CAPITALE CULTURA 2027, PROGETTO OK
REGGIO: RINASCIMENTO MEDITERRANEO

di SANTO STRATI – Un bel progetto, anzi bellissimo e convincente: l’audizione ieri mattina, a Roma, al Ministero della Cultura per l’assegnazione del titolo di “Capitale della Cultura 2027” si è trasformata in un’avvincente performance che ha “sedotto” la Commissione. Presa letteralmente per la gola e il naso (tra bergamotti di Reggio Calabria freschissimi e le leccornie dell’insuperabile superchef Filippo Cogliandro) ma anche conquistata negli altri sensi, grazie a un video superbo e formidabile e a un inno musicalmente eccellente.

Reggio ha, dunque, mostrato chiaramente di possedere tutti i requisiti per conquistare l’importante riconoscimento. Al di là del milione di euro che il Ministero assegna alla città vincitrice, è il titolo che conta e, nel caso di Reggio, sarebbe il giusto premio per un davvero ottimo lavoro di squadra. Sono d’obbligo i complimenti al sindaco Giuseppe Falcomatà e al suo staff.

Non poteva esserci presentazione migliore e più efficace, con testimonial di grande spessore (l’ex ministro Andrea Riccardi e Roberto Vecchioni – che non sono calabresi) e, soprattutto, il pieno e convinto appoggio di tutta la Calabria. Chi avrebbe mai creduto che Catanzaro o Cosenza arrivassero a tifare Reggio? È questa – se vogliamo – la vera vittoria (intanto morale) della Città dello Stretto. È il segnale che l’idea di fare rete, forse, finalmente, è stata recepita da tutto il territorio calabrese: uniti si vince e non è uno slogan politico, è la naturale conseguenza di una terra che comincia ad avere – attraverso i suoi governanti – una visione di futuro, dove non c’è posto per i localismi e i tronfi campanilismi degli anni passati.

La Calabria, attraverso questa candidatura, sta mostrando di avere raggiunto la giusta maturità per esigere, anzi pretendere quanto le spetta da sempre. Uno sviluppo omogeneo che ha come cardine la cultura e una crescita del territorio che valorizzi non soltanto il paesaggio e il patrimonio artistico e archeologico, ma anche la bellezza dei borghi, la ricchezza delle tradizioni, la cucina e la gastronomia e, non da ultimo, il capitale umano. È quest’ultimo l’elemento centrale di qualsiasi idea di sviluppo: poter utilizzare, offrendo adeguate opportunità, il grande serbatoio di giovani costretti ad andar via.Incentivando la “tornanza”, ovvero il rientro dei giovani cervelli allevati a pane e sapere nelle nostre eccellenti Università e poi “regalati” al Nord, all’Europa, al mondo. Le famiglie si sono indebitate per farli studiare, questi ragazzi, che hanno mostrato da subito capacità e competenza (non si spiegherebbe perché trovano subito lavoro altrove) e le aziende da Roma in su, le multinazionali, se li sono ritrovati a costo zero per quel che riguarda la formazione. L’obiettivo – possibile – è quello di creare occupazione sul territorio per chi non vuole partire e chi vuole rientrare, vuole tornare a respirare aria di casa, a ritrovare affetti e calore. Ed è per questo che la candidatura di Reggio a Capitale della Cultura 2027 rappresenta un punto di svolta, al di là del risultato finale.

Come ha saggiamente sottolineato a Calabria.Live l’assessore comunale Giovanni Latella (se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo uno come lui, per come si spende per la città) siamo davanti a una nuova rinascita, non più Reggio “bella e gentile” né nuove “primavere”, bensì un vero e proprio “Rinascimento Mediterraneo” che coglie il battito di un cuore forte e generoso, quello di Reggio, vera culla del “Mare Nostrum”. Al centro del Mediterraneo, convogliatrice di culture dei Paesi che vi si affacciano,e autonomamente fabbrica di cultura, forte dei suoi 2755 anni dalla fondazione (730 aC). Faro della civiltà magnogreca che ha sparso per il mondo i semi della democrazia e della conoscenza.

La cultura è di casa, a Reggio, come in tutta la Calabria: ogni angolo è un set naturale per girarci centinaia di film, ovvero il luogo ideale per accogliere e abbracciare genti e culture diverse, nel rispetto totale della persona. Nel solco degli insegnamenti dei grandi Pitagora e Zaleuco ma anche dei filosofi (Campanella, Gioacchino da Fiore, Barlaam, Leonzio Pilato, etc) che hanno tracciato un percorso straordinario di conoscenza e di cultura.

Il sindaco Falcomatà e il suo staff hanno fatto un ottimo lavoro, incantando la commissione degli esperti del ministero, con le immagini, i suoni, le testimonianze dei protagonisti di questo nuovo “Rinascimento Mediterraneo” (copyright Giovanni Latella) che ha affascinato con le sue premesse di futuro (e di presente) la Sala Spadolini stracolma di reggini venuti dal capoluogo e di reggini che sono ormai stanziali a Roma. Tutti orgogliosamente presenti, a sottolineare l’intensità del messaggio che si è voluto portare a Roma: al di là del titolo (che ci starebbe tutto, intendiamoci!) Reggio è già “capitale” della cultura e vuole – finalmente – farlo sapere al mondo. Forte dei suoi secoli di storia, di guerre, di invasioni, di dominazioni e della ogni volta ritrovata libertà con l’orgoglio della Polis che nessuno mai – in realtà – è riuscito a piegare. Forte del patrimonio artistico, custodito al Museo dei Bronzi, vera reggia dell’antichità, che racconta la storia millenaria della città e le sue origini megalitiche di migliaia di anni. Forte di un capitale umano che vuole affermare la propria intelligenza e regalare alla città, ovvero alla regione tutta, competenza e conoscenza, per far crescere, stavolta davvero, una terra bellissima e sfortunata. Dovrebbe essere la California d’Europa, la Calabria, un “giardino” incantato dove tra mari e monti fiorisce una vita degna di tale nome. Un clima magnifico (ideale per far arrivare pensionati di tutta Europa), borghi meravigliosi che chiedono solo di essere semplicemente valorizzati per diventare accoglienti e meta preferita di un turismo non più mordi e fuggi, bensì “lento” e portatore di ricchezza.

Allora, il dossier esposto ieri al Ministero diventa un punto di partenza essenziale di una Città, ma anche di una Regione che vuole diventare protagonista. È stato un successo (peccato per l’assenza del Governatore Occhiuto, che era comunque a Roma: avrebbe testimoniato l’impegno della Regione a sostenere questa importante candidatura) e il 28 marzo si saprà chi porta a casa il titolo.

Un titolo di per sé significativo e propulsore di un impegno che non può che crescere. Falcomatà ha giocato benissimo le sue carte: è stato preciso, pacato, puntuale. Convincente affabulatore di una partita che – obiettivamente – non trova rivali (la scelta, temo, risentirà anche della ragione politica…) e regista accorto di una performance eccellente. Assegnando al superchef Filippo Cogliandro il ruolo di ostelliere (a evidenziare il senso innato di accoglienza dei calabresi) nonché di fine pasticciere che ha distribuito Bergamotti di Reggio Calabria freschi e profumatissimi e leccornie dolciarie al bergamotto che hanno conquistato l’olfatto e il palato.

Ospiti in prima fila Santo Versace e la senatrice Giusy Versace, testimonial in video Andrea Riccardi, già ministro e presidente della Comunità di Sant’Egidio, Roberto Vecchioni, la Rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. Riccardi e Vecchioni non sono calabresi, eppure hanno speso elogi e sostenuto con convinzione la candidatura di Reggio, ma il vero asso nella manica Falcomatà lo ha gettato nelle battute finali, affidate a due ragazzi Biagio Consiglio e Chiara Luppino, campioni nazionali delle Olimpiadi di Filosofia e Astronomia. Nelle loro parole il vero significato dell’offerta culturale che Reggio si propone di spargere oltre i confini metropolitani: uno sguardo al futuro guardando, con tanto orgoglio, al passato.

