SANITÀ CALABRIA: URGE CONFRONTO VERO
PER INDIVIDUARE SOLUZIONI IMMEDIATE

di ANGELO SPOSATO – In pochi giorni, la Corte dei conti ed Agenas, hanno confermato le nostre preoccupazioni sulla rete di emergenza urgenza e sulla mobilità sanitaria passiva dei cittadini calabresi che si curano verso altre regioni. Anche sulla rete ospedaliera non c’è molta chiarezza, per questo riteniamo necessario un confronto di merito prima della sua definizione.

L’’11 marzo scorso abbiamo avuto modo di anticipare al Commissario alla Sanità i dati dell’ultimo Rapporto Svimez sulla sanità nel Mezzogiorno e di approfondire la situazione calabrese, così come già anticipato durante l’iniziativa del 4 marzo con il nostro Segretario Generale Nazionale, Maurizio Landini.

In quella occasione abbiamo avuto modo di anticipare i dati negativi sulla rete di emergenza urgenza, le problematiche sulla rete ospedaliera, quelle sulla medicina territoriale, sui Pronto Soccorso, sulla mobilità sanitaria passiva che è precipitata ai livelli precovid, (il più grande ospedale della Calabria si trova fuori dalla Calabria e costa 300 mln all’anno) paventando il pericolo dei definanziamenti e i tagli del governo sul Pnrr per il sistema sanitario pubblico che avrebbe messo a rischio anche la costruzione dei nuovi ospedali in Calabria.

I tavoli di confronto che si sono aperti a livello regionale rappresentano un fatto positivo, ma è indubbio che le difficoltà rappresentate al governo dal commissario-presidente alla sanità calabrese ci preoccupano molto. Il presidente della giunta calabrese, nel momento in cui chiede al governo deroghe normative per le regioni commissariate parificate alle regioni a statuto speciale di fatto lancia un ultimo appello per salvare la sanità in Calabria, ma ammette, altresì, la sua impotenza a mettere mani a un sistema impraticabile e dai tratti irriformabile con le norme attuali.

Bisogna prenderne atto e trovare soluzioni. Il sindacato ha già, dai tempi della pandemia, denunciato al governo e all’allora ministro alla Salute Speranza le dinamiche in corso in un momento di vuoto amministrativo e quando ai cittadini non parlava nessuno, se non il sindacato confederale calabrese.

Abbiamo sempre pensato che le norme sui commissariamenti alla sanità sono molto farraginose e limitative, non solo sui piani di rientro ma per l’intera gestione sanitaria, per questo andrebbero riviste. La sanità non può essere un mero esercizio contabile, parliamo di diritto alla salute, di continuità assistenziale e diritto alla vita. Il depauperamento del sistema sanitario pubblico da parte di questo governo sta negli atti e nei fatti. Le interminabili liste di attesa nel sistema sanitario pubblico, in parte vengono coperte dalla sanità privata, e lì dove il privato supera il limite degli accreditamenti obbliga molti malati a rinunciare al diritto alle cure.

L’indice di mortalità per la rinuncia al diritto alle cure si è moltiplicato per l’elevata situazione di povertà ed indigenza che vivono milioni di famiglie nel nostro Paese. Il nostro sta diventando un Paese povero e malato e gravi sono le responsabilità di questo governo.

La mobilitazione nazionale indetta da Cgil e Uil per il 20 aprile a Roma sulla salute e la sicurezza è la giusta risposta ai bisogni di salute delle persone che verrà accompagnata anche in Calabria da momenti di dibattito, assemblee ed iniziative territoriali. (as)

[Angelo Sposato è segretario generale di Cgil Calabria]

LE ELEZIONI E I CONTINUI CAMBI DI IDEE
DELLA SINISTRA PER IL RILANCIO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTAChe sotto elezioni tutto si esasperi é assolutamente normale. In particolare quando, come nelle prossime  europee,  si voterà  con il proporzionale e quindi ogni partito cercherà di caratterizzarsi in modo tale  da compattare i propri elettori  é nelle cose. Quindi che i toni si innalzino e che si sia «l’uno contro l’altro armati» è  prevedibile. 

Ma come dice il Presidente Sergio Mattarella: «l’Italia è di chi pensa al futuro». Ciò vuol dire che vi sono alcuni temi sui quali i partiti farebbero bene a non giocare né a spaccarsi. Perché lo sviluppo futuro del nostro Paese non dovrebbe essere mai messo in discussione e qualche punto di percentuale in più non vale certamente posizioni che se poi diventano azioni operative possono cambiare  le prospettive per i nostri figli e i nostri nipoti. 

Per questo sembra strana la posizione che la sinistra, quasi in modo compatto, sta prendendo su quelle che sono le prospettive infrastrutturali e il ruolo che nel Mediterraneo deve svolgere la nostra Nazione.  

  Per questo andare a Messina da parte della Elly Schlein, segretario del maggiore partito della sinistra, che ha avuto un protagonista come Prodi, lei che viene da una Regione, come l’Emilia Romagna, al centro di tutte le infrastrutture del Paese, per cui con l’alta velocità ferroviaria può raggiungere da Bologna, in 2 ore e 25 minuti, Roma, in un’ora e 4 minuti e con un bus Milano in 2 ore e 20 e Roma, quasi 400 km, in tre ore e mezza, per dibattere un tema che già nel suo titolo: “no al progetto di ponte di Salvini, dannoso, anacronistico e dispendioso”, sa di contrapposizione elettorale. 

Infatti mettere in discussione la possibilità che l’alta velocità ferroviaria arrivi a servire 7 milioni di abitanti che risiedono in Calabria e in Sicilia, non diventa più lotta politica nei confronti di Salvini, assolutamente legittima, ma un vero e proprio affronto al diritto di mobilità dei tanti italiani che in quelle aree abitano. 

Perché certo sarà noto anche al segretario del PD che i treni ad alta velocità non possono attraversare lo stretto spezzettati, per essere caricati sui Ferry Boat e ricomposti poi sull’altra sponda dello Stretto, per riprendere il loro viaggio. Cosi come dovrebbe essere noto all’altro grande partito della sinistra, che è il Movimento Cinque Stelle, che non hanno soltanto  la responsabilità di fare una proposta alternativa di progetto di paese da contrapporre al Centrodestra in termini di diritti civili, ma anche quello di proporre un modello di sviluppo che dia un diritto alla sopravvivenza economica di aree fino ad adesso con un destino già segnato dallo spopolamento. 

Che movimenti meno consistenti, come quello dei Verdi di Bonelli e del Sì di Fratoianni, possano assumere posizioni estreme e non occuparsi di un possibile governo futuro, considerato che la  loro contenuta rappresentanza non assegna loro particolari responsabilità, ci può anche stare. 

Cosa diversa è la prudenza richiesta ai grandi partiti di massa che dovrebbero rappresentare l’alternativa di governo necessaria nell’alternanza democratica. In considerazione peraltro che, per quanto attiene in particolare il Pd, molti dei più autorevoli rappresentanti dello stesso partito, tra i quali Franceschini e lo stesso Prodi, si sono pronunciati in passato con dichiarazioni assolutamente favorevoli ad un progetto che potesse  consentire di collegare, finalmente, le aree più marginali. 

Modello peraltro che in altri paesi a noi vicini, come la Spagna, è stato adottato come priorità assoluta, considerato che la prima alta velocità ferroviaria che è stata costruita in quel Paese non è stata la Madrid-Barcellona quanto invece la Siviglia-Madrid.  

 In realtà il Movimento Cinque Stelle ha sempre avuto un atteggiamento anti Istituzioni. Doveva aprire il Parlamento come una scatoletta evidentemente per buttare il contenuto  ed è stato contrario fin dalle sue origini. Tanto che il loro guru, Beppe Grillo, attraversò  lo stretto a nuoto forse per indicarci un’alternativa salutista ai sistemi diversi, come navi, utilizzati  dai più.

Ritornando al Segretario del Pd non può limitarsi a dire che il progetto del collegamento stabile è dannoso. Qualunque costruzione umana lo è perché modifica l’assetto naturale delle cose, lo sono le autostrade, lo è l’alta velocità ferroviaria, lo sono le dighe, lo sono i porti, lo sono per assurdo anche i grattacieli e le abitazioni del più sperduto paese, perché in qualche modo violentano il territorio. Come lo sono gli impianti eolici e quelli solari.

