di NINO MALLAMACI – La Calabria, per fortuna, non è solo quella descritta dall’attore americano Stanley Tucci, padre di Marzi (CS), madre di Cittanova (RC): corrotta e mafiosa. È anche questo, e chi la assolve in toto non fa il bene della nostra regione. Tuttavia, ogni qual volta se ne ha l’occasione, bisogna pure dare il giusto risalto a notizie e persone che ne esaltano altri aspetti, certamente positivi.
Ce ne offre l’occasione Pietro Giovanni Panico, nato a Reggio Calabria da genitori reggini nel 1990 e vissuto a Cosenza fin da piccolo per esigenze lavorative della sua famiglia. Pietro ha vinto il “Premio giornalistico nazionale Marco Toresini” con l’inchiesta La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite. La premiazione avverrà il 22.10.2022 a Orzinuovi, in provincia di Brescia. La Giuria ha motivato la scelta nei seguenti termini, davvero lusinghieri per il giovane calabrese: «Tema interessante, articolo coraggioso e rigoroso di elevato valore giornalistico; eccellente stesura giornalistica, grande valore etico e sociale del testo».
Pietro Panico è consulente legale specializzato in protezione internazionale ed in diritto dell’immigrazione, si occupa di migranti e della loro tutela. È anche giornalista freelance, con collaborazioni con Melting Pot Europa e Dossier Libia: ha scritto inchieste sui traffici di armi, sulla mafia libica, sui minori stranieri non accompagnati e sul conflitto in Yemen. Collabora con Frontiere News ed è stato coautore del “Manuale di sopravvivenza per il minore straniero non accompagnato (e il suo tutore)”, edito da Melting Pot Europa in collaborazione con Welcome to Europa. Il Manuale è molto utilizzato nel nostro Paese, ma è arrivato anche dall’altra parte del mondo, in Australia Manuale di per il minore straniero non accompagnato. Scrive per Melting Pot Europa focalizzando l’attenzione su migrazioni, minori stranieri non accompagnati e accordi tra Stati europei e africani.
L’inchiesta per la quale riceverà il premio lo ha condotto nei porti italiani del nord Italia per sei mesi, dove ha conosciuto camalli spagnoli, toscani e soprattutto genovesi. Proprio sulla battaglia dei portuali genovesi contro l’attracco delle navi saudite che portano armamenti da impiegare in Yemen si focalizza questo lavoro del giornalista. Un lavoro che vale la pena di conoscere più a fondo.
Nei moli di Genova transitano navi saudite cariche di armi. Ufficialmente, l’Italia ha revocato l’esportazione di armamenti verso l’Arabia Saudita, permettendo però che le navi attracchino nei propri porti.
Di fatto viene aggirato il vincolo e le armi raggiungono contesti di guerra, lo Yemen in primis. Le organizzazioni dei portuali genovesi non sono disposte a collaborare con questo traffico di morte e si stanno rifiutando di operare sui carichi di navi battenti bandiera saudita.
Il porto di Genova è il 31° al mondo per il grado di connettività alla rete logistica globale, è il più grande d’Italia e ha il maggiore traffico merci del Paese. A beneficiare del porto di Genova, come di altri porti europei col beneplacito dei Governi, c’è anche la compagnia saudita Bahri e le sue sei navi adibite al trasporto di armi, che vengono impiegate anche nello Yemen. Qui, nel solo anno 2018, gli attacchi aerei e quindi le bombe hanno causato la maggior parte delle morte dei civili: 3.820 vittime (79% delle morti totali), tra cui 952 bambini e 581 donne.
Panico afferma che la guerra comincia in Occidente: la Francia, grazie all’apporto della Bahri, nel 2020 ha venduto armi all’Arabia Saudita per circa dieci miliardi di euro. Dal Paese d’Oltralpe partono anche agenti per la “guerra chimica”, che nello stesso periodo hanno fruttato 83.245.000 euro. La Spagna nel 2019 ha venduto armamenti all’Arabia Saudita per 392.795.258 euro. “Pur di piegarsi ai principi sauditi, il governo spagnolo viola la posizione comune 2009/944/Pesc”.
In Italia, invece, si aggira il divieto di export di armi verso l’Arabia Saudita con uno stratagemma: le armi non vengono vendute, ma le navi che le trasportano hanno libero passaggio.