Riccardi, in collegamento dall’Indonesia, ha voluto sostenere il ruolo centrale nel Mediterraneo della città: «In questo momento storico difficile, un’epoca nella quale si alzano barriere e nuove guerre dividono i popoli, Reggio Calabria ha tutti i requisiti per portare avanti l’impegno di una capitale della cultura proiezione dell’Italia nel Mediterraneo. C’è bisogno di investire sulla cultura di un mare di conflitti che ha bisogno di acque di pace. Reggio nella sua storia ha ramificazioni con i cromosomi di tanti popoli del Mediterraneo. È una città aperta a comprendere e cogliere, il suo lungomare non è un muro ma un abbraccio».

Bella anche l’introduzione della giornalista Annalisa Cuzzocrea (inviata di Repubblica) che ha vantato i suoi natali reggini e ha guidato con abilità i vari interventi espositivi affidati alla dirigente comunale Luisa Nipote, la direttrice dell’Archivio di Stato Angela Puleio, Ninni Tramontana, presidente della Camera di Commercio e, infine, il direttore del Museo Archeologico, Fabrizio Sudano. È stato un susseguirsi di visioni e progetti, tutti realizzabili, che danno spessore al programma indicato nel dossier per la candidatura. Quest’ultimo – è stato osservato dalla Commissione – non ha illustrato adeguatamente le cifre milionarie impegnate nella città (solo 121 milioni per il Museo del Mare, ovvero delle Culture del Mediterraneo che vedrà la luce proprio nel 2027), ma Falcomatà ha sciorinato una serie di slides illustrando non solo la capacità di spesa ma anche la sostenibilità della stessa, con indicazione delle relative coperture finanziarie: « Nel dossier – ha detto Falcomatà – non si parla di tutti gli investimenti perché è un fascicolo per fortuna cresciuto nel tempo, dall’inizio della candidatura all’arrivo poi in finale con vari atti di Comune e Città Metropolitana. Gli investimenti potrebbero aumentare ancora».

Falcomatà aveva esordito dicendo che «dieci anni fa non avremmo potuto partecipare a questo progetto, non c’erano le condizioni. Adesso lo facciamo avendo già iniziato un programma che investe sulle radici e la storia, perché sappiamo di non avere potenzialità industriali. Ma tante opere di rigenerazione sono partite e andranno avanti con risultati importanti e visibili. Reggio oggi non è più un punto di passaggio ma una destinazione, come nel passato, nel quale c’è l’ispirazione di questo progetto».

In apertura, il sindaco ha parlato subito del Bergamotto di Reggio Calabria per una simpatica analogia con la città: «Vi invito a sentirne il profumo – ha detto alla Commissione – a graffiarlo, a testare la sua buccia aspra che cela una ricchezza di sapore. Hanno provato a riprodurlo in laboratorio ma non ci sono riusciti. E il Bergamotto – ha sottolineato – cresce solo nella provincia di Reggio». E dal bergamotto è partito il gioco sensoriale: olfatto, gusto, udito, tatto, ma anche solidarietà, nel nome di don Italo Calabro (futuro santo) il cui slogan a 360 gradi era “mai nessuno escluso mai”. Inclusione e coesione, accoglienza e fratellanza, elementi di distinzione di «una città che è caduta più volte, ma si è sempre poi rialzata con estrema fierezza». Una città che conosce l’emigrazione e declina i suoi sentimenti di accoglienza, pace e fraternità con tutti.

Bello, suggestivo e ricco di emozioni il filmato di tre minuti che ha aperto la sessione d’ “esame”: anche queste immagini hanno impressionato favorevolmente la Commissione e tra il pubblico è scappata anche qualche autentica lacrimuccia, soprattutto tra i calabro-romani. La Calabria nel cuore prevale sempre, anche nell’esecuzione dell’inno che ha chiuso la sessione: composto da Girolamo De Raco e Alessandro Tirotta ed eseguito dall’Orchestra e coro del Teatro Cilea. Un inno alla gioia di una città indubbiamente da amare. (s)

LE AREE INTERNE CALABRESI TRA DECLINO
DEMOGRAFICO E DISUGUAGLIANZE SOCIALI

di FRANCESCO RAOUno tra i fenomeni più significativi che sta caratterizzando le aree interne calabresi è il progressivo declino demografico. Secondo i recenti dati Istat, la popolazione dei comuni montani della Calabria ha subito una contrazione del 15% nell’ultimo decennio e le previsioni per il futuro non sono alquanto differenti. Tale circostanza, evidenzia tra l’altro, un incremento dei tassi migratori giovanili verso i grandi centri urbani e verso l’estero, meta quest’ultima scelta anche per compiere gli studi universitari.

Questo processo, come asseriva Parsons, può essere analizzato attraverso il “paradigma della modernizzazione” allora attuato attraverso lo spostamento verso le città, scelta che in passato rappresentava una tappa obbligata dello sviluppo socioeconomico delle società industriali. Tuttavia, nel contesto calabrese, il fenomeno osservato assume connotazioni particolarmente problematiche poiché si accompagna a un sensibile invecchiamento della popolazione residente e ad una crescente difficoltà nel garantire la sostenibilità sociale ed economica di queste comunità.

La conseguente contrazione sociale, ci consente oggi di poter meglio interpretare l’esodo giovanile non solo come una questione economica ma assume una nuova polarità rappresentata come fenomeno culturale. Difatti, la mancanza di opportunità occupazionali e la scarsa valorizzazione del capitale culturale locale inducono i giovani a cercare altrove prospettive di mobilità sociale ascendente, indebolendo le reti sociali dei territori e la capacità di auto-rigenerazione delle comunità locali.

La marginalizzazione infrastrutturale e la disparità di accesso a molti servizi, nel seguire le teorie della geografia critica di Harvey, continuano ad evidenziare come le aree interne soffrano a causa di una strutturale criticità determinatasi tanto a causa dalla storica carenza di investimenti in infrastrutture e servizi essenziali quanto nella crisi demografica che ha inciso notevolmente a livello regionale. Seppur il Pnrr sia stato una opportunità per il Meridione, praticando la dovuta cautela dell’osservatore, sino a quando non saranno concluse le azioni ad esso riconducibili, in questa sede considereremo quanto nel tempo ha affermato lo Svimez e per avere maggiore contezza dei dati il 40% dei comuni calabresi risulta privo di un adeguato collegamento ferroviario, mentre il 60% delle aree rurali non dispone di un’infrastruttura digitale efficiente.

Analoghe criticità sono rappresentate per i collegamenti viari e nei periodi estivi, vista l’assenza dei servizi di trasporto dedicati agli studenti, la mobilità per i giovani è un dramma. Vi è da puntualizzare un notevole impegno messo in atto dall’attuale governo regionale della Calabria, attualmente proiettata verso la fine del commissariamento sanitario ma la scarsità di presidi sanitari, il continuo accorpamento degli Istituti scolastici e la carenza di opportunità lavorative, continuano ad alimentare un circolo vizioso nel quale lo spopolamento e l’impoverimento socioeconomico rappresentano la criticità maggiore per la Calabria. A supporto di una ripresa strutturale, vi è anche una debolezza manifestata dalle reti associative presenti nei piccoli centri che ostacola i processi di innovazione e cooperazione.

Eppure, come sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza 131/2020, gli elementi essenziali per un rilancio strutturato dei territori può trovare ampia attuazione grazie a processi di co-progettazione svolta tra Enti Locali e Terzo Settore. In tal senso, ancora non sono evidenti grandi risultati, ma attraverso la nuova programmazione del welfare regionale, sicuramente giungeranno importanti novità. In contropartita, si registra una diffusa sfiducia nelle istituzioni, fenomeno non più presente nel solo segmento sociale adulto, l’evidenza oggi è presente anche in una parte della platea composta dai giovani adulti. Tale circostanza potrebbe ulteriormente scoraggiare gli investimenti in nuove tecnologie, limitando nel medio e lungo periodo le possibilità di sviluppo. A ciò si aggiunge una constatazione per la quale le difficoltà a capitalizzare le competenze ed i titoli di studi conseguiti, porta i giovani a non intravedere la Calabria come una terra nella quale realizzarsi. Insomma, quel paradosso per il quale il futuro non attenderà i più bravi, ma si limiterà ad accogliere i mediocri rischia di impoverire culturalmente le future generazioni mettendo anche a rischio la tenuta sociale e democratica. 