Né può affermare che é anacronistico, quando il modello “Messina bridge” e gli studi relativi sono stati adottati da tutti i Paesi che costruiscono ponti come base di partenza per i loro progetti. E quando la comunità scientifica internazionale lo ha riconosciuto come uno dei più studiati e come una storia di successo. 

Né può affermare  che è dispendioso, dopo che risorse abbondanti sono state destinate a tante grandi infrastrutture nel resto del Paese per le quali non si è condotta la stessa battaglia. Né si possono disconoscere  gli studi approfonditi, consacrati dal timbro Nomisma, che hanno calcolato in 6 miliardi e mezzo il costo della insularità per la Sicilia. Non considerando ancora che i cittadini delle due sponde stanno partecipando al costo della costruzione con risorse proprie regionali,  cosa che non è mai stata chiesta per innalzare le barriere contro l’acqua alta di Venezia,  o per costruire la Tav che collegherà Torino a Lione.

Devono forse pensare i meridionali di essere figli di un Dio minore, di essere considerati come colonizzati, per i quali spendere le risorse necessarie diventa uno spreco, come impunemente e inopinatamente ha affermato l’animatore di Libera don Luigi Ciotti, quando si è lasciato sfuggire la battuta infelice che il ponte non unisce due coste ma due cosche? 

La responsabilità di un partito come il PD, sempre più partito guida che si candida come federatore di tutta la sinistra, non  può sposare tesi così estreme e far correre il pericolo o far temere che una loro vittoria possa far ripartire una serie di infrastrutture dall’anno zero, come in un perenne un gioco dell’oca, come è stato già fatto una volta da quel Monti che definanziò  il ponte per investire quei soldi sottratti all’opera a Genova? Forse sarebbe necessaria una riflessione maggiore per evitare che si possa pensare che alcuni partiti siano contro lo sviluppo e in particolare contro il Sud. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

AL SUD SEMPRE PIÙ IMPRESE SONO “BIO”
SI DEVE COGLIERE OCCASIONE DI SVILUPPO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Il 23,6% delle imprese al Sud è bio, ossia utilizza risorse biologiche, inclusi gli scarti, nelle proprie produzioni, contro il 19,7% delle imprese del resto del Paese. È quanto emerso dall’indagine realizzata dal Centro Studi Tagliacarne e Svimez su un campione di 2 mila imprese industriali, con un numero di addetti compreso tra 5 e 499 unità.

Un dato, quello rilevato, che non dovrebbe stupire: in Calabria, infatti, come rilevato dall’ultimo rapporto Crea 2022, è prima in Italia per la superficie agricola utilizzata per coltivazioni biologiche, ossia il 36,3%, oltre che per il numero di produttori esclusivamente bio, che sono 8.122 (+2,2% rispetto al 2020), 1.188 produttori/trasformatori (+5,2%), 382 trasformatori esclusivi (+6,4%). Gli 8.110 produttori esclusivi calabresi sono pari al 13,03% del totale nazionale (62.333). Come già sottolineato dal Crea, infatti, «l’agricoltura  un fiore all’occhiello della Calabria da valorizzare al massimo, anche perché ha tanti risvolti positivi sul fronte della sostenibilità ambientale, della tutela della biodiversità, della sicurezza alimentare, della nutrizione salutistica, dell’offerta turistica, della qualità della vita di residenti e turisti».

Per il direttore del Centro Studi Tagliacarne, Gausto Esposito, «in una fase in cui si ripropone in maniera rinnovata il tema della crescita della base produttivo-manifatturiera del Mezzogiorno, la filiera della bioeconomia si pone come un prezioso asset a livello locale», questo perché «esprime una forte capacità di creare collegamenti tra segmenti diversi a valle e a monte della catena produttiva, come quello dell’agricoltura, che costituisce tradizionalmente un’eccellenza del territorio, e del recupero delle relative produzioni».

«Il profilo dinamico di queste imprese – ha detto il direttore Esposito – in investimenti nella duplice transizione e la maggiore sensibilità ai temi della sostenibilità, anche in termini sociali e di attenzione all’occupazione, deve porre questo segmento di imprese al centro di policy di rilancio della crescita per il Sud, anche attraverso politiche di incentivazione mirate».

Tornando all’indagine, è stato rilevato come il 59,8%  ha investito o investirà in tecnologie 4.0 tra il 2017 e il 2024, (contro il 56,3% del Centro Nord). Mentre il 50,0% ha adottato un modello di “open innovation” ovvero aperto alle collaborazioni con Università, clienti e fornitori per una crescita strutturata del territorio e per il rafforzamento delle filiere produttive (contro il 46,1%).

Dati che, per il direttore della Svimez, Luca Bianchi, «conferma quanto rilevato dalla Svimez in questi anni circa le potenzialità di sviluppo offerte dai nuovi settori dell’economia circolare e della bioeconomia in particolare per il Mezzogiorno, a condizione che le importanti esperienze oggi presenti siano accompagnate da politiche industriali e di filiera funzionali a renderle più solide e a favorirne la crescita anche dimensionale».

«Anche per questo la scelta bio può essere una potente chiave di sviluppo per il Sud», si legge nell’indagine, in cui viene sottolineato come «essere “bio” rende le imprese più smart, non solo al Mezzogiorno».

La scelta “bio”, nel complesso, si rileva nel Mezzogiorno come nel resto d’Italia un potente stimolo per investire in green e in innovazione su cui ha puntato il 63,2% delle imprese nazionali della bio-economia (contro il 35,5% delle non bio). Nel Meridione, infatti, il 63,4% delle imprese bio ha investito tra il 2017 e il 2024 in processi e prodotti a maggior risparmio energetico, idrico e/o a minore impatto ambientale (contro il 37,0% delle non bio), in linea con quanto si è verificato nel Centro-Nord dove (63,2% contro il 35,2% nelle non bio). Anche per questo il 57,3% di queste imprese meridionali ha investito o investirà in R&S nello stesso periodo (contro 45,3% delle non bio). Essere “bio” si traduce, inoltre, pure in una maggiore attenzione ai lavoratori non solo dal punto di vista sociale, ma anche professionale. Il 61,0% delle imprese bio del Mezzogiorno ha avviato percorsi formativi per i propri dipendenti nel biennio 2017-2019 e ha intenzione di continuare le attività di formazione anche nel biennio 2022-2024 (vs il 57,0% delle non bio meridionali). Una quota che si presenta anche più elevata nel Centro-Nord (62,5% contro il 54,7%).

Ma, oltre a investire sul bio è importante destinare delle risorse anche al digitale che, come rivelato dal Centro Tagliacarne e dalla Svimez, spinge la produttività di oltre una impresa “bio” meridionale su quattro.

Nel Meridione, in particolare, queste realtà imprenditoriali che hanno già puntato tra il 2017 e il 2021 sul digitale dichiarano di avere ottenuto una maggiore produttività nel 28,0% dei casi, una migliore qualità dei prodotti e minori scarti (24,4%), una maggiore velocità nel passaggio dal prototipo alla produzione (23,2%), nuove funzionalità del prodotto derivanti dall’Internet of things (22,0%).

Molta attenzione, poi, alla transizione ecologica: le aziende “bio” del Mezzogiorno, infatti, intraprendono questa strada per aumentare la competitività e rispondere alle regole nazionali e internazionali. iù della metà di queste imprese dichiara, infatti, di aver investito tra il 2017 e il 2021 sia per rispondere alle regole e alle normative imposte a livello nazionale ed europeo (nel 56,1% dei casi), sia per aumentare la propria competitività (nel 52,4% dei casi). Mentre il 30,5% di queste imprese della bioeconomia del Sud d ha sostenuto investimenti ambientali per reagire all’aumento dei prezzi delle materie prime ed energetiche e il 29,3% lo ha fatto perché convinto che l’inquinamento e il cambiamento climatico rappresentino un rischio per l’azienda e la società. (ams)

TURISMO PASQUALE, È BOOM DAPPERTUTTO
NECESSARIO RILANCIARE QUELLO DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – L’arrivo della Pasqua vede le nostre città piene di visitatori. Non solo le classiche mete turistiche come Firenze, Venezia, Roma, ma anche le città meridionali, finalmente,  registrano flussi interessanti.

Napoli in testa, ma anche Palermo, Catania, Bari ormai mostrano un aumento di turisti  e il sold out per alberghi pensioni e b&b é diffuso.

E ritorna la litania del “potremmo vivere di solo turismo”. Con il mare, il sole, l’ambiente, i beni culturali che il Sud si ritrova ad avere, in molti, anche rappresentanti politici, pensano che invece di fabbriche e fumi possiamo vivere di prati verdi e campi da golf.

