italiana. Come nel caso della pellicola Promessa d’amore, girata da Giordani nel 2004, con un giovanissimo Ettore Bassi nei panni del protagonista. La diffusione dell’opera, proiettata proprio ieri pomeriggio, però, è avvenuta a distanza di vent’anni. E non c’è mai stata un’uscita in sala. «Avevamo ottenuto i finanziamenti pubblici e avevamo un produttore molto giovane. Il Ministero ci aveva concesso anche i soldi per la distribuzione, che però poi non furono stanziati. Il produttore decise di fare causa al Ministero: cosa impensabile. Il film, a causa del contenzioso in atto, fu condannato a restare bloccato». (rvv)

TROPEA (VV) – Suggestioni nella seconda giornata del Tropea film festival

Seguendo il suo scopo principale, l’iniziativa diretta da Emanuele Bertucci anche nel secondo atto ha avuto avvio con un focus sulla formazione attoriale curata da Giorgio Colangeli, vincitore nel 2007 del David di Donatello come migliore attore non protagonista nel film L’aria Salata. In contemporanea si è tenuta la lezione per le maestranze del cinema all’interno di Palazzo Santa Chiara che ha poi ospitato la proiezione dei cortometraggi.

Dopo gli short movie fuori concorso della giornata inaugurale, si è entrati nel vivo della competizione con il lancio di due opere: The Delay di Mattia Napoli e La sedia sul mare di Elisa Faccioni. Entrambi i registi hanno presentato i propri lavori al pubblico spiegandone la genesi e le peculiarità.

The Delay è un racconto che segue la storia di Arturo, un uomo che viene coinvolto in un evento imprevedibile chiamato “fuori sync”, che lo fa uscire dai binari del tempo come lo conosciamo. Questo evento stravolge completamente la sua vita. Ciò che sembra essere un’incredibile limitazione si rivela però un’opportunità per osservare la realtà da una prospettiva completamente nuova. È stato girato interamente a Torino e ha vinto la 18esima edizione di Cortinametraggio.

La sedia sul mare ha vinto il Premio Mamma Roma come Miglior Cortometraggio paragonato dalla critica come “il principio di un racconto di Hemingway”. Girato in Sicilia, il piccolo film racconta la storia di un uomo estraneo al caos cittadino, che ritrova la pace soltanto nella nostalgica contemplazione dell’orizzonte quando siede in riva al mare. La sedia sul mare altro non è che una semplice rappresentazione di chi sa solo bearsi e soffocare nei ricordi di una vita passata. Di chi pensa a come sarebbe stato per evitare di pensare a ciò che è realmente. Antonio è un anziano pescivendolo del mercato di Catania, da che ne ha memoria è un uomo scontroso, intollerante e col tempo, divenuto solo.

A illustrare la modalità di selezione dei corti per l’accesso a questa prima edizione del Festival, è stata l’attrice Valentina Gemelli in qualità di curatrice della sezione. Per i tempi stretti, infatti, non è stato possibile emanare un bando, bensì sono state contattate direttamente le distribuzioni e le produzioni chiedendo espressamente la proposta di opere prodotte nel 2022. Non c’è un tema comune a legare i sei film in gara, tra cui, è stato inserito anche un lavoro cofinanziato dalla Film Commission Calabria. Le opere sono rappresentative di quasi tutto il territorio nazionale, dalla Toscana, Sicilia, Lazio, Piemonte e Calabria.
Fino al 29 giugno sullo schermo di Palazzo Santa Chiara scorreranno le immagini dei corti selezionati per poi arrivare venerdì 30 alla proclamazione del vincitore da parte della giuria tecnica presieduta da Salvatore Romano.

Stimolante l’incontro con un ospite d’eccezione, Annalisa Insardà, attrice, doppiatrice, insegnante di recitazione e conduttrice calabrese. Un vero talento capace di vedere l’arte nella sua più profonda forma intellettuale, schierata sui temi della giustizia sociale. Con un curriculum professionale di assoluto prestigio, ha recitato per il cinema e per fiction di successo. In un dialogo con Valentina Gemelli ha spiegato cosa significa nel contesto attuale svolgere il lavoro dell’attore, una professione che non si può improvvisare: «Il talento non basta. Serve un percorso di formazione che possa dare agli attori gli strumenti per diventare interpreti della condotta sociale», riconoscendo un ruolo di responsabilità in chi comunica stando sul set. «Sarei – ha aggiunto – per la creazione di un albo degli attori perché la formazione è struttura, oltre che cultura».