La Calabria può contare su particolari opportunità per alimentare uno sviluppo endogeno e, nonostante le criticità strutturali evidenziate, le aree interne della regione possono rappresentare un laboratorio di innovazione sociale ed economica in cui la valorizzazione delle risorse presenti rappresentano la chiave del rilancio. Tra le strategie più promettenti emergono: il turismo esperienziale e la valorizzazione del patrimonio culturale.

L’approccio della glocalizzazione suggerisce una via d’uscita dall’isolamento attraverso l’integrazione tra identità locali e dinamiche globali ponendo queste esperienze come un vero e proprio volano di sviluppo. In tal senso, l’esperienza post covid e l’importantissimo risultato conseguito dagli aeroporti calabresi, con una tendenza di incremento percentuale elevatissimo, ne certificano la fattibilità. Occorre però affrontare in modo sinergico e veloce la capacità di accoglienza e la capacità di fornire ed erogare servizi turistici.

La sola valorizzazione dei borghi storici, animata dalle tradizioni locali, può attrarre segmenti di visitatori interessati all’autenticità e alla sostenibilità ma occorre anche un salto di qualità per consentire la permanenza turistica e la destagionalizzazione delle presenze turistiche. Anche l’agricoltura sostenibile e le reti di economia circolare, messe in azione con l’intento di consolidare nuovi processi di resilienza economica nelle aree rurali, potrebbero promuovere pratiche agricole biologiche sostenibili, promozione di filiere corte e l’ospitalità diffusa. 

Infine, la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica oggi più che mai svolgono un ruolo cruciale in quanto, oltre a ridurre le distanze geografiche creano nuove opportunità occupazionali. Perciò, l’investimento in banda larga e lo sviluppo di spazi di co-working nelle aree rurali potrebbero favorire il fenomeno del remote working attraendo nomadi digitali generando nuove dinamiche sociali. Secondo una fonte del Ministero dello Sviluppo Economico del 2023, viene stimato che l’estensione della fibra ottica nelle aree marginali possa aumentare la produttività del 12%.

Infine, la transizione energetica e le comunità energetiche rinnovabili sono la prospettiva di uno sviluppo sostenibile che enfatizza il rilancio delle aree periferiche.  Da questa breve ed incompleta analisi sociologica delle aree interne calabresi credo sia intuibile che il loro declino non sia un destino ineluttabile, bensì il risultato di scelte politiche e processi economico-sociali che possono essere ripensati e invertiti. Il rilancio di questi territori richiede un approccio integrato, capace di coniugare innovazione tecnologica, valorizzazione culturale e sostenibilità ambientale. Per raggiungere ed ottimizzare gli obiettivi sarà indispensabile il coinvolgimento delle giovani generazioni e il rafforzamento della governance territoriale, realtà che rappresentano i fattori determinanti per il successo di queste strategie. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

 

IL COMPARTO AGROALIMENTARE È IL CUORE
PULSANTE DELLA CALABRIA: PORTA 29 MLD

di ELIA FIORENZA – La Calabria contribuisce con un valore aggiunto annuo di circa 29 miliardi di euro, sostenendo un’economia prevalentemente orientata al settore terziario, seguito dall’industria e dall’agricoltura. Il comparto agroalimentare si distingue per la qualità delle sue produzioni locali e rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia regionale. Le principali colture includono fichi, agrumi, drupacee e uva, oltre a cereali come frumento e segale.

L’olivicoltura e la produzione di agrumi caratterizzano il paesaggio agricolo, con un’abbondante raccolta di arance, clementine, fichi e cedri. Tra i prodotti più rappresentativi della regione spiccano il bergamotto, il rosmarino, il gelsomino e la liquirizia. Quest’ultima, in particolare, vanta una lunga tradizione e un riconoscimento ufficiale: la Liquirizia di Calabria Dop. Dal 2011, questo prodotto ha ottenuto la denominazione di origine protetta dall’Unione Europea, garantendo qualità e autenticità.

Negli ultimi anni, la produzione di liquirizia è stata incentivata, portando alla coltivazione e raccolta di circa 1.000 ettari di liquirizieti, sia spontanei che coltivati, con una produzione media annua di 2.500 tonnellate di radici. Numerosi prodotti calabresi vantano marchi di qualità IGP, tra cui la Cipolla Rossa di Tropea, le Clementine di Calabria, il Limone di Rocca Imperiale, la Patata della Sila, il Finocchio di Isola di Capo Rizzuto, l’Olio di Calabria e il Torrone di Bagnara. Anche il settore apistico ricopre un ruolo significativo, favorito da un ambiente incontaminato. Con circa 100.000 alveari censiti nel 2019, la Calabria è tra le principali regioni italiane per la produzione di miele. La pratica del nomadismo, diffusa tra gli apicoltori, sfrutta la varietà di pascoli disponibili nelle aree agrumicole della Piana di Sibari e nelle zone ricche di Eucalipto del Crotonese. La coltivazione del riso assume un ruolo strategico, grazie alla presenza della Società Agricola Terzeria e della riseria Magisa.

Ogni anno vengono prodotti tra gli 8.000 e i 10.000 quintali di risone, trasformati in varietà pregiate come arborio, carnaroli e riso nero. L’olivicoltura affonda le sue radici in una tradizione secolare. Le varietà autoctone, tra cui Dolce di Rossano, Grossa di Gerace, Carolea, Cassanese, Ottobratica e Sinopolese, coprono una superficie pari al 17,3% della produzione nazionale di olive da olio. La Calabria ospita 718 frantoi attivi, a conferma della rilevanza del settore. La Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP si distingue per le sue qualità nutrizionali e organolettiche. La filiera, che coinvolge oltre 1.600 operatori, genera un valore di consumo pari a 60 milioni di euro. Ricca di antiossidanti e minerali essenziali, questa varietà viene definita “oro rosso di Calabria”. Il settore vitivinicolo si estende su circa 10.000 ettari, distribuiti in territori collinari e montani.

La produzione annua si attesta sui 368.000 ettolitri di vino, di cui il 43% è rappresentato da vini Dop e il 34,6% da vini Igp. Tra le denominazioni più rinomate figurano Cirò Doc, Savuto Doc e Greco di Bianco Doc La viticoltura calabrese ha radici antiche, arricchite nel X secolo dall’arrivo dei monaci orientali, che introdussero nuove tecniche di coltivazione. L’agroalimentare calabrese si distingue per l’eccellenza dei suoi prodotti certificati. La regione conta 12 marchi Dop e Igp, tra cui tre oli extravergine d’oliva Dop e l’olio essenziale di Bergamotto di Reggio Calabria Dop. Tra i salumi spicca la Soppressata di Calabria Dop.

La Bivongi Doc, situata nella valle bizantina dello Stilaro, in provincia di Reggio Calabria, rappresenta una delle denominazioni vinicole più antiche, testimonianza di un patrimonio enologico tramandato nei secoli.

L’insieme di queste produzioni conferma il ruolo centrale dell’agroalimentare nell’economia calabrese, esaltando un connubio tra tradizione e innovazione che valorizza il territorio e le sue risorse. (ef)

 

FINE VITA, IL RICORSO A LEGGI REGIONALI
IN ASSENZA DI LEGISLAZIONE NAZIONALE

di ERNESTO MANCINI – Nei giorni scorsi il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato, primo in Italia, la legge sul suicidio medicalmente assistito. Si tratta di una legge che prevede tempi e modalità per consentire ad una persona affetta da gravissima malattia di esercitare, a certe condizioni, il diritto di cessare la propria vita caratterizzata da sofferenze insopportabili. Gli esponenti della maggioranza regionale di centro sinistra che hanno approvato la legge, hanno chiarito che essa ha contenuto esclusivamente procedurale ed organizzativo e che non hanno avuto alcuna necessità di introdurre ex novo tale diritto sia perché la Regione non ha potere legislativo al riguardo sia perché esso è già vigente nel nostro ordinamento a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25.9.2019.

1) La sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25.9.2019

Tale sentenza, richiamando altre conformi pronunce, fissa i presupposti per dare luogo alla volontà del cittadino di cessare la propria vita divenuta insopportabile a causa di una patologia grave ed irreversibile. È una sentenza “additiva” perché aggiunge princìpi normativi nell’ordinamento sulla base dell’interpretazione della Costituzione e per evitare, come dice la Corte, un “vulnus” alla stessa.

