LA CALABRIA SI SPOPOLA SEMPRE DI PIÙ
IL PROBLEMA VA AFFRONTATO E RISOLTO

di GIOVANNI MACCARRONENon di rado mi capita di leggere sui quotidiani che i giovani fuggono dalla Calabria, sempre più numerosi.

Questo è un problema anche molto noto ma di cui nessuno si interessa seriamente. Affrontarlo creerebbe un disagio difficile da sostenere. Far finta di nulla, però, non ne elimina comunque la presenza.

Qualche volta mi incontro con amici della mia stessa età che non lavorano oppure lavorano sporadicamente. Cerco di evitare qualsiasi discorso che anche lontanamente tocchi il problema. Sono coscienti e consapevoli della realtà lavorativa che tocca l’intero mezzogiorno e potrebbe essere di grande aiuto parlarne. Solo che ci vuole sensibilità, buon senso ed aspettare il momento opportuno per riuscire a far esprimere “liberamente” il loro dolore, le proprie paure e le proprie speranze.

Oggi come oggi trattare questo problema è veramente difficile, ma, nei modi e nei tempi adeguati, è necessario affrontarlo e, soprattutto, risolverlo.

Tempo fa mi sono recato a Milano. All’aeroporto di Lamezia Terme ho visto un gran numero di passeggeri. Inizialmente ho pensato che fossero tutti turisti, mentre in realtà per gran parte si trattava di calabresi emigrati al Nord che in estate e durante altre festività scendono giù per rivedere amici e parenti, di studenti universitari che ogni fine settimana oppure durante il periodo estivo rientrano in famiglia.

Al ritorno, nell’area di attesa dell’aeroporto di Milano Malpensa, ho incontrato vecchi amici e qualche vecchio compagno di scuola. Molti di loro sono riusciti a fare carriera dopo vari tentativi nella nostra regione (non a caso l’età media dei dipendenti nella pubblica amministrazione è superiore ai 50 anni). Qualcuno di loro mi ha raccontato che, nonostante il curriculum professionale e i buoni elaborati presentati durante i concorsi banditi in qualche comune della regione Calabria, non era mai riuscito a rientrare tra i vincitori. Concorsi quasi sempre banditi per un solo posto. Per cui, dopo diversi tentativi, aveva deciso – con grande dispiacere – di spostarsi, lasciando moglie e figli a casa. Quasi tutti laureati. Chi non si è spostato ha dovuto accontentarsi di fare altro o comunque qualcosa di diverso rispetto al suo corso di laurea

Un vero dramma. 

Secondo Aristotele ogni uomo è fornito di una vocazione, di una inclinazione, che lui chiama daimon, ciascuno ha il suo demone, il musicista, l’artista, il filosofo, l’uomo che lavora manualmente, e la felicità in greco si dice eudaimonia: «la buona realizzazione del tuo demone».

Con la conseguenza che la felicità è sostanzialmente l’autorealizzazione di se medesimi, di se stessi. Uno se si autorealizza, se fa ciò per cui è chiamato o che è evocato, appunto, è felice e lavora meglio.

Non credo che qualcuno si sia mai soffermato su tale questione fondamentale. Sarebbe invece il caso che il legislatore si occupasse di questo aspetto prevedendo, in futuro, un apposito reato contro la persona (da inserire dopo l’art. 582 c.p.) oppure un apposito risarcimento per danno provocato da “mancato raggiungimento della felicità”.

Solo il ricorso a questo sistema di garanzie positivo è assolutamente in grado di tutelare i partecipanti alle procedure selettive indette dalle pubbliche amministrazioni, unitamente alla previsione di concorsi a cui far partecipare solo commissioni con personale preso all’esterno dell’amministrazione che bandisce la procedura stessa 

Lo ha già sostenuto il procuratore scelto dal Csm per guidare la procura partenopea, Nicola Gratteri, il quale a più riprese ha auspicato concorsi asettici per assumere personale affinché non venga favorito nessuno, con commissioni esterne da comporre a livello nazionale.

Comunque sia e indipendentemente da quanto sopra detto, è certo che il problema occupazionale spinge le persone (giovani e non) ad andare fuori dalla nostra regione e, quindi, ad emigrare.

Ed infatti, nel corso della sua recente visita in Calabria (avvenuta il 30 aprile scorso), anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha prontamente evidenziato che «nel Meridione il tasso di occupazione è più basso rispetto al Centro e al Nord. Donne e giovani pagano un costo elevato e sono tanti coloro che, a malincuore, lasciano la terra d’origine, accentuando un rischio di spopolamento che andrebbe frenato. Per rispetto del valore, della storia e del futuro di quei territori».

Ma la sua sensibilità si è spinta oltre, individuando con precisione tutti i motivi che in qualche modo possono spingere la popolazione calabrese ad emigrare.

Uno fra tutti è quello legato al reddito. In particolare, secondo il Presidente Mattarella «le Regioni meridionali dispongono oggi di un reddito che non raggiunge quello di altre aree nazionali».

Altro motivo è legato all’inefficiente gestione delle spese e delle entrate da parte dei comuni e delle regioni meridionali. Il che, come è evidente, determina inevitabilmente che – come evidenziato dallo stesso Presidente della Repubblica – «per alcuni aspetti i loro cittadini fruiscono di servizi meno efficienti»: basti pensare all’erogazione dei Lea, alla sanità (commissariata da ben 14 anni), alle infrastrutture, all’inefficienza dei trasporti urbani ed extraurbani (pensate ai collegamenti da e verso gli aeroporti), ecc.

Insomma, per dirla con le parole del Presidente Mattarella, «lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. È appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale. Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri. È ben noto che il lavoro è una delle leve più importanti di progresso e di coesione sociale».

Che, letto tra le righe, vuole semplicemente dire che il meridione si deve attrezzare meglio e lo Stato italiano (a prescindere da chi lo gestisce) non può limitarsi a mettere poche gocce di olio nel sistema (credito alle assunzioni, decontribuzione ecc.), quando invece servirebbe molto di più.

Sempre che le gocce non finiscano nelle tasche di qualcuno, come fino ad oggi è accaduto. Perché, diversamente, noi continuiamo ad essere una sorta di palla al piede proprio per le regioni del Centro-Nord che, in qualche modo, giustificherebbe la richiesta da parte di tali regioni di una sorta di secessione, di distacco dalle regioni meridionali.

La qual cosa non va bene, va assolutamente evitata, dato che – come già segnalato – essa è in grado di produrre un aumento della pressione fiscale, un’inevitabile sottrazione di risorse importanti al bilancio dello Stato e un conseguente consolidamento dei conti pubblici a carico probabilmente alla restante parte del Paese e, più in generale, di contribuire a compromettere la garanzia dei diritti sociali, già messa a dura prova da un decennio di crisi.

Bisognerebbe quindi evitare tutto ciò e riflettere sulla considerazione fatta dal Presidente Mattarella in ordine al fatto che «l’Europa – e in essa l’Italia – deve essere protagonista a livello globale. Il Mezzogiorno d’Italia è parte dell’Europa». 

Meditate gente… meditate.

Speriamo bene. (gm)

REFERENDUM, LA PROROMPENTE ADESIONE
ALLE FIRME È LA DECISA RISPOSTA DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Quasi 300.000 sottoscrizioni in pochi giorni, apposte sulla piattaforma per la raccolta delle firme digitali. In più vanno aggiunte le firme sui documenti cartacei nei gazebo aperti in tutta Italia. L’obiettivo delle 500 mila firme è a portata di mano. Parlo  della richiesta di sottoporre a referendum abrogativo la legge sull’autonomia differenziata.

Un incredibile successo, forse inaspettato. Certamente dalle forze politiche nazionali di sinistra, che ne vorrebbero acquisire i meriti e farne un vulnus contro il Governo Meloni.  Ma anche dalle forze territoriali del Nord, stupiti da una reazione che non avevano prevista, convinti che il Sud, come sempre  non avrebbe reagito.

Il fatto importante che si registra, con un andamento esponenziale dell’apposizione delle firme contro  l’autonomia, che probabilmente verranno nella maggior parte dei casi da elettori del Sud, è una mobilitazione che non si era mai vista prima.

E che ha un consenso trasversale rispetto ai partiti, tanto che alcuni Governatori meridionali di Centrodestra, come Roberto Occhiuto, Vito Bardi, e in parte anche Nello Musumeci, adesso Ministro ma già Governatore della Sicilia nella legislatura precedente, stanno prendendo le distanze dall’accelerazione che alcuni Governatori settentrionali, guidati da Luca Zaia, vorrebbero imporre, acquisendo le autonomia per le materie non Lep.

La sensazione sentendo parlare Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio, Segretario di Forza Italia, ma anche Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, è che in molti non si erano resi conto di cosa stava portando avanti Roberto Calderoli. E che, messi di fronte alle azioni derivanti da una legge ormai approvata, cominciano a frenare bruscamente.

