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A Lamezia celebrato il 25esimo anniversario della Consacrazione della Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano

A Lamezia celebrato il 25esimo anniversario della Consacrazione della Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano

«Auguro a questa parrocchia che oggi celebra i suoi primi 25 anni, sull’onda di San Giuseppe Artigiano, di poter lavorare sempre cercando di mettere in pratica la volontà di Dio perché la comunità possa godere del lavoro di tutti e ciò che la comunità riesce ad ottenere come assemblea dei credenti possa riversarsi, poi, come beneficio e benedizione sulla vita dei singoli».

Questo l’augurio che il Vescovo, monsignor Serafino Parisi, ha rivolto nell’omelia alla comunità della parrocchia di San Giuseppe Artigiano il primo maggio scorso, giorno in cui ricorreva il XXV anniversario della sua consacrazione.

«La Chiesa oggi – ha detto monsignor Parisi – ci dà oggi la possibilità di riflettere sul tema del lavoro” che “è dentro la Sacra Scrittura a partire dalle pagine iniziali del Libro della Genesi perché il lavoro viene presentato innanzitutto come un’attività di Dio stesso” e “come un’occasione per l’umanità di contribuire all’opera stessa del Signore” al punto che “all’interno della Chiesa il lavoro è stato considerato sempre come quella offerta all’uomo di poter esprimere se stesso, di potersi pienamente realizzare e di poter contribuire alla stessa opera creatrice».

«C’è una logica del lavoro che deve girare dentro le nostre comunità – ha aggiunto il Vescovo –, che deve animarle» e che «vuol dire, per esempio all’interno della famiglia, insegnare che la vita non è un quiz, che non si vive tentando di giocare le scommesse per il proprio futuro sulle cose che sembrano essere quelle più immediate e più redditizie. Il lavoro è anche scelta, mentalità, sacrificio» e ciò «significa mettersi, non solo sotto la volontà di Dio, ma sotto la protezione di un Dio che è provvidente. San Giuseppe questo lo può dire».

Infatti, «la figura di Giuseppe, all’interno dei Vangeli che ne parlano, è raffigurata come quella degli anawin, cioè dei poveri: letteralmente sarebbe ‘coloro che sono piegati di fronte al Signore’, cioè coloro che accettano la volontà di Dio, non in modo supino ed acritico, ma riflettendo e sapendo che mettendosi nelle mani del Signore, la vita, tutta la vita, anche se sembra incamminarsi in una strada tortuosa di sofferenza, di lavoro, di non senso, se è consegnata al Signore certamente riceverà la pienezza, la forza, la realizzazione. E questo è quello che noi vediamo nella vita di Giuseppe, che sperimentiamo nel lavoro umile, nel lavoro quotidiano, in quello che viene considerato altamente espressivo e rappresentativo e nel lavoro che serve magari di più e che viene considerato poco».

«Questa riflessione, nostra, credente, sul lavoro – ha concluso monsignor Parisi – ci porta in modo determinante a non considerare il lavoro come possibilità di realizzazione dell’uomo soltanto se il lavoro è altamente redditizio» come avviene oggi guardando, «a volte quasi unicamente, al lavoro che rende di più».

Il lavoro, quindi, «come capacità di realizzazione personale, di sostentamento onesto per la persona e per la famiglia», senza perdere di vista che «noi non siamo chiamati a lavorare per noi stessi, ma siamo chiamati a lavorare per gli altri, per la comunità, per la collettività ed il lavoro che io faccio per gli altri ricadrà anche su di me, me ne avvantaggerò» anche se da “un punto di prospettiva e di orientamento che è totalmente diverso».

Da qui la sottolineatura: «Se nella politica funzionasse così, avremmo una Calabria grandiosa. Se incominciassimo a dire lavoriamo per gli altri, quello che è vantaggio per gli altri diventa anche nostra forza». (smg)