I MARI DELLA CALABRIA VANNO BENISSIMO:
BALNEABILI BEN 650 SU 800 KM DI SPIAGGE

di MARIO PILEGGIIl 1° maggio si è aperta la stagione balneare nella Regione con la più alta disponibilità di meravigliose spiagge naturali e acque cristalline della Penisola del BelPaese. 

Lungo i 716 Km di costa frastagliata e ricca di baie e calette formate da rocce di tutte ere geologiche bagnate dal Tirreno e dallo Jonio, sono oltre 650 i Km di spiagge certificate idonee per la balneazione all’apertura ufficiale della stagiona balneare 2024. 

Una disponibilità che supera l’insieme di sette regioni: Veneto, Emilia-Romagna, Friuli, Abruzzo, Marche, Molise e Basilicata. 

La grande varietà delle spiagge della fascia costiera è strettamente connessa alla specificità del contesto geomorfologico regionale prevalentemente caratterizzato da estesi rilievi montuosi ricchi di biodiversità e di Parchi Nazionali della Calabria, dell’Aspromonte, del Pollino e della Sila, il Parco Regionale delle Serre e la Riserva Naturale Regionale “Valli Cupe”. 

La qualità delle acque di balneazione in corrispondenza delle 649 aree marine, monitorate con le analisi mensili e classificate dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, risulta prevalentemente di qualità eccellente. In particolare, da pochi dati pubblicati nei Decreti regionali del 16 e 26/04/2024, risultano: 567 aree di qualità Eccellente, 51 aree di qualità Buona, 13 aree di qualità Sufficiente e 17 di qualità Scarsa.  La lunghezza complessiva di queste aree adibite alla balneazione ma risultate di qualità scarsa e quindi vietate per inquinamento supera i 14 Km.

Le spiagge con acque classificate di qualità scarse e vietate alla balneazione sono localizzate in gran parte nel comune e nella provincia di Reggio Calabria. Più della metà della lunghezza complessiva, 7.678 metri, delle acque classificate di qualità scarsa è localizzata nel solo comune di Reggio Calabria. Le altre due spiagge con acque di qualità scarse della lunghezza di 260 e 372 metri sono localizzate nel comune di Paola della Provincia di Cosenza.

A queste sono da aggiungere altri 40 Km circa di aree non adibite e vietate permanente alla balneazione in corrispondenza delle foci di corsi d’acqua e canali inquinati, dei porti, delle scogliere inaccessibili e nella zona A dell’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto.

Anche in questo inizio di stagione balneare 2024, gli Enti preposti: Comuni, Regioni e Stato tardano ad informare i cittadini sull’andamento della qualità e criticità delle acque di balneazione in ogni comune costiero per come previsto dalle norme e direttive nazionali ed europee vigenti finalizzate alla protezione della salute umana e il miglioramento della qualità ambientale.

Non si provvede a fornire le tempestive informazioni sui profili delle aree adibite alla balneazione e su dove iniziano e dove terminano le aree vietate alla balneazione, in particolare, quelle per inquinamento. 

Sul portale web del Ministero della Salute si legge: «la scarsa qualità delle acque di balneazione può causare problemi di salute ed è quindi importante che i cittadini si informino sulle condizioni relative alla zona frequentata e ne verifichino la balneabilità e la classificazione di qualità delle acque, ad esempio consultando il Portale Acque del Ministero della Salute».

Sullo stesso Portale, purtroppo, continuano ad essere presenti alcune incongruenze ed errori già segnalati. E nei primi giorni dell’attuale stagione balneare non risulta consultabile anche il “profilo” di ogni area adibita alla balneazione nonostante sia considerato: «un importante strumento per la conoscenza e la valutazione dei fattori di rischio ambientali» e «necessario per proteggere la salute dei cittadini da possibili peggioramenti qualitativi e prevenire l’esposizione della popolazione anche attraverso un’adeguata attività di informazione».

Il compito di aggiornare il “profilo” delle aree di balneazione è assegnato alla Regione che, tra l’altro, deve individuare le azioni volte alla rimozione dell’inquinamento e al miglioramento della qualità e «deve promuovere e divulgare con tempestività le informazioni sulle acque di Balneazione» come evidenziato nei sopracitati Decreti. 

Da promuovere e divulgare anche le preziose specificità del patrimonio costiero regionale. Specificità come gli assetti idro-geomorfologici con una grande varietà di spiagge naturali formate da frammenti di rocce di tutte le ere geologiche che documentano la nascita ed evoluzione sia del paesaggio terrestre che degli insediamenti umani dell’intero Belpaese. 

Rocce e scogliere uniche nella Penisola e in parte coeve a quelle granitiche del Tirreno vibonese e dello Jonio catanzarese, generate dallo stesso magma che ha generato le più note coste granitiche della Sardegna-Corsica dalle quali sono state separate a seguito d’imponenti movimenti della crosta terrestre iniziati circa dieci milioni di anni fa, con l’apertura del Mar Tirreno, e ancora in atto.

Alla specificità degli stessi assetti idro-geomorfologici è legata la presenza e lo sviluppo della più grande varietà di habitat e forme di vita in ambiente acquatico e terrestre. Meritano più attenzione e tutela la ricca biodiversità marina e, in particolare le tante specie rare, come ad esempio i cavallucci marini rilevati nella “Riserva Naturale Foce del Crati”, nei parchi marini regionali: “Baia di Soverato”; “Riviera dei Cedri”; “Costa dei Gelsomini”; “Scogli di Isca” e “Fondali di Capo Cozzo – S. Irene Vibo Marina – Pizzo – Capo Vaticano – Tropea” e nella “Area Marina Protetta Capo Rizzuto”. (mp)

[Mario Pileggi è geologo del Consiglio nazionale Amici della Terra]

PONTE, QUELLE CONTINUE FAKE NEWS DI
QUANTI VOGLIONO FRENARE IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Volano gli stracci. È bastata una dichiarazione dell’amministratore delegato della società Stretto di Messina che, nel corso di un suo  intervento a Rai Radio 1, ha affermato che non sarà possibile rispettare la scadenza prevista dal decreto, convertito in legge nel maggio 2023, che prevedeva la conclusione dell’iter della progettazione esecutiva entro il 30 luglio per scatenare una canea di commenti.

Il Fatto Quotidiano, certamente capofila tra gli oppositori all’opera, ha titolato “Ponte, disfatta di Ciucci & Salvini: “Se ne riparla a fine anno” (forse).

Mentre il pensiero che aveva espresso il presidente di Libera, che il ponte invece di unire due coste avrebbe unito due cosche, viene quantificato da Leoluca Orlando, più volte primo cittadino di Palermo che dichiara: «Il Ponte è un’opera di 14 miliardi che non si farà, perché le stesse commissioni tecniche nominate dal ministero hanno sollevato più di 200 osservazioni».

E ancora, sempre Orlando: «A cosa serve allora spendere così tante risorse? Forse per prevedere due o tre miliardi per qualche progettista amico, per qualche tangente nascosta?».

Una bella tangente addirittura da due, tre miliardi. Altro che Mose di Venezia che, ideato negli anni ’80, cominciato nel duemila, ha sofferto di un sistema di tangenti scoperto tra il 2013 e il 2014.

Secondo gli inquirenti attorno al Mose sarebbero state emesse 33 milioni di euro di fatture false: almeno la metà – 16/17 milioni – sarebbero servite a pagare tangenti. Altre stime, invece, portano a ipotizzare quasi cento milioni di euro di mazzette. Una bazzecola rispetto all’uno, due miliardi di cui parla Orlando.

Siamo a numeri in libertà ovviamente, Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e portavoce di Europa Verde, non perde l’occasione e va a ruota libera.

La domanda che si pone riguarda il fatto che  un ponte che non può essere utilizzato per il trasporto non servirebbe a nulla.

Ed avrebbe ragione se non fossero parole in libertà assoluta, senza alcun fondamento reale. E poi che le grandi navi crociere non passerebbero sotto. E qui una polemica basata sul sesso degli angeli perché poi le informazioni corrette vanno in tutt’altra direzione.

Grazie alle sue ciminiere retrattili, la più grande nave da crociera del mondo, la Allure of the seas, è passata sotto al ponte Storaebelt, in Danimarca, proseguendo la sua rotta in uscita dal mar Baltico.

La nave, 225.282 tonnellate di stazza e 16 ponti, della compagnia statunitense Royal Caribbean, che è in grado di ospitare 5.400 passeggeri in 2.700 cabine aveva lasciato giovedì il cantiere Stx di Turku, in Finlandia, ed è diretta a Fort Lauderdale, in Florida, dove sarà inaugurata a fine novembre.

Il limite internazionale stabilito dall’Imo per il franco sul mare è di 65 mt; le grandi navi da crociera passano tranquillamente sotto i ponti sul Bosforo o tra Svezia e Danimarca, semplicemente abbassando le ciminiere retrattili. Inoltre possono anche alzare temporaneamente la linea di galleggiamento. Quindi anche in tal caso nulla di serio.

In realtà la società Stretto di Messina ha adottato un profilo di understatement e non replica quasi mai. Anche se tutte le informazioni corrette sono sul sito.

Non se l’è tenuta solo con Mario Tozzi e  replica alle critiche del geologo, che aveva parlato di pressappochismo sconcertante sul Ponte, con una dichiarazione piccata e pesantissima. Per rispondere alle «superficiali affermazioni di Tozzi – scrive l’ufficio stampa della società – è sufficiente andare sul sito della Stretto di Messina e scorrere le risposte alle domande frequenti di natura tecnica (passaggio treni, aspetti sismici, vento, allontanamento coste e molto altro).

