AUTONOMIA, NON È ANCORA TUTTO PERSO
QUALE VIA PER IL MERIDIONE PER REAGIRE?

di PIETRO MASSIMO BUSETTACome quando presero Gesù nell’orto  degli ulivi del Getsemani, anche l’approvazione del disegno di legge sull’Autonomia Differenziata è avvenuta con il favore della notte, in realtà nella prima mattina, dopo una seduta fiume, con una forzatura nei tempi.   In questo caso quella  che viene portata al patibolo è l’unità del Paese, viene crocifissa la volontà di rendere i meridionali   uguali nei diritti di cittadinanza. 

In molti chiedono di conoscere i nomi dei rappresentanti meridionali della maggioranza in Parlamento che hanno votato a favore, per decretare nei loro confronti una forma di ostracismo, come fossero i traditori del Sud. 

A parte che conoscere tali nomi è estremamente semplice perché, tranne tre deputati della Calabria, vicini a Occhiuto, nessuno si è sottratto, si rischia in tal modo, invece che guardare ai processi nella loro parte iniziale, di guardare solo agli effetti. 

Nel senso che con la legge elettorale esistente, che non prevede le preferenze, e che fa dipendere l’elezione dal posto in lista che il Partito di appartenenza  assegna, andare contro le indicazioni di voto indicate avrebbe significato, con molta probabilità, non essere più candidati in una posizione utile ad essere eletti alle elezioni successive. 

Quindi si poneva ai Parlamentari della maggioranza meridionali la scelta tra continuare l’attività politica o interromperla e, ovviamente,  si sono ritrovati solo pochi eroi disposti a rischiare. I loro nomi Francesco Cannizzaro, Giuseppe Mangialavori e Giovanni Arruzzolo. Onore al merito di chi ha voluto dimostrare  la propria opposizione alla legge. 

«Questa norma andava maggiormente approfondita e la discussione doveva svolgersi in modo sereno. Comprendo le ragioni dei deputati calabresi di Forza Italia che hanno deciso di non votare questa legge». Sono le parole nette di Roberto Occhiuto, governatore della Calabria e vicesegretario nazionale di Forza Italia, dopo l’approvazione definitiva alla Camera  del provvedimento. 

«Temo che il Centrodestra nazionale abbia commesso un errore, del quale presto si renderà conto», dice Occhiuto, che aggiunge di avere dei dubbi «che i minimi vantaggi elettorali che avrà al Nord compenseranno la contrarietà e le preoccupazioni che gli elettori di Centro Destra hanno al Sud». 

Giudizio tombale sia sul contenuto della legge che sul metodo con cui si è arrivata all’approvazione. 

Posizione alla quale, nella stessa Forza Italia, fa il controcanto Renato Schifani che invece applaude. Lui che è Presidente di una Regione che l’Autonomia in teoria l’ha sempre avuta e che l’ha utilizzata talmente male che continua ad essere una di quelle Regioni in cui il rapporto tra popolazione e occupati é tra i più bassi del Mezzogiorno: su 5 milioni di abitanti lavorano poco più di un milione e trecentomila compresi i sommersi, una persona su quattro; che ha avuto  circa 500.000 richieste per il reddito di cittadinanza, quando era in vigore; che ha un incidenza della povertà tra le più elevate in Italia, e che grazie alla cattiva gestione consolidata nel tempo oggi soffre dei problemi della siccità che stanno mettendo in ginocchio l’agricoltura, mentre ogni anno 25.000 persone formate vanno via con un costo per le casse regionali di oltre 5 miliardi,  applaude al provvedimento. 

«Il Sud deve smettere di continuare a piangere». Pino Aprile risponde in genere a questa contestazione che «se smetti di picchiarmi forse smetto di piangere». Lo dice il Ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, ex Presidente della Regione Siciliana, «noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle Regioni settentrionali. Ma per fare questo dobbiamo liberarci dalla teoria della questione meridionale», ha insistito Musumeci con parole belle e incomprensibili. 

Mentre Stefano Bonaccini non fa alcun passo indietro rispetto alle sue richieste precedenti, che lo avevano accumulato a Luca Zaia e Attilio Fontana in un Partito Unico del Nord, pronto a mettersi insieme quando c’è da mantenere i privilegi della spesa storica, dopo che il PD aveva avuto la responsabilità della modifica del titolo V, cavallo di Troia per soddisfare le esigenze della Lega di una secessione morbida senza i contraccolpi  che essa poteva creare.

Un Sud battuto, suonato e messo all’angolo cerca di capire quali possano essere le vie percorribili di una reazione ad una legge che potrebbe essere definita “prendi il malloppo e scappa“. 

Una via è quella di ricorrere al referendum abrogativo, che però in molti ritengono non sia percorribile. La  raccolta delle firme non sarà estremamente  complicata. L’indignazione parolaia del Sud è al suo massimo storico. Che possa raggiungere poi l’obiettivo non è così scontato.  Come voteranno gli emiliano- romagnoli di sinistra  che in questo modo salvaguardano la loro spesa storica e i loro privilegi non é scontato sapere. 

Una seconda strada prevede che i Presidenti di Regione possano fare ricorso alla Consulta. Il capofila dell’operazione potrebbe essere  il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. L’idea è quella di un ricorso a più mani. Michele Emiliano, presidente della Puglia è d’accordo. Meno scontato il sì delle regioni non meridionali a guida centrosinistra. Ma sarà della partita Eugenio Giani (Toscana), che ha detto: «Zero dialogo e testo sbagliato».

Una terza via é quella che vede in una macroregione del Sud la risposta a quella che presto si costituirà al Nord, che potrebbe essere prodromica alla divisione in due Paesi.

Ma vi é una quarta altrettanto pericolosa. Un cinguettio su X di un certo Franco Graziano dice «non voglio far parte di uno Stato che mi considera cittadino di serie B, ed essere considerato un questuante se reclama i propri diritti o peggio ancora che è colpa mia se la situazione è questa». 

La sensazione di frustrazione del popolo meridionale comincia a montare pericolosamente. C’è chi non vuole andare più in cordata con chi  ti vuole tagliare la corda.  Il pensiero dominante sarebbe che l’unità é un grande valore se è vera, altrimenti è un totem che si può anche abbattere. (pmb)

[Courtesy il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

 

NEL 2023 CRESCE IL PIL DELLA CALABRIA:
È +1,2% GRAZIE ANCHE ALLE COSTRUZIONI

di ANTONOIETTA MARIA STRATI – Il Pil della Calabria è cresciuto dello 1,2% nel 2023. È quanto ha rilevato la Svimez nel suo Rapporto Comunica, evidenziando come nella nostra regione «l’incremento di valore aggiunto delle costruzioni (+7,4%) ha sostenuto la crescita regionale insieme al terziario (+1,7%), nonostante il calo del settore industriale (-4,8%)».

Un’ottima notizia, in linea con il recente rapporto di Bankitalia sull’economia della Calabria, che aveva già rilevato una crescita della Calabria, anche se non in linea col resto del Paese. Ma in questo caso, il dato più sorprendente è che il Pil del Mezzogiorno è cresciuto oltre la media nazionale, registrando un +1,3% contro +1% del Nord-Ovest, +0.9% del Nord-Est e +0,4% del Centro. Il Sud non cresceva più del resto del Paese dal 2015 (+1,4% contro il +0,6% del Centro-Nord).

Altrettanto favorevole al Sud si è mostrata la dinamica occupazionale. Gli occupati nel Mezzogiorno sono aumentati del +2,6% su base annua, più che nelle altre macro-aree e a fronte di una media nazionale del +1,8%.

La crescita più accentuata del Pil meridionale è stata sostenuta soprattutto dalle costruzioni (+4,5%, quasi un punto percentuale in più della media del Centro-Nord), a fronte di una più contenuta contrazione del comparto industriale (-0,5%) e di una crescita dei servizi dell’1,8%.

La dinamica del PIL è stata debole nelle regioni del Centro (+0,4%), meno della metà della media nazionale. A determinare questo risultato hanno contribuito un calo del valore aggiunto industriale più che doppio rispetto alla media nazionale (-2,6%; -1,1% il dato Italia) e una crescita dei servizi che si è fermata al +1,1% (+1,6% la media nazionale), che hanno sterilizzato la buona dinamica delle costruzioni (+6,2%).

Nel Nord-Ovest la crescita del Pil, pari all’1%, è stata condizionata dal calo del valore aggiunto industriale (-1,4%) e dalla crescita molto più contenuta della media nazionale delle costruzioni (+2,5%). Nel Nord-Est, è stata soprattutto la dinamica piatta del valore aggiunto industriale a contenere la crescita del Pil al +0,9%.

I fattori climatici avversi che hanno caratterizzato gran parte dell’anno hanno penalizzato l’agricoltura. Il valore aggiunto del comparto è diminuito in tutte le ripartizioni del Paese, con l’eccezione del Nord-Ovest (+6,4% dopo la forte flessione del 2022): -6,1% nel Centro, -5,1% nel Nord-Est, -3,2% nel Mezzogiorno.

Il risultato delle due macroaree è anche dovuto al diverso contributo della domanda estera. Al Centro-Nord, lo stallo dell’export (-0,1% sul 2022) ha privato le economie locali di un tradizionale traino nelle fasi di ripesa ciclica. Al Sud, viceversa, l’incremento delle esportazioni di merci, al netto della componente energetica, si è portato al +14,2% (+16,7% i beni strumentali; +26,1% i beni non durevoli).

La congiuntura del 2023 si colloca nella fase di ripresa post-Covid iniziata nel 2021 che ha visto il Mezzogiorno partecipare attivamente alla crescita nazionale, collocandosi stabilmente al di sopra della crescita media dell’Ue (+0,4 nel 2023). Il dato di crescita cumulata del PIL 2019-2023 del +3,7% nel Mezzogiorno ha superato l’analogo dato del Nord-Ovest (+3,4%) e, soprattutto, quello delle regioni centrali (+1,7%). Ha contributo a scongiurare l’apertura del divario di crescita Nord-Sud osservato in precedenti fasi di ripresa ciclica l’inedita intonazione di segno marcatamente espansivo della politica di bilancio.

Sulla crescita del Pil del Mezzogiorno ha inciso in maniera rilevante l’avanzamento degli investimenti pubblici cresciuti, nel 2023, del 16,8% al Sud, contro il +7,2% del Centro-Nord. Nel complesso delle regioni meridionali gli investimenti in opere pubbliche sono cresciuti da 8,7 a 13 miliardi tra il 2022 e il 2023 (+50,1% contro il +37,6% nel Centro-Nord). Una dinamica sulla quale dovrebbe aver inciso significativamente il progressivo avanzamento degli investimenti del Pnrr e l’accelerazione della spesa dei fondi europei della coesione in fase di chiusura del ciclo di programmazione 2014-2020.