Sul suo approccio alla sceneggiatura ha raccontato: «Dopo essermi cimentata nella scrittura cinematografica, riconosco di non avere quelle competenze. Scrivere per il cinema richiede delle abilità specifiche che non hanno neppure tutti gli scrittori. Bisogna avere rispetto dei ruoli e fidarsi dei registi».

Sul valore pedagogico e terapeutico di guardare le pellicole in sala: «Il cinema resta una suggestione collettiva insostituibile. Credo che in ogni città ci dovrebbe essere una sala sempre aperta ad accogliere gli spettatori, quasi come fosse un ospedale, con le proiezioni mandate a rotazione continua. Perché il cinema cura l’anima».

Dopo aver spiccato il volo e ottenuto grandi soddisfazioni professionali, Annalisa Insardà non dimentica le sue origini: «Venire dalla Calabria è una risorsa, non un problema. I calabresi sono temprati. Per emergere dobbiamo lavorare il doppio, siamo abituati a faticare. La nostra è una terra che parla al presente per cui ha nelle sue corde una grande concretezza. Io mi definisco una donna di terra, saldamente ancorata alle mie radici».
Per fare questo lavoro serve spirito di sacrificio: «Essere attore significa anche mettere a disposizione, prestando attenzione alla salute, il proprio corpo per interpretare un ruolo: ingrassare, dimagrire, cambiare il look dei capelli. Un’altra frontiera da abbattere è quella legata al genere: alla donna può essere affidata anche la parte di un uomo».

Il momento letterario è stato dedicato alla presentazione del libro di Antonio Ludovico C’era una volta in Italia. La settima arte in 100 capolavori del cinema. Ludovico traccia la parabola della gloriosa storia del neorealismo, che ha incantato il mondo sin dal primo Dopoguerra. Dalla Roma Città Aperta di Roberto Rossellini, opera pionieristica capace di scavare tra le macerie di una capitale ancora sotto assedio, mostrando il volto autentico di un popolo sfiancato dalla guerra, al Vangelo Secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, capolavoro struggente e straordinario, girato nelle nostre terre. O, ancora, Accattone che dà voce al sottoproletariato di un’Italia nascosta. Dal cinema di Vittorio De Sica, che con La ciociara dipinge un’Italia tormentata dalla violenza del conflitto a quello di Rosi, che con Le mani sulla città denuncia gli intrecci e il decadimento della politica degli anni Sessanta. Sono innumerevoli gli autori trattati nell’opera di Ludovico, che apre una finestra su un patrimonio cinematografico inestimabile. Centrale il momento dedicato a Sergio Leone che con i suoi capolavori ha stravolto le regole della narrazione dei film del suo tempo, inventando un linguaggio nuovo che ha poi influenzato (e lo fa tutt’ora) la produzione delle grandi major del mondo intero.

Molti gli aneddoti emersi. Tra cui la straordinaria intuizione di Federico Fellini nell’individuare gli attori tra la gente comune, al punto che nel gergo comune, oggi, si usa l’espressione “tipo felliniano”. Altra caratteristica di quel cinema: era una sorta di documentario, un racconto di ciò che era realmente accaduto.
A dialogare con l’autore il giornalista Paolo Di Giannantonio che ha sottolineato la capacità del cinema di consegnare una fotografia autentica del dopoguerra, epoca in cui al cinema è stato affidato il racconto crudo di quegli anni.

Un accenno anche all’importanza del cinema di Leone e lo straordinario connubio del regista con Ennio Morricone. Nei suoi film le musiche diventano anch’esse personaggio. Così come i lunghi silenzi, spesso scanditi da giochi di sguardi molto intensi. Di Giannantonio e Ludovico hanno accompagnato il pubblico tra le strade polverose della New York del 1933. Quella del proibizionismo di C’era una volta in America. Non sono mancate le riflessioni sulla crisi attraversata dal cinema italiano che, solo da pochi anni, mostra timidi segni di ripresa. «I problemi del settore – ha spiegato Di Giannantonio – nascono dalla mancanza di grossi investimenti da parte dei produttori, un tempo spina dorsale del cinema italiano. Oggi la risorsa principale per realizzare un film sono i soldi pubblici» L’autore ha raccontato che la scintilla creativa è da ricondurre nel periodo di confinamento per la pandemia da Covid quando, riguardando le famose pellicole, ha avviato una sua riflessione che ha dato vita alla raccolta.

