EUROPA E PORTI, AL PROGETTO FATTIBILITÀ
SERVE IMMEDIATA AZIONE RIFORMATRICE

di ERCOLE INCALZA – Stimo ed apprezzo l’operato del Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Rixi per questo motivo le considerazioni che farò hanno solo una finalità: superare un momento critico della nostra offerta portuale ed interportuale. In realtà stiamo vivendo una sommatoria di emergenze che rischia di compromettere la intera logistica che caratterizza tutte le attività presenti nel nostro Paese.

Elenco di seguito, in modo sintetico, alcune preoccupanti criticità.

Nelle riforme della Unione Europea che sicuramente saranno varate nel prossimo autunno vi è l’annullamento del ricorso al “diritto di veto” da parte dei singoli Stati. Una proposta che senza dubbio è condivisibile perché solo in tal modo sarà possibile evitare la stasi decisionale della Comunità su scelte strategiche essenziali, tuttavia l’annullamento del ricorso al “veto” dovrà imporci un codice comportamentale adeguato nella definizione delle nostre linee strategiche, dei nostri programmi. Infatti ritengo utile ricordare che nel 1986 il Belgio propose una rivisitazione gestionale del porto di Ostenda con dei particolari abbattimenti dei costi per gli attracchi e per gli stoccaggi e noi imponemmo il veto perché dannoso per la offerta portuale del Mediterraneo; nel 1992 l’Olanda, la Danimarca e la Germania presentarono una proposta di gestione autonoma dei loro porti con sostanziale abbattimento dei costi logistici e noi ponemmo il veto, nel 1996 la Francia propose un rilancio funzionale del Porto di Le Havre inserendo appositi sconti per il containers con dimensioni da 40 piedi e, insieme ad altri Paesi, ponemmo il veto ad una simile proposta.

Tutto questo, quindi, ci impone una immediata azione programmatica e riformatrice che ci consenta di essere competitivi in caso in cui alcuni Paesi della Unione Europea dovessero attuare scelte davvero preoccupanti antitetiche alla nostra offerta portuale ed interportuale. Oltre ai Paesi del Nord Europa prima indicati non sottovalutiamo la Polonia, la Lituania, la Estonia e la Lituania.

È vero che il settore della cosiddetta “economia del mare” o “blue economy” oggi vale il 9,1% del Pil, cioè circa 160 miliardi di euro ma è anche vero che stiamo assistendo all’abbandono della bandiera italiana da parte degli armatori ed i dati parlano chiaro: nel 2012 la flotta italiana aveva una capacità di 18 milioni di tonnellate di stazza lorda, dal 2022 al 2023 abbiamo assistito ad una riduzione dell’8%; questo calo, come ha detto il Presidente di Confitarma, testimonia che per una serie di motivi il commercio e lo shipping italiani non è competitivo.

Dal 2024, la direttiva Ue 2023/959 estenderà l’Eu Ets (European Union Emissions Trading System – Eu Ets) al trasporto marittimo, imponendo limiti alle emissioni di CO2. Questa mossa, che mira a ridurre del 43% le emissioni entro il 2030, presenta sfide tecniche e logistiche per gli armatori, richiedendo innovazioni nel tipo di combustibile e nelle infrastrutture portuali, in un settore cruciale per il commercio globale. Ma l’impatto sarà davvero rilevante: nel 2024 avrà sul settore shipping un impatto di 6 – 7 miliardi di euro e, addirittura dopo il 2026, di 15 – 18 miliardi di euro l’anno.

La crisi nel Mar Rosso; una crisi che si pensava durasse poche settimane e che invece ormai ha portato ad una rivisitazione sostanziale dell’uso del Canale di Suez creando problemi sostanziali per la portualità del Mediterraneo e per l’articolata evoluzione delle politiche e delle strategie di altri Paesi interni ed esterni all’Unione Europea nel costruire nuovi assetti programmatici nella gestione dei propri impianti portuali.

