L’associazione culturale “Le Muse – Laboratorio delle arti e delle lettere” di Reggio Calabria, per il giorno di San Giorgio festività celebrata non solo in diverse chiese cattoliche, diversi stati e città del quale il santo è patrono, per il 23 aprile ha realizzato uno scambio culturale di approfondimento sulla iconografia dello stesso presso la chiesa di San Giorgio Maggiore nel cuore di Napoli in via Duomo, nota anche come Spaccanapoli, nel quartiere Forcella.
Il presidente Muse, Giuseppe Livoti, ha ricordato come si è pensato ad organizzare tale momento culturale questa volta, coinvolgendo il gruppo degli artisti dell’associazione, per un momento di approfondimento sulle iconografie collegate all’immagine del santo proprio perchè il 23 aprile è la data tradizionalmente accettata della morte dello stesso durante la persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano del 303 d.C.. In tale occasione il saluto di padre Carmelo Raco parroco in solidum moderatore presso S. Giorgio Maggiore da circa 6 mesi.
Padre Raco evidenziando le sue origine calabresi, di Molochio, comune della città metropolitana di Reggio Calabria, posto nel cuore dell’Aspromonte, ha salutato la delegazione Muse ed ha voluto conoscere le attività associative e culturali della stessa, ribadendo anche la comunanza delle sue origini calabresi e la voglia di fare della gente di Calabria.
L’approfondimento storico – artistico invece è stato fatto dall’esperto dei beni custoditi nell’edificio e sacrestano Andrea Toscano che ha subito ricordato le origini della chiesa costruita tra il IV e il V secolo per volere di San Severo, celebre vescovo di Napoli. Il complesso monumentale, originariamente paleocristiano, si trova in piazzetta Crocelle ai Mannesi, lungo via Duomo, dove sorse tra la fine del IV e gli inizi del V secolo e, insieme alla Basilica San Giovanni Maggiore Pignatelli e Santa Maria Maggiore, conosciuta anche come la Chiesa della Pietrasanta, e si può considerare uno dei primi edifici religiosi costruiti a Napoli.
La chiesa era inizialmente conosciuta come “della Severiana” perché la sua edificazione fu voluta da San Severo, vescovo di Napoli dal 363 al 409, famoso per la sua grande opera di evangelizzazione della città, per aver combattuto l’arianesimo e per alcuni miracoli a lui attribuiti, anche quando era in vita, come quello in cui si racconta che una donna, rimasta vedova, si era recata dal vescovo per chiedergli aiuto perché un finto creditore del marito voleva da lei una grossa somma in denaro e questi, allora, aveva condotto l’impostore sulla tomba del defunto che, miracolosamente, era apparso ad entrambi raccontando la verità.
Nel IX secolo la chiesa fu poi dedicata a San Giorgio, soldato valoroso e martire illustre, patrono della milizia cristiana, sempre rappresentato in atto di sconfiggere un dragone con la sua lancia e, per questo, simbolo di una potente protezione contro le tentazioni del demonio. Importante dunque l’approfondimento dietro l’altare maggiore e lo stupore alla visione delle immagini dipinte sia in un affresco -nascosto- e sia in una grande tela.
Un enorme e pregiato affresco di un artista del seicento, quale fu Aniello Falcone (1607-1657) famoso pittore di battaglie, è rimasto nascosto per oltre tre secoli sulla parete dietro un’altra opera settecentesca. La tela visibile di Alessio d’Elia, pittore di scuola solimeniana, che raffigura San Giorgio ha continuato l’esperto d’arte Andrea Toscano, durante un recente restauro nel 1992, si è scoperto che nascondeva un grande affresco segreto di Aniello Falcone, anche lui raffigurante San Giorgio, che in groppa ad un bianco cavallo impennato e lancia alla mano, affronta ed uccide il drago liberando una donna. Una bellissima opera del 1645 che, a differenza di altri affreschi dell’artista, ha mantenuto splendidamente conservati i suoi colori tenui e l’elemento del cavallo, riferimento tipico dei suoi quadri di battaglia.
L’opera fu nascosta poiché lo stesso Aniello Falcone, fu il fautore di una associazione segreta che cospirava contro gli spagnoli, voleva insieme ad altri artisti la loro cacciata fondando la “Compagnia della morte”. Per una damnatio memoriae, una condanna della memoria venne dunque coperto l’affresco con un grande quadro. Oggi questo capolavoro è visibile in quanto la sovrastante opera che è del D’Elia, è stata sistemata su un telaio incernierato che è spostabile con una lunga corda al fine di rendere visibile anche il sottostante affresco del Falcone.
L’incontro si è concluso con la chiusura dell’opera proprio per mano dello stesso presidente Livoti, il quale ha avuto il privilegio di accompagnare manualmente la grande tela alla parete ed ancora una promessa, quella di continuare a poter approfondire queste conoscenze storico-artistiche invitando per un maggiore approfondimento presso l’associazione Le Muse il parroco padre Carmelo Raco nel percorso tracciato alla scoperta della pittura religiosa. (rrm)