di SANTO STRATI – A confrontare i dati del nostro studio sulle proiezioni elettorali del prossimo 3 ottobre, aggiornato dopo l’annuncio della conferma della candidatura dell’ex governatore Mario Oliverio, emerge chiaramente che la discesa in campo come “terzo incomodo” dell’ex Presidente produce in modo singolare consensi aggiuntivi alla parte avversa, ovvero al candidato presidente Roberto Occhiuto che capeggia la coalizione di centro-destra.
La spiegazione non è così semplice, ma è facile intuire che la lotta fratricida che è esplosa in modo, forse, irreversibile all’interno della sinistra calabrese oltre a lacerazioni e malcontenti produce un forte dissenso che si tradurrà in elevato astensionismo.
Chi si astiene – volutamente – in questa occasione, appartiene quasi totalmente del popolo della sinistra (dem e dintorni): avvilito, amareggiato e deluso. «Piuttosto che contribuire alla disgregazione totale del partito – dicono in tanti – preferiamo disertare le urne. Ma quasi certamente al Nazareno non capiranno il senso del nostro gesto».
L’altro elemento di grande rilevanza dal nostro esclusivo studio (basato non sulle intenzioni di voto, bensì su un modello matematico che analizza i flussi storici di voto) è che se si fa la somma dei voti attribuibili ai candidati del centrosinistra (in un’ipotetica, quanto irraggiungibile unità) si ottiene da un minimo di 49 a un massimo di 53% di consensi, roba da far venire l’orticaria a tutto il centro destra. Il quale, invece, veleggia tranquillo verso una vittoria “a tavolino” dove si tratterà di capire chi sarà il “miglior perdente” con diritto di seggio in Consiglio regionale, qualora i candidati presidenti non risultino anche notabili come consiglieri regionali. Già, perché non è detto che i tre candidati a sinistra si mettano anche in lista, ma se non lo facessero sarebbero dei folli, vista la situazione: quanto meno possono portare voti aggiuntivi alla lista figurando anche come capilista. Ma è da vedere.
Intanto, con una destra che è tiepidamente litigiosa solo sull’assegnazione dei seggi (gli uscenti spingono per restare, gli esclusi della precedente consultazione scalpitano, e poi ci sono le cosiddette new entry, sicure – a loro dire – di un risultato indiscutibile e foriero di un posto a Palazzo Campanella), a sinistra continuano i grandi silenzi e i grandi proclami di “sicura vittoria”. Questi ultimi non sono altro che uno sgradito fritto misto di supponenza, arroganza e incoscienza, che giustamente non solo non infiamma i cuori (?) ma meno che meno suscita la minima attenzione dell’elettorato di sinistra, già sufficientemente incazzato.
Possibile che l’unica in Calabria che ha capito davvero tutto è la “sardina” Jasmine Cristallo? La quale ha affidato a Facebook la sua amarezza: «La vittoria della destra è responsabilità storica di chi nel campo avverso non ha saputo e voluto trovare motivi di unità e quindi, divisi, si va alla disfatta sicura. Eppure, c’erano tutte le possibilità per fare una battaglia vincente.
Ci sono in giro troppe autoassoluzioni, troppe autoreferenzialità che fanno a pugni con l’incombente, annunciata e ostinatamente voluta sconfitta e si continua a suonare sul ponte del Titanic politico incuranti dell’evidente destino di questa terra, consegnata per due volte di fila in meno di due anni.
Nessuno dei protagonisti di questa sicura disfatta si illuda che tutto sarà dimenticato o rimosso perché presenteremo il conto a chi si sarà reso colpevole della consegna della nostra Regione. Presenteremo il conto chi ha pensato a se stesso, alla propria sopravvivenza politica, alla propria affermazione personalissima e non al bene dei calabresi».
Ha ragione da vendere la Cristallo e basta sfogliare i commenti al suo post e altri commenti in rete per comprendere la lacerazione che si è verificata all’interno degli elettori di sinistra. La logica dell’alternanza (in Regione) ha lasciato il posto all’insensatezza totale, che, molto probabilmente, nasconde un’avara realtà: della Calabria, al Nazareno, e nelle stanze del potere non può fregare di meno. L’indifferenza è il sentimento più diffuso, con la colpevole assenza di iniziative da parte dei parlamentari calabresi, almeno di quelli del dem e dei Cinque stelle. Questi ultimi, che nel 2018 avevano sbaragliato ogni pur ottimistica previsione, con consensi alle stelle (era evidentemente un voto di rabbia e di dissenso contro il passato), quasi certamente dovranno accontentarsi di un modesto risultato a una cifra, insufficiente, peraltro, a garantire un seggio in Consiglio.
Se Oliverio si è sentito (ed è vero) trascurato e messo da parte dalla Direzione perché non ha radunato i suoi e i parlamentari a lui vicino e ha restituito gli incarichi? Sarebbe stato un gesto comunque clamoroso, pur se privo di conseguenze efficaci, ma decisamente preferibile a una sfida suicida contro il Nazareno. A dicembre 2019 quando Nicola Zingaretti presentò il “vittorioso sicuro” Pippo Callipo, l’allora presidente Oliverio, pur in dissenso, fece un passo indietro. Apprezzabilissimo ma inutile, visto come poi sono andate le cose elettoralmente parlando. Oggi, invece, Oliverio, con inutile e sprecata fierezza non si tira indietro ma lancia la scommessa, pur sapendo di essere un perdente di successo e con lui tutti coloro che lo stanno seguendo.
E allora? Mancano appena due settimane alla presentazione delle liste, ci vuole un gesto di coraggio (parola probabilmente di difficile comprensione al Nazareno) e azzerare tutto, imponendo – sottolineiamo – imponendo (senza la “malefica” mediazione di Francesco Boccia e Stefano Graziano) un impegno comune e unitario contro la destra (quella sì, al momento sicuramente vittoriosa). E come? Un nuovo candidato, superpartes accolto da tutte le anime della sinistra senza se e senza ma (tanto per non suggerire nomi, Anna Falcone, Enzo Ciconte, etc) e un passo indietro da parte di Luigi De Magistris, di Amalia Bruni, di Oliverio.
Uniti – recita un vecchio slogan – si vince. Ma serve chi sappia usare il collante giusto. Le soluzioni, volendo, si trovano. Ma occorre, appunto, la volontà e la capacità di decidere, cosa che l’attuale segretario dem Enrico Letta evidentemente non possiede. (s)
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