In ogni caso non c’è nulla di “vecchio”, il progetto definitivo del Ponte rappresenta i massimi standard di ingegneria. Già negli anni passati — afferma la società — avevamo capito che a Tozzi l’opera non piace, ma un ponte aperto a treni e auto 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno è la migliore risposta alla domanda di un più efficiente e moderno sistema di collegamento tra la Sicilia, la Calabria e il resto del Continente. Resta però lo stupore con cui si continuano a fare citazioni prive di fondamento, come i dubbi sull’acciaio del Ponte, mai sentiti».

Insomma da qui alla chiusura della campagna elettorale del 9 giugno il ponte sarà un protagonista assoluto.

Intanto Pietro Ciucci manifesta sicurezza malgrado il fuoco di fila a cui è sottoposto: «Non cambia assolutamente nulla nell’evoluzione del procedimento. Il termine era stato fissato dal decreto del marzo 2023, poi convertito in legge, e ha fornito un orizzonte temporale importante, entro il quale andava riavviata l’intera complessa macchina della progettazione del collegamento stabile».

Non drammatizza sui piccoli ritardi: «Il progetto esecutivo sarà pronto entro la fine dell’anno, poi tutto dipenderà da quando si pronuncerà il Cipess sull’aggiornamento del progetto definitivo. Nessuna battuta d’arresto, nessuno stop imprevisto, si sta lavorando al massimo delle nostre competenze e professionalità», ribadisce l’amministratore delegato Pietro Ciucci.

Ma la telenovela continua tra attacchi concentrici  su notizie spesso false e reazioni molto contenute della società dello stretto che sembra dire “Addá passá a nuttata”.

La personalizzazione che ne ha fatto Matteo Salvini certamente bene al ponte non fa, anche se non bisogna dimenticare che se si è a questo punto, pronti per partire,  il merito maggiore è proprio del leader leghista.

Intanto prima ancora di essere costruito il ponte ha messo sotto i riflettori del Paese l’esigenza che il Sud venga infrastrutturato adeguatamente. Che per andare da Trapani a Ragusa non si impieghino più 12 ore, che è la litania dei benaltristi per dire che bisogna intervenire su strade e ferrovie siciliane. Anche se la domanda che sorge spontanea è dove erano tutti questi fautori della Trapani Ragusa quando di ponte non si parlava e perché non hanno manifestato allora a favore invece di scendere ora in piazza contro il collegamento stabile. Ma la risposta è semplice  se fossero scesi in piazza prima non sarebbero benaltristi. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud  – L’Altravoce dell’Italia]

LA CHIESA DI PARAVATI SARÀ SANTUARIO:
UN ALTRO “MIRACOLO” DI MAMMA NATUZZA

di PINO NANO«Natuzza è la prova che Dio non si distrae, che Dio ha un progetto per ciascuno di noi. E tutti noi che l’abbiamo conosciuta, che abbiamo avuto modo di vederla, di ascoltarla, siamo stati colpiti da questa sollecitudine. Potremmo riassumere così il senso del suo messaggio. “Tu non sei solo”. “Dio è accanto a te”. “Dio ti conosce”. “Dio non si è sbagliato con te”».

Credo di poterlo scrivere senza ombra di smentita, ma questa è la frase più bella e più completa che un “servo di Dio” potesse pronunciare su Natuzza Evolo. Natuzza Evolo non si poteva raccontare meglio di così, e ogni qualvolta io rileggo questa frase mi rendo conto di quanto il mistero di Natuzza sia in realtà molto più grande di quanto nessun cronista abbia mai saputo raccontare.

«Natuzza è la prova che Dio non si distrae».

Dentro queste parole, pronunciate da Mons. Attilio Nostro il giorno del suo primo arrivo a Paravati, la sua prima uscita pubblica da Vescovo in Calabria, c’è il senso profondo del rispetto che la Chiesa riserva alla mistica calabrese. C’è una considerazione di fondo che travalica ogni altra analisi scientifica e che vede in Natuzza un riferimento fondamentale della storia della nostra Pietà Popolare.

Ci sono stati momenti della mia vita in cui mi sono avvicinato a Natuzza con grande scetticismo, e ci sono momenti in cui ho persino provato a non credere in tutto quello che l’evidenza mi poneva sotto gli occhi, ma quando rileggo sul mio diario di lavoro le cose dette in quel lontano 1° novembre del 2001 dal giovane Vescovo appena arrivato a Paravati, allora mi fermo a riflettere e vado in crisi. 

Se un “Uomo di Chiesa”, autorevole come lui, severo, attentissimo alla forma e al linguaggio, documentatissimo e pieno di mille certezze, ci dice che “Natuzza è la prova che Dio non si distrae”, allora forse si capisce meglio il senso delle sue ultime dichiarazione ufficiali, quello che mons. Attilio Nostro dice il giorno della Festa della Mamma dall’altare che era tanto caro a Natuzza, e da dove annuncia al suo popolo che presto la Chiesa di Paravati diventerà Santuario Mariano.

Emozionante. 

Emozionante anche per me, che di Natuzza avevo quasi paura. Paura che un giorno mi potesse dire, come faceva ai tanti che andavano a trovarla, «Figlio mio, fatti vedere da un medico, vedo che forse hai qualcosa che non mi piace».

Paura che Natuzza potesse leggere il mio pensiero, e quindi potesse carpire i miei dubbi e le mie incertezze su quanto le avrei chiesto. 

Paura di sentirmi dire «Sai ho visto tuo padre, che è ancora in attesa del paradiso». O peggio ancora, «Ma perché scappi in continuazione?». 

Paura che potesse leggere ed entrare nella mia vita privata “«Perché l’angelo che hai alle spalle mi dice che…».

Ecco allora che mi viene in aiuto la voce di don Attilio.

«Natuzza per noi è stato un segno profetico, di quale è la strada che noi siamo chiamati a percorrere. Ecco perché la nostra presenza non è soltanto rappresentanza, o numero. Ma è elemosina. È chiedere a Dio: “Signore riempi il mio cuore, perché senza di te è vuoto”. E si riempirà di mille spiriti inutili, che non danno ragione. Donami la Grazia Signore della tua presenza. Donami la Grazie di essere fedele a questo domani».

Il carisma di un Vescovo è anche questo. È questa capacità della sintesi, questa consapevolezza di doversi spiegare, di dover essere capito da tutti, ma anche questa certezza di dover dare al suo gregge un messaggio forte e preciso.

«Quello di oggi – dice quel giorno mons. Nostro – è un giorno che segue altri giorni, nel quale sono venuto qui pellegrino, mendicante, pieno di dubbi o di presunzione. In altri due incontri con Natuzza, avevo discusso di quanto potesse essere difficile essere sacerdote, non avrei mai immaginato che sarei diventato il suo vescovo. E quindi, per me è una ragione di enorme grazia poter dire a questa serva di Dio tutto l’amore, in risposta all’amore con il quale sono stato da lei accolto. Spero che la sua sollecitudine, e questa carità fraterna che mi ha voluto manifestare possa trovare nella mia vita, ma soprattutto nel mio ministero una saggia e adeguata risposta. Noi oggi siamo qui per ricordare la solennità di tutti i Santi, e per ricordare i giorni in cui lei ha compiuto questo pio transito da questa terra al cielo, ma in realtà questa unione con Dio è già cominciata in lei e nella sua vita sin dal momento in cui è stata chiamata attraverso il battesimo».

Come si fa a non credere? Come si fa a non dubitare che tutto quello che di negativo nel silenzio della tua redazione hai magari pensato non sia poi così vero?

Don Attilio quel giorno diventa il mio grillo parlante, quasi un tarlo che incomincia a insinuarsi nella mia mente. 

«Io spero che varcando quella porta – con la mano don Attilio indica la porta della Grande Chiesa di Natuzza – quella porta che indica la misericordia di Dio, la gente possa uscire di là dicendo “Il Signore ha parlato al mio cuore».

Tre anni dopo quel giorno, don Attilio sceglie la Festa che a Natuzza era più cara, la Festa della Mamma, per quello che sarà un vero e proprio annuncio storico. Per i cento anni dalla nascita di Natuzza Evolo, quindi il prossimo 23 agosto, l’attuale Basilica di Paravati diventerà Santuario Mariano.

Cosa vuol dire tutto questo?

Vuol dire prima di tutto che il legame profondo, intimo, è vero mai palese, mai dichiarato prima, che c’è sempre stato tra la Chiesa di Papa Francesco e la realtà di fede che si respira a Paravati, prende oggi corpo sostanziale. 

Vuol dire che la Chiesa di Francesco ritiene che questa Basilica abbia tutti i numeri per diventare Santuario. Vuol dire che la Chiesa ufficiale fa propria la scelta originaria di Natuzza, che per tutta la vita non ha fatto altro che pregare per poter dare «Alla madonna una casa degna di Lei».

Ricordo che quando per la prima volta Natuzza mi disse questa cosa «Io lavoro per dare alla Madonna una casa più bella di questa, e questa casa io già la vedo…», per un attimo pensai che quella donna vaneggiasse.

30 anni dopo la Chiesa era diventata una realtà fisica, e quando Natuzza morì, e la sua bara, venne deposta ai piedi del grande sagrato esterno della Basilica, capimmo tutti che da quel giorno la storia di Natuzza Evolo sarebbe diventata una leggenda.