Ma il Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali) non ci sta. I lavoratori stanno conducendo una battaglia per sabotare gli ingranaggi, apparentemente indistruttibili, di questo mercato che collega il capoluogo ligure alla capitale saudita. Nel maggio 2020, i portuali genovesi si sono rifiutati di caricare sulla Bahri Yanbu due casse con all’interno i generatori elettrici della Defence Tecnel di Roma, talvolta utilizzati nelle operazioni belliche.
Le proteste dei portuali hanno portato ad un’inchiesta, da parte della Procura di Genova, che vede cinque indagati per “associazione per delinquere”. Addirittura, i lavoratori sono stati oggetto di perquisizioni nelle loro abitazioni da parte della Digos. Sono stati sequestrati cellulari, computer, hard disk, documenti politici; ad alcuni di loro anche caschi, bandiere e adesivi. Al porto, dove i malcapitati sono stati condotti dopo l’azione nelle loro case, «c’erano circa sessanta poliziotti, tutta la Digos di Genova, artificieri, la scientifica, la cinofila, il pm. Sembrava una maxi operazione di polizia di quelle che a Genova non si vedevano da vent’anni. Non potevamo parlare tra di noi e ci hanno sequestrato i cellulari: non potevamo neanche comunicare con i nostri avvocati. Di fatto, siamo stati in arresto otto ore», hanno testimoniato. Alla fine l’accusa della procura è stata associazione a delinquere finalizzata alla resistenza a Pubblico Ufficiale e all’attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti. Nell’inchiesta è finita anche l’accensione di fumogeni.
L’asse Roma-Riyad si è di recente addirittura rinsaldato con la firma del Memorandum of understanding firmato dal ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e quello saudita Faisal bin Farhan al-Saud. Di aziende italiane presso l’Arabia Saudita ce ne sono una cinquantina: il memorandum sembrerebbe quindi un ampliamento dei rapporti, non un ridimensionamento.
La sensazione è che ai sauditi, nonostante la pericolosità di armare un governo così belligerante, nessuno vuole rinunciare: immediatamente dopo lo stop all’export di armamenti firmato dall’allora premier Giuseppe Conte, RMW ha fatto ricorso: a maggio 2021, però, il Tar del Lazio ha confermato il blocco.
Altra questione trattata nell’inchiesta è quella della sicurezza del porto di Genova. Un lavoratore spiega che “è grande il rischio di incappare in un’esplosione come quella del porto di Beirut (il 4 agosto 2020 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio esplosero in una nave abbandonata uccidendo 214 persone e ferendone altre 7.000). Basta una distrazione, una vite messa male, senza considerare che nella Bahri ci sono dei container con una portata di trenta tonnellate con all’interno esplosivi, materiale infiammabile e proiettili. In un caso come questo basterebbe che cadendo un piedino da stiva buchi il tetto e faccia la scintilla. Altro che Beirut…”.
I portuali affiliati al Calp sono inoltre preoccupati per il progetto di rinnovo dell’area portuale, che sposterebbe la zona del petrolchimico di Pegli all’interno del porto, aumentando a livello “esponenziale” il rischio di esplosione. Pur consci del problema, «le autorità ci hanno detto che c’è un interesse sovranazionale e quindi non si può intervenire a bordo di queste navi».
E gli operai portuali? Lavorano in sicurezza? La difficoltà del lavoro è aggravata dal contesto burocratico. Il porto di Genova è gestito da tredici aziende diverse, ognuna con un suo Documento di Valutazione dei Rischi. Sarebbero necessari standard generalizzati, in modo che lo scoppio di un incendio in un terminal possa essere affrontato in maniera consapevole anche in quelli vicini.
Insomma, Pietro Panico, il nostro conterraneo, ha scavato a fondo e con coraggio con un lavoro lungo e paziente che merita di essere letto per intero, così come ampiamente testimoniato dalla motivazione per il premio che si appresta a ricevere. Sia pure sconcertati da quello che accade nei porti italiani ed europei, dalle notizie su armi che vanno ad accrescere arsenali già enormi utilizzati in aree del pianeta, è il caso di dire, esplosive, non possiamo che essere fieri dei nostri ragazzi che si fanno valere oltre i confini regionali migliorando la reputazione della Calabria e dei Calabresi. (nm)