Intervenendo in un contesto nel quale le costruzioni contribuiscono in maniera significativamente più rilevante alla formazione del valore aggiunto, gli investimenti in opere pubbliche hanno generato effetti espansivi più intensi al Sud. La Svimez ha stimato, in particolare, un contributo della maggiore spesa in investimenti pubbliche (Pnrr e altri investimenti) alla crescita del Pil del Mezzogiorno del 2023 pari a circa mezzo punto percentuale (il 40% circa della crescita complessiva).
Viceversa, la spesa pubblica per incentivi alle imprese è cresciuta del 16% al Sud, dieci punti percentuali in meno rispetto al Centro-Nord (+26,4%).

Un differenziale che riflette la minore capacità del tessuto produttivo meridionale, caratterizzato da minore presenza di imprese di maggiore dimensione, di assorbire le misure “a domanda” di incentivo di ammodernamento tecnologico e digitale finanziate dal Pnrr.

Anche il terziario ha contribuito in maniera significativa alla crescita del Pil meridionale: +1,8% di incremento del valore aggiunto. Sul dato del Sud hanno inciso due fattori. In primo luogo, la crescita relativamente più sostenuta di alcune attività strettamente connesse all’espansione del ciclo economico quali trasporto e comunicazioni. Inoltre, nel 2023 la crescita delle presenze turistiche è risultata di circa un punto percentuale più accentuata nell’area centro-settentrionale (+8,5% nel Sud, + 9,7% nel Centro-Nord), ma nel Mezzogiorno si è mostrata più accentuata la crescita degli arrivi dell’estero, ai quali sono associati livelli di spesa turistica significativamente più elevati.

I dati delle regioni

Nelle regioni del Centro-Nord, si segnala la crescita diPiemonte (+1,2%) e Veneto (+1,6%). In Piemonte la crescita è stata trainata dall’andamento relativamente favorevole dell’industria in senso stretto (+1,7%) e dei servizi (+1,3%); buona in Veneto la crescita delle costruzioni (+4,7%) e dei servizi (+2,3%), trainati dal buon andamento del turismo (la regione ospita quasi il 16% delle presente turistiche nazionali).

Il dato della Lombardia (+0,9%) è stato influenzato dal calo registrato nel comparto industriale (-2,5%), uno dei più forti tra le regioni centro-settentrionali, sul quale ha inciso il dato deludente dell’export (+1,2%), una componente della domanda che in altre fasi di ripresa aveva sostenuto l’economia regionale. Anche un’altra “export-economy” del Paese, l’Emilia-Romagna, ha subìto la frenata del commercio estero e più in generale il rallentamento dell’economia tedesca, in stagnazione nel 2023; il Pil della regione è cresciuto nel 2023 del +0,6% per effetto della dinamica piatta dell’industria che ha scontato in negativo la forte integrazione con la manifattura tedesca. Da segnalare anche, in Emilia-Romagna, il  calo di oltre il 10% del valore aggiunto agricolo.

Tre regioni italiane registrano nel 2023 un dato negativo di andamento del Pil: Toscana (-0,4%), Marche e Friuli-Venezia Giulia (-0,2%). In Toscana è stato forte il calo dell’industria (-3,2%) e stagnante la dinamica delle costruzioni, in controtendenza rispetto al resto del Paese; nelle altre due regioni va segnalato l’andamento negativo dell’attività industriale (-1,5% nelle Marche e -1,9% in Friuli) non compensato dalla crescita del terziario. Da segnalare anche il calo a doppia cifra dell’export nelle Marche (-12,3%) e in Friuli-Venezia Giulia (-13,6%).

Positiva la dinamica del Pil in tutte le regioni meridionali, anche se in presenza di marcati differenziali di crescita. Emerge in particolare la variazione positiva del Pil siciliano (+2,2%). Hanno influito dinamiche ancor più favorevoli che nel resto del Mezzogiorno delle opere pubbliche (+60,4%) e più in generale degli investimenti pubblici (+26%); anche l’industria è cresciuta significativamente (+3,4%), arrestando una tendenza di medio periodo alla deindustrializzazione.

Piuttosto omogenea e sostenuta è stata la crescita del Pil in Abruzzo, Molise (+1,4%), Campania (1,3%) e Calabria (1,2%), con alcune differenze di carattere settoriale. In Abruzzo la crescita ha riguardato anche il settore industriale (+2%) che invece ha registrato una riduzione in Campania (-0,7%). Va segnalato, però, che la Campania risulta la regione italiana con la maggiore crescita delle esportazioni nel 2023 (+29%). In Calabria l’incremento di valore aggiunto delle costruzioni (+7,4%) ha sostenuto la crescita regionale insieme al terziario (+1,7%), nonostante il calo del settore industriale (-4,8%).

Più bassa la crescita in Basilicata (+0,9%) e Puglia (+0,7%). La Basilicata ha risentito di un calo dell’industria (-2,7%) più intenso di quello osservato per la media delle regioni del Mezzogiorno, compensato dalla buona performance del settore delle costruzioni (+8,4%, la crescita più intensa tra le regioni meridionali). La congiuntura dell’economia pugliese è stata segnata dalla forte caduta del valore aggiunto agricolo (-8,7%), che ha sottratto oltre tre decimi di punto percentuale alla crescita del Pil nel 2023, e dalla flessione del valore aggiunto industriale (-1,2%). Va tuttavia segnalato che la regione Puglia nel complesso del periodo 2019-2023 con una crescita del 6,1% è risultata la regione italiana più dinamica.

La crescita della Sardegna (+1,0%), infine, è stata stimolata dal settore delle costruzioni e soprattutto, data la sua diffusione e il maggior contenuto di valore aggiunto rispetto ad altre realtà meridionali, dai servizi (+1,9%). Molto negativo è risultato il dato dell’industria: -6,2% nel 2023. (ams)

IN CALABRIA È ALLARME SICCITÀ: SORGENTI
IN CALO DEL 50%, DIGA DEL MENTA AL 47%

In Calabria è allarme siccità. Le sorgenti, infatti, sono in calo del 50% e la diga del Meta al 47% della massima capacità d’invaso. A riferirlo Cataldo Calabretta, amministratore unico di Sorical, denunciando come si trattino di segnali che lasciano intravedere «un’estate difficile».

La diga del Menta, riferisce una nota di Sorical, ha un volume di invaso del 47.7%, rispetto alla sua massima capacità, mentre lo scorso anno si trovava a circa l’85% e due anni fa il volume d’invaso era al 92% della massima capacità. Secondo i dati elaborati dai tecnici della Sorical, è necessario ridurre i prelievi per garantire la produzione di acqua potabile fino al prossimo autunno.

Rimanendo nel reggino, l’acquedotto Tuccio, che alimenta i comuni tra Melito Porto Salvo e la zona sud di Reggio Calabria, registra -50% di produzione. Cali importanti registrano le sorgenti che alimentano diverse località della provincia con cali che variano dal 30 al 50%. Una grave siccità sta interessando anche Palmi dove Sorical ha attivato un tavolo tecnico e, in accordo con Arrical e Regione, si stanno requisendo alcuni pozzi privati per affrontare l’emergenza dei prossimi mesi.

In provincia di Vibo è in calo del 40% la sorgente Conture per Parghelia, Zambrone e Tropea dove si sta sopperendo con pozzi e bypass insieme ad altri schemi acquedottistici. Attivati pozzi e integrazioni con schemi idrici anche per altre zone della provincia. Critica anche la situazione in provincia di Crotone, in particolare lo schema Lese, che serve numerosi comuni sui versanti crotonese e cosentino. Riduzioni di sorgenti e portata vengono registrati anche in altri impianti al servizio di altre località della zona. In provincia di Catanzaro è piena emergenza a Stalettì, dove i pozzi comunali e regionali hanno subìto un forte calo di produzione. Infine, in provincia di Cosenza, anche quest’anno è in carenza idrica il fiume Trionto dal quale Sorical preleva risorsa idrica per il potabilizzatore.

La produzione è scesa da oltre 100 litri al secondo a 50. Sono stati attivati altri pozzi per supplire alla carenza e assicurare risorsa a diversi comuni dell’area. Al momento solo gli acquedotti dell’Alto Tirreno Cosentino e della zona del Pollino reggono all’impatto del grande caldo. Sorical suggerisce quindi ai tecnici comunali la chiusura notturna degli impianti e una adeguata informazione alle popolazioni coinvolte per contenere i consumi.

La società, infatti, sta allertando le Prefetture e la Protezione civile sullo stato delle grave carenza idrica in atto, che potrebbe peggiorare nelle prossime settimane e, «alle pressanti richieste di erogare maggiore acqua» da parte di alcuni sindaci, Calabretta ha sottolineato che «non sempre è possibile farlo» e che anzi, invece dovrebbero «ordinanze che limitino o vietino l’utilizzo dell’acqua potabile per usi irrigui e il riempimento delle piscine».

«Occorre assicurarsi – ha evidenziato – che le ordinanze vengano fatte osservare attraverso il coinvolgimento della Polizia municipale. Senza queste limitazioni e senza la sensibilità necessaria ad evitare gli sprechi da parte di tutti, nelle prossime settimane i disagi sono destinati ad aumentare».

Una situazione provocata «dall’assenza di adeguate precipitazioni durante il periodo invernale» si legge sul sito della Sorical, ricordando come «in estate milioni di litri di acqua vengono sprecati in usi impropri e migliaia di famiglie non vengono raggiunte dal servizio idrico. Per superare con i minori disagi questo periodo è necessario non sprecare acqua potabile e farne un suo consapevole».

Da qui alcuni suggerimenti per risparmiare, grazie a piccoli gesti quotidiani, l’acqua.

Riparare le perdite: Un erogatore che funziona male può essere la causa di un silenzioso e continuo spreco d’acqua che ti porterà a consumarne fino a 2mila litri all’anno. Anche lo scarico del wc può avere dei difetti e perdere acqua: chiama subito il tuo idraulico per un controllo.

Lavare le verdure dentro un contenitore: Invece di usare l’acqua corrente, riempi un contenitore con il minimo quantitativo necessario e lava verdure e stoviglie qui dentro. Un’altra idea potrebbe essere quella di riutilizzare l’acqua di cottura proprio per sciacquare piatti e padelle.

Fare la doccia invece dell’acqua: Scegliere la doccia invece del bagno in vasca ti farà abbassare i consumi del 75%, l’importante è ricordarsi di chiudere sempre il soffione mentre ti stai insaponando. Per una doccia sono necessari circa 20 litri d’acqua, mentre per un bagno ne occorrono circa 150.