«Pregate non solo per me- dice ancora don Attilio nella sua prima uscita pubblica davanti alla Chiesa di Natuzza- ma anche per questa meravigliosa opera (il riferimento è alla Chiesa) che è un’altra figlia di Natuzza. Pregate perché presto questa Chiesa possa essere consacrata al culto. Pregate perché il Signore possa imporsi nel mio cuore, e nel cuore di coloro che collaboreranno con me per questa intenzione. Perché questo santuario possa diventare ciò che era ed è nel cuore di Dio. Un posto dove le anime possano trovare rifugio. Un posto dove gli assassini possano riconciliarsi con Dio, pentirsi, ravvedersi, confessare. Un posto dove i delinquenti possano capire che esiste una alternativa al delinquere. Un posto dove marito e moglie si possano riconciliare. Un posto dove i ragazzi possano lottare per un mondo nuovo. Un mondo dove anche i sacerdoti possano ritrovare la propria vocazione, la radice di quell’amore che li ha portati a rinunciare a tutto per Dio».

Oggi, dunque, l’annuncio ufficiale che questa “Chiesa di Natuzza” sta per diventare Santuario. 

Questo significa meta di nuovi pellegrini. Questo significa tempio di nuove adunate. Questo significa una nuova oasi di preghiera e di fede. Ma questo significa, soprattutto, che la Calabria avrà un Santuario Mariano, come tanti altri sparsi per il mondo, nato qui per volere di Natuzza Evolo.

Tutto questo, in attesa che Natuzza stessa possa ora essere riconosciuta Beata. Il processo di Beatificazione a suo carico va avanti, non si è mai fermato, anzi oggi ha ripreso più vigore che mai. È vero, la Chiesa ha i suoi tempi, a volte anche lunghissimi ed estenuanti, ma è giusto che sia così. Chi vivrà vedrà. 

Ma era già tutto scritto? 

Non lo so, non credo, ma di quella prima uscita pubblica del nuovo Vescovo di Mileto a Paravati mi torna ancora in mente, prepotente, il riferimento bellissimo che don Attilio fece ancora su Natuzza.

«In quella storia che non riesci a capire, in quel passato che non riesci a perdonare, ma come fa un cuore a non riconciliare? Come fa un cuore che non è nella pace? Come fa un cuore che non è perdono, che non è misericordia, ad amare? Ecco perché noi, difronte a questa nostra incapacità, ci dobbiamo mettere in ginocchio, unire le nostre mani, e pregare. Ecco perché Natuzza per noi è stato un segno profetico, di quale è la strada che noi siamo chiamati a percorrere. Ecco perché la nostra presenza non è soltanto rappresentanza, o numero. Ma è elemosina. È chiedere a Dio: “Signore riempi il mio cuore, perché senza di te è vuoto”. E si riempirà di mille spiriti inutili, che non danno ragione. Donami la Grazia Signore della tua presenza. Donami la Grazie di essere fedele a questo domani. E allora questa pagina di vangelo, bellissima, che il Signore ci dona, vede anche noi come Beati».

Mi chiedo allora, ma come si fa a non credere che prima o poi, presto o tardi che sia, Natuzza sarà Beata? 

I presupposti fondamentali perché Natuzza possa diventare Beata oggi ci sono ormai già tutti. Questo lo dicono teologi di chiara fama internazionale. E se la Chiesa ufficiale ha formalmente deciso di innalzare la Basilica di Paravati a Santuario, allora qualcosa vorrà anche dire. Se non altro, qualcosa di veramente importante, dopo la morte di Natuzza, a Paravati torna a muoversi. E la certezza che tutto andrà per il meglio, credo sia proprio lui, don Attilio Nostro, questo giovane Vescovo illuminato, intellettuale e sacerdote cresciuto e formatosi alla Lateranense a Roma, “battezzato” sacerdote da Papa Giovanni Paolo Secondo, e mandato in Calabria da Papa Francesco a rimettere ordine nei “cassetti dei ricordi” di Paravati.

Ora serve solo aspettare. Anche se per la verità, per la gente comune, “Natuzza è già Santa”. (pn)

 

TRA ESCLUSIONE SOCIALE E POVERTÀ
IL BENESSERE DIVENTA UNA CHIMERA

di MICHELE CONIA – Il recentissimo Rapporto Bes  2023 (Benessere Equo e Sostenibile), giunto all’undicesima edizione e diramato dall’Istat, nato con l’obiettivo di valutare il progresso di una società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale, scatta una preoccupante istantanea sul rischio povertà in Italia maggiore che in altri Stati europei. L’analisi integrata  dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali offre dati allarmanti sulle condizioni economiche italiane.

Nel 2023, il 22,8% della popolazione è risultata a rischio di povertà o esclusione sociale e il valore più elevato lo conquista il Mezzogiorno dove sono 866mila famiglie  in situazione di fragilità economica. Secondo le analisi dell’Istituto, il rischio di povertà rimane alto per coloro che possono contare principalmente sul reddito da pensioni e/o trasferimenti pubblici (31,6%) mentre diminuisce per coloro che vivono in famiglie in cui la fonte principale di reddito è il lavoro dipendente (15,8% rispetto al 17,2% del 2022). Peggiora per coloro che svolgono un lavoro autonomo (22,3% rispetto al 19,9% nel 2022).

Se questo inaccettabile progetto dovesse essere approvato la situazione non potrà che peggiorare. I già esistenti divari territoriali si acuirebbero con un ulteriore indebolimento dei servizi fondamentali: dalla Sanità all’Istruzione, ai Trasporti. La deprivazione sociale e materiale cresce in Calabria più che in altre regioni. Se nella nostra regione, nel 2022, le persone povere si assestavano all’11, 8%, nel 2023 il numero è balzato al  20,7%.

Mentre nel 2022  il 42%  dei residenti era a forte rischio povertà o esclusione sociale, nel 2023 questo dato si  è ulteriormente aggravato toccando punte del 48%. Un primo aspetto da non tralasciare, è quello relativo alle condizioni delle famiglie: l’inflazione erode sempre più i redditi con  una progressiva  perdita di potere d’acquisto, spingendo verso la soglia della povertà un numero enorme di cittadini e cittadine  che non riescono più ad affrontare le spese quotidiane, a pagare l’affitto, rinunciando persino a curarsi.

A tal riguardo, il rapporto Bes, relativamente all’ambito sanitario, documenta che nel 2023 il 4,2% degli italiani hanno dovuto rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per problemi economici: l’1,3% in più rispetto al 2022. Quello che maggiormente colpisce è che neanche chi lavora può considerarsi al riparo dal rischio di povertà assoluta. Il cosiddetto “working poor” è un altro fenomeno dilagante e allarmante. La fragilità economica è stata causata anche dall’aumento generalizzato dei prezzi arrivando all’assurdo paradosso, spiega il primo cittadino, per cui le famiglie, nel 2023, pur riducendo i consumi, si sono ritrovate a spendere un +  9%  rispetto all’anno precedente. Inoltre l’incidenza di povertà assoluta si conferma più marcata per le famiglie con almeno un figlio minore (12%).

La fragilità economica continua a colpire duramente anche le famiglie straniere e i minori. Drammatico, infatti, anche il dato su questi ultimi con un’incidenza pari al 14%. Conìa conclude  assicurando: “Noi non abbassiamo la guardia e continueremo a rigettare il disegno di autonomia differenziata le cui decisioni negheranno il principio di eguaglianza formale e sostanziale, in contrasto con la pari dignità dei cittadini prevista dall’articolo 3 della Costituzione, che incideranno profondamente sulla vita delle persone frammentando l’assetto istituzionale del Paese, che aumenteranno le distanze tra il Nord e il Sud, approfondiranno le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti. Continueremo a scendere in piazza a incrociare lo sguardo e le mani  di lavoratori e lavoratrici, pensionati, giovani e non smetteremo di lavorare  nelle istituzioni per incontrare bisogni e necessità dei più fragili, dei più deboli, degli ultimi. (mco)

(Michele Conia è il sindaco di Cinquefrondi)

NIENTE CUNEO FISCALE, UNA VERA MAZZATA
PER IL MERIDIONE CHE VUOLE CRESCERE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAPochi sono i dati necessari a descrivere il nostro Mezzogiorno, due in particolare: popolazione complessiva e occupati, compresi i sommersi. 

Bene la popolazione è 19.775.832, gli occupati secondo l’Istat 6.306 mila. Partendo da tali dati è necessario un piano di sviluppo sistemico che consenta di arrivare al rapporto funzionale delle realtà a sviluppo compiuto. Se come benchmark prendiamo la Emilia Romagna, che con 4.455.188 abitanti al 31.12.2023 ha 2.055.000 occupati, quindi con un rapporto tra popolazione ed occupati di circa il 45%, il Mezzogiorno, alla fine del suo processo di sviluppo, che in una previsione non particolarmente ottimistica potrebbe avere un percorso di non più di 10 anni, dovrebbe avere nove milioni di occupati, compresi i sommersi. 

Per cui una tabellina di marcia possibile dovrebbe prevedere un incremento medio di un saldo occupazionale, differenza tra assunti e licenziati, di 300.000 occupati ogni anno. Da dove dovrebbero arrivare tali incrementi è presto detto: le gambe sono prevalentemente tre, con il loro indotto: la logistica, il turismo e il manifatturiero. 

