LE TERRE RARE DI CALABRIA MINIERE DI
OPPORTUNITÀ DI RICERCA SCIENTIFICA

di EMILIO ERRIGO – Sono in tanti coloro che vedono nelle attività di bonifica e recupero ambientale dei sedimenti marini, acque di falda, portuali e suoli contaminati da metalli pregiati, miniere di opportunità di studio e ricerca scientifica applicata.

Che le terre della Calabria siano notoriamente ricche di metalli pregiati, forse anche con possibilità di presenza di terre cosiddette rare, non è una invenzione. Le miniere pluri metallifere delle fiumare calabresi, non disgiunte dagli ex giacimenti sotterranei, di ogni bene che madre natura ha donato alla Calabria, (Antiche Miniere Reali di Mongiana, Stilo, Pazzano, Serre e Bivongi) sono storicamente realtà e verità, che oggi sono ritornate ad essere oggetto di studi e ricerche, anche scientifiche, da parte di coloro che mirano a valorizzare gli elementi metallici presenti in buona quantità nelle terre del Marchesato di Crotone e sedimenti di molte aree terrestri, dei fondi e sottofondi marini di Crotone e dintorni.

Non si dimentichino le miniere argentifere un tempo coltivate e sfruttate da Austriaci e Tedeschi, già a partire dal fine ‘700, per i loro contenuti pregiati, presenti in numerosi siti delle quattro province della Calabria.

Giunge notizia che alcuni Istituti di Ricerca Scientifica e Ambientale, siano da tempo impegnati anche sul territorio minerario della Calabria, per censire e catalogare geologicamente, il consistente patrimonio storico minerario ed ex industriale mettallifero e chimico.

L’attenzione crescente parrebbe interessare soprattutto le aree contaminate dai residui dei processi di produzione industriali, presenti storicamente in grande quantità, che dovranno essere bonificate dai metalli pesanti, tenorm, miscele di amianto, solfuri argentiferi e altri residui interessanti per fini di impiego industriali.

Nei mesi e giorni trascorsi, si sono visti a Crotone, studiosi di diverse università e del mondo accademico, dialogare su come valorizzare quelle minime o molte parti residuali delle sostanze metallurgiche e chimiche che potrebbero essere presenti nei suoli contaminati da bonificare e sedimenti sottomarini da caratterizzare e dragare.

Certo, se la scienza applicata alle realtà complesse di Crotone potesse rivelarsi interessante da parte dell’industria ci sarebbe da prendere sul serio come delle vere e proprie miniere di opportunità scientifiche ed economiche, sia per il territorio di Crotone e della Calabria.

In buona sostanza si potrebbe pensare, volendo essere clementi con i ricercatori e la scienza applicata, che se i residui dei processi di produzioni industriali metallurgici e chimici, di Pertusola, Agricoltura, Sasol e Fosfotec, si sono dimostrati contaminanti pericolosi per la salute dei lavoratori delle industrie e gli abitanti, l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, marini e terrestre di Crotone e aree contermini, seguendo i ragionamenti degli studiosi e ricercatori scientifici del mondo universitario, gli stessi contaminanti industriali chimici e metallici, se estrapolati e valorizzati quali materie prime, sono loro stessi una vera opportunità economica e sociale per Crotone e la Calabria intera.

Interessi stranieri per le terre rare e pregiate della Calabria, volesse il buon Dio.
Se sarà così chi vivrà vedrà! (ee)

[Emilio Errigo è commissario straordinario per la Bonifica Sin Crotone-Cassano-Cerchiara]

LA CALABRIA, NON È UNA REGIONE PER LE
DONNE, TRA DIVARIO E DISOCCUPAZIONE

di MARIAELENA SENESE e  ANNA COMI Per fare uscire le donne dal limbo lavorativo nel quale si trovano è necessario promuovere la stabilità lavorativa e sostenere la conciliazione fra vita e lavoro. Le donne in Calabria sembrano condannate a svolgere lavori precari e discontinui. Quello che serve invece, è una regione più forte ed inclusiva e per raggiungere questo risultato tutto passa, inevitabilmente, dalla compiuta parità di genere.

Per favorire la crescita di quella giustizia sociale così difficile da raggiungere per le donne calabresi, siamo pronti a proporre un’agenda di interventi mirati per affrontare queste disparità e promuovere una Calabria più equa e competitiva.

In Calabria, meno di 1 donna su 3 in età lavorativa ha un’occupazione regolare. Il tasso di occupazione femminile è stabilmente inferiore al 35%, contro una media nazionale che si attesta intorno al 50%, e ben distante dai valori europei che superano il 60%. Questo dato colloca la Calabria tra le regioni peggiori in Europa in termini di inclusione femminile nel mercato del lavoro.

Per questo chiediamo misure concrete per abbattere le barriere di genere e creare un mercato del lavoro più in linea con quello europeo, quali: incentivi fiscali per l’assunzione di donne che si concretizzino in agevolazioni fiscali e sgravi contributivi per le imprese che assumono donne, specialmente nelle aree rurali e nei settori dove le disparità di genere sono più marcate.

In Calabria, la maggioranza dei contratti femminili è a termine o part-time involontario. Le donne calabresi, più degli uomini, sono costrette ad accettare occupazioni a tempo ridotto non per scelta, ma per mancanza di alternative a tempo pieno. Questo fenomeno accentua la fragilità economica femminile, riduce la possibilità di accumulare contributi per la pensione e amplia il divario di reddito tra uomini e donne. E quando le donne calabresi riescono a trovare un’occupazione, i loro salari sono mediamente inferiori di circa il 30% rispetto ai colleghi uomini.

Oltre alle difficoltà di accesso e permanenza nel mercato del lavoro, sulle donne calabresi grava quasi esclusivamente il peso del lavoro di cura familiare, che continua a essere invisibile dal punto di vista economico e previdenziale. Oltre il 70% delle donne calabresi inattive dichiara di non poter cercare lavoro a causa di impegni familiari e di cura.

Per superare questo divario allarmante e insopportabile, poi, è opportuno il sostegno concreto alla conciliazione vita-lavoro che può essere ricercato solo attraverso l’ampliamento della rete di servizi di supporto per le famiglie e voucher per l’assistenza privata, con l’incentivazione del telelavoro e della flessibilità oraria per le dipendenti madri, offrendo vantaggi alle aziende che adottano queste misure, per rendere il lavoro femminile più compatibile con le esigenze familiari.

Come sarebbe importante sostenere la concretizzazione, lavorativa e previdenziale, della figura del caregiver. La Regione deve investire nell’espansione e nel potenziamento dei servizi di Assistenza domiciliare integrata, garantendo un maggiore accesso a professionisti sanitari a domicilio, in modo da supportare i caregiver nella gestione di malattie croniche e nella somministrazione di terapie; servizi di sollievo, che prevedano l’intervento di assistenti sociali o operatori sociosanitari per alcune ore al giorno o alla settimana, in modo da permettere ai caregiver di avere del tempo libero per sé. La riforma del welfare regionale deve passare anche da qui: dal riconoscimento e dal sostegno a chi si prende cura dei più fragili.

Senza dimenticare la necessità di accelerare la realizzazione di nuovi asili nido, al fine di allineare la Calabria alla disponibilità di posti della media nazionale. Dobbiamo ricordare che nella nostra regione meno di un comune su 5 offre il servizio, a fronte di una media nazionale del 59,3% molto al di sotto della media nazionale che è pari al 27,2% e dell’obiettivo del 33% stabilito in sede Ue, e che il Pnrr stanzia una enorme mole di investimenti per gli asili nido e le scuole per l’infanzia.

Sarebbe determinante potenziare il sistema di welfare regionale, attraverso contributi aggiuntivi per le famiglie e sostegno economico alle lavoratrici, in modo da ridurre il rischio di ritiro dal mercato del lavoro per ragioni economiche.