Ma gli stessi dimenticano che il nostro Mezzogiorno ha oltre 20 milioni di abitanti e solo un po’ più di sei milioni di occupati, compresi i sommersi. E che il rapporto tra popolazione ed occupati, in una realtà a sviluppo compiuto, deve avvicinarsi al 50%, come avviene in Emilia Romagna per esempio. O andare oltre come in Olanda.

E quindi le esigenze di posti di lavoro si collocano su numeri che vanno dai 9  ai 10 milioni complessivi di posti di lavoro, compresi i sommersi.

Quindi fare a meno dell’occupazione nel manifatturiero diventa impensabile, perché da esso dovrebbero arrivare perlomeno 2 milioni di posti di lavoro, così come non si può fare a meno della logistica. Ovviamente anche del turismo, che sarebbero i tre drivers sui quali dovrebbe puntare lo sviluppo del Sud.  Pensare ad uno solo delle tre colonne individuate significa non capire che vi sono coerenze numeriche che vanno rispettate.

Ma vi è un’altra considerazione importante da fare: il turismo offre opzioni interessanti nella sua filiera ma a certe professionalità. Dal management amministrativo a tutto il lavoro  relativo alla comunicazione e alla vendita dei posti letto  oltre all’indotto relativo alle guide turistiche, trasporto, servizi di ristorazione, di divertimento e collegati.

Ma nulla rispetto alle esigenze di inserimenti per i nostri giovani ingegneri o per le professionalità scientifiche che dovrebbero in ogni caso emigrare.  Le esigenze di tali professionalità sono soddisfatte dal manifatturiero di alta tecnologia che non può essere tralasciato e che porta innovazione  importante per i territori. E che esiste già nel Mezzogiorno: si pensi al nucleo tecnologico di Catania o a quello della Apple, primo centro europeo di sviluppo e applicazioni.  che sarà nella Facoltà di Ingegneria di San Giovanni a Teduccio a Napoli.

O incrementando quell’industria aeronautica e aerospaziale italiana che pesa in modo significativo sul Pil, generando un fatturato annuo di 13 miliardi di euro. Nella quale un produttore su tre degli oltre 300 del settore si trova nell’Italia nord-occidentale (32,6%), solo il 24,7% nel Sud, il 20,9% al Centro, il 19,9% nel Nord-Est e il restante 1,9% nelle isole.

E dove in vetta sta la Lombardia, con il 20,5% delle imprese produttrici di aerei e veicoli spaziali, Campania (14,3%), Lazio (13,4%), Piemonte (9,4%), Emilia-Romagna (7,2%) e Puglia (6,2%).

Quello che si destinino le aree meridionali all’agricoltura e al turismo non è una opportunità ma un rischio. Perché l’agricoltura, purtroppo é diventata una attività prevalente per i paesi non sviluppati, tranne che per la parte relativa alla verticalizzazione delle produzioni di nicchia e di grande qualità, mentre il turismo essendo una branca che ha bisogno di minore ricerca ha competitori che possono fornire i servizi a prezzo molto contenuti.

Si pensi all’Egitto, alla Siria, a Israele, al Marocco ma anche ai competitori internazionali dell’Estremo Oriente o del Sud e del Centro  America, che con il calare del prezzo dei voli diventano concorrenti importanti.

In tale quadro bisogna approfittare della opportunità della Zes unica;  bisogna “lottare”, visto che il Nord bulimico è sempre pronto ad accaparrarsi gli investimenti più sofisticati ed a maggiore occupazione di manodopera altamente professionalizzata, per portare al Sud tali investimenti.

Sapendo che è estremamente complesso portarli già in Italia, ma molto più difficile farli arrivare al Sud per molte

considerazioni riguardanti la carenza di infrastrutture,  la presenza di criminalità organizzata, e perché al momento opportuno i vantaggi, con un comportamento schizofrenico interessato, che vengono dati agli insediamenti al Nord sono uguali se non maggiori di quelli concessi alle localizzazioni nel Meridione, sia in termini di cuneo fiscale che di vantaggi sulla tassazione degli utili eventuali.

Per questo accontentarsi di agricoltura e turismo e destinare i nostri giovani di eccellenza a percorrere le strade del mondo, soluzione che non deve essere esclusa se dipende dalla volontà dei singoli alla ricerca di una mobilità arricchente, ma che diventa deportazione forzata se le opportunità che siamo in dovere di dare anche nella realtà meridionale non vengono create.

Per questo lo stesso ponte sullo stretto del Mediterraneo diventa l’elemento  fondamentale di di una nuova vulgata  di un Governo che crede anche in questa parte del Paese.

Per questo la posizione della sinistra sulla grande infrastruttura e sul collegamento con l’alta velocità anche del Sud denuncia una carenza di visione e una mancanza di prospettiva estremamente colpevole.

Opposizione che in questo modo sarà pericoloso che arrivi alla gestione e al governo del Paese perché lo condannerebbe  all’inazione e all’arretramento.

In un mondo globalizzato, nel quale la corsa all’innovazione e al futuro è fatta senza sosta, con città come Dubai o Schengen che crescono di milioni di abitanti in pochissimi anni.

Che affronta problemi infrastrutturali importanti lavorando continuativamente per 24 ore, che approfitta anche della possibilità di non avere i vincoli/ garanzie  dei paesi sviluppati sul lavoro minorile, sui diritti dei lavoratori, non scattare come gli altri e perdersi in discussioni pretestuose diventa un molo per essere marginalizzati e perdere la possibilità, colpevolmente, di dare ai propri cittadini un futuro di prosperità. È tutto ciò non può essere consentito a minoranze tanto minoritarie quanto agguerrite e  pericolose. ν

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

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LA SCOMMESSA DELL’ACCOGLIENZA

La nota del prof. Busetta, rudemente, fa capire che il Sud (La Calabria) non può vivere solo di Turismo e Agricoltura, come sarebbe giusto pensare, ma deve alimentare la filiera industriale perché l’industria genera occupazione stabile e richiede manodopera. Ciò non toglie che, a fronte, del boom del turismo pasquale di cui beneficerà anche la nostra terra, è necessario rivedere le politiche del turismo in Calabria, a partire dalla promozione e finire alla ricettività. Dove mettiamo i turisti che volessero arrivare in massa? Quali servizi (a terra) siamo in grado di offrire (per spostamenti, guide, etc)? Da un lato è lodevole aver convinto RyanAir a puntare sulla Calabria, dall’altro mettiamo in condizione chi arriva di trovare facilities e opportunità che rendano la vacanza eccellente (e possibilmente memorabile). (s)

IMMIGRATI, DAI DATI EMERGE LA VERITÀ: È
UNA RISORSA CHE SI RITIENE UN PROBLEMA

di ROBERTA SALADINO – Presentato in Cittadella regionale il Dossier Statistico Immigrazione 2023 del Centro Studi e Ricerche Idos – Roma, giunto alla sua 33esima edizione. In base ai dati presentati dalla Banca Mondiale, le persone prive di cittadinanza del Paese in cui risiedono sono globalmente circa 184 milioni nel 2023, il 2,3% della popolazione mondiale.

Nel report, questa cifra fa riferimento alle persone che vivono al di fuori del proprio Paese di cittadinanza ed esclude quelle che hanno ottenuto la nazionalità in un nuovo Paese. L’Europa è la casa di più di 54 milioni di stranieri, preceduta dall’Asia e seguita dalle Americhe. Di questi 184 milioni, 37 milioni, attorno al 20% sul totale, sono rifugiati. La componente straniera della popolazione residente in Italia si è assestata nell’ultimo quinquennio, intorno ai 5milioni (a livello europeo si colloca l’Italia al IV posto dopo la Germania, Spagna e Francia).

Al 1° gennaio 2023 sono pari a 5.141.341, rappresentando l’8,7% del totale della popolazione residente in Italia, il 51% è costituito dalle donne. Tra il 1° gennaio 2022 ed il 1° gennaio 2023 si registra un incremento pari a poco più di 100mila immigrati. Gli sbarchi che sono un fenomeno molto visibile e drammatico, nei primi due mesi e mezzo del 2024 sono stati 6.650 sbarchi. I Paesi di imbarco sono soprattutto la Tunisia e la Libia, mentre in Algeria e in Libano si registrano soltanto poche centinai di imbarchi.

