di MIMMO NUNNARI – Non è vero che non è successo niente in queste ultime elezioni europee. Non è vero che i risultati rispecchiano i sondaggi, e che tutti – come prassi italiana – hanno vinto, o meglio hanno detto di aver vinto, meno Conte e i 5 Stelle, per i quali è evidente che, insieme a candidature deboli, si è esaurita quella spinta propulsiva avente come riferimento ideologico il “Vaffa” di Beppe Grillo.
Il voto del Sud non è stato ben e attentamente analizzato da politici e analisti, ancor meno dai media nazionali, se si eccettua una seria riflessione di Isaia Sales su la Repubblica, che considera il voto meridionale, ma soprattutto il non voto – la cosiddetta astensione – come un avvertimento per Meloni e un insieme di suggerimenti per Elly Schlein. Nel Sud e nelle isole il voto va detto con chiarezza che non premia la maggioranza di Governo.
Non lo premia perché questo Governo non ha un programma per il Sud. Continua a togliere risorse al Sud e assecondare progetti penalizzanti: mortali per il Meridione, come l’Autonomia differenziata. Che si potrebbe pure fare, ma solo il giorno in cui le disuguaglianze tra Nord e Sud saranno completamente eliminate, il gap colmato.
C’è, per la coalizione di centrodestra, solo il dato super positivo di Forza Italia in Calabria che, però, oltre che rafforzare la leadership del presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto, lo carica di responsabilità.
Se Forza Italia non farà fallire il progetto dell’Autonomia differenziata, perché i tempi come detto non sono quelli giusti, il credito dell’elettorato meridionale, calabrese in particolare, sfumerà in un battibaleno e a Occhiuto alla prima occasione sarà presentato il conto, e anche ad Antonio Tajani che nel Sud ha trovato la sua roccaforte elettorale: il 17, 9 % mentre in Lombardia (casa madre Forza Italia) è al 9,3 %.
Quel che non è stato analizzato abbastanza o quantomeno lo si è fatto con vecchie consunte categorie interpretative è che il dato dell’astensionismo non può essere archiviato col solito refrain della disaffezione, dell’indifferenza, della nausea verso il sistema politico in declino, della mancanza di fiducia nei partiti. Merita, invece l’astensionismo meridionale, una specifica riflessione, se solo il 43,73% ha votato nel Sud continentale e il 37,31% nelle isole.
Che significa? Bisogna chiederselo scendendo in profondità nel sentimento e nell’umore dell’elettorato, e tentare di capire. Più che astensione, intesa come atteggiamento tradizionale del partito del non voto, questa volta è altro. È reazione, non è passività. È disubbidienza: l’inizio di una disubbidienza civile al Sud che può assumere in prospettiva anche forme tra le più imprevedibili e disparate [esplosive] che possono portare a perdere la pazienza nella popolazione meridionale. Come auspicava nella sua ultima intervista, sul tema del Mezzogiorno, il sociologo Domenico De Masi: «Il Sud finora è stato fin troppo paziente, dovrebbe invece avere il coraggio di perderla la pazienza».
L’astensione delle europee intesa come disubbidienza è forse l’inizio di una fase nuova in cui il Sud comincia a perdere la pazienza? Non lo sappiamo, ma i partiti debbono cominciare a tener conto che nel futuro del Sud potrà esserci la disobbedienza civile, come forma di difesa dei diritti da lungo tempo [un secolo e mezzo] negati. Obbedire, in una società democratica, è prima di tutto un dovere. Anche votare è un dovere, non un obbligo però, intendiamoci.
Tuttavia, ci sono situazioni in cui la disobbedienza diventa un valore anche se in qualche caso specifico va contro la legge. Disobbedire, contro il progetto padano di Autonomia differenziata in qualunque forma meno che violenta è un valore, una forma di rispetto per la Costituzione finora non ancora applicata alla stessa maniera in tutti i territori nazionali. Per ora la violenza, discutendo sul tema vitale dell’unità del Paese la usano in Parlamento: una cosa indecorosa, testimonianza del livello basso raggiunto dalla classe parlamentare.
Se guardiamo alla storia troviamo casi di disobbedienza che sono diventati “legittimi”, agli occhi del mondo, per giuste cause. Si pensi alle “disubbidienze” di Gandhi o di Martin Luther King. O alle disubbidienze al nazifascismo, alle leggi razziali, ai regimi coloniali. Sono tutti esempi fulgidi di chi ha disubbidito alle regole, e non si fa fatica a comprendere le ragioni di quelle disubbidienze.
Rimane da stabilire, e non è cosa di poco conto, in che modo si possa valutare la consistenza e la bontà di una causa per cui disobbedire. Sembra ovvio che la cosa prioritaria sia verificare che la disobbedienza abbia una buona motivazione sostanziale: ovvero che sia fatta per una ragione valoriale significativa.
Domanda? Disubbidire per respingere il progetto di Autonomia differenziata ha una buona base di motivazione sostanziale? La risposta che viene dall’astensionismo meridionale sembrerebbe dire di sì. (mnu)