Usare gli elettrodomestici con intelligenza: Ricordati sempre di riempire a massimo carico lavatrice, asciugatrice e lavastoviglie e di selezionare la modalità eco. Questi elettrodomestici consumano in media tra gli 80 e i 120 l’acqua per ogni lavaggio.

Attenzione allo scarico del WC: Installa una cassetta a doppia pulsantiera per selezionare la quantità d’acqua che ti serve davvero. Chi non può affrontare questo cambiamento può inserire nella cassetta una bottiglia piena d’acqua riducendo così sia la capienza che il volume d’acqua scaricato.

Riutilizzare l’acqua tutte le volte che si può: I nostri condizionatori producono sempre della condensa e questa può essere utilizzata per lavare i pavimenti, così come quella che avanza dal lavaggio delle verdure può esserti utile per innaffiare le piante in balcone.

Non riempire le piscine private con acqua potabile: Per una piscina lunga 10 metri x 5 metri e alta 1,5 metri, per il riempimento, il ricambio e il rabbocco, servono circa 120 metri cubi di acqua che corrispondo al consumo medio annuo di acqua potabile di una famiglia di 2 persone. Usare acqua potabile per la piscina è scorretto perché può destabilizzare il servizio idrico di un intero quartiere.

Chiudere l’acqua quando non serve: Inizia a chiudere l’acqua mentre ti insaponi i capelli, ti fai la barba o mentre ti lavi i denti. Invece, per risciacquare il rasoio mentre ti radi, riempi prima il lavandino con poca acqua e potrai risparmiare dagli 8 ai 10 litri d’acqua al minuto.

Non lavare l’auto con l’acqua potabile – se ne consumano in media 150 litri, quasi quanto se ne consuma per bere, cucinare e lavarsi –; fare docce più brevi; installare un piccolo miscelatore sul rubinetto, permettendo un risparmio di circa 6 mila litri d’acqua in un anno; non usare l’acqua per innaffiare l’orto, i fiori o le piante. Per questa attività, infatti, si consumano 6 mila litri d’acqua all’anno. Sorical consiglia di utilizzare acqua già usata. (rrm)

 

LA CALABRIA CRESCE, MA RESTA INDIETRO
RISPETTO AL PAESE: NEL 2023 SOLO + 0,6%

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Nonostante l’andamento positivo e la crescita del 3,0% rispetto al 2021, la Calabria rimane comunque indietro rispetto al Mezzogiorno e al resto d’Italia. Ciò significa che la strada è ancora lunga per tornare ai livelli pre-covid. Questi dati emergono dal Rapporto di Bankitalia presentati nei giorni scorsi a Catanzaro. La nostra regione, infatti, si è trovata in difficoltà a causa della forte incertezza legata alla guerra in Ucraina, della crescita dell’inflazione e del peggioramento delle condizioni di finanziamento, nonostante il quadro economico sia stato favorevole nella prima parte dell’anno.

L’incremento dei costi energetici e delle materie prime, che si è acuito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha progressivamente sospinto l’inflazione su livelli elevati nel confronto storico. Ne è conseguita una sensibile riduzione del potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle meno abbienti (più diffuse in Calabria rispetto al resto del Paese), che destinano una quota maggiore di consumi ad alcuni beni particolarmente interessati dagli aumenti (come elettricità, gas e prodotti alimentari). Nel contempo, l’incremento dei prezzi di vendita ha consentito una sostanziale tenuta dei risultati economici delle imprese.

E, proprio per quello che riguarda le imprese, l’andamento è stato migliore nei servizi, che hanno beneficiato del recupero nel comparto turistico e della ripresa dei consumi dopo l’emergenza pandemica, e nelle costruzioni. L’attività ha ristagnato nell’industria in senso stretto, che ha maggiormente risentito della crisi energetica; è risultata in calo nel settore agricolo, che sconta ancora l’elevato sbilanciamento del comparto verso alcune produzioni tradizionali.

In Calabria, infatti, il settore agricolo riveste un peso maggiore sull’economia nel confronto con la media italiana. Secondo i conti territoriali dell’Istat, esso rappresenta circa il 5 per cento del valore aggiunto, oltre il doppio del corrispondente dato nazionale; vi trova impiego il 13 per cento degli occupati, l’incidenza più alta tra le regioni italiane.

Nel complesso, gli investimenti sono cresciuti soprattutto tra quelli mirati a migliorare l’efficienza energetica o incrementare l’utilizzo e la produzione di energia rinnovabile, che potrebbero ulteriormente rafforzare la transizione già in atto verso tali fonti di energia.

«Nel 2019 – si legge nel rapporto – i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica Nel 2019 i consumi finali di energia della Calabria erano pari a circa 1,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per abitante, valore nettamente più basso rispetto alla media italiana (figura, pannello a). Il settore degli usi civili assorbiva il 46 per cento dei consumi finali, i trasporti il 41 e l’industria solo il 10 per cento; rispetto al dato italiano si osserva una minore quota del comparto industriale. Ciò riflette in parte il peso più contenuto del settore sul valore aggiunto regionale; inoltre, nell’industria l’intensità energetica».

Nonostante il forte incremento dei costi di produzione, la redditività delle imprese è stata sostenuta dal contemporaneo aumento dei prezzi di vendita e dalla modesta dinamica del costo del lavoro. La mortalità di impresa, sebbene in risalita, è rimasta inferiore a quella che si osservava prima della crisi Covid-19. La solvibilità delle aziende indebitate con il sistema bancario non ha mostrato ripercussioni significative; la liquidità pemane su livelli storicamente elevati, raggiunti grazie anche all’ampio ricorso delle imprese nel biennio 2020-21 alle misure pubbliche di sostegno introdotte durante la pandemia.

Bene sul lavoro.  Nel 2022 il recupero dell’occupazione si è esteso anche alla componente del lavoro autonomo. L’andamento congiunturale ha favorito principalmente il settore dei servizi e quello delle costruzioni; quest’ultimo in prospettiva potrebbe essere ulteriormente rafforzato dall’attuazione delle opere previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il miglioramento osservato nell’ultimo biennio nei tassi di occupazione e disoccupazione è dovuto tuttavia anche alla contrazione della popolazione attiva, che riflette sia il mancato recupero nei tassi di partecipazione osservati prima della pandemia sia soprattutto il calo demografico in atto. Ciò rafforza dunque l’importanza di realizzare pienamente gli interventi di politica attiva previsti pure nel Pnrr, volti a favorire una maggiore e migliore partecipazione al mercato del lavoro.

Nonostante nello scorso anno l’espansione dell’occupazione dovrebbe aver favorito una lieve riduzione della disuguaglianza nella distribuzione del reddito da lavoro familiare equivalente, sospinta dalla diminuzione della quota di individui in famiglie senza occupati, «la Ccalabria continua a essere caratterizzata dalla presenza di un’ampia quota di nuclei in condizioni di disagio economico: secondo nostre stime sui dati dell’Indagine sulle spese delle famiglie dell’Istat, nel 2021 (ultimo dato disponibile) i nuclei familiari in povertà assoluta1 erano quasi l’11 per cento del totale, un valore superiore alla media nazionale (pari al 7,5 per cento). La presenza più diffusa in regione di famiglie economicamente svantaggiate può inoltre riflettersi in specifiche forme di povertà connesse alle difficoltà di accesso a determinati beni e servizi essenziali. In particolare, l’incremento dei prezzi di elettricità e gas potrebbe ulteriormente aggravare la condizione delle famiglie più vulnerabili, alimentando una maggiore diffusione della povertà energetica».

Ma che significa povertà energetica? Indica quando l’accesso ai servizi «energetici implica un impiego di risorse (in termini di spesa o reddito) superiore a quanto ritenuto socialmente accettabile oppure se non è in grado di sostenere l’acquisto di un paniere di beni e servizi energetici giudicati essenziali».

Nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021 (ultimo anno disponibile) la quota media dei nuclei familiari calabresi in PE è stata pari al 16,9 per cento (figura); il dato è nettamente superiore a quello italiano (8,5), principalmente per la componente LIHC – Low Income High Cost (ossia la quota di spesa per elettricità e riscaldamento particolarmente elevata) dell’indicatore.

Il reddito disponibile delle famiglie calabresi nel 2022 ha tratto vantaggio dai miglioramenti nei livelli occupazionali, ma il potere d’acquisto si è ridotto a causa della concomitante forte crescita dei prezzi, che ha anche frenato la ripresa dei consumi. L’aumento della spesa per l’acquisto di beni e servizi si è accompagnato a un incremento dei prestiti bancari. Le transazioni sul mercato immobiliare hanno mantenuto una crescita significativa, spinta ancora dalla ricomposizione della domanda verso abitazioni dotate di spazi esterni e situate al di fuori dei centri urbani.

Per quanto riguarda i consumi, in Calabria nel 2022 è proseguita la ripresa dei consumi, con una crescita del 4,9 per cento a valori costanti secondo le stime di Prometeia, lievemente inferiore ai dati nazionali.

«La dinamica dei consumi ha beneficiato del positivo andamento del mercato del lavoro, ma è stata frenata dai rincari dei prezzi e dal deterioramento del clima di fiducia – si legge nel rapporto – anche in connessione con l’incertezza derivante dalla guerra in Ucraina. Il recupero dei consumi rispetto ai valori pre-pandemia risulta così ancora incompleto, con un divario rispetto al 2019 che in regione si attesterebbe, in base alle stime disponibili, a 1,8 punti percentuali».

La spesa media delle famiglie calabresi nel 2021 (ultimo anno disponibile) è stata pari a 1.529 euro al mese, al netto dei fitti figurativi (1.844 euro nel Paese); la componente dei beni alimentari ha inciso per quasi un terzo, seguita dalle voci connesse con l’abitazione e le utenze e da quelle relative ai trasporti. Queste voci, più difficilmente comprimibili perché legate a bisogni primari, hanno un peso maggiore per le famiglie con minori livelli di spesa complessiva. Poiché gli aumenti dei prezzi hanno riguardato soprattutto tali voci, le famiglie meno abbienti sono risultate le più esposte alle pressioni inflazionistiche.

Aumenta, poi, la ricchezza delle famiglie calabresi: secondo le stime aggiornate al 2021 di Bankitalia, infatti, la ricchezza netta delle famiglie calabresi ammonta a circa 178 miliardi di euro, in aumento rispetto all’anno precedente del 2,0 per cento (-2,4 per cento in termini reali). Il valore pro capite, pari a quasi 96 mila euro, era circa la metà di quello medio nazionale.