Come sappiamo lo scenario libico è alquanto complesso perché è diviso e sottoposto a due Governi, in questo scenario di instabilità politica, le condizioni della società civile sono particolarmente preoccupanti: interruzioni di elettricità, inflazione e mancanza di carburante. I gruppi armati, inoltre, regolarmente perseguono detenzioni arbitrarie, restrizioni ai movimenti dei civili, all’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, oltre che una repressione sistematica delle proteste della popolazione. Mentre la Tunisia odierna vive una difficile stagione economica con un tasso di inflazione del 9,3%.

Se guardiamo i dati del Ministero dell’Interno relativi alla Nazionalità dichiarata al momento dello sbarco anno 2024 (aggiornato al 15 marzo 2024), possiamo notare che la “geografia” delle persone che sfidano il mare per chiedere asilo in Europa sono principalmente le seguenti: per il 23% di nazionalità bengalese, seguono siriani (18%), tunisini (11%), egiziani (10%) e pakistani (5%). I dati relativi alla presenza dei migranti in accoglienza su base regionale mette in evidenza che su 137.544 presenze complessive il 13% (17.622) è presente in Lombardia, seguono l’Emilia Romagna (12.875) e il Lazio (12.574) con il 9%.

La Calabria si colloca al 10° posto nella graduatoria regionale, sono accolti circa 6mila immigrati (il 5% del totale). Mentre, per quel che concerne la popolazione straniera complessiva, la Calabria occupa la 14° posizione, con poco più di 97 mila stranieri al 1°gennaio 2023, rispetto al 2022 c’è un incremento di poco più di 3mila persone, rappresentando il 5,26% del totale della popolazione residente in regione.

Entrando nel dettaglio provinciale, Cosenza e Reggio Calabria si confermano le province con il più alto numero di stranieri, rispettivamente 33.558 e 28.883. A Catanzaro risiedono poco più di 17mila stranieri, mentre la provincia di Vibo Valentia e Crotone hanno meno di 10mila residenti stranieri. La popolazione straniera residente in Calabria è fondamentalmente giovane, l’età media è infatti pari nel 2023 a 35,9 anni, contro quella della popolazione autoctona pari a 45,7 anni.

Il contingente degli immigrati da un apporto alla popolazione in età attiva in Calabria di più di 76 mila persone nel 2023, rappresentando il 79% del totale, mentre quella anziana soltanto il 5%. Le donne rappresentano il 49% del totale, la femminilizzazione del fenomeno si è arrestata in Calabria, ricordiamo che 10 anni fa, l’incidenza delle donne era pari al 54%. Nonostante l’effetto “lifting” dell’immigrazione sulla struttura per età della popolazione residente in Calabria, questo non può fermare o invertire il processo a lungo termine di invecchiamento demografico, infatti l’indice di vecchiaia passa da 179% del 2022 a 184% del 2023.

L’invecchiamento della popolazione è un processo che accomuna tutte le realtà del territorio nazionale pur in presenza di una certa variabilità. Il calo della popolazione in Calabria è frutto di una dinamica naturale sfavorevole, caratterizzata da un eccesso dei decessi (pari a 22,939 nel 2022) che sono quasi il doppio delle nascite (pari a 13.451 nel 2022), e da un saldo migratorio interno negativo pari a -9.765 che viene in buona parte compensato dal saldo migratorio con l’estero che è di segno positivo 9.216. Quando le aride statistiche ci documentano meno 8.844 tra il 1° gennaio 2022 ed il 31 gennaio 2022, proviamo a leggere questo dato andando ad effettuare un’analisi della popolazione per Comune in termini di perdita di popolazione. È come aver perso nell’arco di 365 giorni il Comune di Pizzo che, nella graduatoria demografica per Comuni Calabresi, occupa la 38esima posizione

Questo forse ci aiuterebbe a capire meglio il pericolo dell’inverno demografico. Il calo demografico della popolazione in Calabria si riflette non solo sulla dimensione crescente della popolazione anziana, ma determina effetti anche nell’ambito scolastico, dal momento che una popolazione che fa sempre meno figli innesca dinamiche che, protratte nel tempo, interrompono il ciclo del ricambio generazionale. Nell’ultimo quinquennio la popolazione scolastica è passata da 282.670 a.s. 2018/2019 a 266.736 2022/2023, facendo registrare un decremento di 16 mila studenti.

A livello nazionale nello stesso quinquennio si registra un decremento complessivo di quasi 400mila studenti (a.s. 2018/2019 8.326.413, a.s. 2022/2023 7.946.930). Come i ghiacciai si stanno restringendo così anche le aule delle nostre scuole si vanno inesorabilmente svuotando, a un ritmo che va molto oltre la percezione comune.  Al fine di preservare tutto il patrimonio demografico di oggi e garantire un incremento futuro di esso, oltre a creare un’alleanza tra le generazioni è necessario sviluppare delle politiche familiari più incisive, che possano consentire un incremento dei livelli di fecondità, pensiamo che oggi la Calabria fa registrare un tasso di fecondità pari a 1,28 figli per donna. Attualmente la regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna, sempre inferiore al livello di sostituzione (ossia 2,1 figli per donna, che garantirebbe il ricambio generazionale). (rs)

LA FUSIONE PUÒ ESSERE L’OCCASIONE PER
CONTARE DI PIÙ E NON ESSERE “INVISIBILI”

di GREGORIO CORIGLIANOVolete voi che sia approvata la proposta di legge che prevede la istituzione di un nuovo comune derivante la fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero? Questo è il quesito referendario che verrà posto ai cittadini calabresi, a conclusione dell’iter previsto dalla legge per istituire nuovi comuni.

La prima commissione del Consiglio regionale ha approvato la risoluzione della proposta firmata da Pierluigi Caputo, Katya Gentile, Luciana de Francesco, Sabrina Mannarino, Pietro Molinaro, Pasqualina Straface, Giuseppe Graziano e Gianluca Gallo, tutti di centrodestra.

L’iter previsto per far nascere un nuovo comune dalla fusione dei tre centri che hanno per capofila la città di Cosenza fa passi avanti. Prevista anche la scelta del nome, alla quale devono concorrere i cittadini tra Cosenza, Nuova Cosenza e Cosenza-Rende-Castrolibero. Il referendum potrebbe avvenire entro l’anno, certo dopo le elezioni europee. Nonostante l’opposizione dei sindaci della città capoluogo e degli altri due destinati a sciogliersi, l’iter va avanti. È positivo o negativo lo scioglimento e la conseguente nascita di un nuovo Comune? I politici di centro sinistra lo giudicano negativo, quelli di centro destra, positivo. Almeno i rappresentanti istituzionali.

C’è chi parla di nuovo centralismo democratico della Regione, c’è chi sostiene che la fusione viene fatta per salvare Cosenza dai debiti e dalla insolvenza. Non c’è accordo, ma guerra. Si tenta, da un lato, di prendere tempo e di rinviare, dall’altro di accelerare. Non c’è molta esperienza, in Calabria, anche se di fusioni nel corso degli anni ce ne sono state, di rilevanti, almeno tre. La prima, quella storica, la fusione tra Sant’Eufemia, Sambiase e Nicastro patrocinata dal senatore lametino Arturo Perugini, che diede vita alla quarta città della Calabria, Lamezia Terme. Della quale, non subito, ma col passare del tempo, si è detto un gran bene.

Poi nacque, nel 2017, Casali del Manco, tra la fusione di Casole Bruzio, Pedace, Sera Pedace, Spezzano Piccolo e Trenta. Tutti insieme, quasi diecimila abitanti. L’anno successivo nacque Coro, dalla fusione tra Corigliano e Rossano. Non ci fu accordo nella scelta di un nuovo nome e la nuova città si chiamò Corigliano-Rossano. In totale 74 mila abitanti, il terzo della Regione. Sulla carta, le precedenti città, sono rimaste come frazione. Ovviamente, sia a Casali del Manco che a Rossano-Corigliano c’è, rispettivamente, un solo consiglio comunale ed un solo sindaco. Lamezia Terme, è nata nel 1968 e conta 8 mila abitanti. Anche qui, i tre precedenti comuni, sono rimasti come frazione di Lamezia.