Dalla prima branca ci si può aspettare un contributo importante, la portualità del Sud è numericamente ricchissima e, se approfitta del potenziamento di Gioia Tauro e Augusta per le merci e della messa a regime delle decine di porti che sono posti sulle miglia di chilometri della costa meridionale, il risultato quantitativo potrebbe avvicinarsi anche al milione di occupati in più. 

Per avere un ordine di grandezza si pensi che la sola Rotterdam, tra occupati diretti del porto e quelli del retroporto, ha un numero di occupati vicino alle 700.000 unità. 

La seconda branca è quella del turismo. In una ipotesi impegnativa  di un incremento di presenze del 100%, cioè da 80 milioni a 160 milioni, fisiologico per il Sud, considerato che oggi il solo Veneto ne fa altrettanti, avremmo una occupazione nel settore che andrebbe dal 3 per mille al 6 per mille; cioè da 240.000 a 480.000 come massimo. 

Tale massimo si raggiunge quando le realtà sono piccole. Quindi nel caso di incrementi di tal tipo che dovrebbero coinvolgere grandi strutture saremmo più vicini al 3-4 per mille. Ma supponiamo un dato intermedio di 360.000. Considerato che l’agricoltura continuerà a perdere addetti, come è evidenziato da tutti gli studi del settore delle realtà a sviluppo compiuto, il manifatturiero dovrebbe essere, come in tutte le realtà evolute, quello che dovrebbe contribuire maggiormente all’incremento occupazionale. 

Per tale obiettivo non può essere sufficiente la base produttiva esistente,ormai ferma da oltre 10 anni, quindi è necessario che si attraggano investimenti dall’esterno dell’area. È quello che dovrebbe fare la Zona Economica Sud. 

Per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, necessari per aumentare l’occupazione del  manifatturiero e del Pil prodotto dalle regioni meridionali, sono necessarie molte condizioni. Le due indispensabili riguardano l’infrastrutturazione, sulla quale c’è un impegno molto rilevante da parte del Governo, che con gli investimenti sulla Napoli-Bari, sull’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria  che si completerà con il ponte sullo stretto e con la Messina – Catania – Palermo e sulla ionica, renderà il Sud attraversabile cosa finora impossibile. 

E poi la lotta alla criminalità organizzata, perché l’imprenditore vuole rischiare il suo capitale, certamente non la vita. Ma poi vi sono anche le condizioni di vantaggio per fare scegliere le nostre aree invece che quelle della Polonia o dell’Ungheria. In tal senso bisogna competere con il costo del lavoro, particolarmente basso in altri Stati dell’Unione e con la tassazione degli utili d’impresa, altrove più contenuti. 

Bene il provvedimento per ridurre il cuneo fiscale tende a proprio a rendere il costo del lavoro più basso. Solo che un approccio populista del Governo Giuseppe Conte lo estese a tutto il sistema imprenditoriale del Sud, con un costo che avevamo previsto non sarebbe stato sopportabile.  

Infatti lo sgravio sul costo del lavoro che vale 3,3 miliardi all’anno e si applica dal 2021 a 3 milioni di lavoratori dipendenti, aiutando  così migliaia di imprese meridionali «termina a giugno». Il ministro per il Sud Raffaele Fitto lo ha detto chiaro ai sindacati che la misura termina. 

L’esecutivo di destra questa volta non ha intenzione di ottenere un’altra proroga dall’Unione europea che, sbagliando, forse l’avrebbe concessa. 

E si, perché tali vantaggi, se concessi a una platea così ampia, finiscono col perdere l’obiettivo per cui erano stati creati. Cioè di rendere le localizzazioni nuove più accattivanti, fungendo invece da intervento a pioggia per tutte le attività, lasciando peraltro sul mercato anche aziende che invece di creare ricchezza la distruggono e che sarebbe bene  siano chiuse. 

Una misura compensativa giustificata dal fatto che produrre al Sud costa di più perché mancano infrastrutture e servizi. La misura nasce nel 2021 e fu finanziata con i fondi europei del React-Eu e poi con i fondi nazionali di sviluppo e coesione. 

Il progetto era che finisse nel 2029 con una diminuzione della misura del 30% dello sgravio quest’anno e successivamente 2026 e 2027 del 20%, e infine del 10% nel 2028 e 2029. Anche questa logica era sbagliata ma ovvia perché rivolgendosi ad una platea così ampia doveva progressivamente ridursi. 

Si spera che adesso si ritorni al ruolo, fondamentale, che doveva avere, cioè di riduzione del costo del lavoro per alcuni anni per i nuovi insediamenti, per esempio per 10 anni, che creano nuova occupazione.

Purtroppo quando si gioca con mance e mancette, riducendo gli strumenti di politica economica, fondamentali per lo sviluppo, a occasioni  per alimentare il consenso, gli apprendisti stregoni ottengono l’effetto scontato, di far impazzire lo strumento non conseguendo gli effetti voluti  o renderlo talmente oneroso da non consentirne la permanenza. Adesso bisognerà rimetterlo con interventi selezionati perché in realtà é fondamentale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

«NON PIÙ SERVITORI MUTI» MA IMPEGNATI
IN UNA POLITICA NEL SEGNO DELLA LIBERTÀ

di PINO NANODi mons. Francesco Savino so quel tanto, o quel poco, che di solito si racconta in Vaticano di ogni altro Vescovo scelto in questi anni da Papa Francesco, e di lui in Vaticano – in Sala Stampa si sa sempre tutto – si dice sia un pastore di grande carisma e di grande intelligenza. Ma si dice soprattutto che Papa Francesco, ormai quasi dieci anni fa, lo abbia fortemente voluto alla guida della Diocesi di Cassano allo Jonio per la fermezza delle sue idee e per la severità con cui già da giovane sacerdote in Puglia, sua terra di origine, lui trattava e giudicava sé stesso.

Non mi meraviglia, dunque, il fatto che in queste ore lui abbia preso carta e penna e abbia deciso di scrivere una lettera-aperta alla politica, e a chi in queste ore si candida alle elezioni europee o comunali.

Francamente non accadeva da tempo. E non mi meraviglia affatto che questa sua lettera alla politica, lui l’abbia consapevolmente definita nel titolo di apertura che ne fa “Un atto politico”.

Un “atto politico” per un pastore della Chiesa come lui, per giunta Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana per il Sud, vuol dire una cosa importante. 

Vuol dire che è un appello a cui nessuno può sottrarsi.

Vuol dire che siamo in presenza di una riflessione che non può e non deve passare inosservata. Vuol dire che non è solo un monito per tutti, ma è anche una lezione di vita e di morale cristiana. Sono tre cartelle piene, di pensieri e parole, che fanno di questo “atto politico” una sorta di testamento spirituale per la storia di questa regione.

«Non è un atto di ingerenza in ambiti che non mi competono- sottolinea Mons. Savino- non è una indebita invasione di campo, né un tentativo di condizionamento delle scelte che farete, delle parole che pronuncerete, delle idee che porterete. Questa invece è la piena assunzione di responsabilità di chi, come me, convinto da sempre – come avrebbe detto don Lorenzo Milani – che “il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”, certamente avverte di non avere nessun titolo per dare lezioni a nessuno e nessuna presunta autorità sacrale nel nome della quale profondere elevati consigli, tuttavia si sente fortemente gravato dalla responsabilità di “sortire insieme» dai problemi che attanagliano gli uomini e le donne di queste nostre comunità.

«Un atto politico», lo chiama Mons. Savino. Forse, però, è molto di più che un “atto politico”. 

Direi, piuttosto, che è “Un atto di fede”.

«Prima ancora che da cristiano – dice mons. Savino – io vi scrivo da uomo che nella vita ha deciso di stare sulla terra con entrambi i piedi e di starci così come ci è stato l’Uomo dei Vangeli: schierato con la gente che fa fatica, dalla parte di chi è stato privato di ogni dignità e compagno di strada degli ultimi, di quanti sono costretti al silenzio, degli scomunicati, dei falliti, dei tanti che vivono ai margini».

Altro che un“Atto politico”. 

Questa di Mons. Savino è una denuncia sociale di dimensioni enormi. Se non altro, per come lui la argomenta e la spiega al mondo esterno.

«Guardo queste nostre comunità nelle quali, seppur con i miei limiti e le mie fragilità, cerco di mettercela tutta per contribuire a realizzare quel sogno di Terra impastata con il Cielo che il Maestro di Nazareth chiamava Regno di Dio, e non posso non pensare a quanti invece il cielo non sanno più guardarlo stanchi di tante promesse non mantenute, rassegnati per i tanti treni in partenza con figli che non faranno più ritorno, sopraffatti dalle angherie del malaffare, della furbizia, della violenza criminale e della volgarità ‘ndranghetista».

Rieccola, finalmente, la Chiesa del coraggio, la Chiesa della preghiera, la Chiesa della pietà, la Chiesa della speranza, la Chiesa degli altri.

«Seguo il dibattito politico che da tempo caratterizza la vita di questo nostro Paese e non posso non annotare -scrive il Vescovo- uno scadimento culturale e per certi versi anche etico che sta sdoganando un linguaggio sempre più violento e modalità sempre più irruenti di chi attraverso la politica dovrebbe dare testimonianza di rispetto, di garbo e di cortesia, e invece alimenta situazioni di tensione, rancore e spaccature».

Mi chiedo, ma come si fa a sintetizzare un testamento spirituale di questa portata senza però correre il rischio di tralasciare le parti più salienti del messaggio della Chiesa di Francesco?

Francamente non lo so, ma proverò a farlo.