I presupposti fissati dal Giudice delle Leggi sono molto rigorosi:

  1. a) che la persona sia affetta da una patologia irreversibile;
  2. b) tale patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona trova assolutamente intollerabili;
  3. c) sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;
  4. d) sia comunque capace di prendere decisioni libere e consapevoli;

Tali presupposti, come si vede, sono chiari ed indefettibili nel senso che se ne manca anche uno solo, scatta il reato di omicidio del consenziente previsto e punito dall’art. 579 del codice penale.

2) Il monito della Consulta a legiferare.

Invero la Corte Costituzionale aveva ammonito più volte il Parlamento a provvedere con legge nazionale per rendere esercitabile il diritto al fine vita ma tale massimo organo legislativo è rimasto per anni sordo (e lo è tuttora) a tale sollecitazione sia nei momenti in cui governava il centro-sinistra, per colpevole inerzia o per timore di non raggiungere il quorum, sia nell’attuale maggioranza di destra i cui partiti, almeno nei vertici, sono decisamente contrari a questa disciplina. Invero anche eminenti personalità della destra sono favorevoli al diritto di che trattasi ma non hanno poteri decisionali o rappresentanza di vertice.

Nonostante il riconoscimento del diritto più volte sancito dai Tribunali ordinari e poi, definitivamente, dalla Corte Costituzionale, il Parlamento è rimasto gravemente omissivo e si sono perciò continuati a verificare casi di persone costrette a ricorrere a cliniche svizzere (es.: Dj Fabo) ovvero, restando al proprio domicilio, costrette a ricorrere clandestinamente ad un medico anestesista disposto ad assumersi  il rischio di essere imputato per il reato di omicidio del consenziente (caso Welby).

Da tale accusa gli imputati venivano poi prosciolti con sentenza del Giudice Penale competente. In alcuni casi l’assoluzione veniva richiesta congiuntamente – e ciò è significativo – sia dall’accusa che dalla difesa. Ci si riferisce, per esempio, al caso Welby in cui il medico anestesista, dr. Riccio, è stato prosciolto dal Giudice per le indagini preliminari perché aveva agito, ex art. 51 codice penale, “nell’adempimento di un dovere”.

Anche i sostenitori radicali del suicidio assistito, come Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, hanno affrontato l’accusa di concorso in omicidio del consenziente e i conseguenti lunghi processi, salvo poi essere assolti.

Ma il peggio toccava sempre agli ammalati costretti a vivere per anni “prigionieri del proprio corpo” perché lo Stato non tutelava il loro diritto a cessare una vita obbiettivamente insopportabile nonostante la presenza delle condizioni tassative di cui si è detto.

 

3) E le altre Regioni?

 

In altre regioni si sta cercando di colmare il vuoto normativo causato dall’assenza dello Stato che nulla ha disciplinato al riguardo. La regione Sardegna ha in corso un progetto di legge analogo a quello della Toscana; ugualmente la Liguria (su iniziativa popolare attraverso la raccolta di firme). L’Emilia-Romagna ha emanato direttive alle aziende sanitarie sul presupposto che la sentenza della Corte Costituzionale oltre che additiva è anche autoapplicativa, non ha bisogno cioè di alcun intervento legislativo di fonte regionale perché basta una regolamentazione amministrativa.  Il Consiglio Regionale del Veneto, a maggioranza di destra, ha fallito l’approvazione della legge per un solo voto (inopinatamente di una consigliera P.D.). In Lombardia, in assenza di una legge è dovuto intervenire per un caso singolo l’assessore regionale alla sanità Bertolaso facendo applicare direttamente i princìpi stabiliti dalla Corte e, ciò nonostante, è stato contestato da esponenti della maggioranza. In Calabria, nel 2022, è stata presentata una proposta di legge regionale peraltro mai giunta all’esame del Consiglio Regionale.

 

Tutte le normative, come quella approvata dalla Regione Toscana, hanno in comune di essere meramente organizzative e procedurali perché, come si è detto, il diritto al fine vita nel nostro ordinamento è già presente. Si tratta di renderlo operativo e perciò organizzare le procedure e le garanzie di legalità affinché sia esercitato con le adeguate cautele soprattutto per ciò che riguarda i presupposti tassativi indicati dal Giudice delle Leggi.

3.1.) Le procedure organizzative di cautela e di garanzia

In tutti i progetti regionali si prevede la costituzione di apposite Consulte Sanitarie multidisciplinari (medico palliativista; medico neurologo, medico psichiatra, medico anestesista, infermiere, psicologo) che verificano la presenza dei presupposti fissati dalla Corte Costituzionale affinché in alcun caso si proceda in mancanza di essi. Viene anche previsto l’intervento del Comitato Bioetico presente nelle Asp ai quali è affidato il compito di valutare le fattispecie anche da un punto di vista non esclusivamente medico. È sempre ammessa l’obiezione di coscienza dei sanitari. Non meno importante è la previsione di una corretta procedura che garantisca tempi certi ma anche congrui dalla presentazione dell’istanza alla decisione di accoglierla o meno. La procedura e i trattamenti sanitari sono sempre assolutamente gratuiti.

Tutto ciò evita che il singolo caso si svolga clandestinamente o sia sottoposto al vaglio della Procura di riferimento che altrimenti dovrà accertare, ma con la inappropriatezza dell’indagine penale e solo a fatto avvenuto, che non si tratti di una fattispecie penalmente rilevante di omicidio del consenziente.

4) E lo Stato?

Lo Stato, e per esso il Parlamento o l’iniziativa legislativa del Governo, sono assenti. La maggioranza non ne vuole sapere, la minoranza si batte senza risultati i quali, peraltro, non ci sono stati neppure quando era maggioranza. Una legge nazionale avrebbe comunque una certa probabilità di larga approvazione non solo perché i princìpi sono già scritti dalla Corte Costituzionale – basta copiarli ed incollarli – ma anche perché sembra prevalente nel Parlamento e nel paese un orientamento favorevole alla disciplina del fine vita alla presenza di condizioni certe.

La mancanza di una legge nazionale porta alle seguenti disfunzioni.

  1. A) frammentazione dell’ordinamento: alcune Regioni regolano la materia, altre no e ciò crea grave frammentazione dell’ordinamento che si traduce in diseguaglianza dei cittadini in violazione dell’art. 3 della Costituzione.
  2. b) vi possono essere regioni (es.: Toscana) che stabiliscono tra i requisiti del richiedente la residenza nel loro territorio, altre regioni (progetto di legge Sardegna come risulta nel suo testo attuale) che non prevedono tale requisito. Come è noto la residenza si può richiedere se la persona ha la dimora abituale in una città della regione ma ciò crea ostacoli a chi, per esercitare il diritto, sarebbe costretto a migrare altrove in una situazione personale assolutamente inconciliabile con il trasferimento. D’altra parte, va detto che il diritto a qualsiasi trattamento sanitario è universale su tutto il territorio nazionale ed è perciò “portabile” dal cittadino in qualsiasi suo spostamento al di là della residenza.
  3. c) i comitati regionali per la valutazione dello stato patologico dell’interessato non possono certo agire per l’esame delle situazioni personali degli ammalati che si trovano lontani dal territorio della Regione; si deve tener conto, infatti, che una corretta valutazione non può prescindere dall’esame diretto del paziente, dai necessari colloqui (in alcuni casi solo per cenni assentivi); vanno sentiti i familiari e le persone comunque vicine al paziente.

È dunque evidente la necessità di una legge nazionale che disciplini diffusamente l’esercizio del diritto e la sua applicazione in ogni regione secondo garanzie e procedure uniformi.

5) Il fine vita e l’autonomia regionale differenziata

Va chiarito, a scanso di equivoci, che quello della Toscana non è un caso di autonomia regionale differenziata alla maniera della legge Calderoli. Non vi è infatti alcun trasferimento di funzione dallo Stato alla Regione né alcuna intesa al riguardo ai sensi dell’art. 116, terzo comma della Costituzione. La Toscana, inoltre, si è mossa nell’esercizio pieno delle sue competenze di organizzazione e gestione dei servizi sanitari come da decenni previste dalle leggi fondamentali di riforma sanitaria (legge 833/78 – Decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni).