Dalla quarta città della Calabria, se non ai primi tempi, non ci sono più lamentele degli amministratori e dei cittadini. La fusione è stata assorbita ed anche bene. Non c’è più contrarietà a Casali del Manco, se non iniziali individualismi. Non digerita proprio bene la fusione tra Rossano e Corigliano, divenuta, per numero di abitanti, la terza città della Calabria, dopo Reggio e Cosenza. E prima di Crotone, Catanzaro e Vibo Valentia. La fusione, al di là del metodo –per questo c’è contestazione per la nascita della “nuova” Cosenza – è sempre un fatto positivo perché nasce una entità amministrativa più forte. L’unione fa la forza, da sempre. Più si è più si conta, maggiori sono ( o dovrebbero essere) i finanziamenti. Anche in questo tempo di magra e pur in presenza dell’approvazione (in dirittura d’arrivo?) del progetto del leghista Calderoli che sta dividendo il Paese e che la maggioranza di oggi pare voglia portare avanti. Non tutti concordano sulle fusioni. Nessuno sostiene che c’è la diminuzione di Sindaci e di consiglieri comunali, quindi, di cadreghe o di (presunti) ruoli di comando.

La verità è che la nostra è, fondamentalmente, una regione individualista, dove, come diceva l’avvocato Agnelli, “la migliore società è quella costituita in numero dispari e tre son troppi”. In Calabria, però, c’è l’esperienza di un nuovo solo Comune, nato, per l’esultanza dei cittadini, con legge della Regione, dalla divisione tra Rosarno e la sua ex frazione, quella di San Ferdinando, divenuto comune autonomo nel 1977, dopo venti lunghi anni di battaglie, proposte di legge, scioperi, ammutinamenti, divisioni.

A distanza di cinquant’anni dall’autonomia, nella Piana di Gioia Tauro, si comincia ora a parlare di fusione, per contare di più e per non vivere la vita grama delle singole realtà comunali che, a stento, riescono a provvedere agli aumentati bisogni dei cittadini. E per fronteggiare le nuove incombenze del Porto, ecco che si parla di unire Rosarno, Gioia Tauro, San Ferdinando e, forse, Rizziconi, se non Laureana e Candidoni. Chi vivrà, vedrà. (gc)

OLTRE IL MEDITERRANEO, NIENTE MIOPIE
UNO SGUARDO DAL PONTE DELLO STRETTO

di ENZO SIVIERO – Il tema del rapporto Nord-Sud non riguarda la sola Italia. Si tratta di un atteggiamento culturale (o meglio in-culturale…) che attraversa le genti e i luoghi perdendosi nella notte dei tempi. Ma il caso Italia merita una particolare attenzione sia per l’avvenuta globalizzazione sia per il fiume di denaro che l’Europa ha stanziato per il nostro Paese proprio a partire dalle acclarate diseguaglianze che ci connotano.

Tanto palesi da orientare l’Europa come ben noto, a riservare una quota del 40% proprio al Sud. Pur tuttavia con il “gioco delle tre carte” (che vogliamo sperare sia frutto più di necessità che di vera e propria volontà vessatoria), sembra ai più che al Sud siano stati finanziati con i fondi del Pnrr, molti progetti già in itinere (e quindi già finanziati con altri capitoli di spesa) e conseguentemente definanziati, sottraendo di fatto risorse già allocate. Non vogliamo pensar male, ma qualche dubbio sembra lecito… vedremo prossimamente quale sarà il reale quadro della situazione.
Con questa premessa si intende fare chiarezza sui diversi punti di vista tra nord e sud , con un occhio non miope verso, o meglio oltre, il Mediterraneo. Se è vero come nessuno può negare che l’Italia è il molo naturale verso il Mediterraneo, ad una visione strategica che interessa già l’oggi (e siamo già notevolmente in ritardo) ma soprattutto le prossime generazioni, non può negarsi che sia l’Africa il vero futuro dell’Europa! Ed è ovvio che da questo come da molti altri punti di vista, in questa prospettiva geopolitica è l’Italia a giocare il ruolo principale utilizzando quel “ponte liquido” che è il Mediterraneo, come è stato nel passato più o meno recente e com’è oggi ancor più pregnante visto anche il raddoppio del Canale di Suez. Non a caso Turchia (e lo stesso Egitto…) unitamente a Russia e Cina stanno pressoché spadroneggiando nel Mare (non più) Nostrum approfittando di un’Europa intrinsecamente debole, incapace di una politica unitaria visti gli interessi contrastanti di taluni, non pochi, suoi membri.

Ebbene il Sud è indiscutibilmente il vero trampolino di lancio verso l’Africa, così come l’Africa si proietterà verso l’Europa tramite il Mezzogiorno. In una prospettiva geostrategica gli investimenti al sud sono vieppiù necessari certamente per lo stesso sud ma anche e soprattutto per il nord che avrebbe tutto da guadagnare per la propria vocazione oggi mutata dovendo guardare a sud sia per le proprie esportazioni verso il nuovo immenso mercato africano sia per ricevere e far transitare le merci verso il centro e il nord Europa anziché come avviene oggi riceverle dai porti tedeschi e olandesi ben attrezzati per accogliere le navi in transito nel Mediterraneo.

Ma vi è di più in una prospetto ancora più ampia, guardando a Est con le vie della seta (: ) la Cina approda al Pireo con la prospettiva di raggiungere tramite i Balcani, e nuove infrastrutture ferroviarie ormai in esecuzione, il centro Europa . E così l’Italia (non solo il Sud) resterà tagliar fuori. Altro che Marco Polo o Matteo Ricci!

Immaginando anche collegamenti stabilì Tunisia Sicilia (TuneIt) e Puglia Albania GRALBeIT) che da oltre un decennio vengono proposti da chi scrive senza alcun riscontro da parte di chi ci governa, l’ingegneria visionaria (ma non troppo…) che ha fatto la storia del progresso, il Sud e l’Italia stessa sarebbero la cerniera tra tre continenti Africa Europa Asia. Ovvero una eccezionale piattaforma logistica ben più importante a livello globale, andando oltre il Mediterraneo.

È chiaro quindi che con questi presupposti il Ponte sullo Stretto di Messina è un piccolo ma fondamentale tassello di un disegno più complesso (indiscutibilmente praticabile purché lo si voglia…) capace di dare prospettive concrete per i nostri giovani (soprattutto del sud) perché restino a costruire il proprio futuro a partire dai loro lunghi di origine. Senza contare che il crescente indebitamento che ricadrà sulle generazioni future, potrebbe non essere sufficiente a ridare al Sud e all’intera Italia quella lucentezza che merita. Non limitiamoci al Sole al Mare alla cultura e al turismo.

Il Sud È il nostro futuro. Da questo punto di vista (e non solo…) il ponte di Messina va visto come asset strategico per l’Italia che guarda al Mediterraneo. Ormai tutti (o quasi..) si sono convinti che il futuro dell’Italia passi dal Mediterraneo per proiettarsi verso l’Africa. È del tutto evidente che in questo quadro geostrategico il ruolo della Sicilia e dell’intero Meridione è cruciale e con esso il Ponte sullo Stretto di Messina diventa fondamentale e improcrastinabile. Del resto il collegamento stabile tra Calabria e Sicilia è da decenni sancito dall’Unione Europea come parte del corridoio Berlino Palermo più di recente ridenominato Helsinki La Valletta.

Ne consegue che i tentennamenti dell’Italia verso quest’opera, con ricorrenti “stop and go” puramente politici, sono del tutto incomprensibili a livello europeo. Ora finalmente è giunta la conferma della necessità di un collegamento stabile. E le attività connesse al riavvio dei cantieri sono ormai una certezza. Del resto giusto per tornare su cose note ma su cui i NoPonte tornano in modo ricorrente senza pudore, il ponte a campata unica ha avuto il placet tecnico ma uno stop politico da parte del governo Monti generando un pesante contenzioso da parte del contraente generale Eurolink fortunatamente annullato con la ripresa del contratto iniziale.

Ebbene voglio qui richiamare a futura memoria ciò che scrivevo un paio di anni fa in merito alla discussione allora in atto in parlamento prima delle elezioni.“Ma ecco spuntare l’ennesimo ostacolo. Archiviata la proposta “assurda” di un tunnel , “non volendo” incomprensibilmente accettare la soluzione più logica di aggiornare il progetto definitivo già approvato (tempo pochi mesi) ed eventualmente indire una nuova gara, si da credito ad una soluzione già bocciata da decenni come esito degli studi di fattibilità propedeutici all’indizione della gara internazionale (vinta da Eurolink ). Ovvero un Ponte con piloni a mare così giustificato “presumibilmente ti costa meno”. Affermazione priva di riscontro oggettivo.

