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L'OPINIONE / Franco Cimino: Perché mi candido a Catanzaro

Quella bambina delle tre notti in mezzo al mare

di FRANCO CIMINO – C’è una barca in mezzo al mare, ha la vela e un cuore. La vela è ferma, come i porti della civiltà che non la vogliono vedere arrivare. Il cuore è in cerca di vite da salvare. Ferma la vela per il vento che non si muove, fermo il cuore per poter sentire un altro rumore.

Lo sciabordio delle onde è suono. Quasi soave. Il mare lo crea, due volte. Quando c’è la quiete del riposo. Suo, del mare. E dei naviganti, marinai e pescatori. E quando il silenzio è quello della morte di uomini e donne a cui il mare non ha tolto la vita. Ma offerto le braccia a un dolore immane, che non avrebbe trovato quelle protettive e “riparatrici” degli esseri umani.

Da quel silenzio, in quel tratto poco distante dalle coste di Lampedusa, sale un rumore diverso. Non è la voce rauca delle onde, lo scricchiolio di cose imprecisate che su di esse sbattono, non è il lamento del giorno che non sa dove andare. È una sorta di stridore. Di voce umana che soffoca nel respiro che fatica. “Tsss, tsss… facciamo silenzio, spegnete i motori, non muovete passi”, dice qualcuno sulla barca. “È una voce. È un urlo sfinito, ma è umano”.

La barca, che cerca in mare vite da salvare, ma non trova porti “cui attraccare” quelle accolte, si muove lentamente. Poche metri ancora e la vista di un’immagine sospesa tra il bene e il male, tra gioia e dolore, senso di vittoria e percezione di una sconfitta, umanità e crudeltà, civiltà e inciviltà, appare in tutto il suo complesso stupore. C’è un corpo rannicchiato tra le “camere d’aria” di grandi gomme di camion.

È protetto dal salvagente. Le onde non l’hanno travolto. E neppure bagnato. I vestiti sono asciutti. Come il corpicino sottile che non si nutre, né d’acqua né di cibo. Da due giorni, forse tre. È una bambina di undici anni. Viene dalla Sierra Leone. L’ultima partenza è stata dalla Turchia. Si era imbarcata con il fratello e altri quarantatré povericristi. Non sappiamo ancora quanti bambini tra questi. Divisi in tre piccole e vecchie barche, sono tutti caduti in acqua alle prime onde poco meno che minacciose. Lei è l’unica superstite. Il veliero della Ong, l’associazione umanitaria criminalizzata quando conviene alla politica del No agli sbarchi degli immigrati “irregolari”, conduce la bambina a Lampedusa. In quell’isola eroica per la resistente umanità della sua popolazione, che ancora non riceve un riconoscimento internazionale per l’opera grande che svolge da più di vent’anni nel salvare le vite di migliaia di esseri umani in cerca di cibo e di esistenza nuova.

Le cronache dicono che pure lei è stata “parcheggiata” in quegli hotspot sempre più affollati, come le nostre carceri. La prima area di ricovero, le “ prigioni” temporanee di quanti saranno selezionati, per restare in Europa o essere rispediti da dove provengono tra stenti, fame, torture, e violenze di ogni genere. Che ne sarà di questa bambina non lo sappiamo, non avendo ancora visto la lunga fila di famiglie che vorranno “adottarla”.

Come non sappiamo se nelle nuove confuse contraddittorie ordinanze e norme sui cosiddetti flussi, lei sia considerata immigrata clandestina o diversamente. Mi verrebbe voglia di dire: “e adesso mandiamola via. Imbarchiamola da sola sulla nave italiana per l’Albania del ricevimento dei poveri cristi che noi respingiamo”. Ma è una bambina, non può ricevere alcuna ironia o posizione di tipo politico. Mi soffermo solo su una mia personale impressione. Che a me dice tanto di ciò che non ho compreso. Contro ogni legge della natura e della biologia, si è salvata.

Addirittura, restando sana, come dicono i medici che l’hanno visitata. Un miracolo di Dio, il suo, il nostro? La forza positiva del destino? Il suo, il nostro? Quella forza misteriosa, che decide a caso sulla vita degli esseri umani o sul movimento della natura? Chi può dirlo? A me viene di pensare che si tratti di un Dio arrabbiato, che l’ha salvata per sbattere in faccia al mondo, che ancora si crede ricco e sicuro, la barbarie di cui, nelle guerre di tutte le risme, quella della fame la più pesante, si è armato per rendere più proficuo il proprio egoismo.

Quella bambina, una denuncia del nostro male. Testimone della disumanità crescente. La condanna alla nostra cecità e sordità dinanzi alle morti mute. Quelle che a centinaia il mare, ogni giorno accoglie e riposa. (fc)