Ludovico ripercorre le orme di quel cinema brillante che ha portato alla ribalta Alberto Sordi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman. Quella narrazione del Paese attraverso un’ironia acuta, capace di sottendere un’analisi critica senza sconti a quell’aspetto grottesco e stravagante di un intero popolo, ha contribuito spesso anche a stimolare il dibattito pubblico sui grandi temi sociali.

Stupore e incanto sono state le grandi protagoniste della serata con la messa in scena dello spettacolo I Bronzi (si) raccontano. Da Argos a Riace in viaggio con il mito, che ha ripercorso la storia dei Bronzi di Riace sotto una nuova e inedita luce. Intorno alle due statue di bronzo, rinvenute il 16 agosto del 1972 in località Porto Forticchio di Riace Marina, aleggia ancora oggi il mistero.

La narrazione, basata sulle scoperte archeologiche del professore Daniele Castrizio, offre forti suggestioni e nuovi paradigmi interpretativi sull’origine dei colossi in bronzo. Prima la performance dell’attrice Annalisa Insardà che, con una vibrante interpretazione, ha declamato i versi di una poesia. Uno spettacolo corale, in cui Castrizio, Paolo Di Giannantonio e Fulvio Cama (musica) prendono per mano lo spettatore, accompagnandolo nella grande Agorà di Argos, dove è stata scoperta la base di marmo su cui era collocata una delle statue. Dalla Calabria alla Grecia, per poi scendere tra gli abissi del Mediterraneo, dove i bronzi hanno riposato per secoli. A scandire il racconto, colpi di scena, rivelazioni inedite sostenute da accurati studi scientifici, una colonna sonora curata nel dettaglio che, insieme alle immagini, crea un intreccio con le immagini a cura di Saverio Autellitano.

Il tutto incorniciato dalla meraviglia che solo una storia come quella delle statue di Riace può offrire. Da qui una nuova traccia da seguire sull’origine delle due sculture la cui identità verrebbe ricondotta al mito dei Sette contro Tebe. Ai Bronzi verrebbe finalmente dato un nome: si tratterebbe dei fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Questo spinge gli autori a nuove ricerche sulle tracce delle statue degli altri protagonisti della storia cioè la madre e la sorella dei due pretendenti al trono e il veggente Tiresia. (rvv)

TROPEA (VV) – Colori, parole e immagini per il debutto del Tropea film festival

Nell’incantato borgo calabrese, sospeso sul mare cristallino della Costa degli Dei, è iniziato l’affascinante viaggio nel mondo del cinema e proseguirà fino a domenica 2 luglio: personaggi del grande schermo, dibattiti, libri, interviste, proiezioni animeranno un’intensa settimana in cui la “settima arte” sarà protagonista, appassionando ed emozionando non solo gli addetti ai lavori. Il racconto di attori, sceneggiatori, registi, scrittori, giornalisti condurrà curiosi e appassionati del cinema dietro le quinte dei set alla scoperta dei molteplici volti dell’arte racchiuse nel macrocosmo cinematografico.

Nella giornata iniziale si è respirata tutta la magia del cinema, considerato una delle invenzioni più importanti della storia, in grado di rappresentare la realtà in modo diretto ed immediato. Oltre ai momenti pomeridiani dedicati alla formazione l’elegante salotto di Palazzo Santa Chiara, nel centro storico di Tropea, ha ospitato la proiezione di tre cortometraggi fuori concorso tutti.