Certamente censurabile in un documento ufficiale. Tanto più che per valutarne la realizzabilità sono necessari studi e indagini molto estesi e costosi! Ma tant’è! Se non vi è consenso politico c’è sempre qualche “tecnico” pronto ad avallare i voleri del ministro di turno! Ma quel che più indigna è il fatto che non viene spiegato in linea tecnica il perché di debbano spendere altri 50 mln per studi di fattibilità già sviluppati nel passato (con non marginali profili di danno erariale), studi che semmai andrebbero aggiornati. E come giustificare gli oltre 350 mln spesi dallo Stato per il progetto definitivo a campata unica? Va ricordato che il progettista è la danese Cowi e la verifica parallela indipendente sviluppata dalla statunitense Parson, società con decine di migliaia di dipendenti e con acclarata esperienza su ponti di grande luce, a livello mondiale.

Ma vi è di più, abbandonando il progetto iniziale. l’ulteriore ritardo nell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera è valutabile in almeno 5 anni. Orbene procrastinare nel tempo una infrastruttura strategica come questa (del valore di 5-6 mld per il solo Ponte), significa penalizzare ulteriormente il Mezzogiorno. Mentre il costo dell’insularità è stimato in oltre 6 mld (ovvero un Ponte all’anno).

I livelli occupazionali sono valutati in decine di migliaia. E il solo indotto fiscale conseguente agli investimenti sulla “metropoli della Stretto” consentirebbe un rientro in pochi anni dei costi che lo Stato dovrebbe sostenere. Va da se (ma non sembra così chiaro a taluni contrari all’opera) che sarebbe ridotto drasticamente l’inquinamento dello Stretto senza contare gli attuali rischi per la sicurezza conseguenti alle possibili collisioni dei traghetti.

L’amara conclusione è che si “buttano” centinaia di milioni per ripartire da capo, ignorando le conseguenze di un ulteriore ritardo. Perché queste decisioni “masochistiche”? La quasi totalità dei tecnici “qualificati” e non asserviti alla politica la pensano allo stesso modo. (es)

[Enzo Siviero è Rettore E-Campus]

NUOVA PROVINCIA E NUOVO CAPOLUOGO?
LA CITTÀ CORIGLIANO-ROSSANO CI CREDE

L’avvento della prossima campagna elettorale amministrativa a Corigliano-Rossano, dovrebbe indurre partiti e aspiranti candidati a riflettere su una serie di tematiche determinanti per il futuro di Corigliano-Rossano e dei territori limitrofi. Il momento è quanto mai propizio per abbracciare tematiche basate su programmi concreti.

Imperativo dovrà essere il superamento di personalismi e scontri di basso profilo. Gli stessi scontri che, storicamente, hanno alimentato disillusione e incultura, radicando il ritardo che la Città sibarita sconta rispetto altri contesti calabresi. Se da un lato le vecchie classi dirigenti non sono state garanzia d’affidabilità, dall’altro le nuove generazioni politiche non sempre sono riuscite a rappresentare innovazione e speranza. Quello che serve, adesso, in questo preciso momento storico, è la promozione e la messa in campo di pensieri innovativi e idee sfidanti che possano rilasciare un vero e proprio rinnovamento culturale, capace di ridare slancio alla Comunità jonica.

È tempo di smetterla con i discorsi di pancia e con un linguaggio fatto da slogan pseudo-moralisti. Tale linguaggio, fatto salvo chi si limita alle battaglie di tastiera per poi prostrarsi all’arrivo dei conquistatori esterni al territorio jonico, ha ormai stancato la maggior parte del corpo elettorale. I tempi sono maturi per adottare una visione del territorio che offra alla città di Corigliano-Rossano e al dirimpettaio territorio jonico una prospettiva di crescita e sviluppo sostenibile.

Vieppiù, le circostanze impongono di pensare a progetti che possano rilasciare benessere riequilibrando scriteriate sperequazioni regionali. Non per ultimo, l’applicazione di azioni volte al riconoscimento della pari dignità territoriale jonica rispetto altri contesti più emancipati in Calabria.

Chiaramente, il focus dell’agenda politica dovrà essere concentrarsi sull’emergenza occupazionale. Quest’ultima, rappresenta una ferita aperta nella comunità di Corigliano-Rossano e dell’Arco Jonico tutto. Bisognerà trovare quei sistemi atti a cauterizzare detta ferita che, altrimenti, rischia di incancrenirsi. Certamente, non si può sperare di risolvere la partita concentrando sforzi e programmi elettorali su questioni come la realizzazione di qualche tratto della statale o una lunetta sui binari della jonica.

Tantomeno, immaginare che la vicenda occupazione possa essere liquidata con l’arrivo di Nuovo Pignone. Significherebbe, invero, spingersi verso un vicolo cieco. È necessario auspicare riflessioni profonde, proponedo all’elettorato progetti che possano riverberare concretamente crescita sociale ed economica.

Per le motivazioni su richiamate, rivolgiamo agli attuali Candidati in campo: il sindaco Stasi, l’on. Straface, il consigliere Salimbeni, l’attivista Piattello e a tutte le forze politiche e civiche che appoggiano e appoggeranno i nominati uomini di punta, una sfida di autodeterminazione per il bene della Città e del territorio tutto.

La chiave di svolta per il futuro di Corigliano-Rossano risiede nell’assunzione di coraggio e lungimiranza da parte della Classe Politica. Dovrà essere perentoria l’adozione di programmi elettorali lungimiranti, affinché si possa trasformare la terza Città della Calabria in un polo attrattivo per gli investimenti e lo sviluppo socio-economico. Programmi che, nella loro stesura, dovranno confermare, anche e soprattutto, la capacità di uomini e partiti di essere scevri da condizionamenti esterni al territorio jonico.

Anche per dimostrare, una volta per tutte, la capacità di autonomia decisionale degli attori protagonisti verso la Città. Senza lasciarsi influenzare e guidare dalle imposte dettature covate nelle segreterie politiche centraliste che, in riva allo Jonio, dettano le agende politiche da diversi decenni.

La proposta di elevare Corigliano-Rossano a Capoluogo di una nuova Provincia, insieme a Crotone, rappresenterebbe un passo fondamentale verso la ristrutturazione politico-amministrativa del nostro territorio. Una provincia demograficamente importante avrebbe accesso diretto alle decisioni politiche regionali, aprendo nuove opportunità di crescita e progresso. Un’idea di sviluppo non contrapposta ai Capoluoghi storici della Regione, ma che si pone lo sfidante obiettivo di riequilibrare un deviato “Sistema Calabria”; incardinando i suoi principi su basi d’equità e giusto dimensionamento demografico e territoriale degli ambiti regionali.

È evidente, quindi, che l’elevazione della Città a Capoluogo rappresenterebbe la vera chiave di svolta per il nostro futuro e, insieme a Crotone, ovviamente, di vero rilancio dell’intero Arco Jonico. Una nuova Provincia con una popolazione di circa 400mila abitanti avrebbe un peso significativo nelle decisioni politiche regionali ed extraregionali.

Non già, quindi, un processo di semplice elevazione a Capoluogo, tra l’altro non suffragato dai numeri di cui la Sibaritide autonomamente dispone. Piuttosto, un progetto di spessore e valore aggiunto rispettoso dei criteri richiesti dalla norma in materia di giusto parametro demografico e territoriale. La storia ha dimostrato quanto inutile sia stata la creazione di piccole Province come Vibo, Crotone, Biella, Verbania, Fermo, ecc. Questi contesti geo-politici, infatti, sono rimasti fuori dalla gestione dei grandi interessi nei relativi contesti regionali. È importante assurgere al richiamato ruolo, ma, ancor più, farlo coaudiuvati da  una demografia importante e dimensionata al resto degli ambiti già consolidati.

Vieppiù, lavorare alla costituzione di un’area metropolitana Crotone-Gallipoli, promuovendo la cooperazione tra i 24 porti presenti nell’area, potrebbe essere una mossa strategica per valorizzare le risorse lungo la baia jonica. Quindi, favorendo la genesi di consorzi turistici-agricoli-industriali tra i Comuni rivieraschi calabro-appulo-lucani che si affacciano sullo specchio d’acqua del golfo di Taranto.

L’illustrato progetto, dovrebbe essere alla base di un concreto e reale programma elettorale e politico da parte di tutti i candidati in campo. Per attuarlo non sarebbero richiesti investimenti finanziari da parte dello Stato. Invero, basterebbero impegno, volontà e coraggio nelle scelte politiche.