L’incremento della ricchezza netta nel 2021 è stato alimentato prevalentemente dalle attività finanziarie detenute dalle famiglie calabresi, che hanno continuato a crescere raggiungendo i 79 miliardi di euro (quasi 43 mila euro pro capite). Il valore delle attività reali è risultato in lieve aumento (0,6 per cento), in linea con il dato italiano. Nel complesso del periodo 2011-21 il valore corrente della ricchezza netta delle famiglie calabresi è cresciuto del 5,9 per cento; l’incremento, che si è intensificato a partire dal 2019, è stato comunque inferiore a quello medio nazionale (8,4 per cento).

Si è notevolmente ridotto, invece, l’investimento in titoli obbligazionari, anche se i primi dati disponibili sul 2022 sembrano evidenziare un’inversione di tendenza rispetto all’anno prima.

Preoccupa la natalità: «dopo il forte rimbalzo post-pandemico, nel 2022 il tasso di natalità netto (saldo fra iscrizioni e cessazioni in rapporto alle imprese attive)», viene evidenziato del Rapporto, «è sceso allo 0,8 per cento (dall’1,9 del 2021)». Una flessione che, tuttavia, si è registrata in tutto il Paese.

«L’andamento – si legge – ha riflesso sia la diminuzione del tasso di natalità, sia la crescita di quello di mortalità. Entrambi rimangono comunque su livelli più contenuti nel confronto con il periodo pre-pandemico; sulle minori cessazioni, oltre alla ripresa congiunturale, avrebbero continuato a incidere le misure di sostegno pubblico introdotte durante la pandemia e rimaste in vigore fino al primo semestre dello scorso anno.

Sanità. Nel 2022 si è registrato un sensibile aumento dei costi, «dopo la sostanziale stabilità osservata nell’anno precedente».

Particolarmente significativo l’incremento della spesa per l’acquisto di beni e servizi. Vi hanno contribuito in parte i rincari dei prezzi dei prodotti energetici e del gas, con un aumento della spesa per tali utenze di circa il 45 per cento nel 2022; per farvi fronte, a livello nazionale, sono state stanziate risorse aggiuntive, che per la Regione Calabria hanno più che compensato i maggiori oneri. La spesa in convenzione ha continuato a crescere nelle componenti collegate all’acquisto da privati di prestazioni ospedaliere e specialistiche; vi può aver influito l’attività di recupero delle liste di attesa.

Nonostante questo, il numero delle prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate nel 2022 si mantiene ancora inferiore ai valori antecedenti all’emergenza sanitaria. L’andamento del costo del personale (in aumento dell’1 per cento) è stato determinato principalmente dall’effetto monetario del rinnovo dei contratti della componente non dirigenziale, mentre l’organico ha mostrato ancora una lieve flessione. Tale dinamica ha contribuito ad accrescere il ricorso alle collaborazioni e consulenze sanitarie esterne, rafforzatesi già nel 2020 in risposta all’emergenza sanitaria.

Nel biennio 2021-22 l’incidenza di tale voce sul totale del costo del personale ha raggiunto il 4,4 per cento (era il 2,8 per cento nel biennio 2018-19). Il personale delle strutture pubbliche, nella componente sia stabile sia a termine, continua a mostrare una contrazione (-0,4 per cento), seppur inferiore rispetto a quella osservata nell’ultimo decennio (tav. a6.8). Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato (RGS), a fine 2021 la dotazione di infermieri e di personale tecnico risultava in regione superiore ai valori antecedenti la pandemia; l’aumento ha però interessato essenzialmente i lavoratori con contratti a termine.

Il numero di medici ha continuato invece a ridursi, nonostante il significativo ricorso, anche in questo caso, a contratti temporanei. Per il personale medico si pone inoltre, in misura più forte rispetto ad altre f igure sanitarie, un problema di ricambio generazionale: a fine 2021 circa la metà dell’organico stabile operante presso strutture pubbliche aveva più di 60 anni di età (era solo il 13,6 per cento nel 2011; tav. a6.9 e fig. 6.5.b). I problemi legati all’invecchiamento del personale si presentano anche tra i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta: circa il 90 per cento di tali figure professionali si collocava nella fascia di anzianità di servizio più elevata (rispettivamente, più di 27 e 23 anni dalla laurea) e con un carico di pazienti per medico aumentato nel corso dell’ultimo decennio (nel 2021 il 24 per cento dei MMG e il 74 per cento dei pediatri presentava un numero di pazienti superiore alle soglie di legge).

Nonostante questo, è migliorato l’equilibrio economico-finanziario della sanità calabrese: sulla base dei dati di consuntivo 2021, è stato conseguito un avanzo di gestione pari a 145,6 milioni di euro, che ha consentito di dare piena copertura alle perdite pregresse al 31 dicembre 2020 (77,4 milioni di euro). (ams)

 

CALABRIA PRIMA PER CHI SI CURA FUORI
ORA STOP ALLE “MIGRAZIONI SANITARIE”

di GIOVANNI MACCARRONEPrenotare una prestazione sanitaria all’interno del nostro Paese è abbastanza semplice. Una volta ricevuta la prescrizione medica dal proprio medico di base, è possibile contattare telefonicamente il Centro Unico di Prenotazione (Cup) e verificare così la lista d’attesa. 

Per le visite specialistiche e gli esami diagnostici con la lettera D (differibile), gli esami o le visite specialistiche dovrebbero essere fatte tra i 30 e i 60 giorni, mentre per quelle con la lettera U (urgente) gli esami o visite specialistiche dovrebbero essere fatte entro le 72 ore.

Sta di fatto che frequentemente per queste ed altre categorie la lista d’attesa supera di gran lunga questi tempi.

Per cui, il cittadino, per ricevere il servizio con tempi più rapidi, ricorre spesso ai servizi intramoenia (o in regime “intramurario”): l’attività libero-professionale che avviene all’interno delle strutture sanitarie, senza dover pagare il medico come “privato”, corrispondendo solo il ticket.

Altre volte, invece, preferisce utilizzare le strutture private convenzionate che possano offrire lo stesso servizio nei tempi previsti o comunque di qualità superiore a quello fornito da istituzioni pubbliche (Asl, Ao ecc.).

Altre volte ancora si preferisce, invece, andare lontani da casa per curarsi, quasi sempre dal Sud in direzione Nord, nella speranza di ricevere le cure migliori per la propria malattia.

Si stima che i «viaggi della salute» interessino, in un anno, circa un milione di italiani. Nel 2022, solo i ricoveri effettuati fuori Regione sono stati quasi 630 mila (contro i 498 mila nel 2020, anno della pandemia) come rilevano i dati dell’Ufficio statistica e flussi informativi sanitari di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali.

Quindi, approssimando i conti, senza voler far delle vere stime, potremmo tranquillamente dire che le spese sanitarie per le famiglie sono annualmente molto elevate.

È vero che, per rispetto del dettato dell’articolo 32 della Costituzione, agli indigenti devono essere comunque in ogni caso garantite le prestazioni sanitarie gratuite, ma è anche vero però che, per quanto detto sopra, costantemente i cittadini sono tenuti ad affrontare ingenti spese per la salute.  

Le famiglie già finanziano il sistema sanitario italiano tramite il fisco e, in particolare, per il 36% dall’Iva e dalle accise sulle benzine, il 28% dall’Irap e dall’addizionale Irpef, il 14% dai pagamenti diretti (prezzi), il 3% dai ticket e un altro 5% da premi di assicurazioni e mutue integrative; il restante 11% da altri tipi di tributi.

Tra l’altro, a seguito della crisi finanziaria in atto e` molto probabile che le famiglie saranno chiamate in futuro a un maggiore sforzo fiscale per finanziare il Ssn, sia sotto forma di aumento dell’addizionale Irpef (prevista fino al 3% dal D. Lgs. 68/11 sul federalismo fiscale), sia di maggiori compartecipazioni alla spesa sanitaria (+2 miliardi di euro, secondo la L. 111/11).

Va poi considerato che, data la consistenza dell’evasione e dell’elusione fiscale che ancora permangono nel nostro sistema tributario, i costi della sanità sono sopportati essenzialmente dal mondo del lavoro, che – come si è appena potuto notare – è quello che fornisce essenzialmente gli utenti della sanità pubblica

Insomma, è come il “cane che si morde la coda”, che è un modo elegante per dire che è un circolo vizioso, una situazione senza via d’uscita.

A questo proposito, bisogna considerare che quasi venti milioni non fanno la denuncia dei redditi. Il 48 % non versa neppure un euro. Quasi il 90% dell’Irpef è pagato da lavoratori dipendenti e pensionati. Dal 2024 la no tax area salirà a 13 mila euro. Sarà un aiuto per i veri poveri ma un paradiso fiscale per i finti poveri. Viene tartassato chi guadagna 50 mila euro lordi (poco più di duemila euro netti), con una tassa del 43% più le varie addizionali comunali e regionali, mentre i ricchi portano all’estero la sede delle aziende e la loro residenza fiscale. Solo 35 mila persone dichiarano più di 300.000 euro all’anno. 

Quindi – stando a quanto sopra – attualmente il Servizio Sanitario Nazionale si regge grazie al finanziamento dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, i quali, tra l’altro, ricevono spesso un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro (secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, più di 5,7 milioni di lavoratori si trovano in questa situazione).

Con questo salario devono pagare soprattutto tasse, luce e gas, spese di locazione, spese condominiali, spese per mantenere una macchina, spese per la benzina (il prezzo della benzina in Italia come in tutto il mondo ha subito fortissimi rialzi nel 2022 a causa della guerra in Ucraina, arrivando anche a sfondare il tetto dei 2 euro al litro), ecc.

Se a queste spese aggiungiamo anche le spese per curarsi, si capisce il vero motivo per cui frequentemente qualcuno rinuncia alle cure (l’aumento delle spese per la salute riguarda tutte le macro-aree del Paese: al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre 100 euro a famiglia).

Purtroppo, questo fenomeno è molto più frequente nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale.

Un indicatore che – come viene solitamente commentato sulla stampa – è il risultato del “monitoraggio Lea”; si tratta di una serie di indicatori (perlopiù di struttura e di processo) volti a cogliere il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle Regioni italiane (il monitoraggio viene effettuato dal c.d. Comitato Lea, Comitato permanente per l’erogazione dei Lea, istituito presso il Ministero della Salute).

L’indicatore non consente di tornare a vent’anni fa ma, dal 2012 al 2019 (l’anno pre-pandemia), il “punteggio Lea” è sensibilmente migliorato in tutte le Regioni a Statuto Ordinario, ad esclusione della Calabria (che ha avuto un calo da 133 a 125), ed in tutte le Regioni a Statuto Speciale, ad esclusione della Sardegna (per la quale i dati si raccolgono dal 2017 e che ha visto un calo da 140 a 111 in tre anni). 

