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Peppe Voltarelli

Standing Ovation per Peppe Voltarelli a “UnicalFesta”

di PINO NANOPeppe Voltarelli in concerto all’Università della Calabria, tra gli ulivi del Campus di Arcavacata, rimarrà una delle pagine più belle della storia dell’Ateneo di questi anni.

Emozionante, è dire poco. Intrigante, è dire molto di meno. Elettrizzante e affascinante insieme, avvolgente e provocatorio, un fiume di musica e di parole, canzoni scritte e “parlate” molte delle quali in dialetto calabrese, una sfida alla modernità e ai falsi perbenismi di chi crede che il dialetto sia da dimenticare, un ritorno al passato ma proiettati nel mondo e nel futuro, la magia dei ricordi di un’infanzia che torna prepotente nella mente di ognuno di noi, che con quella “lingua orale” siamo cresciuti e siamo invecchiati.

Un mix straordinario di vecchio e nuovo, di passato e presente, di orizzonti che si profilano dalle piazze più piccole delle nostre periferie urbane e che come d’incanto si proiettano nelle grandi capitali del mondo, Londra, Berlino, Parigi, Roma, New York, Buenos Aires. È il mondo che in tutti questi anni Peppe Voltarelli ha visitato conosciuto, attraversato e vissuto, e di cui alla fine si è anche persino profondamente innamorato.

Il suo concerto, lunedì sera, è stato tutto questo insieme. Suoni, colori, mescolanza di culture diverse, frullato di idiomi e di tradizioni, poesia e romanzo, musica struggente e malinconica, ma anche tanta musica forte, perché Peppe Voltarelli in tutti questi anni di carriera ha saputo shakerare insieme varie scuole e vari generi.

Un’attività concertistica che lo ha portato a suonare in 23 paesi nel mondo, Argentina, Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Francia, Germania, Inghilterra, Iraq, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Madagascar, Messico, Polonia, Repubblica Ceca, Serbia, Spagna, Stati Uniti d’America, Svizzera, Ungheria e Uruguay. E questo gli è valso il nomignolo di “cantante emigrante”.

Il merito di tutto questo ha oggi un nome soltanto, che è quello di Patrizia Piro, donna di successo, accademica riconosciuta e profondamente amata dai suoi studenti, punta di diamante del Senato dell’Unical, formalmente lei è il Pro-Rettore del Campus universitario calabrese, ma nei fatti è l’anima complice di questo bellissimo Festival del Campus.

«Dopo il periodo dell’emergenza covid – dice Patrizia Piro – abbiamo creduto sia necessario rimettersi in gioco, proponendo momenti di socialità che aiutano la comunità a ritrovarsi e stare insieme. “UnicalFesta” è per tutti noi una sfida, un atto di coraggio che affrontiamo insieme a tanti artisti. Una comunità come la nostra che accoglie 1300 studenti internazionali provenienti da 96 paesi diversi mette al centro le persone e crea questi importanti momenti di incontro e confronto». Francamente non si poteva fare di meglio.

Dopo il concerto di Diodato, dunque, che ha aperto ufficialmente “UnicalFest” di quest’anno, anche per lui un successo senza fine, ancora un grande artista sul palcoscenico del Campus calabrese. Un musicista come pochi. Un Peppe Voltarelli che usa la sua chitarra come arma di difesa, la tiene stretta al corpo come fosse una propaggine della sua vita e della sua storia, e certamente lo è anche, ma quando poi incomincia a cantare le sue canzoni più famose, e molte di queste rigorosamente in dialetto calabrese, allora è un tripudio collettivo. Di emozioni e di ricordi.

È la musica punk-rock che diventa viaggio nel tempo, nel proprio passato e nel proprio corpo. È la musica che scandisce le stagioni della nostra vita, è la musica che detta le regole e i ritmi della nostra esistenza.
Ma soprattutto, è la musica che ti racconta quale è in fondo la vera anima della tua terra di origine, e con la grazia che solo alla musica appartiene, riempie di immensa dolcezza anche i vuoti incolmabili di una terra come questa, la Calabria, e di una generazione che per trovare lavoro vive ormai ai margini del mondo e in ogni angolo del pianeta. Quasi una seduta di psicoanalisi di gruppo, tutti insieme immersi questa volta nel fragore assordante e multietnico di un concerto d’autore.