Tutte le regioni, inoltre, si trovano in posizione paritaria rispetto alla Costituzione ed alla legislazione vigente sicché la differenziazione esiste solo perché la Toscana ha inteso disciplinare ed organizzare il diritto già esistente mentre le altre regioni no, o non ancora, pur potendolo fare. Si tratta perciò di una espressione di autonomia virtuosa e non di una graziosa e discriminante concessione di poteri e privilegi da parte dello Stato a singole regioni secondo la legge Calderoli, già largamente incostituzionale di suo.

6) Il contenzioso ostruzionistico

Dalla stampa di questi giorni si apprende che la minoranza di destra del Consiglio Regionale della Toscana ha chiesto al Collegio di Garanzia regionale la sospensione della legge per verificare se essa sia conforme allo Statuto regionale. Trattasi di evidente tentativo dilatorio ed ostruzionistico che non credo abbia successo.

Si è anche appreso che il Governo avrebbe intenzione di impugnare la legge Toscana. Sarà interessante vedere come l’avvocatura dello Stato formulerà i motivi del ricorso atteso che ogni lagnanza deve fare i conti col fatto che è proprio l’omissione dello Stato a rendere necessarie le normative organizzative regionali.

Insomma, lo Stato, e per esso il Parlamento od il Governo, anziché pensare a ricorsi si affrettino a dare uniformità su tutto il territorio nazionale alla disciplina costituzionale assumendo la giusta iniziativa legislativa.

6) In conclusione

La materia del suicidio medicalmente assistito è materia delicatissima per la quale vanno rispettate tutte le posizioni favorevoli o contrarie sorrette da convincimenti laici o religiosi e senza affermazioni apodittiche o demagogiche.  Qui si è inteso affrontare il punto di vista giuridico alla luce della normativa esistente e dei pronunciamenti del Giudice delle Leggi.

Non è comunque indifferente che sulla base della nostra Costituzione il diritto al fine vita sia già presente nel nostro ordinamento sia pure con le doverose limitazioni di cui si è detto. Né è tollerabile che nell’ordinamento giuridico ci sia un diritto che lo Stato impedisce ai cittadini di esercitare e siano le Regioni, e solo alcune di esse, a dovervi provvedere.

Questa è materia urgente per evitare frammentazione tra i diversi territori e soprattutto disuguaglianza fra cittadini che già sono in condizioni di estrema sofferenza. (em)

CAPITALE DELLA CULTURA 2027: REGGIO
SOGNA UN TITOLO DA “BELLA E GENTILE”

di SANTO STRATI – La candidatura di Reggio a Capitale italiana della Cultura 2027, al di là dell’aggiudicazione o meno del titolo, una vittoria l’ha già portata a casa. Ed è una vittoria importante che potrebbe dare il via a un vero senso comune di appartenenza di tutti i calabresi: davanti alla commissione che valuterà le dieci città finaliste, mercoledì prossimo 26 febbraio, non ci sarà il Comune di Reggio o la Città Metropolitana, bensì l’intera Calabria.

La candidatura è riuscita, infatti, a coinvolgere in maniera sorprendentemente univoca l’intera regione: per una volta (e speriamo sia solo l’inizio) sono stati accantonati campanilismi e manie di localismo che hanno caratterizzato da sempre la nostra terra.

Non a caso di parlava di Calabrie e, fino all’andata in finale di questo suggestivo quanto futile concorso, non passava giorno che il localismo prevalesse, tra dispetti, invidie e gelosie: proprio quello che ha, da sempre, costituito il vero freno dello sviluppo e della crescita del territorio. Sappiamo bene il precedente del Capoluogo conteso e i risentimenti per le “spoliazioni” a sfavore quasi sempre di Reggio, la più grande ma perennemente ultima  città calabrese, per avvantaggiare cosentini e catanzaresi. In una stupida guerra tra fratelli che apparivano inevitabilmente figli di padri diversi. La madre, una, la Calabria, ma i figli destinati al ruolo di fratellastri litigiosi e senza avvenire. Inguaribilmente attivi a lasciarsi andare a gelosie e invidie prive di fondamento, disperdendo un’eredità morale frutto di secoli di civiltà mediterranea di quella parte del Paese che avrebbe poi dato il nome all’Italia.

L’adesione corale e il sostegno unitario di tutta la Regione, senza alcuna riserva, è la grande vittoria di questa, se vogliamo, nobile candidatura che proietta tutta la Calabria in un agone di cultura dove, per tutta la regione, sarebbe facilissimo primeggiare.

Quando a Roma si pascolavano le pecore, nella Magna Grecia, a Reggio e in tutto il territorio, si faceva il teatro e il popolo si nutriva di pane e cultura, nel segno della democrazia e della fratellanza.

Adesso c’è l’occasione per rimuovere intollerabili conflittualità tra città e paesi, tra Nord e sud (della Calabria) e ragionare in termini di “nazione”, permetteteci il termine, in grado di mostrare quanto conta la calabresità dei suoi abitanti, protagonisti, troppo spesso involontari, di una diaspora che non è mai finita.

Un tempo partivano le braccia, là dove si cercavano manovali e operai, oggi lasciano questa terra giovani brillanti laureati e ricercatori che non trovano nessun segnale di un futuro possibile. E non è un fenomeno che riguarda Vibo, Reggio o Catanzaro, bensì tutta la regione: c’è uno spopolamento costante e spaventosamente inarrestabile costituito in gran parte di giovani in cerca di futuro (quello che abbiamo rubato loro) seguiti da una moltitudine di genitori, nonni parenti. Questi ultimi chiudono le case e raggiungono figli e nipoti cui offrire l’assistenza necessaria per far crescere i bambini, per contribuire, anche finanziariamente, alla vita quotidiana, in metropoli o città dove vivere diventa un lusso. Epperò, in cambio del disagio, c’è il lavoro, la certezza di un’occupazione, quasi sempre rispettosa delle competenze acquisite, la sicurezza della crescita professionale e formativa. Cosa ci fa un laureato in materie non tecniche in Calabria? Se gli va bene trova posto in un precarissimo call center  o dietro il bancone di un supermercato a scaricare pacchi in magazzino o a gestire una cassa. E non è detto che un informatico o un ingegnere o un medico trovi l’occupazione adeguata (anche in termini economici) nella sua terra. Manca la cultura d’impresa e manca soprattutto ai nostri governanti la visione di futuro. Uno sguardo non fuggente a cosa succederà domani e cosa potrebbe dare il suo capitale umano alla Calabria se solo venisse utilizzato nella maniera giusta.

E qui torniamo al discorso della Cultura, quella con l’iniziale maiuscola: c’è – grazie al cielo – una nuova sensibilità del territorio nei confronti dei beni culturali e delle risorse umane ad essi collegati: ci sarebbero – ci sono – grandissime opportunità per valorizzare il capitale umano e offrire occasioni di crescita, anche formativa, facendo restando nel luogo che li ha visti nascere e crescere migliaia di giovani.

Dev’essere questo l’obiettivo – unitario – a una sola voce della Calabria e il titolo di Capitale della Cultura 2027, su cui ci asteniamo da qualsiasi pronostico, sarebbe in realtà lo stimolo aggiuntivo per mettere insieme cervelli e teste pensanti per il conseguimento del bene comune.

Le rivalità interregionali si sono magicamente dissolte in occasione di questa candidatura che poteva sembrare un capriccio di Falcomatà, il canto del cigno dell’amministratore che tra un anno dovrà lasciare, e invece si è rivelata il coagulante di un ritrovato impegno comune, finalizzato a dare sostanza a un patrimonio inestimabile e, ahimè, tristemente sottovalutato.

Si tratta – e sappiamo che non è opera semplice – di ragionare in termini identitari comuni e condivisi, per offrire un segnale evidente di coesione territoriale i cui vantaggi sono oltremodo evidenti. La ricchezza della Calabria  non sono solo i Bronzi, i musei, il Codex, i Parchi naturali, i tanti siti archeologici preistorici, bensì sono i suoi abitanti, ciascuno con il suo ruolo che va valutato per meriti e capacità, non per clientela e amichettismi di vomitevoli effetti in termini di risultato.