Il ruolo del Mar Nero nel sistema internazionale della portualità mediterranea. A tale proposito non posso non ricordare due distinte scelte: Quella di Erdogan relativa alla realizzazione di un Canale parallelo al Bosforo (Canale Istambul) lungo 45 Km per aumentare la fluidità dei transiti tra il Mar Nero e il Mediterraneo; La proposta varata dal nostro Paese nel 2003 in occasione del Piano dei Trasporti irakeno (redatto sempre dal nostro Paese) di un Corridoio terrestre che dal porto di Bassora avrebbe raggiunto Bagdad – Mossul – Ankara ed il porto di Anaklia sul Mar Nero (proposta poi supportata da un Consorzio di imprese italiane nel 2012). Tale corridoio terrestre era a tutti gli effetti un’alternativa al canale di Suez. Un mese fa la Cina ha avviato i lavori del porto di Anaklia in Georgia (valore 2,6 miliardi di euro) e quanto prima avvierà il progetto dell’asse terrestre Bassora – Mossul – Ankara – Anaklia.

E noi siamo fermi con una offerta dei nostri porti e dei nostri interporti che non è in grado di affrontare, in modo organico, queste emergenze che, nell’arco di pochi anni, rischiano di mettere in crisi un indicatore già preoccupante quale quello che da almeno dieci anni caratterizza la movimentazione dei nostri porti: 450 milioni di tonnellate di merci e 10 milioni di Teu (container lungo 6 piedi). A tale proposito io ricordo sempre che tre porti quello di Algeciras, quello di Valentia e quello del Pireo, nello stesso periodo, sono passati da una soglia di 2 milioni di Teu ad oltre 5 – 6 milioni di Teu.

Occorre, quindi, con la massima urgenza, dare vita ad una riforma del nostro impianto logistico e ritengo che un simile processo riformatore dovrà rispettare il seguente codice comportamentale: Una organica azione riformatrice mirata sia alla portualità che alla interportualità; una motivata e responsabile identificazione dell’autonomia finanziaria degli organismi preposti alla gestione sia dei porti che degli interporti; una riaggregazione delle Autorità di Sistema portuale ed interportuale. Il Mezzogiorno, ad esempio, dovrebbe avere solo tre Autorità di Sistema Portuale ed Interportuale strettamente fra loro interagenti; riporto solo una possibile articolazione con i possibili Hub; sistema basso Adriatico e Jonio comprensivo degli impianti di Bari, Taranto, Brindisi e interagenti con gli Hub interportuali di Cerignola, di Bari Lamasinata, di Tito, di Francavilla; sistema basso Tirreno e Jonio comprensivo degli impianti di Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Reggio Calabria, Crotone e Corigliano interagenti con gli Hub interportuali di Nona Marcianise, di Battipaglia, di Benevento, di Castrovillari e del retroporto di Gioia Tauro; sistema delle due isole Sicilia e Sardegna comprensivo degli impianti portuali di Cagliari, Olbia, Palermo, Termini Imerese, Catania, Gela, Siracusa e Trapani e interagente con gli Hub interportuali di Catania, Termini Imerese, Vittoria, Nuoro.

– Il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilità un apposito Fondo mirato a ridimensionare il danno creato dalla direttiva comunitaria Eu Ets; il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilita un apposito capitolo finanziario mirato a ridimensionare i costi della movimentazione dei container provenienti dall’Asia in modo da evitare un forte crollo della movimentazione nei nostri porti, Un capitolo di spesa che dovrebbe essere supportato anche dalla Unione Europea.

Senza dubbio sono solo ipotesi ma è bene che con la massima urgenza il Governo affronti questa preoccupante crisi; se ritardiamo anche solo di un mese rischiamo di rendere irreversibile questa grave crisi.

Ultimamente il Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi ha dichiarato: «In autunno il Governo affronterà il tema della riforma portuale; chiederò un’accelerazione perché dobbiamo intervenire sul tema delle concessioni, sulla digitalizzazione, irrobustendo la governance; in realtà cercando di avere una governance centrale per indirizzare uno sviluppo armonico del sistema logistico nazionale».

Parole sacrosante ma già dette nel novembre del 2022, ripetute nel maggio del 2023, nel luglio del 2023, nell’autunno del 2023, nell’aprile del 2024.

Ora spero che il prossimo autunno questo impegno diventi concreto. (ei)

OCCUPAZIONE REALE, STABILE E DI QUALITÀ
IL LAVORO IN CALABRIA RIPARTE DA QUI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È con “Padel”, il Piano delle Politiche attive del lavoro, che il presidente della Regione, Roberto Occhiuto e l’assessore regionale al Lavoro, Giovanni Calabrese rispondono «a tutte le incertezze» in un territorio in cui «il lavoro per poter vivere in una regione come la nostra è fondamentale e importante».