Così come, infine, sarebbe decisivo promuovere finanziamenti e microcredito per l’imprenditoria femminile, per sostenere le donne che desiderano avviare nuove attività, soprattutto in settori tradizionali e innovativi, come il turismo e l’artigianato, capaci di svincolare le donne da quegli ambiti, come la cura delle persone o la scuola, che ne hanno storicamente contraddistinto l’impegno lavorativo. La parità di genere non è solo una questione di giustizia, ma un motore per la crescita economica e sociale della Calabria. Offrire pari opportunità alle donne significa costruire una Calabria più forte, inclusiva e innovativa. (ac e ms)

[Mariaelena Senese e Anna Comi sono rispettivamente segretaria generale Uil Calabria e Responsabile Coordinamento pari opportunità
Uil Calabria]

LA LOCRIDE È TURISMO: MA SERVE UNITÀ E
SINERGIA PER PROMUOVERE IL TERRITORIO

di ARISTIDE BAVANei vari appuntamenti turistici in campo nazionale e internazionale vengono messe in risalto molto spesso le potenzialità della Calabria, e della Locride in particolare, che – ormai è un vecchio ritornello – necessità di maggiore attenzione da parte degli organismi istituzionali.

Non ci vuole molto per mettere a fuoco il grande patrimonio archeologico locrideo  ben degno di far parte di un apposito (e nuovo)  itinerario turistico che potrebbe portare alla scoperta di questa area ricca di storia e tesori archeologici.

L’obiettivo sarebbe scontato: promuovere e far meglio conoscere le bellezze della Magna Grecia in uno con le testimonianze romane, per stimolare i turisti a venire a vedere le preziose tracce storiche del territorio e ricordare che Locri e la Locride ospitano siti archeologici di grande rilievo.

Una proposta, che dovrebbe, però, essere suffragata da un qualcosa in più che nel passato è mancata e che, seppure scontata, potrebbe nell’immediato fare la differenza malgrado tante precarietà che il territorio si porta appresso e che quotidianamente vengono denunciate soprattutto dagli operatori turistici.

Ovvero la necessità che la promozione del grande patrimonio esistente nella Locride  deve avere più forza per la loro valorizzazione attraverso un discorso “unitario” che interessi tutto il territorio. Non è una novità, anche perché lo stesso Gal Terre Locridee, tempo addietro, ha presentato una proposta progettuale  includendo visite guidate ai principali siti archeologici della zona e percorsi tematici pensati per coinvolgere turisti e cittadini. Il tutto “abbracciando” l’intero territorio. 

I “tesori”, nella Locride, d’altra parte non mancano, dalla Villa Romana di Casignana al Naniglio di Gioiosa Jonica, agli scavi di Locri all’anfiteatro di Portigliola o allo stesso Museo di Monasterace, luoghi principali d’interesse più conosciuti ma non i soli presenti sul territorio. La Locride in effetti, può offrire un’offerta integrata di grande respiro che faccia vivere ai turisti un percorso generalizzato che non si limiti ad un singolo luogo ma offra una visione d’insieme del suo patrimonio storico.

Se si riesce a fare questo si può attirare un turismo sempre più ampio e diversificato, per fare della Locride una destinazione culturale di riferimento e nello stesso tempo – altro particolare da non sottovalutare – coinvolgere i cittadini, soprattutto i più giovani,  ad avere una maggiore consapevolezza del proprio patrimonio culturale,  stimolandoli a coltivare le radici di una crescita turistica che possa durare nel tempo.

D’altra parte Archeologia e turismo, da sempre costituiscono per molte zone del nostro Paese un importante binomio e un autentico toccasana per produrre economia in un settore  che rimane  trainante. Viene da chiedersi perché in confronto ad altre Regioni e in altre zone dove le due cose hanno portato economia, lavoro e ricchezza, nella Locride questo binomio ancora non funziona per come dovrebbe.

Il territorio, è innegabile, annovera al suo interno siti di straordinario interesse, due Musei, quello di Locri e di Monasterace che contengono reperti di indubbia importanza storica, resti antichi sparsi in molti angoli, il Musaba, struttura artistica all’avanguardia ed ancora una miriade di strutture di notevole pregio sparpagliate nei suoi tanti borghi antichi.

Un patrimonio immenso che, però, non riesce ad assolvere quello che dovrebbe essere il suo compito principale, ovvero richiamare flussi  reali e continui di turisti. Quelli veri, per intenderci.

Chissà se cambiando strategia e lavorando in maniera unitaria non si convincano anche gli organismi superiori a guardare con maggiore interesse alla necessità di risolvere i problemi che penalizzano il territorio? Giriamo la domanda anche ai sindaci che continuano ad essere ancora molto assenti. (ab)

CAMERA DI COMMERCIO REGGIO 2020-24
LA CITTÀ È ORGOGLIOSA DEI RISULTATI

di SANTO STRATI – È racchiuso nell’acronimo “Smart” lo straordinario percorso che la Camera di Commercio di Reggio ha marcato per giungere a un risultato lusinghiero del mandato 2020-2024. Smart nell’accezione inglese significa”intelligente”, ma nell’acronimo scelto dall’indiscutibilmente eccellente presidente Ninni Tramontana racchiude le parole chiave di questo successo camerale: Sinergia, Missione, Ascolto, Resilienza, Transizione. Là dove la sinergia esprime la capacità di fare rete e coinvolgere tutto il mondo produttivo per costruire un futuro di sviluppo e crescita.

Non sono state sempre scelte facili – ha detto il Presidente Tramontana, illustrando con la Segretaria generale Natina Crea, il soddisfacente bilancio del suo mandato. «Un mandato – ha detto Tramontana –  sicuramente iniziato in salita per la crisi pandemica che un po’ tutti ci ricordiamo però , ma che ha visto la Camera protagonista vicino al mondo delle imprese e quindi al territorio. Abbiamo cercato di sostenere le aziende in tutti i modi, puntando su delle linee strategiche che ci siamo dati. E specificamente guardando all’innovazione e alla digitalizzazione delle imprese, senza trascurare l’internazionalizzazione delle stesse: abbiamo spinto tanto sulle filiere produttive, sui nostri giovani e quindi sull’orientamento al lavoro. Questi sono stati diciamo i driver che hanno un po’ accompagnato tutto questo nostro mandato».

Un enorme lavoro con ««più di 7 milioni di euro investiti e tante attività e servizi che rivolgiamo alle imprese, ovviamente di accompagnamento con i Digital promoter e con il piano Export». E a questo proposito vale ricordare che dal 2019 a oggi l’export del territorio della Città metropolitana è cresciuto oltre l’83 per cento «e qui – ha sottolineato Tramontana – ci siamo inseriti esercitando un ruolo di leader e quindi di accompagnamento alla propensione dei nostri imprenditori verso la ricerca di nuovi mercati».

Il Presidente Tramontana ha ricordato la gestione di oltre 200mila pratiche nel corso di questi cinque anni «e quindi un lavoro enorme che sta a significare questo nostro impegno e questa nostra propensione a cercare di dare sempre più stimoli e stare sempre più vicini ai nostri imprenditori, rendere le nostre imprese più competitive affiancarle e proiettarle su altri mercati e quindi se stiamo a fianco alle nostre imprese ai nostri imprenditori vuol dire che crediamo a tutto quello che il nostro territorio può offrire che è veramente tanto».

È un ruolo determinante per lo sviluppo del territorio quello demandato alle Camere di Commercio che non sono più – da tanto tempo – polverosi uffici dover giacevano i “certificati di nascita” delle imprese e dove si presentavano i bilanci: oggi l’innovazione ha richiesto un diverso impulso alla motivazione dell’imprenditoria, per stimolare non solo la crescita di nuove aziende ma favorirne la vocazione innovativa e tecnologicamente avanzata. Gli strumenti ci sono e i risultati raggiunti dalla Camera di Commercio reggina fanno scuola in tema di digitalizzazione delle aziende e l’utilizzo di tecnologie in grado di migliorare i servizi offerti, incrementare le relazioni con la clientela (customer relationship) implementare il valore aggiunto che deriva dall’opportunità di fare rete e di guardare all’export senza più timori e preoccupazioni. Del resto se da solo il Bergamotto di Reggio Calabria traina con numeri straordinari le cifre dell’export agroalimentare della Regione, non vanno trascurate le grandi prospettive di crescita di tutto il comparto, includendo il vino e l’olio.