Ma anche se dovesse rallentare, come probabile accadrà, il processo di realizzazione dell’autonomia differenziata, nulla sarà più come prima. Sembrerebbe che il genio della lampada del Sud, che era racchiuso, costretto e imprigionato, stia finalmente  uscendo fuori, manifestando tutta la sua potenza e la sua identità.

I primi segnali sono stati quelli relativi alla vittoria dello scudetto del Napoli, poi il totale cambiamento della vulgata sul Mezzogiorno, per cui Napoli e Palermo e Bari da destinazioni da evitare sono diventate mete ambite. E poi il racconto, alcune volte sopra le righe, del Presidente del Governo e del Ministro Fitto, amplificato da alcuni quotidiani meridionali,  sulla centralità del Mediterraneo e sul nuovo ruolo che questa parte d’Italia, una volta che i rapporti con la Federazione Russa  si sono bloccati e non potranno essere ripresi prima di parecchi anni, potrà giocare nello scacchiere europeo e  internazionale.

Il piano Mattei, la Zes unica, la Batteria del Nord, alcuni solo slogan, danno la dimensione di qualcosa che sta mutando. Ma c’è un fatto che è fondamentale rispetto al passato. Riguarda il cambiamento rispetto alla vulgata prevalente che un racconto pilotato dai media del Nord avevano fatto, convincendo delle teorie anti Sud, spesso, anche la borghesia meridionale.

Si tratta di alcuni paletti che sono stati completamente divelti. il primo di questi è che il Mezzogiorno sia stato inondato di risorse. Il racconto prevalente era che lo Stato aveva riversato somme incredibili nella realtà meridionale, che erano state sprecate. Un racconto che è stato ripreso anche recentemente da alcuni opinionisti dei giornaloni, ma che ormai non ha più presa perché il Dipartimento delle politiche di Coesione ha calcolato in modo inconfutabile, e il nostro Giornale ha tra i primi diffuso questa informazione, che se il pro capite, destinato dallo Stato centrale a ciascun individuo, fosse uguale il Mezzogiorno avrebbe diritto ogni anno ad un risarcimento di 60 miliardi.

Il concetto della spesa storica e della ingiustizia derivata dall’applicazione di essa ormai non è più un’informazione che hanno  solo alcuni addetti ai lavori, ma grazie ad un lavoro tenace di alcuni Media Meridionali, di alcuni Centri di Ricerca con in testa la Svimez, e di pochi ma combattivi opinionisti del Sud, è arrivato a un pubblico più ampio e soprattutto all’intellighenzia meridionale, che finalmente comincia a dare una risposta diversa alla domanda tradizionale che recitava: di chi è la colpa del sottosviluppo del Mezzogiorno?

Infatti mentre prima la risposta era: è colpa nostra perché non sappiamo autogestirci, adesso andando alla testa dell’acqua si riescono a vedere quali sono le responsabilità di uno Stato centrale che ha considerato questa parte come residuale, ed alcuna volte, da fare affondare da sola.

Che non ha investito nella scuola adeguatamente, nel tempo pieno, negli asili nido, nella lotta alla dispersione scolastica, non riuscendo a formare quella consapevolezza per un voto avvertito.

he ha consentito la desertificazione di una realtà che continua ancora oggi, a perdere ogni anno 100 mila persone qualificate, con un costo, per le casse delle Regioni di provenienza degli emigranti,  di circa 20 miliardi.  Che ha fatto fermare l’Autostrada del Sole per anni a Napoli e l’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno. Questa grande consapevolezza oggi si riversa nel voto a favore del Referendum, contro la legge sull’autonomia differenziata, ma ha implicazioni molto più ampie di una realtà che pretende ormai, incredibilmente, l’equità territoriale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

SULLA COSTA JONICA, LA SANITÀ IN AGONIA
REPARTI AL COLLASSO E MANCA PERSONALE

La sanità in Calabria è arrivata a un punto di non ritorno. La carenza di personale nelle strutture ospedaliere è elevatissima e i pochi operatori rimasti sono costretti a turni massacranti. Definire “sanità” il minimo servizio offerto nelle strutture pubbliche calabresi è ormai un eufemismo.

Mancata attuazione dell’ex “Piano Scura”

Sulla costa jonica, poi, la situazione è ulteriormente complicata dalla mancata attuazione del piano Scura, sacrificata per mero campanilismo e interessi politici. Nonostante il piano prevedesse una netta distinzione tra area medica (fredda) e chirurgico-interventistica (calda) nei due plessi dello Spoke di Corigliano-Rossano, oggi persiste una commistione di reparti ingiustificata. L’ultimo Documento di pianificazione sanitaria regionale (marzo 2024) ha previsto l’attivazione del punto nascita nel presidio di Cetraro, a seguito del trasferimento della terapia intensiva da Paola.

Ci chiediamo perché ciò che è stato applicato sul Tirreno non venga attuato anche alla struttura jonica, dove la divisione materno-infantile rimane nel presidio Compagna di Corigliano, nonostante la terapia intensiva si trovi invece nel Ginnettasio di Rossano.

Mancanza di reparti d’emodinamica e pneumologia

Il richiamato Documento di pianificazione sanitaria regionale ha previsto l’attivazione del reparto di emodinamica a Crotone e la predisposizione dello stesso reparto nello Spoke di Corigliano-Rossano. Ad oggi, però, lungo l’Arco Jonico calabrese non c’è traccia di questo reparto salvavita. Le prescrizioni prevedono l’allocazione di tale reparto in aree con almeno 300.000 abitanti, ma la prassi seguita è stata quella di sezionare la Calabria per ambiti orizzontali, ignorando le difficoltà geografiche e le affinità tra aree limitrofe. In questa logica, tutta l’ambito compreso tra la Valle del Trionto e quella del Neto resta fuori dalla “golden hour”. “L’ora salvavita” — lo ricordiamo — resta il periodo entro cui le persone colpite da patologie cardiache devono essere trattate in un punto ospedaliero dotato d’emodinamica.

Relativamante la pneumologia, gli spoke di Corigliano-Rossano e Crotone, risultano sprovvisti di tale reparto. Invero, a poco è valso aver ospitato, nonostante la mancanza di percorsi separati, reparti Covid durante il periodo pandemico. Le dinamiche centraliste, infatti, continuano imperterrite a marginalizzare dette strutture. Non c’è stata alcuna opposizione agli smantellamenti di reparti vitali per la sanità jonica, lasciando 400.000 abitanti senza assistenza adeguata per patologie respiratorie, in preoccupante aumento.

Nuovo Presidio ospedaliero della Sibaritide: Nessuna chiarezza sul suo futuro utilizzo

Fortunatamente, i lavori per il nuovo ospedale unico dello Jonio procedono, ma senza una visione chiara e coerente del suo utilizzo futuro. Invero, il nascente nosocomio appare sottodimensionato rispetto alla previsione dei Lea (livelli essenziali d’assistenza) regionali. L’ospedale, infatti, è stato pensato per un’utenza di circa 180.000 persone, con 373 posti letto. L’offerta sanitaria, quindi, inquadra 2 posti letto ogni 1.000 abitanti, mentre la pianificazione regionale prevede 3.15 posti letto ogni 1.000 abitanti. Si rischia seriamente di completare una struttura che, una volta ultimata, potrebbe rivelarsi una scatola vuota.

La vera battaglia politica e di dignità che la Classe Dirigente del territorio jonico dovrebbe intraprendere sarebbe quella di caratterizzare il nuovo presidio come ospedale Hub. I numeri demografici della Sibaritide e del Crotonese, infatti, consentirebbero piena attuazione all’ipotizzato disegno e, con ogni probabilità, si riuscirebbe ad intravedere uno spiraglio di luce all’orizzonte. (Comitato Magna Graecia)

L’UNICO STRUMENTO CONTRO L’AUTONOMIA
È IL REFERENDUM: ECCO PERCHÈ FIRMARE

di ERNESTO MANCINILa legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata va abrogata tramite referendum nazionale perché è frutto di una concezione errata del regionalismo in quanto sceglie quello competitivo ed egoistico a fronte di quello cooperativo e solidale come invece previsto dai Padri Costituenti nel 1948.  Neppure il legislatore costituzionale riformatore del Titolo V nel 2001 ha mai inteso spingersi fino al punto da consentire una tale prospettiva discriminatoria perché in contrasto con le norme costituzionali di uguaglianza dei cittadini nonché di unità ed indivisibilità della Repubblica ai sensi degli artt. 3 e 5 e 7 della Costituzione.

Perché la legge sull’autonomia differenziata consente alle Regioni di legiferare in via esclusiva sui diritti fondamentali dei cittadini quali salute ed istruzione che possono trovare origine e disciplina solo nelle leggi del Parlamento e nell’ambito di una visione unitaria ed ordinata su tutto il territorio nazionale. Le Regioni concorrono con lo Stato per tali diritti fondamentali ma non possono sostituirsi ad esso.