Un programma, quello di Padel, stilato con grande anticipo – ha spiegato Calabrese nel corso della conferenza stampa – «attraverso una serie di avvisi importanti che metteremo in campo entro il prossimo anno», ha detto Calabrese, sottolineando il cambio di passo da parte del Governo regionale, «un approccio culturale diverso nell’affrontare queste problematiche».

Sono 13, infatti, gli interventi in programma per l’occupazione, per un totale di 183 milioni di euro.

«Il nostro obiettivo – ha sottolineato l’assessore Calabrese – è quello di raggiungere 10 mila persone con le misure di politica attiva del lavoro: questo sarebbe un grande segnale di cambiamento per far restare i nostri giovani in Calabria».

Ma un primo cambiamento c’è già stato, per il presidente Occhiuto: «credo che questo governo regionale sia l’unico nella storia degli ultimi 30 anni a non aver ampliato il bacino dei precari, anzi ad aver lavorato per contenerlo, per assorbirlo con iniziative rivolte alla stabilizzazione».

«Con questo Piano – ha aggiunto Occhiuto – abbiamo voluto programmare, con fondi PR Calabria Fesr-Fse+ 2021 – 2027, nuovi interventi, 13 per la precisione, raggruppati in quattro tipologie con interventi rivolti all’autoimprenditorialità, all’occupazione, formazione e competenze, servizi per il lavoro, la maggior parte dei quali in avvio entro fine 2024 e alcuni nei primi 6 mesi del 2025».

«Mi piace che una parte di queste risorse – ha aggiunto – siano state destinate a sviluppare percorsi per incentivare il lavoro da remoto, che diventa anche un modo per rigenerare i nostri borghi che rischiano di morire perché non c’è più la presenza dei giovani».

Padel, infatti, è uno strumento, nuovo e strategico, concepito in sinergia tra Dipartimenti Lavoro e Programmazione Unitaria della Regione, con l’obiettivo di garantire nuove forme di lavoro in Calabria, ma non solo: è «un Piano pensato per i giovani, le donne e i lavoratori svantaggiati con una serie di importanti misure dirette a migliorare l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro, a promuovere un lavoro di qualità, a potenziare l’integrazione pubblico-privato e le competenze digitali e verdi», ha ribadito Occhiuto.

«Un altro nostro obiettivo di cui si tiene conto in questo Piano – ha proseguito il Governatore – è quello di far diventare l’immigrazione una circostanza, un’occasione, per creare un tessuto di lavoro diffuso sul territorio, attraverso lo stimolo verso iniziative di cooperazione per i tanti migranti che la Calabria accoglie».

Ma non solo: «La nostra priorità – ha evidenziato Calabrese – è quella di fare in modo che i calabresi possano rimanere in Calabria attraverso un lavoro vero, attraverso una formazione di qualità andando a risolvere le problematiche serie che vengono dal passato e soprattutto programmando in base alle esigenze delle aziende calabresi».

Occhiuto, concludendo il suo intervento, ha ringraziato l’assessore Calabrese e i dipartimenti regionali Lavoro e Programmazione, con i dirigenti generali, Fortunato Varone, Maurizio Nicolai – presenti alla conferenza stampa – «per il lavoro svolto, per la stesura di un Piano che prevede incentivi anche per l’auto-imprenditoria femminile e per l’economia sociale». Dello stesso parare Calabrese che, ringraziando Nicolai e Varone, ha ribadito come «insieme si sta portando avanti l’indirizzo politico del presidente Occhiuto e del governo regionale».

«È un momento importante e di grande soddisfazione», ha sottolineato Calabrese, spiegando l’iter di Padel, «frutto di uno studio approfondito della situazione economica calabrese».

«Finalmente  – ha aggiunto – si inizia a programmare e non più a lasciare al caso avvisi sporadici. Siamo di fronte ad una programmazione importante che nasce anche dal confronto con le associazioni di categoria e con i sindacati, dalla concertazione al Tavolo per il lavoro».