Tre short movie ambientati in Calabria. Tematiche di stringente attualità come l’emigrazione e il traffico degli organi al centro dell’opera Aldilà del mare del regista Massimo Ivan Falsetta realizzato con il sostegno della Calabria Film Commission, a distanza di soli trenta giorni dopo la tragedia di Cutro. A contribuire alla realizzazione del lavoro anche il Comune di Monterosso Calabro, rappresentato in sala dal sindaco Antonio Lampasi, che dal 2015 organizza un’iniziativa dedicata al cortometraggio offrendo ospitalità alle troupe degli artisti che così diventano promotori del territorio. Di grande impatto emotivo il secondo film proiettato Il primo giorno: la narrazione del legame tra un padre, malato di Alzheimer, e i suoi sei figli che lottano quotidianamente, con le armi della parola e dell’amore, per arginare gli effetti della patologia e salvare i ricordi di una vita custoditi metaforicamente dentro una scatola. L’intera troupe è stata formata da allievi della Scuola di recitazione della Calabria diretta da Walter Cordopatri. A fare da set la location dell’Uliveto Principessa di Cittanova.

Significativo anche l’argomento trattato nel terzo cortometraggio Mediterraneo di Maverick Lo Bianco, attore vibonese trapiantato a Londra, che ha voluto offrire un’immagine suggestiva della Calabria con inquadrature che fanno emozionare esaltandone in poche sequenze i colori, gli odori, i sapori spaziando dalle bellezze del mare a quelle naturalistiche. Spettacolo offerto da due perle, Tropea e Reggio Calabria.

Partecipato anche l’evento letterario per la presentazione del libro della giornalista del TG1, Adriana Pannitteri, dal titolo Raffaele Carrà. La ragazza perfetta (Morellino Editore) che ha dialogato con Antonio Ludovico. Una conversazione in cui l’autrice ha consegnato al pubblico l’immagine della famosa e inimitabile show girl anche attraverso aneddoti che riguardano la sua vita personale: lontano dalle telecamere amava ritirarsi a Porto Santo Stefano, giocare a burraco fino a notte fonda e fare scherzi agli amici.

«Era una grande “secchiona” – spiega Pannitteri – perché nutriva una grande attenzione per lo studio, per la perfezione. Tutto questo lo ha fatto da sola in un ambiente dove spesso si cercano scorciatoie», ecco perché la definizione di “ragazza perfetta”. Si è spaziato poi sul rapporto viscerale che Raffaella Carrà ebbe con il Sud America: «Aveva il potere di agitare le folle. In Argentina arrivò in un periodo difficile, di dittatura. Con la sua spensieratezza è riuscita a trainare un popolo verso un’idea di libertà e allegria». A guidare le sue scelte professionali è stato sempre il desiderio di cambiare, di innovarsi e di scegliere di cimentarsi in qualcosa di nuovo e che la entusiasmasse. Dirompente con il suo tuca-tuca, balletto inventato in un pomeriggio con amici a casa di Boncompagni, inizialmente ritenuto troppo scandaloso dai funzionari Rai e poi sdoganato dal mitico Alberto Sordi. Indimenticabile per il suo programma Carramba, termine che è entrato nel nostro vocabolario, così come “gancio”, usato nella trasmissione per indicare la persona per si metteva in contatto con la redazione per far realizzare la sorpresa.

La prima giornata del Tropea Film Festival si è conclusa all’insegna della musica classica. Ad esibirsi l’Orchestra di Flauti di Laureana di Borrello composta da 45 musicisti, diretta dal M° Maurizio Malagò con la collaborazione del Cantiere Musicale Internazionale di Mileto diretto dal M° Roberto Giordano. Il repertorio del concerto si è incentrato sulle musiche del cinema scritte da grandi compositori come Nino Rota, Luis Bacalov, Ennio Morricone, Astor Pizzolla, Kennet J. Alford, Nicola Piovani, Frank Pourcel e Paul Mauriat. Sono state eseguite le più belle e famose colonne sonore del cinema: ll Postino, La strada, 8 e mezzo, La dolce vita, I vitelloni, Amarcord, Il padrino, C’era una volta in America, Nuovo Cinema Paradiso. Sullo sfondo le immagini suggestive dei film.