Su questo Tramontana ha potuto mostrare i galloni guadagnati sul campo: «Abbiamo cercato di creare sul territorio tutte quelle sinergie utili per affrontare poi determinate sfide. L’abbiamo fatto insieme a tutte le categorie professionali e a tutte le associazioni di categoria portando avanti progetti importanti di filiera, progetti iconici come per esempio Bergarè che parla di tutta la filiera bergamotticola, ma anche il progetto legato alla metalmeccanica. Stiamo costruendo insieme ad un leader mondiale come Hitachi tutto un sistema, un indotto. Tante aziende si sono avvicinate e da qui a breve mi auguro diventeranno fornitori anche di Hitachi».

Il mandato è finito, ma non è detto che non possa continuare: nelle prossime settimane il Consiglio della Camera di Commercio già rinnovato per almeno il 40% sarà insediato previo decreto del Presidente Occhiuto. Tramontana, il cui nome è stato indicato nei mesi passati quale probabile candidato per le elezioni comunali del prossimo anno, in realtà più che alla politica  (che continua a essere una sua segreta passione e non ha mai scartato l’idea di fare il sindaco)  adesso pensa all’Ente camerale che lo ha visto protagonista di un successo che fa scuola: «mi piacerebbe – ha detto – proseguire e continuare queste sfide in continuità con il solco tracciato, ma questa ovviamente è una decisione che spetta al Consiglio e ai consiglieri designati dalle categorie».

Intanto, si gode i meriti di un successo della scelta di innovazione della Camera di Commercio, ma non trascura di mettere in evidenza il suo ruolo nella promozione di Reggio Capitale della Cultura 2027: «È stata un’esperienza veramente entusiasmante far parte di quel nucleo di persone che hanno rappresentato al Ministero della Cultura qualche settimana fa la nostra città con tutte le sue positività. Sicuramente Reggio – ha detto sorridendo – è tra le favorite, rispetto alle altre città: noi abbiamo veramente tanto da raccontare, e anche una solidità degli investimenti che nel 2027 e oltre andranno a realizzarsi. Quindi secondo me abbiamo tutte le carte in regola per poter ambire a questo risultato. Su questo resto abbastanza fiducioso anche perché l’audizione secondo me è andata bene». (s)

UNA METROPOLITANA LEGGERA CAPACE DI
UNIRE I TERRITORI CON COSENZA E UNICAL

di FRANCO BARTUCCI – «Una metropolitana leggera in grado di unire davvero i paesi del litorale tirrenico, e di unire il Tirreno Cosentino all’università di Arcavacata e al capoluogo Cosentino, implementando anche il trasporto per e dall’aeroporto di Lamezia Terme. Un progetto ormai improrogabile e mai concretizzatosi negli anni».  A rilanciare l’idea di un mezzo di trasporto veloce di massa, anche in chiave turistica è stato il sindaco del comune di San Lucido, Cosimo De Tommaso

«Può esser gratuita per i fruitori perché utilizzerà le linee e l’impiantistica già presente sul territorio costiero e nell’attraversamento verso Cosenza e l’Università. Serve – ha proseguito il primo cittadino – ad unire i territori, evitando in realtà di isolare delle zone, anche dell’entroterra nepetino e della Riviera dei Cedri, che hanno difficoltà ad usufruire del diritto alla mobilità.  Finora, alcuni fattori e delle diversità di veduta hanno rallentato l’iter, ma l’opera è perfettamente realizzabile, risulta sostenibile dal punto di vista ambientale, e può definitivamente rilanciare la costa tirrenica, il capoluogo bruzio e la Calabria tutta».

De Tommaso ha poi proseguito: «Questa idea, gode già del sostegno di molti sindaci del territorio, è aperta a quanti vorranno sostenerla in un tavolo istituzionale con la Regione Calabria e la Provincia di Cosenza in prima battuta, ed è priva di colori politici e di primogeniture».

«La realizzazione di una metropolitana leggera – ha sottolineato il sindaco di San Lucido – consentirebbe anche a tantissimi abitanti della provincia di Cosenza di recarsi nelle località del Tirreno Cosentino con facilità e per tutto l’anno, incrementando le presenze nei nostri comuni, e darebbe la possibilità a lavoratori, studenti, e cittadini di recarsi a Cosenza, Università della Calabria, nell’hinterland, con facilità».

«Inoltre – grazie a questa opera – si devono realizzare collegamenti, anche con bus e navette, verso l’aeroporto di Lamezia Terme. Anche l’aspetto legato alla sicurezza è nevralgico. Le arterie stradali non sono più adatte e sicure per un’alta percorribilità, soprattutto nei mesi estivi. Una metropolitana leggera serve a decongestionare il traffico e se attiva anche di notte, specialmente in estate, si eviterebbero molti incidenti stradali, e sarebbe un mezzo utilizzato dai giovani per spostarsi in sicurezza.  Dalla SS.18, alla Statale 107, fino ai collegamenti ferroviari, è evidente che persistono delle carenze strutturali e logistiche che incidono negativamente, è innegabile. Non dobbiamo puntare il dito alimentando inutili polemiche nè possiamo aspettare la manna dal cielo».

De Tommaso ha concluso dicendo: «Serve un’idea radicale sia nel settore dei trasporti che in quello turistico, che sia fattibile e che non resti nel cassetto dei sogni. Auspico il coinvolgimento dei sindaci e degli amministratori di tutto il litorale al fine di realizzare quest’opera di elevata capacità molto simile alla classica metropolitana, di cui conserva le caratteristiche di totale separazione o assenza di interferenza con altri sistemi di trasporto».

Una proposta intelligente e fattibile che si sposa perfettamente con l’idea progettuale della “Grande Cosenza”, legata alla nascita dell’Università della Calabria, ch’ebbe nel suo primo Rettore Beniamino Andreatta il suo “testimonial” primario insieme al prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali, che guardavano con interesse a degli insediamenti universitari proprio nell’area di San Lucido.

La metropolitana leggera del Tirreno proposta dal Sindaco di San Lucido ha radici nella nascita dell’Unical

Nel 1971 con la scelta di insediare la nascente Università della Calabria a Nord di Cosenza, sui territori dei comuni di Rende e Montalto Uffugo, nella relazione tecnica allegata alla delibera adottata dal Comitato Tecnico Amministrativo (giugno/luglio 1971), venivano fatte delle raccomandazioni speciali, tra le quali la realizzazione della galleria Santomarco per consentire un collegamento veloce ferroviario Cosenza/Paola/Sibari con un hub di smistamento in contrada Settimo di Montalto Uffugo, utile per una metropolitana veloce di collegamento con Castrovillari.

Cosicché veniva fuori l’idea di un collegamento veloce sulla base di un triangolo rappresentato dalla trasversale Sibari/UniCal/Paola con l’asse Cosenza/Università/Castrovillari da formare un triangolo immaginario visibile con prospettive di interessi comuni di ricerca e sviluppo del territorio, il tutto nell’ottica di creare la “Grande Cosenza” con tutte le sue potenzialità dei beni presenti materiali ed immateriali nel contesto territoriale.

Nei padri fondatori dell’UniCal nell’impostare, sulla base della legge istitutiva, lo statuto, dopo aver scelto come luogo d’insediamento l’area a Nord di Cosenza sui territori di Rende e Montalto Uffugo, legandola a Sud alla Statale 107 Crotone/Cosenza/Paola e a Nord all’asse ferroviario Sibari/Cosenza(UniCal)/Paola, costeggiata dall’autostrada Salerno/Reggio Calabria, nasceva l’esigenza, prevedendo nello statuto l’istituzione della commissione di collegamento con gli enti esterni, di consentire, attraverso la nascita di quest’organo, la promozione e la stipula di contratti di convenzioni tra l’Università ed enti pubblici e privati.

Era il prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali a spiegare ancora meglio le sue funzioni della commissione, la quale doveva assumere un ruolo essenziale per consentire la progressiva integrazione organica fra l’Università e la comunità calabrese.