«Vi confesso – scrive ancora Mons. Francesco Savino – che sento sempre più mie le parole di quell’inusuale e duro atto di accusa che tanti anni fa fece il santo vescovo Tonino Bello dinanzi ad una classe intellettuale silente e per certi versi complice di una politica che già allora involgariva i propri toni: “siete latitanti dall’agorà – scriveva don Tonino – è più facile trovarvi nelle gallerie che nei luoghi dove si esprime l’impeto partecipativo che costruisce il futuro. State disertando la strada. Per scarnificare la storia di ieri state abbandonando la cronaca di oggi che, senza di voi, è destinata a diventare solo cronaca nera (…). Vi siete staccati dal popolo, così che per la vostra diserzione, stanno cedendo nell’organismo dei poveri anche quelle difese immunologiche che li hanno preservati finora dalle più tragiche epidemie morali (…). E intanto la città muore».

Quante verità assolute nascondono queste dichiarazioni, e quanto coraggio deve avere avuto il vescovo di Cassano nel chiedere ad ognuno “Dove siete finiti?”

«Lasciate – aggiunge mons. Savino – che vi consegni, infine, la mia pena e la mia tristezza per quelle scene di violenza sempre più numerose che in questi ultimi tempi stanno caratterizzando le tante piazze nelle quali i nostri giovani ovunque in Italia – e non solo – manifestano il loro dissenso e la loro contrarietà ad ogni forma di discriminazione, di guerra, di aggressione all’ambiente. Scene che, come tanti fra voi, pensavo di aver relegato alla memoria della mia gioventù, a quando anche io volevo dire la mia per un mondo più giusto e solidale durante quelle stagioni piene di tensioni sociali che pensavamo non potessero più tornare. Ed invece eccole riaffiorare di nuovo come una specie di fiume carsico che in realtà non ha mai smesso di scorrere in silenzio sotto i nostri piedi».

Una denuncia dietro l’altra, ma che fanno di questa lettera-aperta ai candidati politici un documento di grande valenza nazionale.

«Da qui – sottolinea l’Uomo della Cei al Sud – la necessità di ribadire che la politica la facciamo tutti “insieme” e non voi soltanto, da qui il dovere di rigettare la logica delle deleghe in bianco, da qui la responsabilità da parte mia di rivolgermi a voi con una franchezza che, credetemi, lungi dal voler essere l’atto presuntuoso di chi pensa di avere sempre qualcosa da insegnare, è semplicemente la parresia del vangelo, quella che ti monta dentro quando incroci i volti della fatica, gli sguardi della rassegnazione, le lacrime della sottomissione, quella che ti fa parlare a nome di chi non ha più voce perché gli è stata strozzata in gola, e ha perso ogni speranza perché le speranze sono andate tutte deluse».

Ma come se ne esce Padre?

«Una sola cosa – scrive Mons. Savino nella sua lettera – mi limiterò a dirvi, anzi a chiedervi riprendendo proprio le parole di padre Ernesto Balducci, un religioso, filosofo e teologo al quale la mia formazione deve tanto, che negli anni Ottanta diceva che “la nostra premura è che le coscienze delle persone non diventino subordinate a noi”, qualcosa che io vivo quotidianamente sulla mia pelle come terribile responsabilità».

Rieccola, dunque, la Chiesa della speranza, del perdono, del futuro, dove ciò che davvero conta è la libertà di ognuno.

Questo passaggio conclusivo è bellissimo.

«Nella vostra azione politica e nel lavoro che ora andrete a fare in occasione di questa importante tornata elettorale – ripete mons. Savino – abbiate come sola premura «che le coscienze delle persone non diventino subordinate» a voi. Rifuggite piuttosto da certa politica clientelare che alimenta il “desiderio di dipendere, di consegnarsi in mano a qualcuno, di scaricarsi della responsabilità di scegliere”, e impegnatevi piuttosto per una politica che restituisca ad ogni persona «il desiderio di essere libero».

Un inno alla libertà individuale e collettiva, altro che “atto politico”. Un inno al rispetto dell’altro, altro che “atto politico”. Un inno alla ricerca del bene comune, altro che “atto politico”. 

«Quel grande teologo svizzero che è stato Hans Urs von Balthasar – conclude l’apostolo della Cei al Sud – esortava perché gli uomini e le donne che incrociamo ogni giorno non siano “più servitori muti di dèi muti”. Non vi nascondo che in questa frase io trovo ogni giorno il senso ultimo ma anche la bellezza del mio ministero. Auguro a voi di scoprire in queste parole il significato più profondo della vostra vocazione politica e la motivazione più radicata del vostro impegno».

Grazie Padre, per aver trovato il coraggio di essere sempre così diretto. (pn)

 

CINGHIALI, UN’EMERGENZA CHE NON SI PUÒ
PIÙ RINVIARE: SERVE PIANO STRATEGICO

di GIOVANNI MACCARRONEIl Governo e le Regioni sembrano sempre pronte a prendere posizione sull’aggravarsi dell’emergenza cinghiali (nome scientifico “Sus scrofa”)

Visti i provvedimenti presi finora, e i risultati, dobbiamo purtroppo dire che soluzioni rapide ed efficaci per risolvere il problema rimangono ancora una mera chimera in questa nazione.

È fuor di dubbio, infatti, che ancora oggi l’attività dei soggetti istituzionali coinvolti si sta dimostrando totalmente insufficiente.

I cinghiali si stanno moltiplicando oltre misura causando problemi molto seri. Si pensi, in particolare, al disturbo e al pericolo per i cittadini che frequentemente si trovano a contatto diretto con questi animali in ambiente urbano.

A chi non è mai capitato di vedere un animale di questo genere materializzarsi all’improvviso sulla strada mentre si è alla guida del proprio veicolo (la velocità massima dei cinghiali è pari a 40 km/h) oppure mentre si sta portando il proprio cane a spasso?

Nel periodo tra il 2015 ed il 2021 è stato poi accertato che la presenza del cinghiale in Italia ha recato circa 120 milioni di euro di danni nel settore agricolo (Ispra, 2023). 

infine, è noto che i cinghiali sono responsabili della diffusione di diverse malattie al bestiame e alle persone (in particolare, Epatite E, Febbre suina classica, Febbre suina africana e altre malattie).

Tutti sono quindi d’accordo che bisogna intervenire per contenere la popolazione dei cinghiali. Ma nessuno – dico nessuno – sente l’esigenza di affrontare seriamente il problema sopra segnalato.

Eppure il controllo e il contenimento della fauna selvatica trovano il proprio riferimento normativo nella legge. n. 157 del 1992 recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” che all’art. 1 stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale.

Ne deriva da quanto sopra che la titolarità del diritto di proprietà di talune specie selvatiche (tra cui il cinghiale), in quanto patrimonio indisponibile, spetta allo Stato.

Quindi lo Stato è il proprietario dei cinghiali, mentre il monitoraggio, gestione e riqualificazione faunistica viene demandata alle Regioni e alle Provincie autonome.

Ciò si ricava dalla citata legge n. 157 che di recente ha subito importanti modifiche da parte dalla legge di bilancio 2023 (articolo 1, commi 447-449, L. n. 197/2022): si pensi all’intera sostituzione dell’articolo 19 (Controllo della fauna selvatica) e al nuovo articolo 19-ter (Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica).

Con specifico riferimento alla specie Sus scrofa (cinghiale) il comma 2 dell’articolo 19 dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 stabilisce che Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per la tutela della biodiversità, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali e ittiche e per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Qualora i metodi di controllo impiegati si rivelino inefficaci, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, sentito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura. Le attività di controllo di cui al presente comma non costituiscono attività venatoria”.

Pertanto, in conseguenza di quanto sopra, il controllo della fauna selvatica è ammesso anche: per le Provincie autonome di Trento e Bolzano; per la tutela della biodiversità, della pubblica incolumità e della sicurezza stradale; nelle aree protette e in quelle urbane; nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto (normalmente ne è consentito l’abbattimento nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 dicembre o dal 1° novembre al 31 gennaio)

Per siffatti motivi, la Regione e le Provincie autonome di Trento e Bolzano adottano un apposito piano di controllo. Tale piano può intervenire anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto.

Ma oltre a quanto sopra, la citata legge di bilancio 2023 ha aggiunto anche l’articolo 19-ter, il quale prevede in materia il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica.

Esso costituisce lo strumento programmatico, di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica nel territorio nazionale mediante abbattimento e cattura ed è di durata quinquennale.

La sua adozione deve avvenire entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio 2023 (1° gennaio 2023) con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sentito, per quanto di competenza, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 

Il piano di cui sopra ha poi necessità di essere attuato e coordinato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, che possono avvalersi, con l’eventuale supporto tecnico del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei carabinieri, dei cacciatori iscritti negli ambiti venatori di caccia o nei comprensori alpini, delle guardie venatorie, degli agenti dei corpi di polizia locale e provinciale muniti di licenza per l’esercizio venatorio nonché’ dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali il piano trova attuazione, purché’ muniti di licenza per l’esercizio venatorio .

Con Decreto del 13 giugno 2023, pubblicato in G.U. Serie Generale n. 152 del 1° luglio 2023, il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ha adottato il Piano Straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica. 