Perché il trasferimento massivo alle Regioni, così come richiesto da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna di gran parte delle materie di legislazione, svuota la funzione dello Stato quale ente titolare delle scelte strategiche e delle normative fondamentali per lo sviluppo dell’intero Paese (per esempio: energia, trasporti, ambiente, beni culturali, attività produttive, ecc.). Viene così pregiudicata, nelle anzidette materie fondamentali, anche la legittimazione e la capacità negoziale dello Stato nei rapporti interni con le altre Istituzioni e nei rapporti internazionali con altri Stati.

Perché il regionalismo è già negativamente differenziato i gravi ritardi del Sud rispetto al Nord su diritti fondamentali come sanità, lavoro, protezione sociale, per cui un’ulteriore differenziazione aggraverebbe ancor di più il distacco fra le diverse realtà regionali. A tale divario contribuisce in modo rilevante l’antico ed infausto criterio della distribuzione delle risorse in base alla spesa storica per i servizi, la quale non comprende spese per lo sviluppo quali-quantitativo dei servizi medesimi. Perciò, se come già accade, un comune del nord viene finanziato per 15 asili nido ogni 100.000 abitanti ed un comune del sud per 3 asili nido per lo stesso numero di abitanti, il divario rimane permanente non ricevendo il Comune del sud alcun finanziamento per il miglioramento della propria offerta e la conseguente riduzione del distacco.

Perché autorevoli istituti (Eurispes, Svimez) nel corso del 2020 hanno calcolato che, violando il criterio della distribuzione delle risorse in base alla percentuale della popolazione residente (34% al Sud), alle Regioni del Mezzogiorno sono stati sottratti finanziamenti nel periodo 2000 – 2017 per circa 840 miliardi di euro, in media 46,7 miliardi l’anno. Con l’aggravante, secondo tali istituti, che dette risorse sono finite al nord. Quanti posti di lavoro si sarebbero potuti creare per evitare migrazioni al nord o all’estero di giovani lavoratori? Quanta maggiore quantità e qualità di servizi pubblici ci sarebbe potuti erogare nelle Regioni del Sud?

Perché è infondata la tesi opposta secondo cui l’arretratezza del Sud è dovuta ad alcune manifeste incapacità della propria classe dirigente politica o alla criminalità invasiva della Pubblica Amministrazione. A parte il fatto che il livello della classe politica appare uniforme verso il basso su tutto il territorio nazionale, va ricordato che i peggiori casi di criminalità politica corruttiva si sono verificati proprio nelle Regioni del Nord Italia e segnatamente nelle Regioni Veneto e Lombardia oggi reclamanti massima autonomia. Si veda, per il Veneto, il caso del Governatore Galan (concussione, corruzione, Mose di Venezia e Villa Rodella); per la Lombardia, il caso del Governatore Formigoni per i favori corruttivi alla sanità privata della sua Regione (Fondazione Maugeri e San Raffaele). Ora, per la Liguria, sub iudice Toti per corruzione e, in ogni caso, anche a prescindere dalla sussistenza dei reati, grave violazione del principio costituzionale di imparzialità per cui un Amministratore Pubblico non può ricevere finanziamenti da soggetti destinatari di suoi importanti provvedimenti concessori (Porto di Genova).

Perché il regionalismo differenziato crea una deleteria asimmetria delle competenze e perciò dei poteri e delle responsabilità pubbliche, nel senso che in alcuni territori una determinata materia sarà di competenza statale in altro regionale con conseguente caos normativo e frammentazione amministrativa gravemente pregiudizievole per cittadini, associazioni ed imprese nonché in violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone “il buon andamento” della Pubblica Amministrazione.

Perché per molte materie (es.: ambiente, protezione civile, ecc.) i confini regionali hanno senso solo per la gestione amministrativa delle stesse in ambito specifico mentre richiedono globalità degli interventi legislativi ed amministrativi, uniformità della programmazione pubblica per tutto il territorio nazionale ed efficaci economie di scala.

Perché per le materie costituzionali oggetto di autonomia differenziata la funzione regionale non può che essere di dettaglio e soprattutto organizzativa per la puntuale applicazione della legge statale (es.: riforma sanitaria quale legge dello Stato ed organizzazione regionale di servizi sanitari in applicazione della legge statale). Con la funzione legislativa-organizzativa dei servizi pubblici le Regioni hanno già la possibilità di garantire uno sviluppo competitivo ma non egoistico perché misurano la loro capacità organizzativa, innovativa e di gestione rispetto alle altre Regioni ferma restando la base di partenza a parità di legislazione e finanziamento pubblico secondo criteri di proporzionalità.

Perché del tutto fuorviante è la promessa dell’attuale legislatore di garantire parità di condizioni di partenza di tutte le Regioni definendo i livelli essenziali delle prestazioni (c.d. Lep). Infatti i livelli essenziali non si sostanziano in livelli uniformi e adeguati su tutto il territorio ma in livelli minimi di prestazioni con la conseguenza che sarà ulteriormente incoraggiato il divario tra chi è già ben al di sopra di tali livelli a danno degli altri che ne sono ancora ben al di sotto.

Perché il legislatore promette di definire i livelli essenziali delle prestazioni ma si guarda bene dal finanziarli sicché i detti livelli rimangono mere enunciazioni di principio utili, al massimo, per certificare, raffrontando le diverse realtà, le ingiuste discriminazioni tra Nord e Sud.

Perché questa autonomia differenziata è figlia delle concezioni secessioniste della Lega cui gli altri partiti di maggioranza sono inopinatamente venuti incontro concorrendo a realizzare un misfatto giuridico-costituzionale senza precedenti nella storia della Repubblica. Si tratta, infatti, di un patto scellerato consistente nello scambio di reciproci favori (premierato, autonomia differenziata, separazione carriere magistrati) pur essendo in gioco l’unità e l’indivisibilità della Repubblica.

Perché la stragrande maggioranza degli osservatori qualificati nelle materie costituzionali, economiche e finanziarie hanno chiaramente enunciato con formali interventi nella Commissione Parlamentare e nelle altre sedi pertinenti gli effetti negativi dell’autonomia differenziata come concepita dall’odierna maggioranza. In particolare, hanno svolto serie e motivate obiezioni Banca d’Italia, Confindustria, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Svimez, Sindacati maggiormente rappresentativi, Conferenza Episcopale Italiana, Anci, Anpi, Acli, ed inoltre, solo per citarne alcuni, Presidenti emeriti e giudici della Corte costituzionale (Flick, De Siervo, Zagrebelsky,Maddalena) docenti universitari di chiara fama (Azzariti, Pallante, Viesti, Villone) ed esponenti della società civile tra cui i numerosi Comitati per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, il Coordinamento per la democrazia costituzionale, il Forum Disuguaglianze e Diversità, il Rettore dell’Università per stranieri di Siena, i presidenti di The Good Lobby Italia e Openpolis, insieme a decine di intellettuali che da tempo si battono contro lo “spacca Italia”, a partire da Gianfranco Viesti (“la secessione dei ricchi”),Marco Esposito (Zero al Sud),lo scrittore Maurizio De Giovanni, Isaia Sales, docente di Storia delle mafie, Giuseppe De Marzo, Responsabile delle politiche sociali di Libera contro le mafie, e così oltre per centinaia di altre personalità a fronte del quasi nulla nel versante intellettuale e scientifico opposto.

Perché è del tutto generica e demagogica è la tesi opposta per cui l’autonomia differenziata comporta maggiore responsabilità per i politici del sud favorendo perciò lo sviluppo dei relativi territori. Le responsabilità sono collegate ai poteri legislativi ed amministrativi per cui la riduzione di questi rispetto ad altre regioni non può che comportare la riduzione delle relative responsabilità.

Perché, come ha detto il Presidente Sergio Mattarella in occasione della sua visita in Calabria del 30 aprile, «la separazione delle strade tra le Regioni del Nord e quelle del Sud comporta gravi danni alle une ed alle altre». (em)

LA “QUESTIONE ITALIANA” È L’EMIGRAZIONE
DEI GIOVANI DEL SUD, NON L’IMMIGRAZIONE

La “Questione italiana” è l’emigrazione, non l’immigrazione. È l’allarme lanciato dalla Svimez, nel corso del convegno FestambienteSud promosso da Legambiente e svoltosi in Puglia, evidenziando come «l’incremento delle diseguaglianze di genere, generazionali e territoriali è la principale causa del gelo demografico italiano».

Negli ultimi anni, infatti, il tasso di natalità sempre più basso e un’aspettativa di vita sempre più lunga hanno portato l’Italia tra i paesi più anziani in Europa e nel Mondo; ma le dinamiche naturali hanno avuto impatti territoriali differenziati, colpendo in maniera più rapida e severa il Sud. Anche la componente migratoria interna e internazionale ha contribuito ad ampliare gli squilibri demografici Sud-Nord.