In effetti, la nuova Università della Calabria non è stata concepita come un campus, ossia come una comunità sostanzialmente isolata e autosufficiente., né dal punto di vista urbanistico né dal punto di vista umano e culturale; la nuova università deve invece collegarsi e integrarsi in tutti i modi con l’ambiente e la vita circostante e deve costituire un centro di propulsione da tutti i punti di vista.

Nasce con il presidente Paolo Sylos Labini il progetto di realizzare sul mare ed in particolare nell’area del comune di San Lucido l’idea di costruire vicino al mare un complesso residenziale universitario.

«Noi vogliamo fare dell’Università della Calabria un’istituzione – scrisse in una lettera inviata al Presidente della Provincia di Cosenza, Francesco De Munno, originario di Montalto Uffugo, componente del Comitato Tecnico Amministrativo dell’UniCal – dove la gente deve andare con piacere, non semplicemente perché c’è, nella legge, l’obbligo della residenza; ed anche una quota delle residenze sul mare, insieme cin tutto il resto, può contribuire a questo fine».

Nel 1972 Andreatta in persona volle avere l’esperienza, per conoscere il territorio, di salire in trenino e sperimentare il tragitto: Paola/San Lucido/Falconara/San Fili/Rende/Quattromiglia/Cosenza, arrivando a deliberare di conseguenza quanto dalla comunità universitaria e dal territorio gli venivano sottoposte.

Infatti a metà novembre 1973 il sindaco di Cosenza, Fausto Lio, porta a conoscenza del Consiglio comunale che il Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta, prima della sua scadenza, aveva approvato una delibera con l’impegno di insediare delle residenze universitarie nel centro storico di Cosenza, per favorire l’integrazione con la città e per valorizzare con opere di restauro gli importanti valori storico- ambientale presenti. Contestualmente lo stesso organo approvò che delle attrezzature universitarie venissero localizzate sulla costa tirrenica ed in particolare nel centro di San Lucido, collegato alle attrezzature universitarie per la didattica e per la ricerca mediante un sistema di trasporto rapido ed efficiente (superstrada Cosenza/Paola e nuova ferrovia).

«Il centro universitario costiero sarà dotato di attrezzature residenziali, sportive, culturali e di alcune particolari attrezzature di ricerca (ad esempio un centro ittiologico), e rappresenterà un polo di notevole interesse per l’intero sistema dell’attrezzatura costiera della Calabria. In periodo estivo, potrà essere utilizzato per congressi, per manifestazioni, per studenti stranieri, per corsi di specializzazione».

Con l’abbandono del Rettore Andreatta e della conclusione del mandato del Presidente, prof. Paolo Sylos Labini, non si è verificato che gli organi accademici ed istituzionali del posto abbiano accolto il suggerimento o cercato di applicare la delibera adottata per un complesso di nuove situazioni apparse sul cammino di sviluppo dell’Ateneo, come la vicenda del terrorismo, che ha distratto molto e penalizzato lo sviluppo dell’UniCal secondo le indicazioni derivanti dalla legge istitutiva del 1968.

Nel frattempo in tutti questi anni l’Università della Calabria ha riservato verso la fascia tirrenica una certa attenzione, utilizzato due alberghi noti di Cetraro e delle Terme Luigiane per svolgervi numerosi convegni, seminari, workshop, corsi e scuole di specializzazione sia a carattere nazionale che internazionali.

Lode, quindi, alla proposta del sindaco di San Lucido, Cosimo De Tommaso, per avere lanciato la proposta di realizzare una metropolitana leggera sulla fascia tirrenica tra PraiaMare/Amantea con estensione verso Cosenza e l’UniCal, non trascurando i dovuti collegamenti per l’aeroporto di Lamezia Terme. 

Dopo oltre cinquant’anni è la volta buona per dare una risposta concreta alla realizzazione del sogno della “Grande Cosenza” di Beniamino Andreatta, che in termini pratici significherebbe portare a completamento il progetto dell’UniCal, con uno stato occupazionale maggiore soprattutto per la categoria giovani? (fb)

BALNEARI, C’È UN RITARDO STRUTTURALE
REGOLE INCERTE E COMUNI IMPREPARATI

di SILVIO CACCIATORE – L’estate si avvicina, ma sulle coste italiane regna l’incertezza. Il settore balneare, da sempre uno dei pilastri del turismo nazionale, si trova in un limbo normativo che preoccupa migliaia di imprenditori. La legge approvata dal governo Meloni nel settembre 2024 ha prorogato le concessioni balneari fino al 2027, ma ha contemporaneamente lasciato ai comuni la facoltà di indire gare pubbliche per riassegnare le aree demaniali marittime. Una decisione che ha scatenato un’ondata di confusione tra amministrazioni locali, ricorsi e il timore di una stagione turistica a rischio.

«Il governo ha si prorogato le concessioni fino al 2027, ma ha lasciato ai comuni la possibilità di avviare le gare. Questo ha creato confusione, con ricorsi su ricorsi», spiega Massimo Nucera, presidente di Federbalneatori Calabria. Il 31 marzo sarà una data cruciale: entro quel termine, il governo dovrà chiarire i criteri per le nuove concessioni, la durata e gli indennizzi per i concessionari uscenti. Nel frattempo, alcuni comuni hanno già avviato le gare, mentre altri aspettano indicazioni precise.

Il nodo burocratico e il rischio paralisi

L’incertezza normativa rischia di compromettere l’avvio della stagione balneare. «I comuni dovrebbero aspettare, ma molti stanno già facendo le gare senza avere nemmeno le competenze per gestirle», sottolinea Nucera. La legge prevede che fino al completamento delle procedure di evidenza pubblica, i vecchi concessionari possano continuare l’attività, garantendo servizi essenziali come l’assistenza ai bagnanti. Ma le difficoltà burocratiche potrebbero rallentare l’intero processo e creare disagi per operatori e turisti.

Il caso Calabria: un ritardo strutturale

La Calabria rappresenta un esempio emblematico delle criticità del settore. Con quasi 800 km di costa, la regione «conta solo il 13% delle spiagge occupate da concessioni», ma oltre la metà dei comuni costieri non ha ancora adottato il piano di spiaggia, nonostante l’obbligo esista dal 2007 «eppure si parla di scarsità di risorse», denuncia Nucera, evidenziando come l’assenza di competenze nei comuni complichi ulteriormente la situazione.

«Trovare un ufficio demanio o un assessore al demanio in un comune calabrese è un’impresa. Le spiagge per loro sono un optional, non una risorsa da valorizzare», aggiunge il presidente di Federbalneatori Calabria.

Il pericolo delle multinazionali e la concorrenza sleale

Oltre alla burocrazia, a preoccupare i balneari è il rischio che le gare pubbliche aprano la strada a grandi gruppi internazionali, mettendo fuori gioco le piccole imprese locali. «La concorrenza non si fa togliendo a tizio per dare a caio. Quella è un’espropriazione. La concorrenza vera è permettere a tizio di aprire accanto a caio, e vedere chi lavora meglio», sottolinea Nucera.

Se il sistema delle gare non verrà regolamentato con criteri adeguati, l’arrivo delle multinazionali potrebbe portare a una trasformazione radicale del turismo balneare, rendendolo un settore dominato da grandi investitori, con prezzi inaccessibili e un rapporto meno diretto con i clienti. «Se arriva una multinazionale con un progetto da 4 milioni di euro, come faccio io, piccolo imprenditore, a competere? È un gioco truccato», chiosa Nucera.

Una delle misure previste per tutelare i concessionari uscenti è l’obbligo per i nuovi assegnatari di versare un indennizzo per gli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni. Ma per gli operatori del settore si tratta di una protezione insufficiente. «Io ho investito, ad esempio, 100 mila euro in lettini, attrezzature, strutture negli ultimi 5 anni. Chi mi subentra deve pagare il valore della perizia giurata che certifica questi investimenti. Ma non basta», spiega Nucera. La possibilità di recuperare parte degli investimenti più recenti non tiene conto di decenni di lavoro, di sacrifici e di sviluppo delle imprese balneari.