Relativamente ai rapporti intercorrenti tra il predetto piano straordinario e i piani di controllo si prevede espressamente che “Il piano costituisce pertanto il primo momento di pianificazione, cui farà seguito l’adozione dei piani regionali ai sensi dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992 che dovranno recepire i contenuti del piano straordinario. Qualora abbiano già approvato i predetti piani, le regioni provvedono, ove ritenuto necessario dalle medesime, all’integrazione dei piani esistenti o in corso di approvazione in base alle previsioni contenute nel presente Piano straordinario. Le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ai sensi dei rispettivi statuti speciali e relative norme di attuazione. Nelle more della citata verifica, che dovrà avvenire non oltre centottanta giorni dall’approvazione definitiva del presente Piano straordinario, continuano ad essere vigenti i piani regionali già approvati”.

Per completezza di esposizione si cita anche il Decreto-legge 17 febbraio 2022, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 7 aprile 2022, n. 29, recante misure urgenti per arrestare la diffusione della peste suina africana – la norma prevede che regioni e province autonome adottino un piano regionali di interventi urgenti (Priu) per la gestione, il controllo e l’eradicazione della peste suina africana nei suini di allevamento e nella specie cinghiale che preveda gli obiettivi annuali del prelievo esclusivamente connessi al contenimento della peste suina africana.

Tale piano è sostanzialmente finalizzato alla gestione dei cinghiali anche nell’ottica della prevenzione della peste suina africana. 

Pertanto, nei limiti della predetta competenza, e salvo le diverse misure rese necessarie dal contenimento della peste suina, gli stessi PRIU dovranno essere integrati con le prescrizioni del piano straordinario, ove ritenuto necessario.

Da ultimo, si richiama la “possibilità per i Sindaci di esercitare il potere di ordinanza su interventi di controllo e rimozione della fauna in ambito urbano al ricorrere dei presupposti indicati agli articoli 50 e 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

Come possiamo intuire dalle considerazioni di cui sopra, sarebbe opportuno, oltre che improcrastinabile, attivare quanto previsto dalla citata normativa di settore.

Eppure né la Regione, né tantomeno i Comuni hanno provato negli ultimi anni a porre rimedio a una situazione in cui i danni all’agricoltura sono sempre più ingenti, gli incidenti stradali sono aumentati enormemente e lo spettro della peste suina è alle porte.

Per tutto questo tempo si è continuato a ragionare come se il prelievo selettivo fatto su richiesta di qualche cittadino fosse l’unica soluzione possibile. 

Per la vera e propria gestione e limitazione della popolazione, la sola selezione o l’attività venatoria non sono in grado di ridurre la pressione esercitata dai cinghiali sul territorio.

È vero che, secondo la recente normativa, “il contenimento delle presenze di cinghiali andrebbe prioritariamente perseguito attraverso l’attività venatoria”, ma è anche vero che l’obiettivo di forte riduzione della presenza dei cinghiali può essere raggiunto diversamente.

Per il cinghiale, viene in generale stabilito il prelievo prioritario per classi di sesso ed età al fine di ridurre numericamente le classi delle femmine e dei giovani esemplari, il che permette di limitare le capacità riproduttive di talune specie problematiche, riducendone la presenza. Nel Piano è riportato un elenco non esaustivo degli strumenti più efficaci a tale scopo (reti, gabbie, trappole, fucili a canna liscia o rigata, ottiche di mira anche a imaging termico, a infrarossi o intensificatori di luce, con telemetro laser, termocamere archi, telenarcosi, camera di induzione per eutanasia, ecc.).

Potrebbe essere utile a tal fine anche creare un database europeo sulle popolazioni di cinghiali implementato da una raccolta di informazioni georeferenziata che incroci dati sulla morfologia del territorio e sull’uso che si fa del suolo (agricolo, urbano, forestale), con i dati sulle locali popolazioni di cinghiali, ottenute con i diversi metodi

Il tutto dovrebbe essere fatto con il concreto coinvolgimento, oltre che degli istituti scientifici, anche di un altro “soggetto” interessato all’argomento “cinghiali”: le associazioni ambientaliste ed animaliste, portatrici di interessi pubblici e non privati.

Per concludere, è il caso di sottolineare che non è nostra intenzione demonizzare l’animale in sé, che non è certamente un assassino, ma è palese che – come si è potuto sopra notare – il cinghiale risulti essere un problema sotto diversi punti di vista. 

Per cui non è più tollerabile che gli organi preposti continuino a temporeggiare nell’affrontare questa emergenza.

Ricordiamoci che il cinghiale non è solo la simpatica bestia che Asterix e Obelix inseguono per cena, non canta e scherza come Pumbaa nel Re Leone (e sarebbe pure ingiusto citare, guardando alla letteratura contemporanea, la morte di Re Robert Baratheon che avviene nel primo volume del Trono di Spade proprio a opera di un cinghiale).

Speriamo bene. (gm)

ISTRUZIONE, QUEL SETTORE CHE RISOLLEVA
IL SUD E RIDUCE I DIVARI TERRITORIALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La riduzione dei divari territoriali e lo sviluppo socio economico del Mezzogiorno passa attraverso l’investimento nell’istruzione. È quanto ha ribadito la Svimez, attraverso l’ultimo numero di Informazioni Asili nido e infrastrutture scolastiche: il Pnrr non colmerà i divari territoriali,  dedicato al tema dei servizi per la prima infanzia e dell’istruzione.

Si tratta, infatti, settori interessati da profondi divari territoriali nella dotazione di infrastrutture adeguate, nella quantità e qualità dei servizi offerti a bambini e alunni, negli esiti dei processi di apprendimento e formazione. Per l’Associazione, infatti, la qualità e l’adeguata dotazione di infrastrutture scolastiche e per la prima infanzia sono elementi centrali per la crescita del Sud, in particolare per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e all’accumulazione di capitale umano.

«Al Nord, il tasso di occupazione femminile tra i 25 e i 49 anni scende dall’85% per le donne senza figli al 66 per le madri con figli di età inferiore ai 6 anni (-22%). Nel Sud cala in maniera ancora più accentuata: dal 58% ad appena il 38 per le donne con figli in età prescolare», si legge nel documento, in cui viene evidenziato come «anche per la carenza di servizi per l’infanzia, nelle regioni meridionali la maternità riduce il tasso di occupazione delle giovani donne di oltre un terzo. La disponibilità di asili nido e del tempo pieno scolastico incide positivamente sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro».

«Stime recenti della Banca d’Italia – si legge – confermano che nelle province italiane il tasso di attività delle madri di bambini con meno di tre anni tende a crescere con la disponibilità di servizi di assistenza alla prima infanzia a parità di caratteristiche individuali delle madri (età, titolo di studio, nazionalità). La qualità delle infrastrutture scolastiche favorisce l’accumulazione di capitale umano determinando il successo dei processi di apprendimento sin dalle prime fasi dei percorsi di studio. A tale riguardo, numerosi studi evidenziano come la frequenza dell’asilo nido promuova lo sviluppo delle abilità cognitive e non cognitive dei bambini, soprattutto nei contesti di fragilità familiare».

«A parità di condizioni di contesto, punteggi medi più deludenti nei test Invalsi – viene rilevato – sono tipicamente associati a maggiori carenze infrastrutturali delle scuole, in particolare a causa della mancanza di impianti sportivi e della vetustà degli edifici. Le differenze nella dotazione e qualità delle infrastrutture scolastiche contribuiscono a spiegare parte del divario di competenze degli studenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Ad esempio, l’offerta del tempo pieno, che ha effetti positivi sull’acquisizione di nuove conoscenze, può essere attivata prevalentemente in scuole con spazi per il servizio mensa. La disponibilità del tempo pieno e la presenza di scuole dotate di mensa sono legate da una correlazione positiva e statisticamente significativa».

Inoltre, viene evidenziato come la disponibilità «sin dalla prima infanzia, di infrastrutture scolastiche adeguate favorisce i processi di integrazione sociale e accumulazione delle conoscenze degli studenti, contribuendo alla prevenzione e al contenimento delle situazioni di marginalizzazione e disagio che inducono all’abbandono prematuro del percorso scolastico. Nelle regioni italiane, la minore diffusione del tempo pieno tende ad essere associata a tassi più elevati di dispersione scolastica».

Il Mezzogiorno, infatti, soffre «di un grave ritardo nell’offerta di servizi per la prima infanzia». Basti vedere come in Calabria ci sono 9 posti nido autorizzati (tra pubblici e privati) per 100 bambini tra gli 0-2 anni nel 2020. Situazione ancora più drammatica in Campania, dove ce ne sono solo 6,5, in Sicilia 8,2 e in Molise 9,3, inserendole tra le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo dei Lep per i posti autorizzati da raggiungere entro il 2027, che3 sono il 33% della popolazione di età compresa tra i 3 e i 36 mesi.

I divari regionali più marcati si osservano per la disponibilità di mense scolastiche, la cui assenza limita la possibilità di offrire il tempo pieno. Meno del 25% degli alunni meridionali della scuola primaria frequenta scuole dotate di mensa (contro circa il 60% nel Centro-Nord); meno del 32% dei bambini nel caso delle scuole dell’infanzia (contro circa il 59% nel Centro-Nord). Le situazioni più deficitarie interessano Sicilia e Campania, con percentuali inferiori al 15%. In Calabria, nella scuola dell’infanzia solo il 28% frequenta una scuola dotata di mensa, il 23,7% nella Scuola Primaria, il 19,4% nella Scuola Secondaria di I grado, e il 3,1% nella Scuola Secondaria di II grado. Per quanto riguarda istituti dotati di palestre, il dato più basso si registra nella scuola dell’infanzia, con l’8,1%.