Nelle regioni settentrionali si concentrano prevalentemente le comunità immigrate, contribuendo a ringiovanire una popolazione strutturalmente anziana. Il Mezzogiorno continua a soffrire di un deflusso netto di giovani (1 su 3 laureato) verso il resto del Paese e verso l’estero.

La Lombardia, ad esempio, registra una variazione netta positiva, intercettando i flussi migratori interni e esteri. Al contrario, la Puglia continua a perdere popolazione che si sposta nelle altre regioni (specialmente al Nord) e all’estero. Stando alle proiezioni Istat, al 2042 la Puglia perderà oltre 418mila cittadini (- 11%). 1/3 nei comuni delle aree interne (-100mila) in cui oggi risiede il 22% della popolazione. Le riduzioni maggiori si osservano nelle giovani fasce d’età, con la popolazione che si contrarrà di oltre il 30%, con picchi del 35% nelle aree interne. Si perde forza lavoro, si va verso una maggiore senilizzazione della società, si smantella progressivamente il sistema di servizi all’infanzia (se presente), si svuota la scuola.

Di fronte a questo quadro desolante, per la Svimez, una ripresa della dinamica demografica è conseguibile attraverso un riequilibrio delle condizioni di accesso ai diritti di cittadinanza, investendo in infrastrutture sociali per migliorare qualità dei servizi pubblici nei territori a maggior fabbisogno, a partire dalla scuola e dalla sanità, per migliorare il saldo naturale; attraverso un freno alla fuga delle competenze e creando domanda di lavoro qualificato; attraverso politiche in grado di attrarre migranti con misure di inclusione (servizi, borse di studio, accompagnamento e formazione al lavoro).

Per Luca Bianchi, direttore della Svimez, «l’autonomia differenziata determinerà un’ulteriore divaricazione dell’offerta di servizi e di conseguenza un incremento delle emigrazioni (sanitarie, universitarie, lavorative), rafforzando il trend di spopolamento dei territori marginali».

Un’ulteriore approfondimento sui divari territoriali e le difficoltà di accesso al credito l’ha fornito il presidente della Svimez, Adriano Giannola, intervenendo alla 15esima edizione della Conferenza Nazionale di Statistica: «la difficoltà di accesso al credito ostacola – non poco! – la convergenza territoriale. Oggi il dualismo è tornato prepotentemente dopo gli anni della convergenza (1951-anni ’80) e il tema creditizio merita grande attenzione».

«Nel 1972 Saraceno, fondatore con Morandi e Menichella della Svimez – ha ricordato Giannola – espresse una valutazione di grande attualità: “…quando iniziai la non facile ma interessante esperienza della Cassa dissi che tre erano gli indicatori che dovevamo monitorare attentamente perché erano quelli che sulla base degli investimenti che andavamo a realizzare avrebbero dovuto subire un sostanziale cambiamento; mi riferisco al reddito pro-capite, al tasso di disoccupazione e al costo del denaro. Dopo venti anni ci sono flebili segnali positivi sui primi due indicatori mentre sul terzo, purtroppo, non è accaduto nulla. E questo, devo essere sincero, è davvero preoccupante perchè rappresenta il riferimento determinante per un processo di crescita. Sono sicuro che…, il mondo bancario annullerà queste forme discriminanti nei confronti delle iniziative nel Mezzogiorno”».

«Alla luce delle evidenze successive al 1990 – ha aggiunto il presidente Svimez – un illustre analista commenta “…lo Stato… in tutti questi anni non ha mai dichiarato che quel rischio differenziale denunciato… possa essere assorbito ad opera sua”: è lampante in effetti che il drastico razionamento della spesa pubblica in conto capitale al Sud, il consolidamento bancario degli anni 1990, il passaggio della vigilanza da strutturale a prudenziale, sono fattori che non hanno attenuato il differenziale che condiziona il merito creditizio di famiglie e imprese del Sud».

«Lo Stato e la Banca Centrale – ha proseguito – hanno affrontato il problema con una terapia distillata da una diagnosi secondo la quale per incidere sul divario è prioritario puntare a recuperi di efficienza promossi a loro volta dall’ apertura del mercato “locale” al vento della concorrenza. Su queste basi l’ obiettivo dichiarato di eliminare oltre il 60% del dualismo creditizio ha legittimato il rapidissimo consolidamento che ha scientemente e inopinatamente spazzato via il sistema bancario meridionale. Che la terapia non fosse idonea, efficace e men che meno risolutiva lo dice la cronaca trentennale che, ormai è storia, conferma per mutuatari ed imprese del Sud che poco o nulla è cambiato: il dualismo consolidato, domina ora come allora».

«Cancellati con chirurgica rapidità i grandi banchi (gli Icdp) del Sud, aggiudicati a quelli del Nord alla cui gestione si affida il neonato mercato unico dei capitali, scompare la dimensione del fine tuning interbancario strategico per gestire il dualismo creditizio mentre la raccolta del Sud razionalmente impiegata sul mercato duale premia ovviamente, e più di prima, imprese e operatori del Centro Nord (100 mld/anno nel 2022) condizionando Pmi e clientela nel Mezzogiorno – ha detto ancora –. Né, in questo panorama, le grandi banche nazionali del mercato unico dei capitali vincono la sfida dell’ efficienza che invece perdono in assoluto e nel confronto specifico con quel che resta del sistema creditizio del Sud: le Bcc e il fragile retaggio delle Banche Popolari. Costringere la gestione operativa di un sistema ostinatamente duale nel mercato unico del credito, viola basilari regole grammaticali del dualismo perché atrofizza l’ azione tradizionalmente svolta sull’ interbancario dalla sapiente, più indipendente ed esperta gestione della Banca Centrale. Questa, abdicando al suo ruolo, senza cogliere l’ obiettivo consolida la patologia».

«L’ansia di prestazione suggerisce terapie frutto di cedimenti all’accademica nella lettura di un fenomeno ben noto proprio alla Banca Centrale che, La Banca Centrale non più sovrana a scala nazionale e al governo dell’Euro, potrebbe svolgere un ruolo di eccezionale rilevanza sul monitoraggio e gestione del dualismo – unico per intensità e storia nell’Unione proprio e su un terreno di sua stretta competenza –. È paradossale – ha concluso – che il più completo e prestigioso laboratorio di ricerca e analisi nazionale, patrimonio della Banca Centrale non contribuisca attivamente come avviene in altri contesti in modo sistematico ed operativamente incidente». (rcz)

AL SUD NON BASTA VIVERE DI TURISMO: SI
PUNTI SU AGRICOLTURA E MANIFATTURIERO

di PIETRO MASSIMO BUSETTASembra che dobbiamo metterci anche noi a sparare ai turisti con le pistole ad acqua, per convincerli a non venire più. Come hanno fatto a Barcellona o vorrebbero prendere l’abitudine  a fare i veneziani. Parlo di Napoli, Palermo, Bari, Catania, Reggio di Calabria e tutto il Sud.

Sono in molti a ritenere “pericolosa” l’evoluzione positiva del turismo nel Mezzogiorno. A costoro si contrappone chi ritiene di aver trovato la soluzione ai problemi di occupazione dell’area: sono in tanti ad affermare che si potrebbe vivere di agricoltura e turismo, senza canne fumarie inquinanti, senza petrolchimico che porta malattie tumorali, senza siderurgia di base con uno scambio lavoro/salute ormai non più non solo accettabile, ma nemmeno tollerabile. Dobbiamo deludere tutti questi e non con una altrettanta vigoria ideologica ma con la forza dei numeri.  

Assodato che l’agricoltura è una attività da Paesi in via di sviluppo e che l’agroalimentare potrà rappresentare ancora una piccola valvola che andrà a recuperare gli addetti che si perderanno nel settore primario, rimane il tema del turismo, che dopo il Covid sta vivendo una stagione vivace ed interessante. 

Bene un aumento consistente delle presenze turistiche può rappresentare una via per la soluzione dei problemi occupazionali di questa area? Bene la risposta è no, in maniera decisa e senza alcuna possibilità di essere smentiti. Intanto bisogna dire che oggi il turismo nel Sud è sottodimensionato: ha un numero di presenze, in tutto il Sud più le Isole, pari a quelle del solo Veneto e ci fa capire che strada da fare ce ne può essere ancora tanta.  

Ma anche che se si raddoppiassero in cinque anni le presenze, missione impossibile visto che siamo fermi a 80 milioni da parecchi anni, anche se questo avvenisse,  il contributo all’occupazione sarebbe nell’ordine dei 300.000 occupati in più.  Dato importante ma ben lontano dalle esigenze di un Sud che per raggiungere il rapporto popolazione occupati delle realtà a sviluppo compiuto avrebbe bisogno di creare oltre 3 milioni di nuovi posti di lavoro. 