La direttiva Bolkestein e il confronto con l’Europa

La situazione italiana si complica ulteriormente se si guarda agli altri paesi europei. La direttiva Bolkestein prevede l’obbligo di gare pubbliche per le concessioni, ma nazioni come Spagna, Portogallo e Grecia hanno deciso di non applicarla e hanno concesso proroghe fino a 99 anni. «Noi abbiamo firmato le concessioni con regole diverse. Non si possono cambiare le carte in tavola durante il gioco», osserva Nucera. L’Italia, invece «ha scelto una strada che sta destabilizzando il settore».

L’appello al governo: una soluzione per 30 mila famiglie

A livello nazionale, il comparto balneare coinvolge circa 30 mila famiglie, molte delle quali operano in imprese a conduzione familiare. «Questa situazione è insostenibile. Chiediamo al governo di trovare una soluzione per migliaia di famiglie che vivono di turismo balneare», afferma il presidente di Federbalneatori Calabria.

Il rischio è quello di perdere un modello imprenditoriale basato su piccole realtà locali, in favore di un turismo balneare dominato dalle logiche del grande business. «O si trova una soluzione, o le nostre spiagge diventeranno il parco giochi delle multinazionali, cancellando la nostra storia e la nostra identità», conclude Nucera.

Il tempo stringe e il 31 marzo si avvicina. Per migliaia di imprenditori,la speranza è che il governo riesca a fare chiarezza, evitando che il caos normativo affossi uno dei settori più vitali del turismo italiano. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

IL SUD SI SVUOTA, IL NORD RESISTE: ECCO
LE DUE ITALIE DELLA CRISI DEMOGRAFICA

di FRANCESCO AIELLO – L’Italia affronta una crisi demografica profonda, con dinamiche differenti tra Nord e Sud. Mentre il Mezzogiorno perde popolazione a ritmi preoccupanti, il Nord mostra una maggiore tenuta.

Attraverso un’analisi descrittiva dei dati 2019-2024, questa nota conferma tendenze già note: il calo demografico non è solo una questione di numeri, ma anche di un profondo cambiamento nella composizione della popolazione. Comprendere queste dinamiche è essenziale per cogliere la frattura territoriale e le sue implicazioni economiche.

Italia: un declino demografico senza segnali di inversione

Dal 2019 al 2024, la popolazione italiana si è ridotta di 845 mila unità, attestandosi a 58.971.230 abitanti nel 2024. In cinque anni, il Paese ha perso l’1,4% dei residenti. Lo spopolamento è un fenomeno che inizia a mostrare caratteri di persistenza, ma è impressionante la dimensione che sta recentemente assumendo. Basti pensare che, in soli cinque anni, l’Italia ha perso l’equivalente dell’intera popolazione di città come Torino o (quasi) Napoli o di due città come Bologna e Firenze. Analogamente, è come se due regioni come Molise e Basilicata fossero diventate, ipoteticamente, completamente disabitate in così poco tempo.

Spopolamento e invecchiamento: il Mezzogiorno in crisi

Il dato medio nazionale riflette dinamiche molto differenziate a livello regionale. Per evidenziare un’eventuale relazione tra la dimensione della regione e lo spopolamento, sull’asse delle ascisse è riportata la quota della popolazione regionale nel 2019, mentre sull’asse delle ordinate è indicato il contributo di ciascuna regione alla perdita complessiva di popolazione a livello nazionale osservato negli anni 2019-2024. Delle 20 regioni italiane, 18 registrano un calo demografico, mentre solo la Lombardia e il Trentino-Alto Adige mostrano una crescita, seppur marginale, contribuendo, quindi, “negativamente” al fenomeno dello spopolamento complessivo.

Un elemento particolarmente significativo è la forte concentrazione del fenomeno nel Mezzogiorno: quattro sole regioni meridionali – Campania, Sicilia, Puglia e Calabria – spiegano quasi il 50% dello spopolamento osservato in Italia. Se si includono le altre quattro regioni del Sud, il Mezzogiorno arriva a rappresentare il 66% della perdita complessiva di popolazione a livello nazionale.

È possibile osservare la maggiore vulnerabilità del Mezzogiorno alle dinamiche demografiche guardando il tasso di spopolamento in ciascuna regione. Rispetto al 2019, le variazioni più elevate della popolazione si hanno in Molise (-4,8%), Basilicata (-4,5%) e in Calabria (-3,8%), seguite dalla Sardegna (-3,2%) e dalla Campania (-2,5%). Nel Centro-Nord, il calo è meno accentuato, con la Liguria (-1,6%) e il Piemonte (-1,8%) tra le regioni più colpite. Al contrario, l’Emilia-Romagna (-0,2%) e il Veneto (-0,7%) mostrano variazioni contenute. Complessivamente il fenomeno si manifesta con intensità diverse, penalizzando in particolare il Sud e alcune aree del Centro-Nord.

Di per sé, la riduzione della popolazione non è necessariamente un fenomeno negativo: esistono infatti economie nazionali e regionali di piccole dimensioni, ma con elevati livelli di reddito pro capite. Ciò che preoccupa nelle recenti dinamiche demografiche italiane è la distribuzione dello spopolamento tra le diverse fasce di età.

Emerge che il calo demografico in Italia non è uniforme, ma colpisce maggiormente alcune fasce rispetto ad altre. In particolare, si osserva una riduzione significativa nella popolazione più giovane: in Italia i bambini e ragazzi tra 1 e 14 anni diminuiscono dell’8,7%, mentre la fascia 15-24 anni registra una lieve flessione dello 0,6%. Ancora più marcata è la contrazione della popolazione tra i 25 e i 34 anni (-4,2%) e, soprattutto, tra i 35 e i 49 anni (-10,9%), segnalando un netto declino della popolazione in età lavorativa. Al contrario, le fasce di età più avanzate mostrano un andamento opposto. Gli individui in età lavorativa tra i 50 e i 64 anni aumentano del 6,1%, mentre la popolazione tra i 65 e i 74 anni cresce del 3,6%. Ancora più accentuata è la crescita della popolazione over 75 (+5,6%), con un incremento particolarmente elevato tra gli ultranovantenni (+10,1%).

Il divario Nord-Sud si amplia

L’analisi dei dati regionali evidenzia come lo spopolamento sia un fenomeno eterogeneo sia all’interno delle singole regioni che nel confronto tra di esse. In tutte le aree del Paese si osserva una riduzione della popolazione più giovane e in età lavorativa, accompagnata da un aumento della popolazione anziana, sebbene con differenze nei tassi che, evidentemente, riflettono differenze nelle cause di queste dinamiche.

Ad esempio, in Calabria e Sardegna il calo della popolazione tra i 25 e i 34 anni è particolarmente marcato (-15,2% e -13,9% rispettivamente), evidenziando una forte emigrazione giovanile. Al contrario, in regioni come l’Emilia-Romagna (+3,4%) e la Lombardia (+1,9%) la popolazione ricadente in questa fascia d’età è in crescita, segnalando una maggiore capacità di attrazione legata alle opportunità lavorative. Lo spopolamento del Sud risulta strettamente legato ai flussi migratori che sono in costante ripresa nel periodo 2019-2024.

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno comune a tutte le regioni, ma con tassi di incremento diversi. In Lombardia, Lazio, Toscana, Trentino-Alto Adige e Veneto la popolazione over 90 cresce in modo significativo, in linea con la tendenza nazionale. Tuttavia, nelle otto regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), l’aumento degli ultranovantenni è ancora più marcato, con una crescita superiore al 30% nell’ultimo decennio. Parallelamente, in queste stesse regioni si registra una riduzione sistematica della popolazione in tutte le fasce d’età fino ai 50 anni, un dato che contribuisce a un incremento preoccupante dell’indice di dipendenza, ossia il rapporto tra popolazione non attiva e popolazione in età lavorativa (in questo caso fino a 50 anni). Il forte squilibrio demografico del Sud solleva interrogativi sulla sostenibilità del welfare e sulle prospettive di crescita economica di questa parte del paese.