Sulla base di questo indicatore non sarebbe quindi azzardato concludere che la qualità delle cure sia peggiorato, soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariamento (le procedure di commissariamento riguardano ben quattro regioni, tra cui la Calabria dal luglio 2010).

Ecco perché il 55% delle persone che negli ultimi anni hanno ricevuto una visita specialistica e il 40% di quelle che hanno avuto accesso a un trattamento riabilitativo abbiano coperto completamente a proprie spese il costo della prestazione. 

Questa è una situazione inaccettabile che può essere superata solo ed esclusivamente con una nuova governance delle aziende sanitarie, con maggiori assunzioni di responsabilità economica da parte di amministratori regionali e direttori aziendali e maggiore flessibilità nella sfera operativa. 

Inoltre, maggiori controlli sui manager delle Asl e delle Ao potrebbe in particolare agevolare l’attuazione delle misure di contenimento della spesa assunte ai vertici del governo centrale e regionale.

Senza dimenticare, infine, che il Pnrr ha destinato alla Missione Salute 15,63 miliardi, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Poi “Tutto il resto è noia”, come dice Califano. 

Speriamo bene. (gm)

 

L’AUTONOMIA È LEGGE, “L’IRA” DI OCCHIUTO
È UN GRAVE ERRORE DEL CENTRODESTRA

di SANTO STRATI – Dice bene il Governatore Roberto Occhiuto che il centro destra nazionale ha commesso un grave errore di cui presto si renderà conto: ieri è stato un giorno cupo per la Repubblica e l’unità del Paese. Questa vittoria (simbolica, sia chiaro) della Lega indica quanto fragile sia la coalizione di Governo e come la Meloni sottovaluti – sbagliando – la reazione del Sud. Quel Sud che aveva appena espresso un voto chiaro per l’Europa, ma soprattutto col suo fortissimo tasso di astensionismo aveva indicato l’insofferenza non più nascosta del popolo calabrese. Preso in giro, irriso e verso il quale le attenzioni – come al solito quand’è ora del voto – si erano accentuate. Il voto di ieri non fa che confermare il divario sempre incolmabile di questo Paese che viaggia a due velocità.

L’autonomia differenziata non è il demonio assoluto, ma così come è stata concepita è un provvedimento spacca-Paese che, anche se non potrà essere realizzato in assenza dei fondi necessari a garantire i Livelli Essenziali di Prestazione – conditio sine qua non per l’attuazione della legge – lascerà una brutta scia di come sia lontano il Paese legale dal Paese reale.

Nonostante gli allarmi, i suggerimenti, le osservazioni utili a modificare un provvedimento stupido e divisivo, la Lega ne ha fatto una questione di bandiera, coinvolgendo in modo insolubile la coalizione. La gente comune ha capito bene il patto di scambio premierato-autonomia che i Fratelli di Giorgia e i federalisti (a parole) del Nord era un trappolone da cui era impossibile uscire. E bisogna dire che bene hanno fatto a esprimere il proprio dissenso i deputati calabresi di Forza Italia, Cannizzaro, Mangialavori e Arruzzolo, votando contro.

Ma la legge è passata, con un’aula dove mancavano 129 deputati e la cui maggioranza richiesta era di 136 voti. Ce ne sono stati altri 72 a far diventare legge un provvedimento che rischia di allargare il distacco del Sud, quando sarebbe invece necessaria una intesa coesa per le riforme di cui il paese ha un bisogno assoluto.

Ma quali riforme, se analizzando i provvedimenti di questo governo non si riesce a individuare almeno un provvedimento serio e costruttivo, utile a far crescere il Paese, garantendo diritti e lavoro, aiutando le fasce più deboli e contrastando le troppe fragilità di una buona parte di popolazione che è a rischio di povertà assoluta. La cancellazione del discutibile “reddito di cittadinanza” non ha trovato seguito in un sostegno consistente a chi è rimasto improvvisamente in brache di tela, con bambini, anziani e disabili improvvisamente privati di un aiuto vitale.

Ci sono stati abusi – questo è verissimo – ma la colpa è di chi non ha vigilato, non dei poveracci che con l’assegno di mantenimento portavano il pane a casa. Ma questa è solo la punta di un iceberg che potrebbe distruggere 100 Titanic e non si può pensare all’“obolo” di 500 euro destinato a settembre – una tantum – agli incapienti e ai sottosoglia dell’Isee. Il Paese chiede riforme vere, a cominciare da un fisco voracissimo con i lavoratori dipendenti, ma assai lascivo con gli evasori di professione.

Un fisco che punisce pesante-mente l’errore formale di chi paga regolarmente le tasse, ma ignora chi non ha mai denunciato un centesimo né tanto meno pagato tributi. Un Governo che abbuona introiti milionari alle banche e ne subisce il “ricatto” riducendo a briciole il contributo sociale che ne sarebbe potuto venire, che taglia la decontribuzione al Sud (ma quale imprenditore sarà più “attratto” a localizzare parti dell’azienda nelle aree depresse in assenza di incentivi) e favorisce i grandi investimenti, deprimendo la piccola impresa che è il tessuto connettivo del Paese.

La vittoria (di Pirro) della Lega e di quella parte di centrodestra (quasi tutta) che continua a vantare favolistici vantaggi derivanti dall’Autonomia, non ha prospettive rosee. Il Paese, ma soprattutto, il Mezzogiorno non ne può più di parole e buone intenzioni, richiede interventi e provvedimenti che, in nome della coesione sociale e dell’inclusione, possano mettere sullo stesso piano – per intenderci – i bambini degli asili di Reggio Emilia con quelli degli asili di Reggio Calabria. È una vana speranza, anzi, con l’attuazione improbabile, lo ripetiamo) dell’Autonomia grazie all’infame logica della spesa storica, ci sarà sempre di meno per le regioni più deboli. E la Calabria ne è la capofila.

Non succederà nulla nel Governo, l’opposizione è pressoché inesistente e la sinistra sta fallendo miseramente il suo ideale riformista, nutrendo gli ultimi seguaci di parole ad effetto, ma prive di qualsiasi risultato. Il Governo di Giorgia Meloni durerà tutta la legislatura per mancanza di avversari, ma cominci a guardare con occhio diverso il Sud e la sua lenta agonia che porterà solo disagi all’intero Paese.

Se non riparte il Sud, non riparte l’Italia: bellissima frase ad effetto, ribadita a 360 gradi, ma regolarmente disattesa. Si litiga sull’acqua sporca e la si butta via, senza accorgersi del bambini che c’è dentro: il messaggio è chiaro ed evidente: l’Europa guarda a destra e nessuna quaestio se si tengono lontane nostalgie antistoriche e autoritarismi insopportabili. L’Italia può svolgere un ruolo determinante nella nuova Europa che le urne ci hanno portato, ma deve decidere da che parte stare. Dalla parte di chi lavora e produce, o dalla parte di chi gattopardescamente spera che tutto cambi perché tutto rimanga come prima. (s)

OGGI INIZIA LA MATURITÀ: IN CALABRIA IL
96,4% DEGLI STUDENTI È STATO AMMESSO

di GUIDO LEONELe vacanze per tantissimi studenti calabresi sono, dunque, iniziate già da sabato 9 con l’ultimo suono di campanella. Ma non per tutti. A sospirare ancora fino al 29 giugno saranno i piccoli allievi della scuola dell’infanzia che termineranno la loro attività solo sabato 29 giugno.

Insieme a loro suderanno le proverbiali sette camicie gli allievi delle scuole media inferiori che, a termine del loro ciclo di studi, in questi giorni sono impegnati a conquistare la loro mini maturità. Gli esami per loro dovranno concludersi entro la fine del mese.

Mentre oggi inizia la maturità 2024 per gli studenti delle quinte superiori – in Calabria la percentuale di ammessi è del 96,4% – con la prima prova, quella d’italiano.

Quest’anno, infatti, sono 526.317 gli studenti coinvolti nelle prove (512.530 candidati interni e 13.787 esterni), mentre le commissioni sono 14.072, per un totale di 28.038 classi. La ripartizione dei candidati per tipologia di percorso di studio è la seguente: Licei: 266.057; Istituti Tecnici: 172.504; Istituti Professionali: 87.756

La direzione generale dell’Ufficio regionale, con il servizio ispettivo, ha allestito una task force di supporto e vigilanza che sarà operativa su tutti i territori provinciali. Prima dell’inizio degli esami, i presidenti delle Commissioni d’esame saranno convocati per il tradizionale incontro con gli ispettori tecnici  designati dalla Direzione dell’Usr con il compito di seguire l’andamento dei lavori. L’insediamento delle commissioni e la riunione 17 e 18 giugno.

Secondo quanto previsto dal Mim, la data d’inizio dell’esame orale deve essere decisa dal presidente della commissione durante la riunione plenaria. Considerando che a ogni commissione sono affidate due classi, l’ordine verrà stabilito in base a un sorteggio.
Una volta deciso l’ordine, gli studenti saranno tenuti a presentarsi di fronte alla commissione a seconda della lettera dell’alfabeto estratta a sorte.  Non potranno essere effettuati più di 5 colloqui al giorno salvo casi particolari o emergenze organizzative. 

Le commissioni operanti in Calabria saranno 49 per la provincia di Vibo Valentia, 189 per la provincia di Cosenza,97 per la provincia di Catanzaro e 51 per la provincia di Crotone. Nel Reggino, le commissioni sono in tutto 160, presiedute da altrettanti presidenti (tra  dirigenti e  docenti ordinari) e composte da 564  commissari esterni e da 480 interni.

Esamineranno in tutto 5.756 candidati interni, di cui esterni 279. 

La maxi maturità ha iniziato quest’anno il suo secondo secolo di vita. L’esame di Stato, infatti, compie 101 anni di vita, passando attraverso varie riforme e rifacimenti, non ultime quelle dettate dalle recente pandemia. Ma già dall’anno scorso si è tornati alla formula tradizionale.

E cioè: la commissione d’esame mista con tre membri interni e tre esterni, oltre al presidente anch’egli proveniente da altra scuola. Saranno due le prove scritte a carattere nazionale, decise cioè dal Ministero dell’Istruzione e un colloquio.

Come già previsto per lo scorso anno, infatti, lo svolgimento delle prove Invalsi è requisito di ammissione all’esame, sebbene i risultati delle prove standardizzate non influiranno sugli esiti dell’Esame di Stato. Lo svolgimento dei Pcto (Percorsi per le Competenze Trasversali e per L’orientamento), invece, in deroga alla norma, non costituirà requisito di ammissione all’esame, ma sarà comunque oggetto del colloquio.