Quindi settore importante che può contribuire in modo decisivo alla messa a regime della realtà, poiché prevede che si aumenti la mobilità, la gradevolezza delle nostre coste e dei nostri borghi, la dotazione importante delle utilities come energia e acqua, l’offerta di attività culturale, ma anche l’offerta di servizi sanitari. Ma che deve trovare nella attività logistica e nel manifatturiero pulito e di qualità il completamento per una adeguata dimensione della domanda di lavoro. 

Ma il problema del settore turistico non è solo quello della quantità di occupazione che può creare, ma anche del tipo di occupazione. Se vogliamo che si interrompa il flusso emigratorio, che porta 100.000 persone a lasciare il Sud, con un costo per le casse regionali meridionali di oltre 20 miliardi ogni anno, è necessario creare sì lavoro nel settore turistico, ma anche nella ricerca, nell’high tech, nel farmaceutico, nell’automotive, nel settore aeronautico.  

Perché dobbiamo consentire ai nostri giovani ingegneri, ricercatori, chimici, geologi, di trovare opportunità lavorative senza per forza fuggire. Bisogna fare chiarezza perché spesso il manifatturiero viene confuso con il petrolchimico, con la chimica di base o con le acciaierie tipo Ilva, che tanto danno hanno fatto ai territori dove si sono insediati, anche se nel periodo della localizzazione hanno consentito un lavoro per molti. 

Bisognerebbe cominciare a capire che esiste anche il manifatturiero buono, quello per il quale il Veneto va in conflitto con il Piemonte, in una lotta che prevede che alla fine gli ingegneri occupati devono emigrare dal Sud. Quello che porta Giorgetti fin negli Stati Uniti d’America per cercare inutilmente di convincere la Intel a localizzarsi a Vigasio, a pochi chilometri da Verona. E tale manifatturiero, che rappresenta la polpa che tutti vogliono, non porta tumori o le devastazioni di Bagnoli o Gela. Ma può essere ecologico e senza fumi, come ci insegnano tante localizzazioni importanti nel mondo. 

Quindi il futuro del Sud non può fare a meno dell’agricoltura perché consente la protezione dei suoli ed evita lo spopolamento delle campagne,  dell’agroalimentare, che valorizza le produzioni e dà una identità forte ai luoghi: cosa sarebbe la Campania senza la sua mozzarella; ma non può fare a meno, con una popolazione di oltre venti milioni di abitanti, se non si vuole lo spopolamento, della logistica con una valorizzazione seria dei suoi porti, naturalmente vocati, per posizione e conformità dei luoghi, come Gioia Tauro e Augusta, ad accogliere i grandi traffici. Mentre invece si continua con una forzatura costosissima per il Paese, a puntare su Genova con progetti, questi faraonici, che renderanno fruibile un porto che non ha né una baia adeguata né spazi per un retroporto. 

Ma ha bisogno anche di un manifatturiero adeguato, che con le Zes doveva trovare la possibilità di aumentare con l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area e che con la Zes unica rischia di far perdere quell’appeal ai territori coinvolti, estendendo l’area a tutto un Sud, che non può avere improvvisamente le caratteristiche per attrarli ( sicurezza, collegamenti, cuneo fiscale generalizzato, tassazione degli utili contenuta, semplificazione amministrativa).  

Non si distribuiscono pasti gratis si dice in economia e certamente i prati verdi e le mucche al pascolo con i campanacci sono bellissimi fin quando consentono alla popolazione di avere un progetto di futuro. Se ciò non avviene allora sarebbe bene fare i conti con la realtà e i numeri collegati. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CONTRO AUTONOMIA SLOGAN GARIBALDINO
UNIAMOCI: QUI SI FA L’ITALIA O SI MUORE

di MIMMO NUNNARI – C’è un’espressione che abbiamo imparato fin da piccoli, leggendola con qualche emozione sui libri di testo della scuola: “Qui si fa l’Itàlia o si muòre”, attribuita dallo scrittore e patriota Giuseppe Cesare Abba – che fu testimone – a Giuseppe Garibaldi, il quale durante la battaglia di Calatafimi il 15 maggio 1860 l’avrebbe rivolta a Nino Bixio, suo braccio destro, una delle figure più note del Risorgimento.

Divenuta proverbiale, la frase è ripetuta, con diverso significato, secondo i contesti, per esprimere la necessità di una condotta decisa, risoluta, come per esempio è accaduto all’indomani della Seconda Guerra mondiale, quando l’Italia si presentava come un cumulo di macerie materiali e morali e si è potuto rinascere soltanto grazie alla presenza di uomini onesti illuminati e di buona volontà di tutte le parti politiche, che furono capaci senza titubanza alcuna di creare uno spirito unitario, in grado di superare le varie diversità. Al di là della retorica patriottica e risorgimentale quella frase vorremmo risentirla pronunciare oggi, da quanti, popolo, cittadini, politici, di fronte alla battaglia decisiva per la sopravvivenza dell’Italia e al rischio “dissoluzione” derivante dall’Autonomia differenziata, si accingono a sostenere il referendum.

La frase, “O si ricostruisce l’Italia o si muore”, auspichiamo diventi un urlo corale e che il Sud l’asserzione ascoltata sul campo di battaglia da Abba, combattendo proprio a Calatafimi, la faccia propria. Quale migliore occasione del referendum ha il Meridione per uscire dal letargo e ribellarsi, anche per il passato di emarginazione e trascuratezze, trovando, come dice Daniele Macris, professore di greco e studioso delle Chiese d’Oriente e d’Occidente “un sussulto di dignità da parte di chi è stato sfruttato infinite volte”. Macris, attento studioso meridionalista spiega che in questa occasione dell’Autonomia differenziata “l’equivoco unitario emerge ancora più sfacciatamente”.

Siamo d’accordo con lui, perché la nostra unità nazionale è rimasta malcerta come all’inizio e quindi incompiuta. Non pensiamo che il referendum possa risolvere tutte le annose questioni ma un urlo potente che salga dal Sud può scuotere le coscienze addormentate del Paese, richiamare l’attenzione, anche dell’Europa, sulla secolare assenza dello Stato nel Meridione. Stato, storicamente guardingo ma non governante che ha lasciato i cittadini meridionali soli a muoversi dentro un panorama di disorientamento umano e sociale, alimentando in loro la percezione di non essere stati mai ammessi per colpe inspiegabili al processo di sviluppo e di crescita dell’Italia e di essere stati cancellati dall’agenda dei Governi tutti, con motivazioni bugiarde, arroganza coloniale e nel silenzio indecente di partiti, media e cultura.

Alla data nefasta dell’approvazione del progetto di legge di Autonomia differenziata dì Calderoli – un vero e proprio atto di secessione – sul campo restano le promesse di decenni, o di secoli: lavoro, strade, ferrovie, scuole, porti, aeroporti, infrastrutture, cose che erano indispensabili al Sud per una crescita armoniosa del territorio, come avvenuto per altre aree della nazione. Lo stesso megaprogetto del Ponte sullo Stretto voluto dal leader leghista e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini più che colmare una carenza prioritaria assomiglia metaforicamente al cavallo di Troia: uno stratagemma pensato e realizzato allo scopo di distrarre i meridionali per non far vedere i nuovi scippi che si preparano per e cercare consensi elettorali in luoghi precedentemente disprezzati. E se in tutto questo c’è inganno, come maliziosamente pensiamo, sventuratamente Salvini non è neanche Ulisse: qui parliamo non del poema epico più grande di tutti i tempi ma di miserie quotidiane della politica politicante e non di eroi dell’Odissea.

Parliamo di zone del Paese che dopo essere state sacrificate, sfruttate, saccheggiate, ora – con l’Autonomia – sono destinate a restare più sole trascurate e abbandonate perché le terre del Nord se ne vanno, portandosi dietro nuovi bottini con la famigerata secessione dei ricchi voluta dalla coalizione di Governo: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. E qui qualcosa di definitivo da dire spetta al presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto che di Forza Italia è il potente vicesegretario e leader nel Meridione. È vero che ha contestato il metodo: «Una legge di questo genere doveva essere maggiormente metabolizzata dal Paese, invece è stata approvata di notte e di fretta, facendola sembrare ancora più divisiva rispetto a quello che è».

È molto sul piano politico quel che ha affermato ma è ancora poco sul piano sostanziale. Schierarsi e schierare la Calabria in tutti i modi possibili contro lo scellerato progetto di Autonomia gli farebbe onore e sarebbe un atto di coraggio politico senza precedenti che lo porterebbe all’attenzione del Paese. Aderire per esempio al referendum sarebbe un atto importante. Il referendum è un’occasione che assume un’importanza vitale. Ci sono stati referendum che hanno cambiato la storia politica, economica e sociale del Paese, per cui questo strumento in mancanza di altre iniziative al momento è il più adatto.