Osservando le tendenze su scala nazionale, emerge un quadro chiaro: mentre nel Mezzogiorno la perdita di popolazione riguarda in modo sistematico tutte le fasce d’età fino ai 50 anni, nel Nord molte regioni mostrano una maggiore stabilità demografica o addirittura una crescita in alcuni segmenti della popolazione.

Ad esempio, il Molise perde il 9% della popolazione tra i 15 e i 24 anni e l’11,8% tra i 35 e i 49 anni, mentre in Calabria il calo tra i 25 e i 34 anni è superiore al 15%. Questa dinamica, che colpisce in modo trasversale le generazioni più giovani e attive, aggrava il declino demografico del Sud, riducendo progressivamente la base produttiva su cui costruire il futuro delle economie regionali. Al contrario, in regioni come Lombardia, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna, la popolazione giovane e lavorativa risulta più resiliente, con incrementi in alcune fasce d’età. Tuttavia, non tutte le regioni settentrionali seguono la stessa tendenza: in Liguria e Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, si registrano cali demografici significativi, sebbene con caratteristiche diverse rispetto al Mezzogiorno. (fa)

[Francesco Aiello è prof. ordinario di Politica Economica al Dipartimento di  Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania”

dell’Università della Calabria]

[Courtesy OpenCalabria]

LA CALABRIA HA LE CARTE IN REGOLA PER
CREARE UNA SILICON VALLEY DEL SOCIALE

di FRANCESCO RAOLa regione Calabria, nel compiere il complesso percorso di crescita strutturale, porta con sé, oltre ai segni di una economica fragile un marcato invecchiamento della popolazione.

Osservando la piramide dell’età (figura n. 1), si rileva ad occhio nudo l’importante sfida da affrontare per poter garantire un sistema di welfare in grado di rispondere in modo adeguato alle crescenti esigenze assistenziali di anziani e bambini. In tal senso, il ruolo svolto dai Piani di Zona e tutte le politiche sociali messe in campo dalla regione Calabria, incontrano oggi il ritardo accumulato a seguito del mancato recepimento dell’allora Legge 328/2000, ma potranno rappresentare una importantissima svolta e recuperare strada grazie al supporto fornito dalla sentenza n. 130/2020 della Corte Costituzionale attraverso la quale si è aperta la procedura di co-progettazione tra Enti Locali e Terzo Settore per l’erogazione di servizi sociali avanzati e di prossimità.

Il contesto demografico ed economico della Calabria gioca un ruolo fondamentale, anche perché, nel corso degli ultimi decenni, la regione ha vissuto il progressivo invecchiamento della popolazione, accompagnato tra l’altro da un declino del tasso di natalità e da un fenomeno migratorio che ha portato alla dispersione dei giovani verso aree economicamente più dinamiche dell’Europa e del mondo. I recenti dati Istat evidenziano che la percentuale di anziani nella regione supera quella della media nazionale, incidendo significativamente sulla capacità del sistema assistenziale nel fornire servizi adeguati.

Questa situazione è rilevata in un contesto sociale nel quale le persistenti difficoltà occupazionali determinano un reddito pro capite per i Calabresi che è pari ad un terzo dei residenti in Lombardia. Già questo dato dovrebbe far riflettere molto quanti pensano che sia semplice risolvere nel brevissimo periodo le evidenti criticità afferenti alla sanità e alle politiche sociali. Da un punto di vista storico, il nostro modello di solidarietà sociale, consolidato nel dopoguerra e ulteriormente sviluppato attraverso normative quali lo Statuto dei Lavoratori del 1970, si fondava su principi di solidarietà e protezione universale, attraverso un sistema nazionale.

Successivamente, con la modifica del Titolo V della Costituzione, le competenze sono state trasferite alle regioni e in ognuna di esse vi è stata la possibilità di rilevare nel tempo i punti di forza e punti di debolezza per i quali oggi, nel Meridione, grazie al Pnrr, si sta lavorando con l’intento di ridurre il divario dei servizi tra Nord e Sud. Ulrich Beck, noto sociologo che ha teorizzato la “società del rischio”, ha più volte sottolineato come il mondo contemporaneo sia dominato da rischi diffusi e incertezze strutturali, richiedendo come azione solutiva risposte collettive e sistemiche. In tal senso, la cooperazione tra Enti Locali e Terzo settore, rappresenta il superamento praticabile al tradizionale modello assistenziale non più sostenibile in quanto le necessità bisogna affrontarle nei rispettivi territori e non in pochi centri destinati ad essere iper-affollati e non funzionali.

Inoltre, per affrontare in modo strutturale la necessità presenti sui territori della Calabria, occorrono competenze e processi occupazionali veloci. Nel rispetto delle vigenti leggi ed in particolare della Legge “Madia”, sappiamo benissimo che l’accesso alla Pubblica Amministrazione avviene solo tramite concorso pubblico e non per chiamata diretta. Considerato come prioritario il fabbisogno e il divario tra le aspettative di una società in rapido invecchiamento e le risorse effettivamente disponibili nelle regioni economicamente deboli come la Calabria, l’unica strada percorribile è quella di superare i modelli ingessati e aprire alla co-progettazione, interessando il segmento sano e competente del Terzo Settore presente in Calabria e grazie ad esso generare immediate risposte in tutti i 404 comuni della regione.

In tal senso, nella criticità ci sarà una opportunità straordinaria che consentirà il perseguimento del bene sociale. Ecco perché la Calabria, con la sua realtà complessa, può dar vita ad una “Silcon Valley del sociale”, attraverso la creazione di una cabina di regia operativa nella quale le competenze potranno essere fornite dall’apporto delle Università, dal sistema del Welfare regionale e dal Terzo Settore. 

Gli ambiti ai quali rivolgere la massima attenzione dovrebbero essere innanzitutto gli asili nido e le strutture residenziali per anziani e l’avvio delle procedure dovrebbe interessare inizialmente le aree interne per giungere poi all’uniformità regionale del servizio.

La Calabria, in tal senso, potrebbe configurarsi come un esempio nazionale concreto attraverso il quale le difficoltà che caratterizzano gli odierni contesti marginali potrebbero generare contemporaneamente occupazione di personale specializzato e superamento della povertà sociale vissuta in prima persona da anziani e bambini e riflessa nella conciliazione dei tempi liberi e di lavoro soprattutto di tante donne calabresi, dedite ancora ad assistere in casa genitori e figli per mancanza di strutture pubbliche. Inoltre, si potrebbe immediatamente rilevare una riduzione di presenze presso gli ospedali, in quanto a regime si potrebbe immaginare l’estensione di molti protocolli di cura da praticare a domicilio attraverso una medicina di prossimità.

La regione Calabria, per molto tempo, ha sofferto di una carenza cronica di investimenti pubblici ma tutto ciò. Non dovrà essere il prosieguo di una narrazione negativa. Da tale causa, senza voler dare colpa alcuna ai privati, abbiamo assistito alla costante obsolescenza delle infrastrutture sociosanitarie e dei rispettivi servizi resi, spesso dislocate in maniera disomogenea sul territorio e oggi, recuperare quel divario, è una autentica sfida titanica al quale bisogna guardare l’obiettivo con fiducia e con un metodo ben preciso.

I rapporti Svimez, nel corso degli anni, hanno puntualmente sottolineato l’incidenza della disoccupazione rispetto al Centro-Nord, evidenziando di volta in volta un divario sostanziale nella capacità di offrire servizi assistenziali di qualità. Inoltre, il fenomeno della “fuga di cervelli”, come documentato dal Censis, ha ulteriormente impoverito il capitale umano locale, indebolendo le potenzialità di innovazione e rigenerazione del sistema di welfare.

In un simile contesto, il ruolo della famiglia e delle reti comunitarie, in passato fondamentali per la coesione sociale, risulta spesso insufficiente a compensare le lacune del sistema pubblico. Alla luce delle evidenti criticità, è imprescindibile un intervento multilivello finalizzato a rinnovare il modello di welfare in Calabria. Perciò è necessaria una revisione degli investimenti nel settore sanitario e nei servizi sociali, con particolare attenzione alle aree rurali e alle periferie. L’integrazione di tecnologie digitali, quali la telemedicina e l’assistenza domiciliare, potrebbe migliorare significativamente l’efficienza e la capillarità dei servizi, riducendo i costi e garantendo una maggiore accessibilità.