Il calendario delle prove scritte

Si comincia oggi, mercoledì 19 giugno, alle 8.30 con la prima prova scritta. Serve ad accertare sia la padronanza della lingua italiana sia le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche degli studenti. Si svolge con modalità identiche in tutti gli istituti e ha una durata massima di sei ore.

I candidati possono scegliere tra tipologie e tematiche diverse: il Ministero mette a disposizione per tutti gli indirizzi di studio sette tracce che fanno riferimento agli ambiti artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale. Gli studenti possono scegliere, tra le sette tracce, quella che pensano sia più adatta alla loro preparazione e ai loro interessi.

La prova può essere strutturata in più parti. Ciò consente di verificare competenze diverse, in particolare la comprensione degli aspetti linguistici, espressivi e logico-argomentativi, oltre che la riflessione critica da parte del candidato.

Domani, giovedì 20 giugno, è prevista la seconda prova scritta. La seconda prova si svolge in forma scritta, grafica o scritto-grafica, pratica, compositivo/esecutiva musicale e coreutica. Essa ha per oggetto una disciplina caratterizzante il corso di studio e deve accertare le conoscenze, le abilità e le competenze riguardanti il profilo educativo culturale e professionale dello studente dello specifico indirizzo.

Il colloquio

Il colloquio si svolgerà dopo gli scritti e riguarderà anche l’insegnamento trasversale dell’educazione civica. Si tratterà di un colloquio pluri e interdisciplinare: la commissione valuterà sia la capacità del candidato di cogliere i collegamenti tra le conoscenze acquisite sia il profilo educativo, culturale e professionale dello studente. Prenderà il via da uno spunto iniziale scelto dalla Commissione.

Sarà la fase dell’esame in cui verrà valorizzato il percorso formativo e di crescita, le competenze, i talenti, la capacità dello studente di elaborare, in una prospettiva pluridisciplinare, i temi più significativi di ciascuna disciplina. Questi ultimi saranno indicati nel documento del Consiglio di Classe di ciascuno studente.

Nell’ambito del colloquio, il candidato esporrà, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza Pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) svolta nel percorso degli studi. Il colloquio dell’esame di Stato assumerà un valore orientativo: data la sua dimensione pluridisciplinare, metterà il candidato in condizione di approfondire le discipline a lui più congeniali.

Per tale motivo, la commissione d’esame terrà conto delle informazioni inserite nel curriculum dello studente: da qui emergeranno, infatti, le esperienze formative del candidato nella scuola e nei vari contesti non formali e informali.

Nella parte del colloquio dedicata ai Pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), lo studente potrà evidenziare il significato di tale esperienza in chiave orientativa e, quindi, potrà collegarla con le proprie scelte future (sia che comportino la prosecuzione degli studi sia che prevedano l’inserimento nel mondo del lavoro).

Come si può ben vedere non vi saranno particolari novità rispetto all’anno precedente. Se non una maggiore consapevolezza critica tra docenti e discenti che queste prove non devono essere una verifica delle nozioni conosciute o una prova della capacità di memoria, ma un momento in cui mettere alla prova le capacità sintetiche e quelle critiche. Questo ci si aspetta dall’esame di Stato e non la fiera del nozionismo, una ennesima e centellinata analisi di quanto uno ha appreso e su cui ha fatto interrogazioni e compiti a non finire.

Il punteggio nelle varie prove e votazione finale, sistema dei crediti

Durante lo scrutinio finale, il consiglio di classe attribuirà il punteggio per il credito maturato nel secondo biennio e nell’ultimo anno fino a un massimo di quaranta punti: dodici punti per il terzo anno, tredici per il quarto anno e quindici per il quinto anno.

La valutazione del comportamento contribuirà alla determinazione del credito scolastico. Massimo 40 punti per il credito scolastico; massimo 20 punti per il primo scritto; massimo 20 punti per il secondo scritto; massimo 20 punti per il colloquio

La commissione potrà assegnare fino a 5 punti di “bonus” per chi ne avrà diritto. Dalla somma di tutti questi punti si otterrà il voto finale dell’esame. Il punteggio massimo sarà di 100, con la possibilità di ottenere la lode, mentre il punteggio minimo per superare l’esame sarà di 60/100.

Distribuzione dei candidati tra le principali tipologie delle scuole reggine.

Prevalenti, come sempre,  risultano i candidati degli istituti tecnici:1.952; seguiti dai licei scientifici:1.444; dai professionali con 1017 interni. A seguire i licei scienze umane con 457, i licei classici con 426, i licei linguistici con 263, i licei artistici con 185 interni e 16 nei licei musicali.

I controlli

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato una circolare per ribadire le regole da seguire per non rischiare di essere esclusi dalle prove e  di conseguenza bocciati. È vietato l’utilizzo di cellulari, apparecchiature elettroniche e calcolatrici nelle prove scritte, telefoni cellulari, smartphone e smartwatch di qualsiasi tipo, dispositivi di qualsiasi natura e tipologia in grado di consultare file, di inviare fotografie

Il tradizionale tam tam di illazioni sulle possibili tracce del tema

Il tormentone quest’anno è iniziato da un bel po’, soprattutto sulla rete. Pirandello, D’Annunzio Ungaretti, Montale restano come sempre i  favoriti della vigilia. Poi Italo Svevo Italo Calvino e Pascoli. Immancabili poi gli anniversari: dai 100 anni dal caso Matteotti, ai 110 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, ai 75 anni della Nato, ai 20 anni di Facebook. 

Con riferimento alla stringente attualità, poi,sono da considerare  argomenti come lo scontro israelo – palestinese, la guerra tra Ucraina e la Russia, gli effetti della intelligenza artificiale e le nuove frontiere digitali, la questione di genere e la violenza sulle donne. Ed ancora i diritti umani e i rifugiati, i diritti civili con la protesta delle donne in Iran, il bullismo e la violenza giovanili e la crisi climatica.

I precedenti sugli esiti della maturità 2023 in Calabria

La percentuale degli ammessi a sostenere gli esami di Stato nel 2023 è stata del 96,3%. Mentre dei diplomati è stata del 99,8%.

I diplomati  con voto 60 sono stati il 3,2%; con voto tra il 61 e il 70 il 19,8%; tra il 71 e l’80 il 25,4%; tra l’81 e il 90 il 19,6%; tra il 91 e il 99 il 14,6,%, con voto 100 l’11,9%. Il 5,6% dei candidati ha conseguito il 100 con la lode. Dal voto 91 in su la Calabria con i suoi candidati ha superato di gran lunga la media nazionale classificandosi al primo posto tra le altre regioni. Con buona pace degli esiti dei test Invalsi nella nostra regione. 

In tanta confusione gli esami paradossalmente restano l’unico punto fermo

Al netto della confusione di temi e rivendicazioni, è vero che sarebbe sano e per tutti molto rilassante imporre una moratoria al furore riformistico sulla maturità: una sorta di ossessione. Da oltre un trentennio ognuno propone la sua ricetta, chi la vuole togliere, chi ritoccarla, chi renderla più semplice, chi complicarla. Non c’è ministro dell’Istruzione che voglia  lasciare una sua impronta, sull’esame di Stato: Berlinguer cambiò quasi tutto:  commissioni,  prove, punteggi, e introdusse i crediti; Moratti volle solo membri interni e un presidente esterno; Fioroni tornò alle commissioni miste e ridimensionò i crediti; Gelmini volle per l’ammissione la sufficienza in tutte le materie; Profumo introdusse un sistema criptato per l’invio delle tracce; Giannini pretese che si valorizzasse l’alternanza scuola-lavoro; Fedeli tra l’altro impose le prove Invalsi come criterio di ammissione e corresse il punteggio. Bussetti ha cambiato il numero delle prove scritte e il sistema di voto. Poi arrivo il Covid ed è andata come è andata, e via dicendo. 

Insomma, la scuola è stata sempre una casa disordinata, un cantiere sempre aperto dove le riforme si succedono una dietro l’altra e l’idea di una scuola che raggiunga un livello di qualità divenendo un ascensore sociale per tutti gli allievi al momento resta un obiettivo lontano.

Pur non di meno è paradossale,  ma l’esame di stato resta l’unico punto fermo che riesce a dare alla scuola una illusione di efficienza, di funzione.

Allora è bene che questa “forma” rimanga rituale fino in fondo, nell’attesa che un nuovo ministro possa riempirla  di un serio contenuto oppure abolirla. (gl)

[Guido Leone è già Dirigente Tecnico USR Calabria]

 

I TANTI DUBBI SUL PONTE, TRA SI E NO E IL
RISCHIO CHE REGGIO SIA ISOLATA DALL’AV

di FRANCESCO COSTANTINOAl dibattito tenutosi nell’aula del Consiglio comunale di Reggio Calabria alla presenza di un vasto pubblico hanno partecipato i sindaci dei Comuni di Reggio, Villa San Giovanni e Campo Calabro e pochi consiglieri di opposizione, uno dei quali ha illustrato una propria mozione, un altro è intervenuto argomentando la propria posizione sul tema e un’altra non ha espresso alcuna posizione. 

Le rappresentanze politiche di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia erano assenti. Molti invece gli interventi delle varie associazioni presenti.  

A conclusione del dibattito ha prevalso nettamente la posizione dei contrari e/o dubbiosi rispetto ai favorevoli al Ponte.

Provo a dire la mia con alcune riflessioni.

Prima riflessione.

Penso che se sul tema Ponte si o no venisse indetta una consultazione referendaria con coinvolgimento dei cittadini di Reggio Calabria, Messina, Villa San Giovanni e Campo Calabro il risultato, verosimilmente, non sarebbe lontano, per ragioni variamente motivate, da una suddivisione a metà tra i favorevoli e i contrari.

Si tende invece a far passare l’idea che i contrari lo siano per motivi considerati astrattamente ed esclusivamente“ideologici” e che i favorevoli appartengano alla categoria di quelli più aperti e confidenti nei confronti del progresso scientifico e dello sviluppo.

Inutile dire  che non può valere né la prima né la seconda catalogazione e per questo, molto laicamente, vado al punto.

Provate voi ad immaginare che l’ipotetico  referendum venisse indetto su un altro tema riguardante la posizione dei cittadini degli stessi territori sulla volontà o meno di avviare, con adeguati strumenti amministrativi e finanziari, la costruzione dell’Area integrata dello Stretto.

Non credo che ci possano essere dubbi sul risultato di questa ipotetica consultazione che registrerebbe – è ragionevole pensarlo – un’amplissima maggioranza dei favorevoli.