Per quanto riguarda la sicurezza, la percentuale di alunni che frequentano scuole dotate di entrambe le certificazioni di agibilità e prevenzione incendi, nella nostra regione i dati sono preoccupanti: nella Scuola dell’infanzia è solo ‘8,4%, nella Scuola Primaria il 12,6%, nella Scuola Secondaria di primo grado il 10,7% e nella Scuola Secondaria di secondo grado il 20,3%.

Dai dati di spesa pubblica di fonte Conti Pubblici Territoriali risulta che il progressivo disinvestimento dalla scuola ha interessato soprattutto le regioni meridionali: tra il 2008 e il 2020, la spesa per investimenti nella scuola si è ridotta di oltre il 20% al Sud contro il 18% del Centro-Nord. Nel 2020, a Sud risultano investimenti pubblici per studente pari a 185 euro, contro i 300 del Centro- Nord. Un differenziale di spesa che tende ad amplificare ancora di più i divari.

Le risorse del Pnrr, per la Svimez, rappresentano, dunque, un’occasione unica per colmare i gap territoriali nella filiera dell’istruzione. Le risorse disponibili sono pari a 11,28 miliardi di euro, di cui 10,73 risultano assegnati agli enti territoriali. Il “Piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia” e il “Piano di messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole” concentrano circa l’80% delle risorse stanziate; agli interventi per mense e palestre sono destinati circa 600 milioni e alla costruzione di nuove scuole 1,2 miliardi circa.

Per la realizzazione di nuove scuole e la messa in sicurezza degli edifici scolastici, si è confermata sostanzialmente la “quota Sud” rispetto a quella prevista dai criteri ex ante fissati dai decreti ministeriali di riparto. Con riferimento agli asili nido, si è determinata una riduzione di 3 punti (52%). Le “quote Sud” delle linee di investimento per mense e palestre sono risultate ridimensionate rispetto alle previsioni dei decreti di riparto delle risorse del Mim (41 contro 57,9% per le mense e 43 contro 54,3% per le palestre) per motivazioni diverse per le due linee di intervento.

Sebbene la “quota Sud” sia stata rispettata, «gli enti territoriali delle tre regioni meridionali più popolose – Sicilia, Campania e Puglia – hanno avuto accesso a risorse pro capite per infrastrutture scolastiche inferiori alla media italiana, nonostante le marcate carenze nelle dotazioni infrastrutturali che le contraddistinguono», ha ricordato l’Associazione.

«La distribuzione provinciale delle risorse assegnate ai Comuni – si legge – segnala significative differenze intra-regionali, soprattutto nelle regioni più grandi: in quasi tutte quelle meridionali, la provincia con il maggior fabbisogno di investimenti non coincide con quella che ha ricevuto le maggiori risorse pro capite. Questa situazione caratterizza, in particolare, Napoli e Palermo che si trovano tra le ultime quindici province nella graduatoria per risorse pro capite assegnate pur avendo, ad esempio nel caso delle mense, una percentuale bassissima di alunni che possono usufruirne (rispettivamente 5,7 e 4,7)».

«Lo studio propone, inoltre – viene spiegato – un’analisi di correlazione a livello provinciale tra indicatori di fabbisogno e risorse allocate per verificare se, e in che misura, l’allocazione degli stanziamenti ha rispettato la finalità di riequilibrio territoriale del Pnrr. I risultati mostrano che l’ammontare di risorse assegnate non sono legate ai fabbisogni effettivi dei territori. Solo nel caso del Piano asili nido le risorse assegnate aumentano con il fabbisogno, in linea con le finalità perequative».

La Svimez  ha evidenziato che « 1)la mancata mappatura iniziale dei fabbisogni si è riflessa in un’allocazione delle risorse che ha penalizzato alcune realtà meridionali; 2) Per le risorse assegnate attraverso procedure a bando risultano differenze tra province, non correlate al fabbisogno infrastrutturale».

La Svimez, dunque propone «di superare l’approccio dell’allocazione delle risorse mediante bandi competitivi che penalizzano le realtà con minore capacità amministrativa, attraverso una identificazione ex ante degli interventi sulla base dei fabbisogni reali; 2) un’azione di riprogrammazione delle risorse per la coesione che consenta di completare, dopo il 2026, il percorso di riduzione e superamento dei divari territoriali nelle infrastrutture scolastiche: con le risorse europee del Fesr (regionale e nazionale) e con il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) 2021-2027». (ams)

L’ETERNA GUERRA PER I RIGASSIFICATORI
CHE SERVONO TANTO MA NESSUNO VUOLE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Partiamo dal fermare l’assalto eolico»:  Alessandra Todde, la Presidente, recentemente eletta, della regione Sardegna, nella sua prima conferenza stampa, parla subito della questione che più infiamma recentemente l’Isola: le rinnovabili.     

E una domanda diventa legittima se è un acuirsi della sindrome Nynby ( Not In My Back Yard),non nel mio giardino, oppure una sacrosanta difesa del territorio? 

D’altra parte anche il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, afferma che  nessuna nuova installazione a terra verrà più autorizzata. 

Allora anche  qualche dubbio sorge sulla grande opportunità per il Sud di diventare la batteria del Paese e dell’Unione. Spesso anche la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha esaltato il ruolo che il Sud può avere, considerato che ha una insolazione molto prolungata, che fa sì che gli impianti solari possano raccogliere energia per molte ore al giorno, ha una presenza di venti che lo rendono particolarmente adatto agli impianti eolici, oltre che una localizzazione molto favorevole, vicina all’Africa, che lo rende particolarmente adatto ad accogliere impianti di rigassificazione, come per esempio quello di Porto Empedocle.

Peraltro in un momento in cui l’Europa spinge per la riconversione energetica e la chiusura dei rapporti con la Federazione Russa rende l’approvvigionamento alternativo fondamentale e indispensabile, pensare  di bloccare i nuovi impianti energetici, che industrializzerebbero il Sud, sembra una pazzia.  

Ma attenzione l’approccio è lo stesso che si ebbe negli anni Sessanta quando si contrabbandò come industrializzazione la localizzazione delle raffinerie, che tanta devastazione ambientale hanno portato. Si pensi al prezzo pagato da Bagnoli, che finalmente pare adesso sarà bonificata, con un costo miliardario, alla Ilva di Taranto, al petrolchimico di Gela, costruito alle spalle delle mura puniche. 

Tutte localizzazioni vendute come industrializzazione, peraltro costruite con i fondi destinati allo sviluppo del Sud. Sembra che si stia ripetendo lo stesso schema. Le esigenze del Paese, che non porteranno che  pochi  posti di lavoro, vendute come investimenti. 

E allora fare chiarezza è indispensabile. Che la transizione energetica sia indispensabile è assodato. Che il Sud ha maggiori opportunità per tale tipo di energia è altrettanto assodato. Che il Paese abbia bisogno di investimenti importanti in tali settori nessuno lo discute. 

Ma è un prezzo che il Sud paga per il Paese. E in cambio dovrebbe avere i veri investimenti, quelli che portano posti di lavoro veri, come quelli della Intel,  perduta che, furbescamente senza riuscirci, Giorgetti voleva tenersi a Vigasio. 

Stessa problematica riguarda i rigassificatori, che certamente vanno costruiti in funzione delle esigenze programmate, ma in realtà che siano adatte allo scopo. 

Quando si parla di Gioia Tauro l’adesione  non può che essere totale. Meno certezze per quanto riguarda Porto Empedocle a pochi chilometri dalla Valle dei Templi , della Scala dei Turchi e alla casa di Pirandello. 

In quel caso, vista la vocazione turistica della zona, la Valle dei templi registra oltre un milione di visitatori l’anno e si prepara ad essere capitale della cultura nel 2025, forse pensare a località già violate, come Gela, potrebbe  costituire un timeout opportuno.

Non vi è dubbio che il proliferare di pale eoliche e di pannelli solari, che sottraggono terreno all agricoltura e che rovinano spesso paesaggi incontaminati, va regolato.  Utilizzare i tetti delle stalle e delle industrie, per le quali il ministero dell’Agricoltura ha finanziato solo quest’anno 13.500 aziende, con una prospettiva di arrivare a 26mila,  é un approccio corretto. Come mettere a frutto tutte quelle aree accessorie alle grandi arterie di circolazione ferroviaria e autostradale e le aree che sono agricole, ma non utilizzate, come le  cave. 

Cosa diversa è consentire una violazione indiscriminata del paesaggio. Ma supposto sia necessario che il prezzo pagato venga considerato e rimborsato con impianti manifatturieri veri, quelli che portano posti di lavoro importanti. 

In ogni caso che non ci si limiti ad essere scelti per localizzare gli impianti, ma anche per le fabbriche, per esempio, dei pannelli fotovoltaici, come sta accadendo a Catania, anche se in tal senso si apre una grande problematica relativa ai costi di produzione, che pare in Cina, come non è difficile da credere, sono assolutamente più contenuti, tanto da rendere la produzione europea fuori mercato. 

Ma certamente va respinta la vulgata che il Sud deve essere contento di essere la batteria dell’Unione. A parte la necessità dell’assoluto divieto in aree di bellezza ambientale particolarmente rilevante, a parte la sollecitazione a mettere i parchi eolici o di rigassificatori offshore, come sta avvenendo al largo delle Egadi, con resistenze rilevanti da parte dei pescatori della zona,  sicuramente gli impianti vanno realizzati non senza un ristoro. 