L’esperienza di altri Paesi europei, i quali dopo aver adottato modelli di welfare integrato e partecipativo, rappresentano oggi un punto di riferimento importante. È altresì fondamentale promuovere politiche di decentralizzazione e maggior autonomia gestionale per le amministrazioni locali, in modo da personalizzare gli interventi in base alle specificità territoriali.

Richiamando quanto scrisse Anthony Giddens in “Modernity and Self-Identity”, proprio da quel testo si potrebbe intravedere il metodo da applicare alla realtà calabrese per superare le criticità evidenti e, come già detto, creare importanti occasioni occupazionali. In questa ottica, le politiche di welfare dovranno essere concepite non solo come strumenti di protezione, ma anche come leve per rafforzare il tessuto sociale e promuovere la partecipazione attiva dei cittadini.

La grande trasformazione in atto richiede un intervento strutturale che integri investimenti mirati, innovazione tecnologica, competenze e una rinnovata partecipazione civile. Solo attraverso un approccio integrato e multidimensionale sarà possibile superare le attuali criticità e garantire, anche nei territori più deboli, un welfare state sostenibile, inclusivo e capace di tutelare la dignità di ogni cittadino.

Ripartire dagli Uffici di Piano, attraverso una valorizzazione dell’importantissimo lavoro svolto sino ad ora e prevedendo una maggiore sinergia formativa potrà sicuramente segnare l’avvio di un percorso virtuoso attraverso il quale la co-progettazione potrà esprimere qualità, professionalità e soprattutto restituirà la dignità a moltissime persone, ricordandoci che tra essi ci sono anche i nostri genitori. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

È INUTILE LA RIFORMA DELLE PROVINCE
SE NON SI RILANCIANO GLI AMBITI VASTI

Nell’ardore dell’esuberante dinamismo che, talvolta, ha caratterizzato i Governi dalla Seconda Repubblica, nel 2014, il già Ministro Delrio, firmò una legge (DL 56/14) con la quale fu decretato il ripiegamento a Enti di secondo livello di tutte le Istituzioni provinciali italiane. Tale legge, nata con intento transitorio, avrebbe dovuto riformare e snellire l’apparato intermedio del sistema amministrativo nazionale. Di fatto, a quasi 11 anni dalla sua attuazione e con la complicità della bocciatura del referendum costituzionale nel 2016, ha ibernato le Province lasciandole nel limbo dell’impalpabilità amministrativa.

Circa due anni fa, però, un rinnovato attivismo parlamentare, nella Commissione affari costituzionali al Senato, ha riportato alla ribalta la tematica. La discussione relativa alla reintroduzione del suffragio universale alle Province ha generato la produzione di un testo unificato a firma di vari Gruppi parlamentari. Tutto questo fermento, però, si è sostanzialmente arenato nel mese di giugno del 2023.

Con ogni probabilità, il disegno delle autonome regionali ha avuto prelazione negli interessi delle Commissioni. Da oltre un anno, quindi, il dibattito relativo alla rinascita degli Enti intermedi è fermo all’angolo. Non è da escludere, tuttavia, che già i prossimi mesi potrebbero risultare decisivi al ripristino del sistema Provincia così come lo conoscevamo fino a un paio di lustri fa.

Non solo il ritorno al passato, ma un rinnovamento sistemico degli ambiti provinciali

Il testo normativo, prodotto in Parlamento, tuttavia, non si spinge verso una riforma sistemica dell’Ente in questione. Piuttosto, si limita a una restaurazione delle perimetrazioni provinciali ex ante 2014. Il disegno di legge, infatti, non si addentra su quelle inspiegabili dinamiche che, in Italia, hanno generato ambiti elefantiaci e ingestibili a fianco di piccoli contesti territoriali, spesso sguarniti di una reale autonomia politica e ombra di loro stessi. Nessun riferimento, altresì, alla condizione di disagio vissuta da quei contesti provinciali, spesso gemmati da una Provincia madre più ampia, poco rappresentativi anche dal punto di vista demografico. Chiaramente, quindi, una riforma che oltre a restituire l’Ente Provincia si spinga verso un profondo rinnovamento dell’organismo amministrativo, sarebbe auspicabile.

Divari territoriali: il male endemico italiano

Ciò che, comunque, bisognerebbe sanare è il divario tra territori, consentendo a quei contesti rimasti più indietro di porsi a livello degli ambiti che procedono più spediti. Quindi, non è tanto la reintroduzione di un Ente, quanto la necessità di annullare squilibri territoriali, il vero obiettivo che la politica dovrebbe porsi.

Se, davvero, il Parlamento sentisse la necessità di intervenire su oggettive disparità territoriali che, ovunque avvertite in Italia, generano aree di figli e aree di figliastri, il ricorso ad una serie di emendamenti al disegno normativo, sarebbe necessario. Modifiche e integrazioni, invero, contribuenti a scrivere una legge che fornisca una reale visione del territorio italiano, ancor prima che un semplicistico ritorno al passato. D’altronde, lavorare alla normalizzazione di una condizione legata a una dicotomia tra aree sature e centralizzate e contesti periferici sempre più collaterali, sarebbe necessario e non differibile. Anche, per tentare un approccio volto a riequilibrare una disparità in atto tra contesti territoriali sovradimensionati e periferie marginalizzate, rese sempre più lande desolate e depresse.

Geografia territoriale: superare le incoerenze con una visione che si sganci dai disegni del passato

Seppur tra tante incoerenze, comunque, il DL 56/14 aveva tentato di dare un’impronta d’area vasta ai territori extra comunali. I requisiti di almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie, per evitare l’allora scure della decapitazione provinciale, non furono messi a caso. In ambito europeo, infatti, i contesti compresi tra 350 e 450mila abitanti risultano essere quelli più efficientemente dimensionati. Pertanto, una reintroduzione sic et simpliciter del concetto di Provincia, così come eravamo abituati a conoscerlo prima del 2014, non andrebbe a risolvere taluni scriteri. Si pensi ai casi di Alba e Bra nella gigantesca provincia di Cuneo o alle questioni di Busto Arsizio/Varese e Sanremo/Imperia.

Meriterebbe accurate riflessioni, anche, il nuovo contesto pedemontano veneto che gravita attorno a Bassano del Grappa. In Centro Italia, non possono lasciare indifferenti i casi di Civitanova Marche e San Benedetto del Tronto, rispettivi primi contesti urbani delle Province di Macerata e Ascoli Piceno. Così come la questione legata alla volontà di costruire una provincia con doppio capoluogo tra Spoleto e Terni, per frenare il centralismo perugino. A Sud, invece, l’elefantiaca Capitanata si caratterizza per la presenza di grossi nuclei urbani e relative aree di gravitazione che poco o nulla condividono con Foggia. Nondimeno, la volontà della provincia di Isernia di spostarsi dal Molise all’Abruzzo o la provocazione materana di aggregarsi alla terra di Bari. Anche la Sicilia non è esente da sentimenti legati al decentramento amministrativo e alle autonomie politiche: Gela vorrebbe migrare dalla Provincia di Caltanissetta per accasarsi nella Città Metropolitana di Catania, mentre il dualismo Marsala/Trapani necessiterebbe attenzione con alcuni correttivi.

Non per ultimo, poi, il caso di Corigliano-Rossano e l’area dell’Arco Jonico che non condivide criteri di omogeneità territoriale ed economica con il resto della provincia di Cosenza. Insomma, alcuni, ma non tutti, i desideri, legittimi, di immaginare nuovi e più coerenti percorsi amministrativi che restituiscano dignità ai territori, infondendo la speranza di declinare un avvenire migliore. Dunque, il nocciolo della questione non è reintrodurre le Province, ma inquadrare quest’Ente nel giusto parametro tra la dimensione regionale e macroregionale e i Comuni sottoposti a coordinamento e controllo. Le esperienze delle piccole Province, d’altronde, si sono rivelate un boomerang: poco funzionali e, addirittura, controproducenti. A tal riguardo, buona parte degli Enti nati successivamente al ’92, hanno ampiamente dimostrato la loro inutilità, non riuscendo a inverare una concreta autonomia politica ancor prima che amministrativa.