«Siamo partiti da zero – ha continuato – da un momento in cui non c’era nulla, mancava anche una norma di riferimento e con l’approvazione della legge sulle politiche del lavoro, con la costituzione del Tavolo, con l’agenzia per il lavoro, oggi siamo arrivati a presentare questo Piano che prevede risorse importanti per 183 milioni di euro attraverso una serie di misure che siamo certi e convinti porteranno occupazione seria, reale e di qualità in Calabria».

«Abbiamo anche previsto – ha spiegato – misure per il lavoro in smart working con l’obiettivo di ripopolare le aree interne, abbiamo una gamma di strumenti importanti a 360 gradi che possono rappresentare le esigenze di tutte le aziende».

I 13 interventi sono stati illustrati da Varone, sottolineando come «per la prima volta si realizza un Piano che prevede una pianificazione di numerosi interventi con una tempistica certa e con la maggior parte degli avvisi a sportello, per dare la possibilità a tutti di partecipare e di trovare sempre uno strumento utile per lavoratori e imprese».

Tra questi, spicca “Lavoro Giovani Calabria”, con cui si punta al miglioramento dell’accesso al mercato del lavoro dei giovani calabresi under 35 e a contrastare la fuga dei talenti.

«L’intervento – si legge nel bando – finanzia tirocini formativi e di orientamento nei settori dell’S3, in particolare: tecnologie Digitali, terziario innovativo; ambiente, economia circolare e biodiversità; edilizia ecosostenibile, energia e clima; blue economy; turismo e cultura; scienza della vita. I tirocini hanno una durata minima di 6 mesi e massima di 12 mesi; nel caso di destinatario giovane con disabilità, la durata complessiva arriva fino a 24 mesi. A conclusione del tirocinio, l’impresa ospitante potrà beneficiare di un incentivo una tantum per ogni assunzione a tempo determinato o indeterminato».

Interessante, poi, la Certificazione della Parità di Genere, che vuole sostenere le micro, piccole e medie imprese calabresi nel conseguimento della Certificazione di Parità di genere, disciplinata dalla legge 162/2021 e dalla legge 234/2021, che accompagna e incentiva nel promuovere percorsi finalizzati a ridurre il divario di genere e garantire pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.

«La procedura – si legge nel bando – prevede l’erogazione di voucher per le imprese che si doteranno della certificazione di genere e l’erogazione di un voucher per il mantenimento della certificazione per ulteriori tre anni, per le imprese già in possesso della certificazione».

Spazio, anche, alla formazione continua per le aziende, concedendo incentivi per le attività di formazione dei propri dipendenti, anche neoassunti, per cui sono stati stanziati 5 mln di euro. Nel bando, poi, è stata data attenzione anche al verde e alla transizione digitale, per cui sono stati stanziati 4 mln e che promuove l’offerta di formazione permanente per gli adulti, finalizzata all’aggiornamento/acquisizione delle competenze chiave, in particolare quelle verdi e digitali.

Tra gli interventi, 4.5 milioni sono stati stanziati per il recupero delle tradizioni artigianali, al trasferimento delle competenze tra generazioni e all’incremento del livello occupazionale; così come sono previsti tirocini Ue realizzati mediante il supporto specialistico della rete Eures presente nei CPI, prevede: promozione del tirocinio; orientamento professionale; assistenza e accompagnamento nella definizione del progetto formativo legato all’attivazione dei percorsi di tirocinio; erogazione di un contributo per la partecipazione al percorso di tirocinio in mobilità; validazione e certificazione delle competenze acquisite. (ams)

COSENZA CITTÀ UNICA: È UN GRAVE ERRORE
NON AVER INCLUSO MONTALTO UFFUGO

di DOMENICO MAZZA – La Regione Calabria ha fissato la data del referendum consultivo per saggiare il volere popolare sulla fusione amministrativa di Cosenza, Rende e Castrolibero.

Negli intenti, la volontà di creare una Città demograficamente importante e che acquisisca un ruolo ancor più centrale nei processi regionali e negli assetti del Mezzogiorno d’Italia. Personalmente, ho sempre accolto di buon grado i concept amministrativi forieri di migliorie per gli ambiti a cui rivolti. Non ho mai nascosto, tra l’altro, simpatie verso quei processi a cui, giocoforza, le realtà del Sud Italia e in generale del nostro Paese, dovranno adeguarsi per vincere le sfide che l’Europa metterà in campo nei prossimi anni.