La traccia che lascia la candidatura di Reggio è profonda e indica un percorso che va ben oltre i confini della Metrocity e coinvolge tutto il territorio regionale. Uniti si vince: non è un motto da propaganda elettorale, bensì un imperativo categorico che deve costituire l’obiettivo principe della nuova Calabria. Quella che farà tornare i suoi figli lontani, che non farà più partire i cervelli, che offrirà un modello di welfare e benessere che non sono irraggiungibili. L’aria pulita, il clima, il naturale e straordinario senso di accoglienza di chi ci vive sono un richiamo irresistibile per chiunque.

Auguri a Reggio, ma auguri a tutta la Calabria: quella che il 26 tiferà perché la Cultura incoroni la Città dello Stretto e allo stesso tempo l’intera regione.

EXPORT E INNOVAZIONE, IL FUTURO È QUI
LA CALABRIA NON PERDA QUEST’OCCASIONE

di FABRIZIA ARCURI – L’internazionalizzazione è una delle sfide più significative per il sistema produttivo italiano, in particolare per le piccole e medie imprese che intendono affacciarsi ai mercati esteri. Per rispondere a questa esigenza nasce il Mediterranean Export Innovation Hub (Meih), un’Associazione che si propone come punto di riferimento per le aziende desiderose di espandere la propria presenza a livello internazionale.

Attraverso strategie mirate, formazione specialistica e un network di contatti consolidato, il Meih offre strumenti concreti per accompagnare le imprese nel loro percorso di crescita oltre i confini nazionali.

L’iniziativa è guidata da Alessandro Crocco, imprenditore italo-americano con una solida esperienza nell’export e nei processi di internazionalizzazione. Attivo tra New York e l’Italia, ha sviluppato una profonda conoscenza dei mercati esteri e delle strategie per la crescita delle Pmi, con l’obiettivo di creare connessioni efficaci tra le eccellenze italiane e il contesto globale.

Il Meih nasce proprio da questa visione, configurandosi come un catalizzatore di crescita per le imprese, trasformando le ricchezze produttive del territorio in una leva di sviluppo concreto. Un progetto che assume un valore strategico soprattutto per il Sud Italia e per la Calabria, una terra dal grande patrimonio culturale e produttivo, che necessita di strumenti adeguati per affermarsi sui mercati internazionali. L’Associazione si pone come risposta a questa esigenza, promuovendo la competitività delle imprese locali e favorendone l’integrazione nel commercio globale.

A sancire l’avvio ufficiale delle attività, il Meih sigla il suo primo Protocollo d’Intesa con Confapi Calabria, una collaborazione strategica che consolida il legame tra il mondo imprenditoriale e le strategie di internazionalizzazione. L’accordo rappresenta il primo passo concreto di un percorso che punta a rafforzare la competitività delle imprese locali, favorendo sinergie tra innovazione, formazione e accesso ai mercati esteri.

L’evento di presentazione, in programma lunedì 24 febbraio alle 10.30 presso Villa Rendano a Cosenza, si aprirà con i saluti istituzionali di coloro che, sin dall’inizio, hanno sostenuto la filosofia e la mission del Meih. Importanti appuntamenti istituzionali, dal Senato della Repubblica al Consiglio Regionale della Calabria, fino agli incontri sui territori, hanno contribuito a dare impulso all’iniziativa, consolidandone la visione e il percorso di crescita. A portare i saluti istituzionali saranno la senatrice Tilde Minasi, la Presidente di Brutium, Gemma Gesualdi, Walter Pellegrini, Presidente della Fondazione Giuliani e Antonello Grosso La Valle, il Presidente di Unpli Cosenza e Consigliere Nazionale.

A presentare il progetto e il Protocollo d’Intesa saranno Alessandro Crocco, Presidente del Meih, Francesco Napoli, Presidente di Confapi Calabria, la sottoscritta, vicepresidente Meih, e Rossana Battaglia, presidente Accademia degli Imprenditori. A moderare l’incontro sarà Francesca Preite, Responsabile comunicazione e Vicepresidente Filiera UNIGEC – Confapi Calabria.

«Il progetto Mediterranean Export Innovation Hub incarna la visione di un’Italia che sa guardare oltre i propri confini, forte della sua cultura, della sua qualità e della sua capacità di innovare – afferma Alessandro Crocco –. Ma, soprattutto, vuole dare risposte concrete alla Calabria e al Sud Italia, territori che, troppo spesso, restano esclusi dalle grandi opportunità dell’export e dell’innovazione».

«Con questa iniziativa – continua – vogliamo creare un ecosistema in cui le imprese locali possano apprendere, collaborare e crescere, facendo della qualità e dell’identità territoriale il loro punto di forza per conquistare i mercati internazionali».

«La firma – sottolinea – di questo Protocollo d’Intesa con Confapi Calabria è solo l’inizio di un percorso che metterà a disposizione delle Pmi strumenti concreti per affermarsi e competere su scala globale, con un’attenzione particolare per le realtà produttive calabresi, che meritano di essere valorizzate a livello internazionale».

Entusiasta della collaborazione, Francesco Napoli, Presidente di Confapi Calabria, sottolinea il valore strategico dell’accordo: «Siamo orgogliosi di presentare l’Export Innovation Hub e il Mediterranean Export Innovation Hub, iniziative che rappresentano un’opportunità concreta per il futuro dell’export, non solo per la Calabria, ma per l’intero Sud Italia».

«Questi progetti – enfatizza – segnano un passaggio fondamentale verso la modernizzazione e il rafforzamento del nostro tessuto produttivo, grazie alla sinergia tra innovazione, competenze e mercato internazionale. È un’occasione imperdibile per le aziende calabresi, che hanno sempre dimostrato un potenziale straordinario ma che spesso incontrano ostacoli nell’accedere ai mercati globali».

«Con il Meih – conclude – vogliamo colmare questo divario e creare un ponte tra le imprese locali e le opportunità internazionali. Un ringraziamento particolare va ad Alessandro Crocco per il suo impegno e la sua visione, che hanno reso possibile questo importante progetto».

Mi preme sottolineare l’importanza della comunicazione e del marketing nell’internazionalizzazione, in quanto non basta un prodotto eccellente per conquistare i mercati esteri, è necessario saperlo raccontare, creare un’identità forte, trasmettere la storia e i valori che lo rendono unico.

Questo è ancora più vero per la Calabria, una terra che vanta eccellenze straordinarie, dall’agroalimentare all’artigianato, dal turismo alla tecnologia, ma che fatica ancora a imporsi sul panorama internazionale.

La nostra missione è accompagnare le imprese in questo percorso, fornendo strumenti di promozione, formazione mirata e strategie di branding efficaci. Dobbiamo fare in modo che il Made in Calabria non sia solo riconosciuto, ma desiderato, perché porta con sé autenticità, qualità e una storia che merita di essere raccontata al mondo intero.

«L’unione fa la forza. Solo lavorando – ribadisce nella chiusa il presidente Crocco – in sinergia possiamo raggiungere obiettivi ambiziosi e rendere l’Italia e quindi la nostra terra di Calabria, protagonista nello scenario globale. Il Mediterranean Export Innovation Hub è aperto a tutti coloro che condividono questa visione e vogliono contribuire a renderla realtà». (fa)

[Fabrizia Arcuri è vicepresidente Meih]

DA BRUXELLES È PARTITA LA SFIDA PER IL
RILANCIO DELLE AREE RURALI CALABRESI

di DENIS NESCI – Nella Commissione per lo Sviluppo Regionale (REGI) del Parlamento Europeo, ho avuto l’onore di presentare la mia proposta sul futuro delle zone rurali dell’Unione Europea, con un focus particolare sulla Calabria.

Queste aree rappresentano l’83% del nostro territorio e ospitano un quarto della nostra popolazione, sono il cuore pulsante della nostra identità culturale e della nostra economia. Tuttavia, affrontano sfide senza precedenti che richiedono un’azione immediata e concreta.

In qualità di relatore sul rafforzamento delle zone rurali nell’Ue attraverso la politica di coesione, è fondamentale evidenziare che il Pil pro capite nelle zone rurali calabresi è inferiore alla media europea. Questo gap, unito all’invecchiamento della popolazione e alla carenza di servizi essenziali, mette a rischio il futuro delle nostre comunità. È giunto il momento di agire!