Trenitalia, società capofila del Polo Passeggeri del Gruppo Fs, è partner della prima edizione del rinnovato Tropea Film Festival, in programma dal 26 giugno al 2 luglio 2023. Una kermesse dedicata al ricordo di Massimo Troisi in occasione dei settant’anni dalla nascita e che accenderà i riflettori sul mondo del cinema e della cultura.
Il Festival avrà luogo nella suggestiva cornice della cittadina calabrese tra il Centro Storico e il Porto di Tropea. Dal Palazzo Santa Chiara alla Cappella dei Nobili fino all’Antico Sedile, dalla meravigliosa vista di Santa Maria dell’Isola da Piazza Cannone all’Affaccio Raf Vallone nel centro storico. Affacciata sul Tirreno, al centro della Costa degli Dei, Tropea è facilmente raggiungibile grazie ai collegamenti Intercity da Torino, Milano, Roma e Reggio Calabria, e ai frequenti collegamenti giornalieri del Regionale.

Un’occasione per vivere la magia del cinema in una delle località più amate del nostro Paese e per chi desidera raggiungere il Festival con i treni Intercity e Regionali di Trenitalia, potrà usufruire della gratuità del transfer dalla stazione di Tropea fino al luogo dell’evento e avrà la possibilità di effettuare gratuitamente sul posto un video-provino con una società di casting cinematografico.

Un altro evento che dimostra come la società del Polo Passeggeri del Gruppo Fs muova le persone connettendole al mondo della cultura, nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale, sociale e della promozione turistica, grazie a oltre 6.600 treni al giorno. Inoltre le attività di Trenitalia, come treno ufficiale di importanti manifestazioni, inoltre, confermano l’impegno del Gruppo a fianco di prestigiosi eventi e istituzioni. Maggiori informazioni su trenitalia.com. (rvv)

TROPEA (VV) – Trenitalia promuove sui suoi canali il Tropea film festival

Raggiungi Tropea in treno e scopri l’emozione del cinema. A suggerire la destinazione turistico-esperienziale e culturale come meta del viaggio è Trenitalia dalle pagine del suo portale ufficiale, punto di riferimento per turisti e appassionati.

Il pretesto, invece è il Tropea film festival (Tff), evento cofinanziato dalla Calabria film commission, con la direzione artistica di Emanuele Bertucci e patrocinato dall’amministrazione comunale guidata da Giovanni Macrì che si svolgerà da lunedì 26 giugno a domenica 2 luglio, all’interno del perimetro comunale, tra centro storico e porto, con una serie di iniziative, workshop, masterclass con maestri del piccolo e grande schermo.

Dalla formazione attoriale, alla presentazione di libri, passando dalla proiezione dei corti in gara. Sono, queste, alcune delle attività che saranno impreziosite dalla presenza di ospiti speciali come Pupi Avati, Manila Nazzaro, Ronn Moss, Massimiliano Bruno, Annalisa Insardà, Luca Manfredi, Vincenzo Mollica, Totò Cascio, Ettore Bassi, Giorgio Colangelo.

Sul portale dedicato tropeafilmfestival.com è possibile prenotarsi per prendere parte ad uno dei diversi momenti in programma per tutta la settimana. (rvv)

TROPEA – Il sindaco Macrì: «Film festival vetrina per la Calabria»

«Con rilievo, parterre, prospettiva ed ambizione a tutti gli effetti internazionali, la speciale edizione 2023 del Tropea Film Festival (Tff), promossa dal suo direttore artistico Emanuele Bertucci e che a distanza di 11 anni dall’ultima edizione organizzata con successo dal giornalista Bruno Cimino ritorna e si presenta come nuova esperienza, in altra veste e con proposte nuove e contenuti originali, è candidata di diritto ad inserirsi nel ventaglio dei diversi eventi di qualità che distinguono e ritmano l’attenzione mediatica e turistico-esperienziale sulla nostra destinazione».

Ne è convinto il sindaco Giovanni Macrì sottolineando, «a pochi giorni dalla presentazione ufficiale della kermesse dedicata a Massimo Troisi nel 70esimo anniversario della sua nascita, la condivisione dell’amministrazione comunale rispetto anzi tutto al metodo di lavoro messo in campo dagli organizzatori per far esplodere questa nuova, bella e forte manifestazione dal prevedibile grande ritorno in termini di marketing territoriale; un evento che con senso e coerenza – scandice – tradurrà la naturale e storica vocazione di Tropea, terra natale di Raf Vallone, come set privilegiato per produzioni cinematografiche di successo mondiale, così come consacrato anche in questi primi mesi dell’anno».