È arrivato il momento che la Politica tutta, almeno quella scevra da legami a doppio filo con gli ambienti del centralismo storico, raccolga questa sfida di dignità e rigenerazione sociale.

Una città, Corigliano-Rossano, nata senza una sua anima ben definita, ma alla ricerca di uno scopo preciso: dare una speranza al suo popolo e ai popoli ad essa riconducibili e bisognosi di una guida. Senza la richiamata speranza, la Città jonica, rischia di non avere alcuna certezza del futuro. Vieppiù, perdendo ogni possibilità di disegnare su un foglio bianco e pulito gli obiettivi a cui ambire. Recuperiamo e riscriviamo tutti, pertanto, un rinnovato senso d’appartenenza alla causa  comune.

Tuttavia, per fare questo, bisogna avere una visione. Soprattutto, c’è necessità di uomini e donne capaci e in grado di guardare con passione e fiducia al loro comune interesse: dare alla nuova città concrete prospettive  di sviluppo. Prospettive, invero, mancate ancor prima che il processo di sintesi amministrativa si compiesse; quando, ancora, la Città, oggi unica, si presentava come due anime urbane e territorialmente separate.

Ricombiniamo, infine, processi policentrici che partendo dal cuore della municipalità sibarita si estendano a tutte le Comunità ricadenti nel vasto contesto dell’Arco Jonico sibarita e crotoniate.

In caso contrario, continueremo a vivacchiare ascoltando inutili cantilene dai palchi elettorali, senza mai cogliere appieno le opportunità che il futuro ci offre. (Comitato Magna Graecia)

TRASPORTO FERROVIARIO: IL SUD MERITA
IL SUO RISCATTO E LA GIUSTA ATTENZIONE

di ERCOLE INCALZA – Negli ultimi quarant’anni, non ce ne siamo forse ancora accorti, ma abbiamo assistito ad una vera rivoluzione nel sistema dei trasporti ferroviari ed è sbagliato, a mio avviso, parlare solo di “alta velocità ferroviaria” perché in quarant’anni è cambiato il nostro approccio e la nostra fruizione di ciò che genericamente chiamiamo “ferrovie”, “treni”, “stazioni”, “scali merce”.

Questi riferimenti, in realtà, vivevano essenzialmente nei limitati periodi, o meglio nei limitati momenti in cui ricorrevamo all’uso di un treno, in realtà in cui ricorrevamo ad un treno per raggiungere un’altra località vicina o lontana. La ferrovia soddisfaceva una nostra esigenza di mobilità ed in questo, ripeto sempre, forse il pendolarismo rappresentava una diversità perché aggregava più persone in determinate fasi della giornata ed era anche una delle occasioni più socializzanti della offerta ferroviaria.

Altra ignoranza diffusa era quella legata all’utilizzo della rete ferroviaria per la movimentazione delle merci, esistevano gli “scali” ed erano ubicati nelle vicinanze delle stazioni, anche all’interno di grandi nodi ferroviari. Si chiamavano centri intermodali perché le merci arrivavano con dei TIR in queste limitate aree ed in tali siti avveniva il cambiamento della modalità di trasporto; tra l’altro fino agli anni ’80 era molto frequente imbattersi su strada in un trasporto eccezionale di carri ferroviari che potevano essere trasferiti fino alla destinazione richiesta dal cliente per la movimentazione di ogni tipologia di merci. Nel tempo questo servizio è stato sostituito dall’utilizzo dei container, che consentono il trasferimento del solo cassone che può essere movimentato su ogni tipologia di vettore, nave, treno, camion.

Ebbene, 16.000 chilometri di reti di proprietà delle Ferrovie dello Stato e circa 3.000 chilometri di reti ferroviarie secondarie per quasi il 70% gestite da soggetti privati o da Amministrazioni locali, senza dubbio, rappresentano una griglia portante essenziale, e direi obbligata, per chi si muove all’interno del Paese, all’interno dell’Europa; i vari movimenti però inizialmente erano legati ad una frequenza così limitata da portare i vari utenti, nella maggior parte dei casi, a ricorrere al mezzo privato su strada.

A tale proposito sono solito ripetere sempre un esempio: da Roma a Napoli, fino al 2004, cioè fino all’avvio del collegamento ferroviario ad alta velocità, il tempo del collegamento era di circa due ore e dieci minuti ed il numero di corse, anche nelle ore di punta, si attestava su un numero non superiore a due ogni due – tre ore ed in tal modo la distanza reale, in termini temporali, tra Roma e Napoli superava le quattro – cinque ore e quindi chi da Roma decideva di andare a Napoli doveva mettere in conto sia il tempo reale del collegamento e l’arco temporale in cui non era disponibile la offerta ferroviaria e questo portava automaticamente al ricorso dell’auto privata.

Gli scali ferroviari erano ubicati nelle prossimità delle stazioni e questa collocazione era difficilmente accessibile: l’attraversamento dell’ambito urbano, in molti casi metropolitano, oltre a creare rilevanti problemi nel consumo di carburante generava seri problemi di inquinamento.

Poi all’inizio dei quaranta anni siamo entrati, praticamente dal 1984 al 2004, in una fase che ha praticamente rivoluzionato quello che per quasi un secolo era stata la ferrovia.

Insisto non è stata solo l’alta velocità ma: La frequenza dei treni, la scoperta del ruolo e della funzione delle “grandi stazioni”, l’ubicazione strategica dei centri per la movimentazione delle merci: gli interporti, la rivoluzione tipologica e tecnologica dei treni, l’avanzata digitalizzazione dei servizi offerti, il rapporto con gli Enti locali nella gestione della mobilità soprattutto nelle grandi aree urbane (esperienza Metrebus a Roma), il collegamento con i nodi logistici chiave per la crescita economica del Paese (porti ed interporti), il rafforzamento della dimensione internazionale attraverso l’avvio alla realizzazione dei valichi ferroviari come l’asse Torino – Leone, come il Terzo Valico dei Giovi, come il San Gottardo, come il Brennero, la grande attenzione per il rispetto dell’ambiente, realizzando, prima ancora delle grandi aziende nazionali ed internazionali, un’ecobilancio della propria offerta trasportistica, una grande attenzione all’abbattimento delle barriere architettoniche.

In questi quaranta anni, senza dubbio, i meriti sono sia di coloro che si sono alternati nella gestione del Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, in modo particolare, di coloro che erano all’interno delle Ferrovie dello Stato prima del cambiamento, sì ai dirigenti della vecchia Azienda che non ostacolarono l’azione riformatrice e collaborarono nella trasformazione di un’Azienda di stato in un Ente pubblico economico prima e in una Società per Azioni dopo.

Unico punto critico, in questo processo che continuo a definire “rivoluzionario”, è stata la sottovalutazione dell’esigenze infrastrutturali e gestionali del Mezzogiorno; in modo particolare solo nell’ultimo anno è ripartita l’azione organica mirata alla realizzazione di reti essenziali; una riattivazione di azioni dopo dieci anni in cui unica opera è stata la realizzazione del collegamento Napoli – Bari. Questo preoccupa perché denuncia i comportamenti dello Stato nella attuazione di ciò che chiamiamo Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), si di quei livelli che dovrebbero essere garantiti nella attuazione delle “Autonomie differenziate” e che, almeno per quanto concerne l’offerta ferroviaria, hanno, come riferimento storico una esperienza quarantennale, almeno per l’offerta ferroviaria, lontana da accettabili Livelli Essenziali di Prestazioni.

Sicuramente non possiamo assolutamente sottovalutare il ruolo chiave svolto, in questo “rivoluzionario lungimirante processo”, da Lorenzo Necci; in fondo è stato lui l’artefice primario di tutto ciò che oggi viviamo, di tutto ciò che oggi usiamo e frequentiamo senza accorgercene e, dobbiamo anche ammetterlo, siamo sempre  più scontenti ed al tempo stesso più esigenti; tuttavia quello che dispiace è che non vogliamo ammettere che in questi quaranta anni abbiamo inseguito davvero il futuro; speriamo di non raggiungerlo mai; infatti inseguendolo sempre siamo sicuri di crescere. (ei)

DIFFERENZIATA, L’OCCASIONE CALABRESE
PER UNA CRESCITA “RIVOLUZIONARIA”

di GIOVANNI LAMANNALa gestione dei rifiuti è un nodo politico importante per il miglioramento dell’economia regionale.

La gestione dei rifiuti solidi urbani (Rsu) rappresenta una delle attività più  complesse e difficili da organizzare e a causa delle difficoltà, numerose amministrazioni pubbliche sono andate in crisi, non dopo aver generato vere e proprie “patologie organizzative”.