La politica di coesione deve diventare il nostro strumento principale per ridurre queste disuguaglianze e garantire un futuro sostenibile per tutti.

La nostra terra ha un potenziale straordinario. È essenziale che l’Unione Europea investa in politiche mirate che favoriscano lo sviluppo delle infrastrutture e la digitalizzazione, affinché le comunità rurali possano prosperare. Solo così possiamo garantire che i nostri giovani, i veri custodi del futuro, abbiano accesso a opportunità educative e professionali che li incoraggino a rimanere e contribuire alla crescita della nostra terra.

È di fondamentale importanza adottare misure preventive per aumentare la resilienza delle aree rurali di fronte a catastrofi naturali, suggerendo un approccio integrato nella gestione delle risorse idriche, con particolare attenzione alla costruzione e al completamento di dighe un particolare riferimento alla diga del Metramo, che per la Calabria deve rappresentare una priorità tra le infrastrutture da completare.

Sostenere le donne, che affrontano sfide specifiche in queste aree, è altrettanto cruciale. Dobbiamo fornire loro gli strumenti necessari per diventare agenti di cambiamento e leader nelle loro comunità.

Il lavoro che svolgiamo nelle commissioni è fondamentale per portare risultati tangibili sul territorio. È così che si costruisce un futuro migliore per la Calabria, lavorando instancabilmente a Bruxelles per garantire che le risorse e le politiche siano indirizzate dove sono più necessarie. 

Con determinazione e impegno possiamo trasformare le sfide in opportunità e costruire insieme un futuro luminoso per la Calabria e le sue zone rurali, per questo motivo, presenterò il file durante un incontro pubblico in Calabria, il prossimo 26 febbraio, presso le Terme di Galatro, in una zona tipicamente rurale. L’incontro sarà l’occasione per discutere insieme con amministratori locali e cittadini, affrontando temi importanti per la comunità. (dn)

[Denis Nesci è europarlamentare di Fdi-Ecr]

I GIOVANI, LA PRECARIETÀ E IL RIFIUTO DEL
POSTO FISSO: UNA SFIDA PER LA CALABRIA

di FRANCESCO RAONegli ultimi decenni, il concetto di “posto fisso” – da sempre simbolo di sicurezza economica e stabilità sociale – ha subito una radicale trasformazione. In una società in continuo mutamento, anche i Millennials del Meridione, hanno posto un approccio differente al paradigma tradizionale riconducibile all’impiego stabile, adottando una visione del lavoro più fluida e dinamica.

Il modello del posto fisso, radicato nell’Italia del dopoguerra, era strettamente legato a una concezione di società caratterizzata da una forte divisione del lavoro, da una gerarchia ben definita e da norme sociali che garantivano l’inclusione e la solidarietà. Le riforme come lo Statuto dei Lavoratori del 1970 e le norme contrattuali consolidavano il legame tra individuo e istituzione, promuovendo un modello di fedeltà aziendale e sicurezza previdenziale. Con l’avvento della globalizzazione, della digitalizzazione e delle trasformazioni tecnologiche, autori come Ulrich Beck hanno descritto la nascita della “società del rischio”, in cui le tradizionali garanzie diventano sempre più fragili. In tale contesto, la progressiva erosione del modello industriale ha fatto emergere una realtà caratterizzata da contratti precari e forme di lavoro atipiche, in cui il rischio diventa una componente intrinseca della vita professionale e al contempo tale instabilità, si è diffusa nel tessuto sociale generando precarietà e marginalità sociale. Anche per buona parte dei Millennials calabresi, l’approccio al lavoro assume una identità diversa rispetto al passato.

La nuova etica del lavoro non è più solo una questione economica, ma rappresenta anche un percorso di autodefinizione e realizzazione personale. Da un punto di vista sociologico, grazie al pensiero di Anthony Giddens sulla “riflessività della modernità”, comprendiamo perché i giovani contemporanei sono chiamati a rinegoziare il significato del lavoro in un contesto in cui la tradizionale identità professionale si dissolve a favore di una molteplicità di esperienze e ruoli. In Calabria, il tessuto economico è stato storicamente segnato da instabilità e disuguaglianze e l’adozione di modelli flessibili – come il lavoro freelance, lo smart working e l’autoimprenditorialità – risponde a un doppio imperativo: cercare autonomia e superare le limitazioni di un mercato del lavoro che, come evidenziato da dati Istat (2023), registra un aumento del 40% dei contratti a termine negli ultimi dieci anni.

La carenza di tutele sociali, la difficoltà di accesso al credito per l’autoimprenditorialità e le infrastrutture digitali insufficienti in Calabria rappresentano sfide significative e prioritarie. La lettura sociologica del fenomeno evidenzia come il processo di individualizzazione – caratteristico della modernità tardiva – possa generare un aumento del senso di precarietà e isolamento, se non accompagnato da politiche pubbliche in grado di garantire una rete di sicurezza adeguata. Come già anticipato, il contesto socioeconomico del Sud Italia presenta peculiarità che incidono profondamente sulle scelte dei giovani.

Secondo il recente rapporto Svimez, il tasso di occupazione nel Meridione è inferiore di circa 20 punti percentuali rispetto al Centro-Nord, mentre in Calabria la prevalenza di contratti precari e il lavoro informale sono ormai all’ordine del giorno. Queste condizioni hanno contribuito a creare una “cultura della fuga”.

Il Censis nel 2022 prevedeva che tra il 2000 e il 2020 oltre 500.000 giovani lasceranno il Sud in cerca di opportunità, ponendo lo sguardo all’indietro, quello studio era veritiero e oggi, in mancanza di riforme strutturali e concretezza, si rischia di compiere il secondo atto alimentando ulteriormente la “fuga di cervelli”.

Queste dinamiche orientano la profonda trasformazione culturale in atto nella quale il lavoro diventa uno strumento per esprimere la propria identità e non pià un mezzo per garantire la sussistenza e la progettualità del futuro. Tale dinamica, attraverso le scienze sociali, può essere letta come un processo di disaffezione dalle istituzioni e dalla tradizione, in cui la mancanza di investimenti in infrastrutture digitali e la debolezza del tessuto imprenditoriale locale spingono i giovani a cercare identità e opportunità altrove.

La teoria della “società liquida” di Zygmunt Bauman, oltre a descrivere un mondo in cui le strutture sociali sono in costante divenire e l’incertezza è una normalità, trova una perfetta applicazione in questo contesto ma trascura l’evidente segno di malessere delle generazioni anziane, sempre più sole e soprattutto esposte ad un sistema di istituzioni digitali con le quali, il digital divide, non consente il dialogo.

L’evoluzione del mondo del lavoro e il rifiuto del posto fisso da parte dei giovani del Meridione costituiscono una sfida complessa che richiede una riflessione multidimensionale. Se da un lato il modello tradizionale si dimostra ormai inadatto a una società in rapido cambiamento, dall’altro l’assenza di un adeguato supporto strutturale rischia di tradurre la flessibilità in ulteriore precarietà.

Le teorie sociologiche contemporanee ci invitano a considerare il lavoro non solo come una dimensione economica, ma anche come uno spazio di identità, appartenenza e trasformazione sociale. La sfida per il futuro sarà quella di coniugare innovazione e stabilità, promuovendo politiche che incentivino l’autoimprenditorialità e investimenti nelle infrastrutture digitali, senza dimenticare l’importanza di una tutela sociale che risponda alle nuove dinamiche del mercato.

In definitiva, il fenomeno osservato nel Meridione non rappresenta un semplice capovolgimento delle logiche occupazionali, ma una profonda trasformazione del modo in cui le nuove generazioni concepiscono il proprio futuro e il loro ruolo nella società. Solo attraverso una comprensione integrata di queste dinamiche sarà possibile costruire un modello di sviluppo che valorizzi la flessibilità senza sacrificare la sicurezza e l’inclusione sociale. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

IN CALABRIA SI VA IN PENSIONE SEMPRE PIÙ
TARDI E SEMPRE PIÙ POVERI: È ALLARME

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria si va in pensione sempre più tardi e sempre più poveri. È l’allarme lanciato dallo Spi Cgil Calabria, evidenziando come «la prospettiva è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile».