Va detto infine che in tema di Autonomia la Chiesa italiana che da qualche tempo ha ritrovato uno spirito nazionale riconciliante di fronte al paese spezzato, si è espressa con autorevolezza, ai massimi livelli: «L’autonomia differenziata è un problema che riguarda tutto il Paese, e quindi la Chiesa italiana nel suo insieme», ha detto il presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi annunciando la bocciatura senza appello dei vescovi italiani del ddl Calderoli. Il mondo cattolico italiano da Nord a Sud è certo che con l’Autonomia aumenteranno le diseguaglianze. In un documento l’Azione Cattolica di Milano alla vigilia delle Settimane Sociali tenute a Trieste ha denunciato – con riferimento all’Autonomia differenziata – «il tentativo di cancellare il necessario riferimento alla solidarietà nazionale, all’unità e indivisibilità del Paese, oltre che all’attenzione e vicinanza ai territori più svantaggiati, che potrebbe aggravare le differenze territoriali a partire dalle differenze economico-sociali tra il Nord e il Sud Italia».

Sul tema, dopo aver sottolineato che si indebolirà la solidarietà, deperirà il tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno e delle “aree interne” e si creerà una fonte di ingiustizia e di perenni conflitti, monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vice presidente della Cei per il Sud, è stato ancora più esplicito: «Lasciate che vi dica che l’autonomia differenziata è la madre di un’ingiustizia epistemica che vuole ridisegnare un’Italia spaccata dalla disparità sociale». L’espressione “qui si rifà l’Italia o si muore”, come slogan per il referendum, dunque ci sta ben. (mnu)

TUTELA DI MINORI E SUPPORTO A FAMIGLIE
A RC: NON VOLTARSI MA «FARE QUADRATO»

di ANTONIETTA MARIA STRATI – A Reggio i minori e le loro famiglie invocano aiuto, Save the Children, il Tribunale per i Minorenni e il Centro Comunitario Agape rispondono. E lo fanno rinnovando un accordo che attiva ulteriori azioni concrete a tutela dei diritti dei minori e delle famiglie in difficoltà.

Un impegno, quello del Centro Comunitario Agape reggino – guidato da Mario Nasone  – e del Tribunale per i Minorenni – guidato da Marcello D’Amico – continuo. A giugno, infatti, parlavano di «adolescenza e infanzia ferita» e chiedevano delle strategie d’intervento coinvolgendo  le diverse istituzioni ed agenzie che si occupano dei minori per una riflessione a più voci.

Lo stesso Garante regionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, Antonio Marziale, aveva ribadito la necessità di «fare «quadrato attorno ai bambini», e, oggi, lo si fa assieme a Save the Children, dove si chiede una maggiore assunzione di responsabilità da parte delle Istituzioni e delle Associazioni.

E, con questo spirito, il Presidente del Tribunale per i minorenni, Marcello D’Amico, ha accolto la disponibilità di Save The Children e del Centro Comunitario Agape, di rinnovare un accordo di collaborazione che ha dato importanti risultati negli anni scorsi e che si ora si prefigge di attivare ulteriori azioni concrete a tutela dei diritti dei minori e delle famiglie in difficoltà. Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i minori a rischio e garantire loro un futuro, e Agape, con consolidata esperienza nell’ambito minorile, vogliono essere una risorsa per il Tribunale per i minorenni che continua ad essere un presidio fondamentale per la tutela degli interessi dei minori. 

A raccontare l’importante lavoro che svolte il Tribunale, è stata Tiziana Catalano, psicologa e giudice onorario al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria: «diversi ruoli entrano in gioco perché si entra nella vita di persone, e sappiamo già che abbiamo bisogno di diverse competenze».

«Dobbiamo anche qui però – ha proseguito – dirci la verità: L’intervento dentro le mura di casa è il più doloroso, e sapete che accade? Che la società fa muro.Ci stiamo dimenticando del bambino che soffre,  La società all’intervento come risponde? Ah ma lo stato è duro, è violento… ma com’è possibile sostenere questo? Quando la società dice così, dimentica il bambino. È proprio nel momento dell’intervento che la società deve insistere, non dimenticare. Al Tribunale quindi, si lavora in punta di piedi. Lo stato allora deve entrare, ma il villaggio deve essere solidale, non battersi il petto poi quando accade il fatto increscioso».

Il nuovo protocollo, curato dal giudice onorario Giuseppe Marino e alla cui ratifica erano presenti il magistrato minorile Paolo Ramondino, la rappresentante regionale dei programmi di Save the Children, Carla Sorgiovanni e  la volontaria avvocata Elisabetta Martelli di Agape, che curerà con il Giudice onorario Marino il servizio di ascolto e coordinamento dell’intesa e che sarà operativo da settembre, prevede collaborazioni diverse.

Ad esempio la realizzazione, a cura di Save the Children e dei propri partner, nei territori di San luca e Locri, del progetto Buon Inizio, crescere in una comunità educante che si prende cura, già finanziato dall’impresa sociale Con I Bambini e rivolto alle famiglie, con la partecipazione a livello consultivo del Tribunale per i Minorenni, la realizzazione di momenti formativi e/o di approfondimento sulla protezione e ascolto dei Minori Stranieri Non Accompagnati (Msna rivolti al personale del Tm  e a tutti gli attori – istituzionali e non – che a vario titolo si occupano della protezione dei minori migranti e operano nel territorio di competenza del Tribunale. 

Inoltre, l’accordo include la realizzazione di momenti formativi e/o di approfondimento sulla legislazione in materia di responsabilità genitoriale e sulla valutazione della capacità genitoriale rivolti agli operatori dei progetti socio-educativi che Save the Children ed Agape promuovono sul territorio ed ai rappresentanti dei servizi  sanitari servizi sanitari, sociali ed scolastici.                         

Il Centro Comunitario Agape garantirà, avvalendosi di volontari qualificati, l’apertura di un punto di ascolto c/o il Tribunale per i Minorenni per la consulenza alle persone in difficoltà ed ai cittadini che hanno esigenza di rivolgersi al Tribunale per i Minorenni, lo stesso servizio sarà svolto presso la sede del Centro Comunitario Agape e sarà, inoltre, istituito un servizio telefonico attraverso il quale potranno essere raccolte le richieste di assistenza e di aiuto  per le famiglie, gli insegnanti, le associazioni impegnate nella tutela dei minori.Verranno garantiti, su richiesta delle scuole interessate, incontri formativi e di consulenza con gli insegnanti e le famiglie c/o i presidi scolastici,  e si collaborerà all’esecuzione dei provvedimenti adottati dal Tribunale per i Minorenni a sostegno dei minori appartenenti a nuclei familiari in difficoltà.

Tra questi anche il consultorio per adolescenti Spazio Zeta, promosso all’interno del progetto Orientamento al futuro, lo Spazio genitori ed un servizio di orientamento legale a cura degli avvocati volontari della Marianella Garcia

Secondo le prescrizioni dell’autorità giudiziaria minorile in sinergia con i giudici togati, onorari e con i curatori, il Centro Comunitario Agape collaborerà con proprio personale qualificato al monitoraggio dei minori del distretto allontanati dalla propria famiglia d’origine mettendo a disposizione risorse e servizi, curerà infine  uno sportello informativo sull’affido etero familiare e iniziative di sensibilizzazione e formazione delle famiglie interessate d’intesa con il Tribunale.

 Tutte azioni, queste, volte esclusivamente alla tutela dei minori e delle loro famiglie. Sicuramente il recente Piano di sostegno alle fragilità approvato dalla Giunta regionale – e plaudito dal Coordinamento regionale Affido e Adozione – è un primo passo per la vera tutela dei più piccoli, che «che necessitano di azioni di sostegno e di accompagnamento».

Ma non solo: è fondamentale, anche, «promuovere un ambiente educativo sicuro, rispettoso e inclusivo», come avevano ribadito i ragazzi e le ragazze del progetto Altavoce promosso da Save the Children e realizzato a Reggio dal Centro Comunitario Agape. Un intervento, il loro, a seguito dell’aggressione che ha coinvolto due studenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci”, in cui hanno ribadito la necessità di «creare un ambiente scolastico e comunitario in cui ogni ragazzo possa sentirsi al sicuro, rispettato e sostenuto. La prepotenza e la violenza non hanno spazio nella nostra società, e dobbiamo lavorare insieme per prevenirli e affrontarli con determinazione e coraggio».

Ma non è solo la comunità a doversi impegnare. Ai primi di luglio, Lucia Lipari, del Centro Comunitario Agape e Claudio Venditti, del Forum Famiglia, si sono rivolti ai parlamentari affinché seguissero, con forte impegno, l’iter della riforma sui tribunali per i minorenni, «rappresentando a livello di Governo e del parlamento la situazione degli uffici giudiziari della regione coinvolti».