I “rifiuti” costituiscono un rischio, economico, sociale, ambientale, sanitario e  di conseguenza la “prevenzione del rischio” rappresenta la linea guida fondamentale per ogni scelta gestionale.

Se consideriamo i rifiuti come “ rischio” agiremo, prima di tutto con la finalità di ridurne  la produzione.

L’Europa, all’interno del processo di implementazione della Green Economy stabilisce, come indicatore di base, il raggiungimento di obiettivi  “percentuali” crescenti di Raccolta Differenziata, fino 65% entro il 2030, ma anche uno smaltimento in discarica non oltre il 10% ed un riciclaggio effettivo del 55%. Sono previste sanzioni, concordate tra gli stati membri dell’Unione, se gli obiettivi non saranno raggiunti.

Altri indicatori sono  importanti e vanno considerati, a prescindere dalle direttive comunitarie: Purezza dei materiali. Se i materiali recuperati non sono sufficientemente puri, da poter essere commercializzati o realmente riciclati, viene vanificata la raccolta differenziata che diventa un costo ed uno spreco di risorse oltre che un rischio economico per le comunità. Costo standard. Indica il costo globale del servizio come somma di tutti i suoi componenti, suddiviso per ogni singolo abitante e determina il valore finale della Tari. Ricadute economiche sui territori. Quali vantaggi ne derivano in termini di crescita del Pil regionale. I dati del settore, rilevati dalle esperienze reali, ci dicono che la raccolta differenziata incide per 1,5/2% di punti di Pil e questo a maggior ragione per una piccola economia come quella calabrese.

Guardiamo alcuni dati riportati dell’osservatorio Prezzi&Tariffe

Nel 2022 e 2023, Catanzaro ha i costi medi della Tari più bassi di ogni altra provincia calabrese, sostanzialmente sovrapponibili ai costi medi delle regione Marche che si aggirano sulle 250 euro e corrispondono ai costi medi più bassi in Italia. La tabella seguente, in questo caso dati Istat, riporta alcuni dati storici.

Si tratta di dati relativi al 2011 dove Catanzaro era fra le peggiori d’Italia, sotto il 15% e con un costo totale per la raccolta differenziata di 14 Milioni di euro (dichiarazione pubblica fatta dall’allora sindaco Sergio Abramo durante un convegno a cui ero presente) e nessuno  dei capoluoghi di provincia calabrese superava il 15% di differenziata. Catanzaro era addirittura in calo rispetto all’anno precedente.

L’appalto con “contratto a costo standard” deciso dall’amministrazione comunale e aggiudicato dalla Sieco porterà in breve tempo Catanzaro  oltre il 65% di raccolta differenziata.

Il “contratto a costo standard” consiste nello stabilire a priori un costo fisso del servizio per che comprenda la somma di tutti i costi, compresi quelli di conferimento in discarica, di norma a carico del comune.

Tutti i costi passano a carico della ditta appaltatrice generando un interesse della ditta ad operare bene e raggiungere alte percentuali di raccolta e riducendo, in questo modo, la spesa relativa al conferimento in discarica. Aumentando le percentuali di raccolta la ditta riduce le spese realizzando un “margine di impresa” tanto più consistente quanto più abbatte il conferimento in discarica. Direi “l’uovo di Colombo”, che nel contesto sarebbe stato consigliato all’amministrazione.

La Sieco, su quella base contrattuale, ha potuto svolgere  un ottimo lavoro ed anche l’attuale amministrazione sta investendo nell’innovazione per migliorare ulteriormente il servizio.

Dal documento Stato, rifiuti, Calabria 2024 piuttosto corposo e ben fatto, in cui vengono analizzati i principali aspetti della differenziata in Calabria ho estratto alcuni dati per arrivare a delle conclusioni logiche da condividere con i cittadini calabresi. Vengono qui commentati i dati relativi alle percentuali di raccolta degli anni 2022 e 2023, in tutte le nostre province. Si nota che Catanzaro arriva a toccare punte del 68% di Rccolta differenziata, mentre il Crotonese, rimane in coda con il 20% e Reggio Calabria è su dati negativi comparabili.

Emerge un dato sconcertante: nella nostra regione “a costi maggiori corrisponde un servizio peggiore”. L’amministrazione regionale, guidata dal presidente Roberto Occhiuto, ha deciso, con legge 10/2022 la centralizzazione della gestione dei servizi di acqua e rifiuti istituendo Arrical (Autorità rifiuti e risorse idriche Calabria), una authority alla quale i comuni trasferiscono questi servizi.

Abbiamo il massimo rispetto delle scelte della Regione e ci auguriamo che tutto funzionerà al meglio, ma l’esperienza precedente delle Ato, fallite forse per  incompetenza o forse perché zavorrate da costi della dirigenza sproporzionati e senza relazione con il raggiungimento di risultati concreti, non ci rassicura. Un’organizzazione centralizzata non basta a garantire che le cose miglioreranno, viste le patologie organizzative che si sono succedute negli anni.

Quello che interessa in questo momento è il messaggio politico da parte di Italia Del Meridione, in quanto forza politica che intende rispondere ai bisogni dei cittadini calabresi in maniera positiva e concreta senza demagogia o ipocrisia e parlando di temi reali.

Elementi chiave per Idm sono:  Costo standard. Dobbiamo partire dal costo medio di Catanzaro e fare in modo che il costo delle bollette si adegui a quel valore in tutta la regione, non il contrario. Flussi di cassa. Leggo questo termine tecnico e, da profano, capisco che significa garantire che ci siano  risorse economiche  stabili, provenienti dal pagamento delle utenze da parte dei cittadini ma, vista la condizione sociale devastata della nostra regione, non sarà cosi semplice ottenerli. Tuttavia, se desideriamo stabilità economica, evitiamo almeno  che la gente paghi  bollette esose a fronte di servizi pessimi. Dirigenza.  la dirigenza dovrà essere in grado di raggiungere obiettivi misurabili e relativi al raggiungimento di obiettivi di budget trasparenti. Una sproporzione nei costi della dirigenza, sarebbe una zavorra inaccettabile sulle spalle dei calabresi.

E, ancora: Qualità del lavoro: è un elemento di cui non si parla mai. I lavoratori del settore,”operatori ecologici”, dovrebbero ricevere maggior attenzione e formazione, allo scopo di svolgere bene il ruolo di front-office (dialogo, informazione) verso i cittadini. La valorizzazione delle persone porta sempre un beneficio nel contesto sociale. I Comuni, avranno un ruolo in Arrical, ci auguriamo,  a tutela dei cittadini. Il re/mat, che significa semplicemente Recupero Materiali verrà raggiunto con la partecipazione attiva dei cittadini e quindi pensiamo ad istituire  un “sistema premiante” per gli utenti che collaborano in modo consapevole. La vendita del materiale dovrà essere finalizzata ad un ulteriore abbattimento dei costi standard e realizzare un introito economico a garanzia della regolarità dei “flussi di cassa”. Prima di arrivare  ad attivare l’agenzia delle entrate, i costi dei servizi erogati, dovranno essere congrui e i  dati rispecchiare la  buona qualità del servizio. Infine, dovremmo iniziare a pensare ad un polo industriale del riciclo, in Calabria, per creare lavoro qui, nella nostra regione. Ritengo che il “messaggio politico” sia sufficientemente chiaro.

“Italia del Meridione” vigilerà sull’evoluzione di questa nuova  “centralizzazione”, soprattutto sugli aumenti delle bollette di cui non si parla mai nei convegni. Invitiamo le associazioni dei cittadini, la rappresentanza politica di ogni orientamento e le amministrazioni a fare la stessa cosa.

Desideriamo portare la Raccolta differenziata regionale ad essere fra le prime in Italia per la qualità del servizio ed obiettivi raggiunti e non vogliamo sprecare questa possibilità. Osare ed  agire per ribaltare l’immagine zeppa di pregiudizi su di noi calabresi. Quante volte abbiamo ascoltato la frase “la Calabria è bellissima ma sporca”.

Va intrapreso un percorso ed operata una scelta politica, a favore  della salubrità  dell’ambiente in cui si svolge vita umana e quella degli gli altri esseri viventi, che dipendono, per la propria sopravvivenza, anche dalle nostre scelte.

La Calabria è bellissima. (glm)

[Giovanni Lamanna è responsabile Ambiente della Direzione regionale Calabria di Italia del Meridione]