Un quadro non confortante, ma già ben chiaro quando, a novembre, era stato presentato il Rendiconto sociale 2023 dell’Inps a Catanzaro: «il quadro demografico conferma un progressivo invecchiamento: gli over 65 rappresentano il 23,9% della popolazione regionale, pari a quasi un abitante su quattro. Il saldo naturale, tra nascite e decessi, continua a essere negativo, in linea con le tendenze nazionali, ma aggravato da un’emigrazione significativa, soprattutto giovanile».

A questo invecchiamento, si accompagnano dei dati sul lavoro preoccupanti: Nel 2023, il tasso di disoccupazione generale è salito al 16,2% (rispetto al 15% del 2022) e quello giovanile ha raggiunto il 35,2% per gli uomini e il 35% per le donne nella fascia d’età 15-29 anni. Dei 150mila nuovi contratti stipulati, quasi l’82% sono a termine, stagionali o di somministrazione, configurando un mercato del lavoro precario che penalizza i giovani, costringendoli a cercare stabilità altrove.

Anche per le pensioni il quadro non è roseo: in Calabria sono significativamente più basse rispetto alla media nazionale, con importi medi mensili inferiori per le donne, segno di una maggiore discontinuità lavorativa e di una parità retributiva ancora lontana. Sul fronte del welfare, nel 2023 sono state erogate 178.767 prestazioni di invalidità civile, con un incremento del numero di nuove prestazioni rispetto al 2022. Anche le misure di sostegno al reddito, come reddito e pensione di cittadinanza, hanno registrato oltre 46.000 richieste, di cui il 63% accolte.

«Al contrario di quanto annunciato con slogan e proclami – ha illustrato il sindacato – la legge Fornero non è stata affatto superata. L’età pensionabile è stata posticipata ai 70 anni. La flessibilità in uscita azzerata nel 2024 (meno 15,7% delle pensioni anticipate rispetto al 2023), così come l’opzione donna (con un taglio del 70,92% delle domande del 2024 confrontate con quelle del 2023 – 3.489 nel 2024 confrontate con 11.996 del 2023 – e nel 2025 il taglio sarà ancora più alto».

«C’è, poi – si legge – il nodo della quota 103 (62 + 41 anni di contributi) che è stata prorogata con il ricalcolo contributivo, con un importante taglio sul calcolo della pensione. Per chi è già in pensione non va meglio: i tagli alla perequazione per il 2023 e il 2024 non saranno più recuperabili».

Tutti questi dati indicano solo una cosa, per il sindacato: «Nessuna risposta per giovani, donne, per coloro che svolgono lavori gravosi e usuranti e nessuna valorizzazione per il lavoro di cura».

«È ancora una volta deludente la riforma pensionistica del Governo – per la Cgil –. Si andrà in pensione sempre più tardi e sempre più poveri senza la previsione di alcuna strategia per il futuro, in un Paese che guarda ai pensionati come bancomat da spremere, senza costruire le basi perché si vada in quiescenza dal lavoro a un’età consona e con un adeguato trattamento pensionistico».

«Se caliamo il tutto in un contesto fragile e povero di servizi, con una sanità annaspante che non garantisce né il diritto alla cura né quello alla prevenzione, quello che si prospetta – scrive il sindacato pensionati della Cgil – è una regione di anziani, con difficoltà a potersi occupare della propria salute, molti dei quali senza riferimenti familiari, vista la sempre più gravosa emigrazione giovanile, e costretti a lavorare fino ad età avanzata».

E, se l’Istituto, a novembre riteneva necessari interventi politici ed economici «massivi e strutturali» per invertire la tendenza e dare risposte concrete a una regione che lotta per trattenere i suoi giovani e garantire un futuro sostenibile ai suoi cittadini», lo Spi Cgil, invece, invita tutti a sostenere il referendum «per il lavoro proposti dalla Cgil che sono lo strumento per cambiare, in meglio, il Paese».

Un invito che è anche è un appello a prendere coscienza della situazione in Italia: Siamo l’unico Paese dove i lavoratori subiscono un doppio svantaggio: età pensionabile sempre più alta e assegni sempre più bassi.

«Un vero e proprio paradosso – ha detto la Cgil – visto l’inverno demografico che ci attende e viste le scarse politiche messe in campo dal governo per arginare il lavoro precario. Lavoro più stabile e più sicuro significa anche pensioni migliori».

METROCITY RC ANCORA SENZA DELEGHE:
SONO PASSATI DIECI ANNI E TUTTO TACE

di VINCENZO VITALE – Che la città metropolitana di Reggio Calabria sia un monstrum geografico è un dato di fatto: basti pensare che la sua superficie è dieci volte maggiore di quella della città metropolitana di Napoli, pur avendo un decimo dei suoi abitanti.

Poco e male infrastrutturata, sì che per recarsi da un suo estremo all’altro, come da Reggio a Caulonia per esempio, occorre più tempo che per andare da Milano a Lugano, la nostra Metrocity è tanto smisuratamente grande da contenere al suo interno l’intero perimetro del Parco d’Aspromonte, caso unico al mondo di una città che abbia un “suo” parco nazionale. Eppure questo handicap, questo vizio di nascita, se ben gestito potrebbe essere un vantaggio, sia dal punto di vista turistico e logistico che da quello agricolo e industriale, per non parlare della esuberante disponibilità ad accogliere braccia produttive che non disdegnino attività lavorative oggi poco gradite ai residenti.

Però la Città Metropolitana reggina langue e non solo per colpa dei suoi amministratori. Pur abbastanza grande da poter essere una piccola Regione autonoma, si pensi al Molise che ha più o meno la metà degli abitanti della già Provincia reggina e una superficie di poco superiore, non ha ancora ricevuto deleghe e funzioni dalla Regione Calabria, mai come in questo caso lontana e ostile. La Legge Del Rio lo impone ma la Regione Calabria, pur avendo deliberato nel 2014 che entro il 31 dicembre del 2015 avrebbe operato i trasferimenti, non lo ha ancora fatto.
Sono passati dieci anni e tutto tace, nonostante formali interventi cui nemmeno si risponde (ultimo quello del 23 gennaio di quest’anno). Tutte le altre città metropolitane continentali (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari), chi prima chi dopo, hanno tutte avute già nel 2015 deleghe e funzioni dalle rispettive Regioni. Manca solo la decima città, la nostra, che subisce così l’anomalia di essere un Ente monco.
Bene ha fatto, quindi, il sindaco Giuseppe Falcomatà a portare il caso a livello nazionale con una formale denuncia di questa assurdità sul tavolo del Coordinamento della Città Metropolitane dell’Anci, che ha deliberato un suo intervento. Staremo a vedere. Nel frattempo non si può non notare che un simile argomento non ha un posto di rilievo nell’agenda dei nostri rappresentanti al parlamentino regionale di via C. Portanova né dei membri reggini nelle stanze decisionali di Germaneto.
Sembra di rivedere le dinamiche già subite dalla città di Reggio sul finire degli anni Sessanta, che diedero la stura ai Fatti dei primi anni Settanta: i nostri parlamentari regionali irretiti dalle logiche partitiche che perdevano di vista i veri interessi dalla loro città. Allora ci fu il sindaco Battaglia che denunciò le trame e aprì le ostilità. Dobbiamo oggi assegnare a Falcomatà il ruolo che comincia a rivendicare?
Negli anni Settanta, sulla questione dello scippo del Capoluogo effettato da Catanzaro ai danni di Reggio, una sinistra miope e politicamente succube parlò di battaglie per un inutile “pennacchio spagnolesco”. Oggi la destra di governo a Catanzaro offre alla sinistra di governo cittadino la possibilità di insorgere a difesa dei diritti negati della città sullo Stretto. Nel mentre i consiglieri comunali e metropolitani reggini, di destra e sinistra, tacciono sulla questione come se non fossero affari loro, a Catanzaro studiano come non perdere potere col trasferimento delle funzioni alla Città Metropolitana reggina. Falcomatà come Battaglia? Se lo si lasca fare da solo, perché non dovrebbe intestarsi questa querelle e trarne i relativi vantaggi elettorali? Prescindendo dalle primogeniture e dai vessilliferi, questa è una guerra cittadina e, come tale, tutti devono partecipare. (vv)
[Vincenzo Vitale è presidente della Fondazione Mediterranea]