Magna Graecia: unica prospettiva di sviluppo nell’auspicato ridisegno degli Enti intermedi calabresi

Il discorso calabrese, forse più di qualunque altro, nasconde una serie di incoerenze tra i fautori di un nuovo Ente e chi, invece, auspica una ridefinizione logica degli attuali contesti di secondo livello. Con una popolazione di poco superiore al 1.800.000 abitanti, pensare a una sesta Provincia in Calabria suona già come ridicolo. Vieppiù, contribuisce a rendere macchiettistica la considerazione di alcuni contesti della Regione; simile, per certi versi, a quella dei vignettisti satirici, il cui unico obiettivo consiste nello scatenare ilarità nel lettore.

I limiti di una ipotizzata Provincia della Sibaritide-Pollino, ancor prima che amministrativi e di natura territoriale, data la disomogeneità tra i due ambiti concorrenti a formare il perimetro vasto, risiedono tutti in uno stadio di reale autonomia politica. Per quanto l’immaginato ambito possa avere una ragguardevole dimensione in superficie, anche nella migliore delle ipotesi, la sua conformazione demografica risulterebbe scarna rispetto l’Ente madre da cui dovrebbe gemmare. Una popolazione di 250mila abitanti, a fronte di un vasto e disarticolato territorio, rappresenterebbe poco più della metà della demografia che resterebbe in capo alla ridimensionata Cosenza.

Un’idea progettuale, al contrario, che assembli le aree rivierasche e pedemontane afferenti al medio-alto Jonio calabrese, oltre alla comune matrice storica, economica e di opportunità, non andrebbe a sovraccaricare di Enti e burocrazia uno Stato già eccessivamente provato da inutili e inefficaci frammentazioni.

Partendo da un Ente già esistente (Provincia di Crotone) si dovrebbe procedere alla ridefinizione dei perimetri delle attuali Province di CS e KR, per sezionare la ex Calabria Citra in due aree pressoché identiche, sia territorialmente che demograficamente. Un ambito del nord ovest che resterebbe sotto l’egida della Città di Cosenza e un’area del nord est coordinata e controllata da due Capoluoghi (Corigliano-Rossano e Crotone).

Due contesti simili e concorrenti che insieme all’ambito istmico (CZ-Lamezia) andrebbero a gestire, con pari diritti e pari dignità, buona parte del territorio regionale. Una rivoluzione nell’approccio e nella gestione degli Enti intermedi. Non più ambienti centralizzati e distanti dalle esigenze dei cittadini, ma policentrici e caratterizzati da distretti di prossimità che eleverebbero il reale significato del decentramento amministrativo. Ecco, in una rinnovata visione e in una ridefinizione funzionale e prospettica dei territori, l’idea di riportare ex ante 2014 gli Enti di secondo livello avrebbe senso compiuto.

In tutti gli altri casi sarebbe l’ennesimo carrozzone politico di cui certamente questo Paese non avrebbe alcun bisogno. (Comitato Magna Graecia)

IN CALABRIA È “EMERGENZA MINORILE”:
ATTUARE I LORO DIRITTI, NON DECLAMARLI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria è emergenza “minorile”. «Non basta declamare i diritti dei minori, ma ne occorre l’attuazione e, dunque, impegno e risorse umane ed economiche», ha detto il presidente del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, Teresa Chiodo, evidenziando come «la carenza delle strutture socio-sanitarie per minori sia un problema nazionale e non solo della nostra Regione».

Un’emergenza non “nuova” in Calabria, ma che merita tutta l’attenzione possibile delle istituzioni, ed ecco perché c’è bisogno di «fare rete e di proporre alla Regione l’istituzione di strutture sanitarie residenziali specialistiche per quella che si configura come un’emergenza minorile», propone Chiodo nel corso del convegno dedicato proprio alla tutela dei più piccoli promosso dalla Fondazione Città Solidale.

Tanti gli esperti e le personalità istituzionali che si sono confrontate sull’applicazione delle linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, approvate l’8 febbraio 2024 in Conferenza unificata, che «non si sostituiscono alle normative generali, ma costituiscono strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale volti a sostenere, qualificare e dare unitarietà agli interventi su tutto il territorio nazionale», ha spiegato Padre Piero Puglisi, presidente di Fondazione Città Solidale, relazionando sull’impegno della sua ETS per i minori.

Linee – ha spiegato Gianni Fulvi, presidente coordinamento Nazionale delle Comunità di tipo familiare per i Minorenni – «che devono essere recepite in primis dalle comunità stesse per poi chiederne l’applicazione agli enti locali».

«Attualmente sono state recepite solo dalla Regione Lazio e la regione Calabria è ferma alle Linee di indirizzo sull’affidamento familiare», ha denunciato Fulvi.

«La Regione sta approfondendo le linee guida e si sta realizzando un tavolo sull’integrazione socio-sanitaria proprio in vista dei nuovi scenari», ha spiegato Renato Gaspari, coordinatore tecnico della commissione Politiche Sociali della Conferenza delle Regioni e delle Provincie.

Si è discusso, poi, delle modalità di approccio alle problematiche che investono la fase dell’infanzia e dell’adolescenza con una lettura scientifica effettuata alla dott.ssa Francesca Felicia Operto, neuropsichiatra infantile dell’UMG di Catanzaro, che ha parlato di prevenzione e della necessità di trasformare la teoria in una buona prassi.

Pasquale Neri, portavoce del Forum del Terzo Settore, ha parlato del ruolo del Terzo Settore, in un’ottica di collaborazione e di corresponsabilità, termine citato nelle linee di indirizzo e dimensione che si può esercitare e vivere solo in un’ottica di multidisciplinarietà e attraverso un accompagnamento quotidiano.

L’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Catanzaro, Nunzio Belcaro, ha parlato dell’integrazione sociosanitaria e dei vantaggi legati alla multidisciplinarietà nei diversi ambiti territoriali. Citando Benjamin “La Geografia arriva prima della Storia”,

Belcaro ha proposto la costituzione di cinque Hub fisici in cui sociale, sanità, trovino una convergenza e attraverso i processi dal basso, si ascolti il territorio più di quanto lo si faccia in tavoli tecnici e istituzionali.

Sonia Bruzzese, per l’ATS Caulonia, ha raccontato il Progetto Quadro e l’insieme coordinato e integrato degli interventi sociali, sanitari ed educativi parlando di appropriatezza di scelta della comunità ospitante, di presa in carico della famiglia, di integrazione dei diversi servizi per i bisogni multipli dei ragazzi.

Andrea Canale, per l’ATS di Reggio Calabria, ha precisato il ruolo dell’Ambito Territoriale Sociale e la peculiarità del contesto locale, facendo un quadro della Città di Reggio Calabria anche dei servizi semiresidenziali.

Lucia Rosanò, referente dell’equipe multidisciplinare dell’ATS di Soverato, ha parlato dell’opera svolta per l’interesse del minore e della centralità di un progetto familiare nel lavoro di cura con il minore in protezione.

Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria, ha riflettuto sul ruolo del garante per la tutela dei minori, ruolo, in particolare, di vigilanza per i minori inseriti in contesti comunitari, che spesso diventa impraticabile e per il quale occorre pensare ad un’azione di intesa fra i vari attori.

Rossana Greco, infine, ha delineato il ruolo del Tutore e del Curatore Speciale nel progetto di accoglienza del minore in protezione, in vista della sua esperienza di avvocato e tutore di diversi minori.

In Cittadella, dunque, non è mancato il confronto e il dibattito tra i numerosi operatori presenti, le comunità residenziali, rappresentanti tutto il territorio regionale e le istituzioni.

Il convegno si è concluso con l’impegno delle comunità residenziali per minori di ritrovarsi in un incontro per approfondire, riflettere e individuare piste per un percorso sempre più efficace e virtuoso. (ams)