Che per i rigassificatori significa che oltre che in una localizzazione che non confligga con la vocazione dei territori, anche nell’utilizzo del freddo ricavato dal portare il gas da liquido ad aeriforme per l’installazione di una catena del freddo che possa essere utilizzata dalla agricoltura della zona per impianti di surgelazione utili ai prodotti di eccellenza che si hanno al Sud. Per l’energia prodotta dagli impianti solari e fotovoltaici il ristoro potrebbe venire  in una riduzione delle bollette energetiche che servano ad incoraggiare la localizzazione di investimenti dall’esterno dell’area. 

Finora tali impianti hanno costituito solo una ottima speculazione per aziende piccole e grandi del settore, con il pericolo dell’inserimento nel grande affare della criminalità organizzata. 

Ultima considerazione:visto che l’energia prodotta serve prevalentemente all’area più industrializzata non si capisce perché non debbano essere distribuiti in tutto il Paese. Il paesaggio alpino é più pregevole di quello dei Nebrodi o delle Madonie e merita una maggiore protezione? O le colline toscane sono da preservare più dei vigneti di Trapani o dell’area attorno a Segesta? (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LA NUOVA EUROPA NASCERÀ NELLE SCUOLE
I SUOI AMBASCIATORI SARANNO I GIOVANI

Di GUIDO LEONEGiovedì 9 maggio 2024 anche la Calabria  festeggia la Giornata dell’Europa e, quest’anno, segna il 74°della Dichiarazione Schuman da cui nacque la Comunità europea.

Con l’allargamento abbiamo dimostrato che intendevamo veramente rendere l’Europa globale e libera:oggi più di 448 milioni di uomini e donne in 27 democrazie vivono in una Unione che condivide istituzioni e  moneta mentre altri Paesi bussano alla porta.

Certo, la crisi economica e sociale di questi ultimi anni, nel mezzo di una tempesta iniziata all’interno del nostro continente, ha messo alla prova la determinazione comune.

Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro gli italiani si dichiarano ottimisti sul futuro dell’Ue, con una percentuale  in calo rispetto al precedente 67%. Anche se solo il 43% del campione italiano esprime fiducia nell’Ue mentre il 9% dice di non fidarsene; mentre solo il 30% degli italiani pensa che la propria voce conti nella Ue.

Altri dati significativi riguardano la politica estera , il 54% del campione italiano ritiene che la voce dell’Ue conti nel mondo ma è la percentuale più bassa tra i paesi Ue. Il 69 % vuole una politica estera comune e ritiene che l’Europa unita rappresenta un’area di stabilità in un contesto globale travagliato da guerre e tensioni. 

Proprio per questo il 74% degli italiani è a favore di una politica comune su difesa e sicurezza, per il rafforzamento della cooperazione comune, per un migliore coordinamento degli acquisti di armi e materiale militare, mentre il 62% del campione italiano è favorevole all’aumento del bilancio militare europeo.

Tra le principali preoccupazioni degli italiani, inoltre, l’immigrazione, perciò il 73% giudica con favore una politica europea comune. Il 66% ritiene che il nostro Paese dovrebbe aiutare i rifugiati, mentre il 29% pensa che non sia necessario. Allo stesso tempo, l’80% del campione italiano, in crescita rispetto al 75%.

Rispetto all’importanza del ruolo del Parlamento europeo, negli ultimi anni questa ha toccato due picchi: il 63% nei mesi della pandemia, nel 2022, e, poi, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina Ora il 56% del campione europeo esige un ruolo più importante del’Ue, percentuale in aumento. La stessa riscontrata in Italia.

Comunque, l’ultimo sondaggio Eurobarometro, prima delle elezioni di giugno, rivela consapevolezza tra i cittadini e preoccupazione per l’attuale contesto geopolitico.

Infatti, il 59% dei cittadini italiani si mostra interessato alle prossime elezioni. Durante la campagna elettorale i cittadini europei vogliono che la lotta alla povertà e alla esclusione sociale nonché il sostegno alla sanità pubblica siano i principali temi in discussione.

Rispetto alla media Eu27, gli italiani vogliono parlare di più di salute pubblica, creazione di più posti di lavoro e aiuto all’economia. Maggiore attenzione, sempre rispetto alle media, anche per i diritti dei consumatori e per l’indipendenza energetica.

Ora, non vi è chi non veda e riconosca indispensabile, nella nuova fase politica in cui è entrata la costruzione dell’Europa, la funzione della scuola, perché essa dipenderà dalla possibilità che si realizzi un grande spazio europeo dell’istruzione e della formazione, senza il quale sarà difficile costruirla.

La nuova Europa di questo decennio dovrà irrobustirsi nelle scuole contro i tentativi dei disfattisti ed un antieuropeismo nascente. Gli ambasciatori di questa Europa sono e saranno i giovani. Non sono slogan, ma la pura e semplice realtà.

Basti pensare alla Generazione Erasmus.Con oltre 13 milioni di europei coinvolti, il programma Erasmus è considerato tra i maggiori successi nella storia europea. In questo contesto l’Italia rappresenta uno dei principali protagonisti, con oltre 720.000 studenti italiani partiti, dal 1987 ad oggi, per periodi di studio o tirocinio

Il Paese ha dimostrato anche una forte capacità attrattiva collocandosi al secondo posto in Europa per accoglienza, con circa 200mila studenti ospitati dal 2014. In crescita anche la partecipazione del settore scolastico, che ha chiuso il 2023 con oltre 16.000 studenti e 10.000 insegnanti in mobilità per formazione e scambi e 1400 istituti scolastici accreditati.

I dati raccontano un 2023 estremamente positivo con numeri in crescita: 4.900 candidature e 1.700 progetti finanziati. Nei settori Scuola, Istruzione superiore ed Educazione degli adulti, oltre 83.000 persone nel 2023-24 partiranno per studio, tirocinio o formazione. L’Italia è il quarto paese in Europa per numero di studenti in mobilità e il secondo per accoglienza: 45mila studenti italiani intraprendono ogni anno una mobilità Erasmus per studio o tirocinio, in Europa e nel mondo.

Con oltre 13 milioni di europei coinvolti, il Programma Erasmus è considerato tra i maggiori successi della storia europea. L’impegno finanziario per l’Italia nei tre settori, scuola istruzione superiore educazione adulti, ammonta a 216 milioni: i 1.713 progetti approvati su 4.879 candidature, prevedono la partecipazione di 83.068 soggetti.

Ora fino a poco tempo fa è stato  di moda parlare male dell’Unione Europea (ora certamente di meno dopo i finanziamenti previsti col Recovery Fund per oltre 200 miliardi), criticare con forza la sua mancata coesione, la sua moneta forte e debole nello stesso tempo. Certo, tutto questo è legittimo ma forse dovremmo anche ricordare l’enorme investimento fatto dall’Ue in particolare nel mondo della scuola, anche calabrese, dove, nel corso di questi anni, le attività proposte nelle classi, assolutamente gratuite, sono state moltissime e variegate, dal rafforzamento  dei servizi e delle strutture per l’istruzione e la formazione al miglioramento dei processi di apprendimento, qualificazione e crescita professionale e per la riqualificazione degli edifici scolastici.

Ed ora, in aggiunta, vanno considerate le principali risorse Pnrr per la nostra regione dove sono state autorizzate 510.363,275 euro da investire nella edilizia scolastica per la costruzione di palestre, asili nido, scuole dell’infanzia e la messa in sicurezza di mense scolastiche.

E poi per le Scuole e gli Istituti Tecnici Superiori 179.011.601 di euro finalizzati alla riduzione della dispersione scolastica, ai laboratori e alla offerta formativa degli Its, alla trasformazione di aule didattiche, per l’orientamento, la formazione del personale scolastico e la didattica digitale integrata.

Inoltre, 72.600.005 euro a supporto di interventi di edilizia scolastica Pnrr in corso di attuazione.

La gestione di queste risorse, che vanno ulteriormente rafforzate, costituisce una opportunità straordinaria per far crescere la Calabria, e resta una sfida complessa che la regione sicuramente vincerà.

La posta in gioco è alta. Riguarda il futuro dell’Europa Unita, la prosperità e il tenore di vita comune a fronte di tentazioni isolazionistiche nazionali, di involuzioni storiche tali da far ritornare a contrapposizioni disastrose. La costruzione politica dell’Europa non é stata fin qui e non sarà certamente per il futuro il risultato dell’egemonia politica o militare di qualche potenza dominante. La costruzione dell’Ue può e deve essere il risultato di una capacità di condivisione di regole e principi e di una cultura politica democratica partecipata. Questo rimanda al concetto di cittadinanza europea, alla costruzione di noi stessi, di noi tutti, come cittadini dell’Europa attraverso nuove reciproche relazioni.

Perciò la partecipazione degli studenti e dei giovani reggini e calabresi al voto dell’8 e 9 giugno diventa strategica e indispensabile; l’evento potrà contribuire a rendere più consapevoli i nostri giovani sulla necessità di un loro attivo protagonismo per l’esercizio di una cittadinanza  europea. 

Ricordando, altresì, che occorre una nuova pedagogia della cittadinanza perché l’Europa di oggi e del domani non potrà essere realizzata senza o contro i giovani e che non si costruisce l’Europa senza e tantomeno contro il Mediterraneo, dove la nostra Calabria svolge la funzione di regione cerniera a cavallo di due grandi culture. Sarebbe come formare una persona senza tener conto o contrastando la sua infanzia e la sua adolescenza.

La nuova deputazione europea della nostra circoscrizione elettorale dovrà farsi carico in Europa di veicolare un messaggio forte e chiaro e contribuire a riempirlo di contenuti e azioni sociali, politiche, culturali ed economiche. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]