di SANTO GIOFFRÈ – Quando, in Calabria, la Festa Patronale torna a essere il trionfo dell’isolamento e dell’abbandono. La falsa socializzazione della festa di un giorno è l’emblema totale della perdita. Una volta, i riti delle feste padronali attorno ad un simulacro sacro che ricordava il genus loci e l’appartenenza, livellava, per quel solo giorno, le classi sociali. Tutti, in quelle festività, pensavano di avere gli stessi diritti di eguaglianza difronte al contesto che caratterizzava quel santo protettore: ricchi e poveri, feudatari e contadini, ladri e probi.
Quel giorno solo, però. Il giorno dopo, dopo i fuochi e le scenografie che ripetevano le tradizioni, ognuno ritornava al proprio posto, nella miseria e povertà assoluta o tra l’opulenza che le enormi proprietà parassitarie garantivano. Ognuno al proprio posto, tra malattie che erano mortali perchè, tra i miserabili, nessuno si poteva curare o prodigiose guarigioni avendo il luminare medico alla portata di ogni portafoglio. Con il Santo padronale che stava a guardare. Poi, vennero le lotte operaie e studentesche. Le conquiste sociali. Le garanzie costituzionali per ogni Italiano e le feste padronali si ridussero nell’occasione del solo piacere di ritrovarsi intorno al focolare che rimaneva sacro.
Occasione per discutere delle novità che ogni emigrato portava dai campi di lotte e di paesani stanziali che parlavano dell’ansia di sviluppo della Calabria. Insomma, un contesto dinamico di scambio di idee, propositi, progetti, promesse mentre il Santo padronale veniva portato in processione. Ora, siamo tornati al primordi. La festa padronale, artificiosa e rococò in una Terra come la Calabria che sta subendo una feroce sostituzione etnica tra i suoi abitanti e i cinghiali, è solo Panem et circenses. Si allestiscono megaspettacoli per saziare, per solo due giorni, pance vuote di tutto, e tutto termina insieme alla palla asciutta dell’ultimo fuoco d’artificio.
Non una riflessione, non un canto lamentoso, mentre tutto attorno si secca e muore: la sanità, i servizi, le infrastrutture, le scuole, i saperi, il pauroso spopolamento. Liberi da ogni pensiero e sapere perché, come diceva Ferdinando II, il Popolo ignorante è un Popolo felice. (sg)