di PINO CINQUEGRANA – La storia dello scultore Michele Zappino è fortemente legata al mondo contadino dell’area del Poro (nella provincia di Vibo Valentia) terra basiliana, dove ancora antiche tradizioni popolari raccontano storie multiple di grotte ed eremiti, di leggende e magie, della coltivazione dei grani e degli allevamenti di bestiame, dell’artigianato sotto il vigile sguardo della Madonna della Neve, l’immagine acheropita a cui la gente di Zungri quanto lo stesso artista Zappino sono fortemente devoti.
Ancora studente viene notato dal professor Reginaldo D’Agostino che sarà il gancio per coinvolgere la famiglia, bisognosa di braccia nella terra, a farlo proseguire negli studi artistici presso l’Accademia delle Belle Arti. Zappino si trasferisce quindi a Milano dove segue a Brera i corsi di scultura di Francesco Messina, dimostrando una forte capacità artistica. Questa città culturalmente ricercata darà al grande maestro del bronzo continui stimoli nelle ricerche figurative ed oggi è tra i più grandi ritrattisti viventi.
A Zungri, una viuzza conduce verso il cortile dove bassorilievi di porte di cattedrali introducono al grande laboratorio esaltato dalla grande sala espositiva di opere religiose, mezzibusti, torsioni di animali, cavalli in particolare, figure religiose. Alle pareti progetti e disegni raccontano l’idea prima che questa prende forma e diventi monumento. L’emigrazione è uno dei temi a lui cari la cui narrazione è posta nel centro di Zungri vicino al calvario del paese con un Cristo contadino per le sue forme fortemente umane fortemente cariche di dolore per le grandi fatiche.
Di recente ha posto in essere il calvario a Mesiano di Filandari alla presenza del Vescovo della diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea, S. E. Attilio Nostro che ha benedetto il trittico composto da San Giovanni, Maria e il Cristo crocefisso. Una rappresentazione scenica nata per volontà della gente del paese e dal contributo di diversi imprenditori. Un grande appuntamento sottolineato dalle parole del sindaco Concettina Fuduli, e da altri intervenuti moderati dal giornalista Franco Pagnotta.
L’opera presenta un Cristo sofferente i cui chiodi in ferro fanno percepire i colpi assestati alla crocifissione perforando i polsi del Figlio di Dio coronato di una corona di spine che l’autore ha realizzato con chiodi intrecciando le settantadue punte che si vuole abbiano segnato a sangue l’Unigenito.
Da notare il legame del legno verticale con quello orizzontale che nel centro forma una lettura numerica dei dadi – il numero 4 – di riferimento alle quattro parti in cui il drappello dei soldati romani si divise le vesti del Crocefisso lasciando intatta la tunica. Una narrazione scultorea che l’artista ha voluto concretizzare secondo letture evangeliche invitando ognuno a sapere stare sotto la croce nella speranza, nel silenzio della meditazione ponendo al centro dell’offerta il proprio cuore proprio come Maria e Giovanni. (pc)