L’attenzione, in particolare, era da rivolgere al Tribunale per i Minorenni di Reggio e di Catanzaro, che operano  in contesti dove la criminalità organizzata, le sacche di povertà e la debolezza del sistema del Welfare producono fenomeni gravi e diffusi di disagio sociale e di devianza, veri e propri avamposti di legalità che rischiano di essere  privati della loro funzione di tutela dei minori  per la mancanza di risorse a cui si unisce la complessità del nuovo quadro legislativo».

«L’attività svolta dal Tribunale per i Minorenni finora è stata cruciale – hanno evidenziato – per salvaguardare in particolare i diritti dei minori vittime di crimini domestici, inseriti in quei contesti in cui il paradigma offensivo si sviluppa quotidianamente. Si deve fare pertanto  di tutto per  scongiurare possibili disfunzioni nel sistema giudiziario».

«Per questo è necessario considerare che, oltre allo slittamento – hanno concluso – il Ministero della Giustizia provveda alla destinazione di fondi per l’assunzione di personale, anche di carattere amministrativo, che possa supportare la  riforma  che sin dalla sua stesura non ha ritenuto di prendere in considerazione le effettive realtà degli uffici giudiziari e dei territori». (ams)

LA ZES UNICA E LA GRANDE BEFFA AL SUD
SÌ AL CREDITO D’IMPOSTA, MA SOLO AL 17%

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Tutto come previsto. I vantaggi estesi a tutto il Mezzogiorno con la Zes Unica man mano devono essere limitati. Come era prevedibile  per due ordini di motivi: uno perché l’Europa tende ad evitare di concedere la possibilità di vantaggi estesi a territori troppo ampi di una singola Nazione e secondo perché lo stesso Stato nazionale, quando prevede dei vantaggi per territori troppo estesi, li limita per evitare che diventino insostenibili per il bilancio nazionale. 

Per la prima motivazione  la permanenza dei vantaggi ha un periodo sempre estremamente contenuto. La ragione  è evidente, e riguarda la volontà di eliminare gli aiuti di Stato, per cui  si vuole trovare il momento opportuno per contenere le condizioni favorevoli, la cui cancellazione trova ovviamente, nel territorio e nelle forze politiche che lo rappresentano, molte resistenze. 

 Nel caso per esempio del cuneo fiscale, introdotto dal Secondo Governo Conte, Ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, provvedimento generalizzato per tutta l’area, la promessa di doverlo estendere indefinitamente nel tempo, fatta dal Governo di Giorgia Meloni, manifesterà presto la sua mancanza di concretezza, sia perché l’Europa non lo consentirà, ma anche perché si dimostrerà un vantaggio troppo oneroso. 

La motivazione sottostante al provvedimento era di rendere le aree del Mezzogiorno competitive nel costo del lavoro rispetto a quelle, per esempio,  polacche, rumene o ungheresi, che possono offrirne uno più basso. Cioè parliamo dei vantaggi che alcune altre Zes, esistenti in Europa, danno a coloro che vogliono investire nelle loro aree.

In realtà si tratta di condizioni aggiuntive rispetto a quelle indispensabili perché un qualunque investitore consideri possibile insediarsi in una zona. Ma dare la ciliegina quando non c’è la torta è velleitario. Infatti con la Zes Unica si vorrebbe attrarre investimenti dall’esterno, che non arriveranno mai, non offrendo le condizioni di base. 

Che sono prevalentemente due, la prima che le aree siano ben collegate, via mare, aria, terra. Inserire nella Zes unica, la Provincia di Agrigento, assolutamente irraggiungibile, è un modo per prenderci in giro, o forse per consentire dei vantaggi per la localizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle, facendolo entrare tra gli investimenti attratti, per far dimenticare invece che si vuole  attingere ai fondi per il Mezzogiorno, senza lasciare sul territorio nulla, per un’interesse che riguarda il Paese, in particolare la cosiddetta locomotiva,  che ha bisogno di gas, dopo la chiusura dei rubinetti russi.   

Niente di nuovo rispetto a quello che  é avvenuto  con la prima industrializzazione, quella del petrolchimico, che ora sta lasciando territori inquinati, porti inagibili come quello  di Augusta. Industrializzazione promossa sempre con le risorse destinate al Mezzogiorno per il manifatturiero  pulito. 

E adesso, per bonificare le realtà di riferimento, come è accaduto a Bagnoli, con grande disappunto e tanta giusta contestazione del Governatore De Luca i fondi saranno sempre prelevati da quelli destinati al Mezzogiorno,

La seconda condizione è che vi sia un controllo adeguato della criminalità organizzata, che è probabilmente possibile se le aree considerate sono limitate come territorio, per cui si può pensare a forme di vigilanza  particolare, anche elettroniche, come l’utilizzo intensivo di telecamere, confini controllati che non permettano l’ingresso e la permeabilità alle organizzazioni criminali  e di poter pubblicizzare le aree come territorio criminal free.

Azione impraticabile se riguarda tutto il Mezzogiorno, dove l’azione delle Forze dell’Ordine è meritevole, ma ovviamente lascia spazi di agibilità a coloro che delinquono e che non possono essere controllati  in tutta l’area, considerato che parliamo del 40% del territorio del Paese. 

Dopo di che, senza aver offerto le condizioni di base, forniamo quelle di vantaggio che riguardano il costo del lavoro e la tassazione degli utili di impresa.  Distribuendo tali vantaggi su una platea di fruitori numerosa, avendo a disposizione risorse limitate, per cui alla fine si diminuisce il vantaggio per singola impresa.

Tutto come previsto,  adesso il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, con un provvedimento  dal titolo  “Determinazione della percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile per gli investimenti nella Zona economica speciale per il Mezzogiorno – Zes unica, di cui all’articolo 16 del decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, n. 162 degli utili di impresa”, comunica che esso  sarà pari al 17,6668 %. 

Il ragionamento è semplice poiché l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti, in base alle comunicazioni validamente presentate dal 12 giugno 2024 al 12 luglio 2024, è risultato pari a 9.452.741.120 euro, a fronte di 1.670 milioni di euro di risorse disponibili, che costituiscono il limite di spesa, si dà poco a tutti. 

E lo si dice chiaramente “Pertanto con il presente provvedimento si rende noto che la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile da ciascun beneficiario è pari al 17,6668 per cento (1.670.000.000 / 9.452.741.120) dell’importo del credito richiesto”.

 Tale è l’importo riconosciuto come contributo sotto forma di credito d’imposta per le imprese che effettuano investimenti dal 1° gennaio 2024 al 15 novembre 2024, relativi all’acquisizione di beni strumentali, destinati a strutture produttive ubicate nella Zes unica. In realtà il Ministro Fitto aveva richiesto al Direttore dell’Agenzia delle Entrate, con nota del 17 luglio scorso, alcune informazioni indispensabili per l’implementazione della misura. Vedremo come andrà a finire 

Ma non ci dobbiamo stupire che poi i veri insediamenti industriali si vadano a localizzare a Novara o alle porte di Milano e provochino una guerra tra ricchi, nella quale Zaia si distingue, chiedendo al Governo e al Ministro Urso di avere tutti gli atti per cui un’azienda sceglie Novara invece che Vigasio in provincia di Verona. 

Ma tutto questo quando si decise di fare l’annuncio, urbi e torbi, della grande Zes unica di tutto il Sud  non era prevedibile? Ma i collaboratori del Ministro Fitto sono così poco avvertiti? O  visto che le otto Zes stavano cominciando a funzionare si è voluto castrare un strumento utile?  Diceva Giulio Andreotti che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CON L’AUTONOMIA LA CALABRIA PERDERÀ
5,34 MLD: COSÌ MUORE LA SANITÀ PUBBLICA

di CARLO RANIERIPremesso che, il tallone di Achille dell’autonomia differenziata (n. 86/2024) è la distinzione fatta tra materie tra Lep e non Lep, la normativa approvata il 26 giugno 2024,  prevede un doppio canale (quelle non Lep concedibili subito), ma   l’art. 116 Cost. parla di 23 materie devolvibili alle Regioni.

La distinzione tra materie Lep e non Lep è un’invenzione del governo Meloni, il prof. S. Cassese, ebbe a dire “che la distinzione è stata complicata ed in alcuni casi impossibile”. Il Presidente Emiliano in audizione ha detto che  «i Lep non sono altro che la vita sociale e civile dei cittadini ed è impossibile determinarli senza fare sperequazione».

I Lep si sa, non saranno mai determinati, in quanto non compatibili con il quadro della finanza pubblica per come delineato dall’art. 119 cost., e anche se determinati, vanno  a incidere sui principi di  eguaglianza e  solidarietà tra i cittadini della Repubblica Italiana, con gravi squilibri territoriali  e unitarietà  dello Stato Italiano (artt. 2, 3 e 5 Cost.).

Bloccando il trasferimento (con richiesta di referendum di abrogazione parziale) delle materie non Lep di fatto si blocca la legge Calderoli.