E se questo è vero diventa lecito porsi la domanda se il “Ponte”, in fase di progettazione accelerata, che nella configurazione nota prevede il collegamento tra il territorio di Campo Calabro e l’area collinare di Messina, favorisca l’integrazione territoriale dei Comuni interessati o vada in direzione ostinata e contraria.

Seconda riflessione.

Sarebbe pure lecito domandarsi come potrebbe mai avvenire che una linea ad Alta velocità che imboccasse il “Ponte” a Campo Calabro potesse ridiscendere in pochi chilometri alla quota dell’attuale stazione di Reggio Calabria e, se ciò non si ritenesse possibile, domandarsi se il progetto del Ponte preveda o no la costruzione di una nuova stazione ferroviaria a monte di quella attuale collegata al “Ponte” stesso e da connettere con la ferrovia esistente sul versante ionico.

Perché se a ciò non si fosse pensato, come in effetti nessuno ci ha pensato, vorrebbe dire che la città di Reggio Calabria è stata esclusa definitivamente, senza nessuna consultazione dei territori, dal progetto dell’alta velocità, continuando a rimanere sostanzialmente e drammaticamente sconnessa il territorio del versante ionico calabrese con  accentuazione della sconnessione con il territorio del versante tirrenico

Terza riflessione.

Qualcuno, ad oggi, conosce la sezione della linea ferroviaria esistente, o di quella futura ad alta velocità se dovesse essere diversa, sulla quale verrà innestata la linea ferroviaria che risalga dalla quota attuale  alla quota d’imbocco del Ponte sul versante calabrese? 

È stata già progettata o ancora no la galleria di non meno di 25-30 km di lunghezza che si renderebbe necessaria per realizzare questo collegamento? 

Quarta riflessione.

Val la pena o no riflettere sulla circostanza, passata in second’ordine, che l’analisi costi-benefici che giustificherebbe la costruzione del “Ponte” preveda l’annullamento totale dei servizi di traghettamento di passeggeri e merci, che gli studi trasportistici non siano stati aggiornati e siano ancora gli stessi del 2011 e che, infine, non siano state considerate, come la legge prevede, alternative di progetto?

Conclusioni.

Non ho alcuna pregiudiziale ideologica ma penso che i ponti più utili siano quelli che nascono da un’idea ragionata, progettata e condivisa di sviluppo territoriale e non quelli che dividono i sentimenti delle persone che i territori hanno il diritto di vivere, così  come, comunque la si pensi, è accaduto negli ultimi 50 anni in ragione di un “Ponte” calato dall’alto.

E tutto questo al netto delle questioni procedurali adottate per il riaffidamento all’esecutore contrattuale e delle questioni che riguarderebbero la possibilità, mai sperimentata nella storia, di realizzare un ponte come quello in discussione di cui non esiste, ad oggi, dopo tantissimi anni di studi e tantissimi investimenti, un progetto esecutivo reso noto.

Progetto che si ritiene che possa essere pronto in brevissimo tempo. Galileo su quest’ultimo punto avrebbe molto da dire.

Io non ho titoli per dare giudizi, ma dubbi si e molto forti, e non amo il gioco d’azzardo. (fc)

PARTITI GLI INCENTIVI DELLA ZES UNICA
MA NON PER LA NASCITA DI NUOVE IMPRESE

di PIETRO MASSIMO BUSETTASembra che la massima del Vangelo “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” sia stata adottata anche dal nostro Governo.

Parlo del Credito d’imposta della Zes unica. Infatti scatta dal 12 giugno la possibilità di chiedere alle Entrate il bonus per gli investimenti in beni strumentali nelle aree del Mezzogiorno interessate dalla Zes Unica. Ci sarà un mese di tempo per le richieste, visto che la scadenza è fissata per il 12 luglio. 

Le modalità operative di tale provvedimento fanno capire come la Zes unica in realtà stia tradendo  la logica iniziale, trasformandosi in un beneficio per le aziende esistenti già sul territorio.      

Il motivo per il quale si immaginavano le otto zone del Mezzogiorno  é simile all’idea cinese delle Special Economic Zones (Sez). Il concetto è semplice, poiché l’economia cinese pensava di non potercela fare da sola ad innescare quel processo di sviluppo necessario per dare risposte adeguate al sistema economico, immagina delle aree nelle quali assicura una criminalità all’angolo, una adeguata infrastrutturazione che renda raggiungibile le aree  da qualunque parte del mondo, un costo del lavoro molto basso e, infine, una tassazione particolarmente favorevole degli utili di impresa. 

Tali  condizioni per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, considerato che il sistema economico cinese non riesce da solo a creare quell’economia che possa far uscire il Paese dal suo sotto sviluppo. L’idea funzionò e in molti in Europa, a cominciare dalla Germania, immaginano che possa essere un sistema per far finanziare il proprio sviluppo dai capitali in giro per il mondo, in cerca di massimizzare i rendimenti. 

Le condizioni che devono soddisfare tali aree  per cui sono individuate in un territorio limitato sono quelle delle Sez. Con il cambiamento in corso d’opera ed il passaggio dalle otto Zes all’unica per tutto il Mezzogiorno, avevo manifestato il dubbio che si potesse perdere quell’appeal che dovrebbe far arrivare gli investimenti dall’esterno dell’area sul territorio meridionale. 

Necessari perché con 20 milioni di abitanti e 6.300.000 occupati compresi i sommersi, rimasti più o meno stabili da dieci anni a questa parte, pensare che il sistema imprenditoriale del Sud potesse riuscire a creare quei 3 milioni di posti di lavoro, che servono per avere un rapporto popolazione occupati simile a quello dell’Emilia-Romagna, era assolutamente impensabile. 

Le norme attuative emanate per una delle condizioni per l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, riguardante il credito d’imposta e quindi la tassazione degli utili eventuali di impresa, ci fa capire come in realtà si sia snaturato lo strumento. 

Infatti quando le norme attuative dicono che  possono essere inviate dal 12 giugno al 12 luglio 2024 le comunicazioni all’Agenzia delle entrate relative alle spese sostenute dal 1° gennaio 2024 e a quelle che si prevede di sostenere entro il prossimo 15 novembre 2024, per accedere al credito d’imposta riconosciuto per investimenti realizzati nella Zes unica Mezzogiorno, si capisce che piuttosto che all’attrazione di investimenti si pensa a dare vantaggi competitivi alle realtà esistenti. E gli investimenti ammissibili sono quelli riguardanti l’acquisto, anche tramite locazione finanziaria, di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nella Zes unica e che devono mantenere la loro attività nella Zes unica per almeno 5 anni.

E se anche Il credito è differenziato per Regioni, dimensioni dell’impresa ed entità dell’investimento con una diversa agevolazione  tra  Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e Basilicata, Molise e Sardegna, che hanno un beneficio minore, si capisce che tali tempi così ridotti difficilmente potranno  far accedere a questi vantaggi investimenti importanti, che hanno bisogno di certezze diverse per stabilire di arrivare in un territorio sconosciuto. E che la Zes unica avrà la funzione di rendere più competitivo il sistema imprenditoriale esistente, tradendo in realtà il vero scopo dello strumento.       

Contemporaneamente invece viene posta a Cernusco la prima pietra della nuova giga factory dell’idrogeno verde, la più grande fabbrica italiana di elettrolizzatori, 25mila metri quadrati, che faranno del Naviglio una delle green valley lombarde.

La Gigafactory per l’idrogeno verde diventa realtà a Cernusco sul Naviglio, con una struttura da 25mila metri quadrati di De Nora, che darà lavoro a 200 persone direttamente e a 2.000 con l’indotto. Produrrà elettrolizzatori per ottenere idrogeno dall’acqua utilizzando energia rinnovabile.  

Bene questa è la dimostrazione plastica della schizofrenia del Paese, che da un lato finanzia praticamente l’esistente e dall’altro continua a implementare un sistema produttivo, che dovrebbe essere in qualche modo incoraggiato a spostarsi, considerata la mancanza di capitale umano esistente nell’area, in particolare di quello professionalmente formato, che dovrà essere trasferito dalle Regioni meridionali. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CROTONE E SALINE SICURE OPPORTUNITÀ
DI RIGENERAZIONE AMBIENTALE E MARINA

di EMILIO ERRIGODalle previste, approvate, in parte finanziate e da molto tempo attese opere di completamento, riguardanti la realizzazione degli urgenti e non più rinviabili interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale delle aree contaminate private e pubbliche, dalla riqualificazione e valorizzazione ambientale dei territori, delle acque di falda ora contaminate, dalla caratterizzazione delle aree e dei fondali marini da attualizzare accertando lo stato della reale contaminazione, dal completamento infrastrutturale delle banchine e delle due vasche di colmata situate interne al Porto, dall’adeguamento funzionale e  dalla realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti portuali, dalla messa in sicurezza permanente di alcune individuate aree Cic, fosforite e Cubilot ancora presenti in molti ambiti territoriali di Crotone, partirà la crescita economica imprenditoriale e industriale, sia della Provincia di Crotone che della compromessa realtà costiera marittima e portuale di Saline Joniche, rientrante nel Comune di Montebello Jonico della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

Le azioni e gli interventi necessari e urgenti, pianificati, programmati e in parte assistiti da copertura finanziaria, da completare e realizzare, andranno a totale beneficio economico e occupazionale, non solo della Città di Crotone, ma anche di tutte le altre province della Regione Calabria e delle regioni del meridione d’Italia.

Prevedo un positivo riposizionamento strategico nel Sud Italia, con particolare riferimento alle due aree portuali e industriali di Crotone e Saline di Montebello Jonico in Calabria. 

Realtà territoriali costiere similari sotto diversi aspetti, da ritenersi uniche al mondo sotto il profilo storico, archeologico, architettonico e paesaggistico, ma anche con gli stessi punti di debolezza, che possono diventare sicure opportunità per la rigenerazione urbana e la riqualificazione economico – ambientale.

Senza addentrarci in fuorvianti analisi statistiche e volgendo lo sguardo con attenzione, direttamente ai due contesti ambientali similari, sento di poter affermare senza rischiare di essere smentito dai fatti, che, proprio il loro storico degrado ambientale e, a mio modo di interpretare gli scenari ambientali, a forte rilevanza economica, possa trasformarli in due centri di forza produttiva e di futuro benessere generale per il Meridione d’Italia.

Due aree industriali simili e con differenti complessità ambientali e urbanistiche, da gestire unitariamente, nel segno del cambiamento, con mirate azioni programmatorie rilevando in analisi di contesto, un reale potenziale di forza economica industriale, non ancora strategicamente espressa.