Tra i valori aggiunti del TFF 2023, in programma da lunedì 26 giugno a domenica 2 luglio – prosegue – vi è sicuramente l’attenzione posta alla formazione ed in generale al confronto critico e culturale nel cui segno si articoleranno, in aggiunta alla proiezione dei corti in gara ed alle sessioni serali con spettacoli, talk e premiazioni, anche masterclass e presentazioni di libri; un taglio quindi anche pedagogico e sociale – spiega – che, in linea con gli obiettivi generali portati avanti dal nostro esecutivo, ambisce ad elevare continuamente il livello diffuso dell’offerta in senso lato turistica.

«E vi sono poi altri tre aspetti – continua il primo cittadino – che connotano positivamente, alla sua vigilia, l’esordio di fatto di questa nuova ed importante vetrina internazionale per il principato: da una parte, il tangibile entusiasmo che fa da vero e proprio motore al gioco di squadra messosi in moto per la migliore realizzazione di tutte le tappe e di tutte le declinazioni, svelate ma alcune ancora inedite, dell’iniziativa; dall’altra, la rete di partnership prestigiose ed autorevoli che impreziosiscono l’impegno condiviso da tutti e dall’amministrazione comunale per questa nuova e straordinaria occasione non solo per Tropea ma per l’intera Calabria: da quella confermata col maestro orafo Michele Affidato, cittadino onorario di Tropea che ha realizzato il logo ufficiale del Tff a quelle con Trenitalia, al Giffoni Film Festival all’Atelier Neri la cui nuova poltrona Limited Edition, battezzata Tropea, sarà presentata alla mostra internazionale Paris Expo Port de Versailles in Francia a novembre; infine, la capacità di coinvolgimento dei siti icona principali del Principato, da Palazzo Santa Chiara all’Antico Sedile alla Cappella dei Nobili, come location e set di questa bella pagina di e per il cinema e con ospitalità da tutto il mondo che ci apprestiamo a vivere ed a condividere». (rvv)

TROPEA (VV) – Il Film festival parte il 26 giugno e va avanti sino al 2 luglio

Parte ufficialmente il conto alla rovescia per la prima edizione della manifestazione dedicata al mondo del cinema di cui sono stati anticipati i primi contenuti.

La prestigiosa sede dell’Antico Sedile dei Nobili ha ospitato, ieri pomeriggio, l’incontro tra il sindaco Giovanni Macrì e l’ideatore e direttore artistico della kermesse Emanuele Bertucci per una “stretta di mano” con cui è stata ufficialmente annunciata la nascita del Tropea Film Festival, che si svolgerà nell’elegante città del Tirreno dal 26 giugno al 2 luglio tra il Centro Storico e l’area del Porto turistico.

Svelato il logo del Festival ed il premio realizzato dal maestro orafo Michele Affidato, già noto per le preziose creazioni assegnate a star del cinema italiano e internazionale e che del Tff può essere considerato un vero compagno di viaggio. Il prestigioso premio consiste in una scultura che riproduce lo scoglio di Santa Maria dell’Isola, simbolo più famoso di Tropea, sormontato da una pellicola cinematografica con i colori graduati dall’azzurro al blu che richiamano i toni del logo del Tropea Film Festival.

“Il Festival che non c’era… adesso c’è!”. Questo il claim che accompagna l’iniziativa che mira a far diventare Tropea già ambita meta turistica ed eletta Borgo dei Borghi 2021, la Capitale del Cinema nell’arco di un’intensa settimana tra film, ospiti e spettacolo.

All’incontro hanno preso parte anche la presidente della Pro Loco, Mariantonietta Pugliese e l’imprenditore toscano Maurizio Nieri in qualità di partner dell’iniziativa.

Il direttore Emanuele Bertucci ha presentato così la prima edizione del Festival: «Non voglio rivelare in anticipo i dettagli che emergeranno nella conferenza stampa che sarà indetta a ridosso dell’evento. Posso preannunciare che sono numerosi gli ospiti nazionali ed internazionali che hanno garantito la loro presenza, che il programma è fitto e interessante. Prevede sessioni pomeridiane con formazione, masterclass, presentazioni di libri e proiezione dei corti in gara, e sessioni serali con spettacoli, talk e premiazioni. Tutto contaminato dall’eleganza e dalla raffinatezza delle location selezionate nel cuore della città come Palazzo Santa Chiara, l’Antico Sedile e la Cappella dei Nobili. Tanta suggestione anche per gli appuntamenti che si svolgeranno al Porto tra l’Arena e l’area piscina».