La storia di Peppe Voltarelli è ormai un pezzo iconico della storia della musica italiana che più conta.
Artista di origini calabresi, Peppe Voltarelli nasce a Cosenza il 26 dicembre del 1969, da mamma cosentina e da padre che veniva da Mirto Crosia. Una storia d’amore, la loro, nata alle scuole elementari di Mirto Crosia dove lavorava sua madre. Ma è Mirto Crosia il vero “paese ombra” di Peppe Voltarelli, perché è qui a Mirto che lui trascorre i primi diciotto anni della sua vita. E dove incomincia a suonare le sue prime cose. Va a scuola di musica che ancora molto piccolo, e quando Peppe arriva alle scuole medie i suoi insegnanti si accorgono che il ragazzo ha delle doti musicali naturali molto spiccate.

Nel 1995 si laurea al Dams dell’Università di Bologna discutendo una tesi sul rap italiano in semiologia della musica con il Prof. Gino Stefani e sotto la supervisione di Pierfrancesco Pacoda, e questo fa di lui anche un intellettuale poliedrico e carismatico di questo mondo.

«Mirto Crosia? Eravamo un gruppo di bambini che componevamo canzoni nostre, e originali. È stato il professore di musica che ci ha formato. Non solo musicalmente, ma anche umanamente. Il nostro gruppo si chiamava “Red Devils”. Avevamo in scaletta pezzi dei Beatles, dei Pooh, di Santana, qualche vecchia hit come “Calabrisella mia”, “Romagna mia”, “Obladì Obladà”. I nostri pezzi erano canzoni d’amore che seguivano il filone degli anni settanta dei Pooh e s’intitolavano “Tutto Bimba”, “Eravamo due ragazzi sotto il sole” e roba del genere».

Dopo la scuola media Peppe si iscrive all’Istituto tecnico per geometri, e ogni mattina prende la corriera che da Mirto Crosia lo porta a Rossano. Per lui saranno gli anni della svolta, perché sono gli anni in cui l’incontro con la musica d’autore diventa per lui quasi letale, fobico, appassionato e indissolubile. Ha appena 15 anni quando mette in piedi il suo primo gruppo musicale sullo stile dei Doors e dei Pink Floyd, musica rock, «avevamo i capelli lunghi, eravamo vestiti di nero e cantavamo brani con titoli come “Bighellonare”».

Estate del 1990, per lui è l’anno degli esami di stato, ma è anche l’anno in cui Peppe lascia la sua casa di famiglia e la sua Mirto Crosia per finire a Bologna.E qui, fonda “Il Parto delle Nuvole pesanti”, una band che presto diventerà punto di riferimento del mondo della musica giovane non solo in Italia. Nasce il suo primo disco, ma da qui la sua carriera non conoscerà più parentesi di silenzio. Il disco d’esordio Alisifare e una prolifica attività concertistica fanno ben presto del gruppo una delle realtà più interessanti del folk Anni ’90. Canzoni come Raggia e Lupu e l’album 4 battute di povertà, prodotto dalla Lilium e distribuito dalla Sony Music, diventano apripista di un genere denominato Tarantella punk. Cinque anni dopo essere arrivato a Bologna Peppe Voltarelli è già una realtà della musica italiana di quegli anni.

Targa Tenco per il miglior album in dialetto per Ultima notte a Malá Strana nel 2010, Targa Tenco per il miglior album interprete per Voltarelli canta Profazio nel 2016, Targa Tenco per miglior album interprete per Planetario nel 2021, e infine finalista della Targa Tenco per migliore album in dialetto con La grande corsa verso Lupionòpolis nel 2023. È quanto basta per dare l’idea di quanta strada il “ragazzo di Mirto Crosia” abbia percorso verso il successo. Serata indimenticabile all’Unical. (pn)