Si è convinti nel sostenere che in un prossimo e medio futuro, la crescita economica complessiva omnidirezionale delle due aree grecaniche joniche sarà intensa.

La realtà post industriale della antica Kroton, patria della Magna Grecia ed oggi città di Crotone, risulta positiva sotto ogni punto di vista economico, finanziario e sociale.

Osservando i dati espressi, in estrema sintesi, dell’area vasta peraltro ricadente nel perimetrato (Sin), Sito di Interesse Nazionale e contemporaneamente situato all’interno della Zona Economica Speciale Unica Meridionale, (Zes Unica Meridionale), si registrano dati significativi con molte opportunità da cogliere e valorizzare senza altri ritardi. 

Si legge nel commento della scheda di mercato una evidente bassa congiuntura economica, ingenti risorse di capitale umano in attesa della prima occupazione, un bassissimo reddito pro-capite, (ultimo o penultimo in Italia), una manodopera a basso costo, un eccesso di disponibilità di forza lavoro giovanile, qualificata e specializzata, una lievitazione crescente della base culturale individuale. 

La città di Crotone in particolare, oggi contesto ambientale degradato e deturpato, ma riparabile, recuperabile e riqualificabile, è da valorizzare a totale carico finanziario e in danno delle società multinazionali ora proprietarie delle aree, subentrate in ogni modo e a seguito di provvedimenti legislativi, giudiziari esecutivi, per volontà del Governo, al management delle società industriali storicamente presenti sul territorio crotonese. 

Realtà storiche, rivelatesi a posteriori pericolosamente insalubri e dannose, sia per la salute dei lavoratori impiegati nelle ex industrie metallurgiche e chimiche, che per i cittadini abitanti nei territori adiacenti alle industrie storiche, ex Pertusola, ex Agricoltura, ex Fosfotec ed ex Sasol. Tutte le società  fortemente impattanti per l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi terrestri e marittimi, risultati contaminati dai residui dei processi di produzione delle industrie metallurgiche dello zinco e suoi derivati, (Cic) e delle industrie chimiche sottoforma di prodotti dannosi residuali (Fosforite);  materie prime di base,  allora impiegate per la produzione di anticrittogamici, antiparassitari, diserbanti, detergenza e abrasivi, venduti sul mercato nazionale ed estero, che fino agli anni novanta del secolo scorso, cubavano una forza lavoro complessivamente intesa, tra ingegneri, chimici, amministrativi e manodopera qualificata e altamente specializzata, pari se non molto superiore alle 2500 unità di forza lavoro diretta e indiretta, creativa e produttiva.

L’ignoranza e l’errore umano, si dice che siano la madre e il padre dell’esperienza, così come l’intelligenza, possa essere definita come la capacità di risolvere nuove e complesse problematiche apparentemente irrisolvibili, in assenza di risorse culturali e tecnologiche.

Ora le azioni amministrative e le attività necessarie per la realizzazione e completamento degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale delle aree allora industriali e oggi da decontaminare, sono in avanzato stato di risoluzione, grazie alla ferma volontà manifestata dallo Stato e dal Governo, che hanno cercato di favorire l’unione di intenti delle forze economiche industriali e imprenditoriali, con azioni propositive a Crotone e Provincia. Le attività legislative del Parlamento, la decretazione di urgenza del Governo Italiano e l’impegno costante dei Presidenti di Regione e di tutti i Presidenti e Consiglieri del Consiglio Regionale della Regione Calabria, hanno creato diritto nazionale e regionale idoneo per la crescita, ripartenza economica e lavorativa in Calabria, in aderenza e recepimento del diritto ambientale europeo e ratifica del diritto convenzionale internazionale.

Ora, a mia convinzione e analisi economica predittiva, ritengo che dobbiamo essere molto fiduciosi, in attesa di una vita in un ambiente migliore per tutti i Cittadini Calabresi, in particolare per quelli residenti e abitanti in quel centro economico industriale energetico di Crotone.

Non comprendere il vento economico – finanziario favorevole che è in rotazione sul territorio, mare e porto di Pitagora, seguendo la Rosa dei Venti, a favore del territorio, non credo sia un accettabile segno di ottimismo pro sviluppo e rigenerazione urbana.

Le risorse energetiche rinnovabili e non, petrolifere e gessifere, idriche, idroelettriche, ambientali, agricole, la presenza dell’ “Area Marina Nazionale Protetta” di Isola Capo Rizzuto, considerata una delle più grandi e ricche di biodiversità d’Europa, le reti viarie intermodali sostenibili su ferro, gomma, potenziabili per vie aerea e marittima, le crescenti capacità ricettive portuali e retroportuali, in corso di potenziamento infrastrutturale, faranno della Provincia di Crotone del 2030, una realtà economica anche industriale e imprenditoriale, potenzialmente pronta per competere sul mercato euro mediterraneo ed internazionale.

Occorre crederci e compartecipare per un prossimo futuro migliore, credete in fede e diritto; il benessere generalizzato è possibile e raggiungibile a Crotone, convincersi che esistano buone prospettive economiche, non costerà nulla e consentirà di affrontare le realtà della vita con la forza invincibile dell’ottimismo.

Partendo dalla Stazione Ferroviaria, dall’Aeroporto, dal Porto di Crotone, o dalle strade in ampliamento, rese ancora più sicure e percorribili velocemente, si potrà decidere se dirigere in latitudine nord verso Taranto e il Mare Adriatico, oppure orientare la propria libertà di scelta, convergendo in direzione jonica, verso Reggio Calabria.

Immagino un viaggio in treno di ultima generazione tecnologica, veloce, in alternativa al più lento viaggio a bordo della tradizionale “Littorina”, su una linea finalmente elettrificata, seguendo il mare dei Greci, ammirando i luoghi e i paesaggi costieri della Magna Grecia. 

Uno spettacolo unico, travolgente, colmo di bellezze paesaggistiche a cielo aperto, come fu nell’antichità per la Sicilia e la Calabria colonizzate dai Greci, con i loro mille e forse anche molti di più, tesori storici e architettonici, solo per citarne alcuni, simboli della colonizzazione grecanica e tanti altri dominazioni di civiltà antiche; Selinunte, la Valle dei Templi e Teatro Greco di Taormina in Sicilia,  Squillace, Caulonia, Gerace, Stilo, Locri, Bova, Roccaforte del Greco, Roghudi borgo antico, il borgo millenario di Pentidattilo, Saline di Montebello Jonico in Calabria.

Giunti a Reggio di Calabria, dopo aver camminato per pochi centinaia di metri, fissare in religioso silenzio gli immortali Eroi ritratti nei Bronzi di Riace rigenerandosi poi, con la vista incantevole del Lungomare Italo Falcomatà, un giardino storico liberamente e gratuitamente fruibile, ricco di storia e considerato da Gabriele D’Annunzio, come il kilometro il più bello d’Italia.

Un viaggio ricco di testimonianze storiche delle numerose civiltà, colonizzatori e spesso anche predatori di ogni provenienza, che inevitabilmente, per fortuna, lasciarono ai posteri i segni artistici e architettonici del loro passaggio dominante. 

Durante questo viaggio virtuale però, chiedo di soffermare la vostra attenzione sul territorio e sul mare di Saline Joniche, realtà SIC (Sito di Interesse Comunitario), area di studio e ricerche scientifiche universitarie, considerata dai botanici e ornitologi unica al mondo, per la ricchezza di biodiversità e la imponente nidificazione della avifauna migratoria Mediterranea, oggi in via di estinzione.

Camminando in quei luoghi ci si rende subito conto che questo territorio, che nelle sole buone intenzioni, si doveva industrializzare e rendere produttivo, si trova a vivere, con molte similitudini, con lo stesso stato di incuria e di contaminazione ambientale – industriale di Crotone.

Sono due simboli emblematici dello stesso stato di degrado ambientale, concepito e prodotto da insediamenti industriali insalubri. Sono le tristi conseguenze, dannose e pericolose, di scelte di politiche economiche industriali per il Sud Italia, risultate a posteriori economicamente e ambientalmente, fallimentari.

L’’industria “Liquichimica Biosintesi” di Saline Joniche, realizzata negli anni ’70, con tanto di porto industriale-commerciale, non è mai entrata in esercizio lasciando sul territorio le infrastrutture metalliche, ora vistosamente arrugginite e pericolanti, compresa l’altissima ciminiera colorata visibile ai naviganti del mar Jonio.

Il porto Industriale di Saline Joniche non è stato mai utilizzato ed oggi, la sua bocca d’entrata è insabbiata; un’opera infrastrutturale inqualificabile di pessima qualità ed errata progettualità di ingegnera marittima. Si tratta in argomento, di un ambito costiero bruttissimo a vedersi per come è ridotto a causa di una pluriennale assenza di alcuna manutenzione infrastrutturale marittima.

Tutte le aree e le falde acquifere dei territori ex industriali di Saline Joniche, andrebbero sottoposte ad interventi di caratterizzazione per accertare, sulla base dei risultati, quali e quanti interventi di rigenerazione urbana e messa in sicurezza di emergenza, bonifica dei contaminanti, ripristino-riparazione ambientale e attività di monitoraggio, dovrebbero essere necessari e urgenti da eseguire. 

A poca distanza da questo cimitero metallico, sono state realizzate le imponenti opere e infrastrutture delle Ferrovie dello Stato, le “Officine Grandi Riparazione” di Saline Joniche.

Le officine furono inaugurate nel 1989 e vi vennero affidate le riparazioni di locomotive elettriche, nonostante la linea non risultasse allora elettrificata; dopo 12 anni di attività l’impianto fu soppresso nel 2001 in conseguenza del processo nazionale di razionalizzazione degli impianti di manutenzione. L’impianto è dunque rimasto cosi, in stato di totale abbandono. Una impattante realtà infrastrutturale in ferro e cemento armato, fatta costruire espropriando ai proprietari terrieri, migliaia di ettari di aree agricole produttive pregiate che occorre al più presto, se tecnicamente possibile e prima che sia troppo tardi, proporre quale area da perimetrale e far rientrare in un Sito di Interesse Nazionale, (Sin), da bonificare, rigenerare e riparare dai danni ambientali arrecati al territorio grecanico costiero dello Jonio. 

Un’area che doveva essere protetta, vincolata paesaggisticamente e dichiarata area Sic per via dei vicini Laghetti di Saline Joniche più noti alla generalità delle persone, come i Pantani di Saline Joniche. (ee)

(Emilio Errigo, docente universitario di Diritto Internazionale del Mare ed Europeo dell’Ambiente, è Commissario Straordinario Delegato di Governo del Sito contaminato di Interesse Nazionale di Crotone – Cassano e Cerchiara di Calabria)