La realizzazione del Tff è stata possibile unendo le forze e le energie di numerosi partner: «Innanzitutto ritengo che sia fondamentale l’impegno e l’entusiasmo del team che mi sta affiancando e mi supporterà in questa iniziativa. Poi va evidenziato l’apporto del Comune di Tropea che ha creduto nelle potenzialità del Tff garantendone in primis l’ospitalità. Numerosi e prestigiosi gli accordi siglati con tante aziende del territorio calabrese e nazionale che saranno presentate insieme agli ospiti del programma. Tra questi sono orgoglioso di anticipare le partnership strategiche con Trenitalia ed il Giffoni Film Festival».

Tra i Partner che sostengono il Tff c’è l’Atelier Nieri che dal 1929 produce poltrone e divani di alta qualità. Non è passata inosservata ieri pomeriggio la presenza di Maurizio Nieri, designer creativo del brand di famiglia, che da tempo ha proiettato l’azienda in una dimensione di grande crescita e di sviluppo esponenziale ampliando il mercato da quello italiano a quello europeo fino ad estenderli a livello internazionale.

Incuriosisce che un’azienda toscana che esporta in tutto il mondo i suoi prodotti Made in Italy, decide di investire in un evento in Calabria: «Non ero mai stato a Tropea ma la conoscevo come Borgo dei Borghi per essere simbolo delle bellezze dalla Calabria nel mondo. La nostra è un’azienda che esporta il 100% della sua produzione e quando Emanuele Bertucci mi ha proposto questa sua nuova interessante iniziativa abbiamo colto al volo l’opportunità ritenendola strategica per il nostro brand. Devo dire che non mi sbagliavo perché venendo qui oggi ho trovato esattamente quello che mi aspettavo. Un bellissimo ed accogliente borgo che valorizza al meglio le risorse storico-culturali e turistiche. Sono rimasto molto affascinato».

La bellezza travolgente e unica di Tropea ha ispirato la creazione di un nuovo articolo della collezione dell’Atelier Nieri: «È stato amore a prima vista. Tanto che abbiamo deciso di dare alla nuova poltrona “Limited Edition”, che sarà presentata alla mostra internazionale Paris Expo Port de Versailles in Francia a novembre e porterà il nome di Tropea. D’intesa con Emanuele Bertucci anticiperemo in anteprima gli schizzi della nuova poltrona proprio durante le serate del Tropea Film Festival».

Parola poi al sindaco Giovanni Macrì che ha commentato: «L’idea nasce da Emanuele Bertucci, l’uomo delle “prime”. Sua la prima Cena di Gala per beneficenza a Palazzo Santa Chiara e sua l’idea della prima Mostra di Arte Contemporanea sul porto di Tropea. E quando mi ha proposto l’idea della prima edizione del Festival del Cinema ho sposato subito l’iniziativa perché sono certo porterà prestigio e visibilità alla nostra città. Il nome di Tropea è stato da sempre legato al mondo della celluloide. Ricordiamo che è nato a Tropea il famoso attore Raf Vallone e che qui sono stati girati tanti film. Proprio nell’ultimo anno abbiamo registrato la presenza di Tropea in pellicole importanti quali The Marvels e L’esorcista di Russel Crowe. Quindi sposo appieno quando detto dal Direttore Artistico: un Festival che spetta di diritto a Tropea!».

Prestigio e visibilità per la “Nobile” calabrese che arriva in maniera indiretta anche da accadimenti come quello legato alla creazione di poltrona “Limited Edition” dell’Atelier Nieri che porterà il nome Tropea e sarà presentata in Francia: «Una bellissima quanto inaspettata notizia che nasce proprio all’alba del Festival dalla visita a Tropea di un imprenditore toscano che ha voluto investire nel Tff. Venendo qui si è innamorato del luogo tanto da voler inserire il nome della città nella collezione della sua azienda». (rvv)