Altra contraddizione, per determinare i Lep la norma prevede il decreto legislativo, mentre demanda ad una commissione tecnica (Ctfs) la determinazione dei costi e fabbisogni standard, questo diverso modo di procedere può essere impugnato alla Consulta per un’abrogazione parziale, che di fatto bloccherebbe le intese del 2018 riesumate dall’art. 11, c.1.

Disastro autonomia per la Calabria

Con l’autonomia differenziata (AD) sarà fine dello stato unitario. Dal 2027 ogni Regione dovrebbe mantenersi con i tributi incassati sul territorio (D.Lgs n. 168/2011 per come modificato dalla legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788 governo Meloni). 

La Calabria incassa il 51% di quello che spende

Lo Stato grazie al surplus fiscale del Nord versa quale trasferimenti erariali alla Calabria circa 5,34 miliardi (il bilancio della Regione è circa 5,5 miliardi). Con l’autonomia differenziata cesseranno. Senza questi fondi chiuderanno: ospedali, scuole, trasporto pubblico locale  e servizi sociali.

La spesa primaria netta calabrese  (ovvero la spesa pubblica nominale al netto della spesa per interessi), quale valore pro-capite:  spesa primaria € 12.941, entrate € 8.364 (saldo negativo di € 4.307 )  per ogni cittadino calabrese.

Per coprire questo saldo negativo interviene il residuo fiscale della altre regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio) alla Calabria, che cesserà quando saranno devolute le materie non Lep. Per un abitante della Valle d’Aosta (RSS) la spesa primaria netta è il doppio di quella di un calabrese € 23.905.

Sanità Calabria – Gli effetti collaterali dell’autonomia differenziata

Su una spesa storica (Dpcm 30 agosto 2021) di oltre 3miliardi (complessiva 4,5miliardi) vengono dati 1,6 miliardi quale perequazione (art. 119 costituzione), senza  questo trasferimento dovremmo comprare le medicine – chi non ha soldi muore – fine della sanità pubblica. Nell’anno 2022 per ogni abitante dell’Emilia Romagna la spesa sanitaria pro-capite è stata  di  2.495 euro l’anno (747 euro in più), per un calabrese  1.748  euro, con l’autonomia differenziata saranno 839 euro (908 euro in meno a testa).

Diminuirà il personale sanitario e scolastico in quanto nelle materie non Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) già chieste dalle Regioni del Nord si possono differenziare gli stipendi sino  a  raddoppiarli con fondi regionali (tramite contratti integrativi). 

Andranno via migliaia di medici, infermieri e professori, saremo costretti a trasferirci la Nord per qualunque tipo d’intervento e per  studiare. La Calabria spende circa 280 milioni l’anno, per cure fuori regione con l’Ad non ci saranno più i fondi per il rimborso. 

Per anziani e fragili non esisteranno più i fondi per comprare costosi medicinali (una scatola di cp. antitumorale costa sino  a 10.000 euro al mese), potranno morire.

Nel 2022 il 52% degli interventi oncologici (n. 3.100 dati Svimez) di calabresi sono stati fatti fuori regione. La vita è una sola e non si può morire per la cattiva sanità nostrana (in piano di rientro da 2008) e commissariata dal 2009 sia per disavanzo di bilancio che LEA sotto la soglia mix di 60.

Scuola e autonomia differenziata (Preintese tra Governo tre regioni del Nord del 28 febbraio 2018)

Sarà la Regione a stabilire i programmi scolastici complementari e la quantità  personale da assumere (più professori rispetto a quanto stabilito dalla Stato), ci sarà un sistema integrato d’istruzione, per cui un diplomato o laureato del Nord sarà meglio formato e quelli del sud non troveranno lavoro.  

La programmazione delle università del nord sarà finalizzata per favorire lo sviluppo sociale di quelle regioni con corsi di studi ad hoc (quindi i laureati nel sud saranno molto meno qualificati). Ci sarà un fondo integrativo regionale per la didattica, molto più mezzi (strumenti di laboratorio etc…).

Per il trasporto pubblico locale ci saranno meno fondi per comprare autobus e pullman

Le regioni come la Calabria compra i mezzi del trasporto pubblico in conto capitale con il fondo perequativo (cioè soldi del Nord trasferiti al sud), senza di questi dovremo viaggiare con il ciuccio-bis o a piedi.

L’autonomia differenziata  non è altro che trattenersi il surplus fiscale delle regioni del Nord: Piemonte, Lombardia (53 miliardi), Veneto, Liguria – Emilia Romagna – Lazio, complessivamente sono circa 93 miliardi di cui circa 43 miliardi  sono trasferimenti erariali verso le Regioni a Statuto Ordinario Rso  più svantaggiate (Umbria – Marche – Abruzzo – Molise – Campania – Puglia – Basilicata e Calabria). 

Questa legge non riguarda le regioni a statuto speciale (RSS) che hanno una legislazione speciale (come Sicilia – Sardegna – Valle D’Aosta – Friuli Venezia Giulia – Trentino Alto Adige), in quanto trattengono già nei territori una  parte dei proventi (generati sul territorio: IVA – Imposte erariali – proventi del lotto, Irpef – Irpeg …).

Con la legge Calderoli le regioni firmatarie d’intese (cioè un contatto tra le parti Governo e Regione) saranno di fatto Regioni  a Statuto Speciale (RSS) che tratteranno sul loro territorio sino ai 9/10 del gettito fiscale maturato,  fine del surplus fiscale – fine della perequazione – fine trasferimenti erariali in Calabria. Saranno  disapplicate le leggi dello Stato nelle materie devolute, si osserveranno le competenze legislative e amministrative delle intese (art. 7. comma.5 legge) come per le Rss

Senza l’accordo di entrambi le parti (Stato e Regione) le intese saranno irreversibile in quanto non potranno essere  modificate prima di 10 anni (art. 7, comma 1), non esiste come in Germania o negli altri stati federali la clausola di supremazia dello Stato sulla Regione, nonostante l’Italia non sia uno stato federale ma regionale.

Poiché la legge Calderoli prevede l’invarianza di bilancio, non si possono fare spese aggiuntive. I Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sono il mix delle prestazioni concedibili, in campo sanitario dal 2001 si chiamano Lea (Livelli essenziali delle Prestazioni), la scala che li misura va da 0  a 100 il mix è 60 (Calabria è inadempiente meno di 60 nella distrettuale Asp siamo a 47,51%, l’Emilia Romagna 95,96%). Nonostante 15 anni di gestione statale (commissario) e leggi speciali, non si riesce: a superare il punteggio di 60 e chiudere con i debiti e  i bilanci pregressi (2013-2018 Asp RC– 2018-2019 Asp Cs).

Nella riforma del 2001 i livelli equivalenti dei diritti sociali e civile: istruzione, sanità, pensioni, previdenza sociale (in caso di malattia, gravidanza, disoccupazione), servizi socio-assistenziali  in tutto il territorio nazionale, sono diventati da equi  a essenziali delle Prestazioni Lep (art. 117 lettera m), cioè diritti minimi che non si faranno mai in quanto servono oltre 100 miliardi.

Che i Lep non siano sufficienti a superare le diseguaglianze territoriali è esplicitamente riconosciuto dalla legge Calderoli, infatti all’art. 10 impone allo Stato di stanziare risorse aggiuntive al fine di “garantire l’unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico, della coesione della solidarietà sociale, dell’insularità, della rimozione degli squilibri economici e sociali”.

Ma l’art. 10 è in netto contrasto con l’art. art. 9. (Clausole finanziarie) – comma 1. Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Qualora le regioni più ricche riuscissero ad accumulare risorse in eccesso rispetto a quanto necessario per finanziare i Lep, nonché a trattenere tali risorse sul proprio territorio. (la norma rimanda alle regole di funzionamento delle commissioni paritetiche fra lo Stato e le singole regioni); regole la cui definizione è affidata alle singole intese. Certamente le Regioni con un eccesso di risorse le vorranno trattenere in questo caso (basta non modificare l’intesa), si avrebbe una sottrazione di risorse a danno o del bilancio dello Stato o delle altre regioni.

Si sottolinea il rischio concreto che lo Stato sia privato delle risorse finanziarie che sono necessarie per svolgere un compito essenziale, quale è quello della stabilizzazione ciclica a fronte degli alterni andamenti dell’attività economica.

Al momento la legge Calderoli non esclude che possano materializzarsi scenari assai preoccupanti sia per il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni sia per i conti pubblici.

Materie non Lep acquisibili subito art. 4 comma 2 Legge Calderoli 

L’organizzazione della giustizia di pace (lettera l art. 116 3c. e 117 c.2) la protezione civile;  la previdenza complementare e integrativa;  professioni (modificate dalla  L. Cost. n. 1/2022); protezione civile; rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; coordinamento della finanza pubblica  e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturalicasse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Complessivamente sono 184 sotto materie. (cr)

[Carlo Ranieri è un ex funzionario del Consiglio regionale della Calabria]