Amalgama amministrativa in val di Crati: il preambolo a nuovi assetti di governance regionali 

La Città bruzia, caratterizzata negli anni da un fenomeno politico che affonda radici nei principi cardine del centralismo storico, potrebbe finalmente aprirsi, almeno alle Comunità contermini, a una visione inclusiva e non più schiacciata su sé stessa. Nel corso degli ultimi decenni, infatti, nel succinto perimetro civico, è stato accentrato l’inverosimile. Tale dissennata operazione, purtroppo, ha reso sterili i territori dirimpettai e fatto terra bruciata degli ambiti lontani dal baricentro bruzio.

Il progetto di fusione amministrativa a Cosenza, in funzione di una razionalizzazione del numero dei Comuni e nell’ambito di una prospettiva che renda la Calabria una Regione coerentemente europea, potrebbe diventare volano di svolta se accompagnato da una nuova governance del territorio regionale. I processi di tale natura, infatti, concorrono a realizzare un nuovo modello di sviluppo sostenibile e compatibile con le uniche risorse certe della programmazione europea e di quella emergenziale del Recovery. La rinnovata funzione che il ridefinito perimetro urbano acquisirebbe, a seguito della sintesi civica, potrebbe modificare la geografia dei luoghi.

I vantaggi dell’operazione avrebbero ricadute positive non solo per l’ambito strettamente cosentino, quanto per tutta l’area del Pollino-vallivo e della striscia alto-tirrenica. Potrebbe cambiare, anche, la narrazione degli equilibri politici tra il contesto vallivo del Crati e quello istimico, soprattutto se dovessero concretizzarsi le prove tecniche di nuovo ambiente metropolitano tra Catanzaro e Lamezia.

Esclusione di Montalto Uffugo dal progetto: un grave errore di valutazione

Spiace, tuttavia, prendere atto della mancata lungimiranza politica nell’aver escluso la comunità di Montalto Uffugo dalla partita amministrativa. Non aver compreso, altresì, la valenza degli investimenti che nei prossimi anni si riverseranno sulla richiamata realtà, dimostra poca visione d’insieme. Vieppiù, rischia di far passare il processo in evoluzione come la mera sommatoria di Enti finalizzata a fare cassa. Dalle nuove disposizioni in materia d’amalgama amministrativa, infatti, si evince che al superamento del tetto demografico dei 100mila ab. al nuovo Comune sarà riconosciuto, in dilazione nei dieci anni successivi alla costituzione del nuovo Ente, un bonus di 150milioni.

Inoltre, in ottica di futura realizzazione della Città Metropolitana di Cosenza (reale obiettivo sotteso alla fusione dei tre Comuni), presentare una città di 130mila ab. avrebbe avuto un appeal maggiore rispetto ad una Città di appena qualche migliaio d’ab oltre soglia 100mila. Del resto, circoscrivere la fusione cosentina al solo riassunto amministrativo di tre Comunità, ovvero pensare ad una realtà che uscirebbe consolidata demograficamente dal processo senza immaginare un suo ricollocamento nello scacchiere della interterritorialità, non sarebbe esplicativo della prospettiva più ampia.

La fusione bruzia: il processo prodromico a una nuova riforma sistemica degli Enti intermedi 

I reali desiderata che si celano dietro il progetto di fusione e che gemmeranno all’indomani della sua realizzazione, altro non sono se non il preambolo alla costituzione di una nuova Città Metropolitana. Qualora poi il disegno in atto tra Catanzaro e Lamezia dovesse concretizzarsi, la nuova governance della Regione tornerebbe ad essere quella precedente al 1992. Chiaramente, le descritte eventualità renderebbero totalmente vane le flebili narrazioni che sullo Jonio, nei primi anni ’90, hanno visto la creazione della Provincia di Crotone e più recentemente, nel contesto sibarita, la nascita della nuova Città di Corigliano-Rossano. Quanto detto, tuttavia, non deve spaventare l’Arco Jonico e le sue classi dirigenti. Al contrario, dovrebbe motivarle! Fermo restando le opportunità che, per l’ambito di riferimento, potrebbero derivare dalla fusione di Cosenza, è tempo che la Sibaritide e il Crotonese si interroghino sul fatto di imbastire la nascita di due grandi Città in riva allo Jonio.

Basterebbe, infatti, un’apertura da parte di Corigliano-Rossano e Crotone alle rispettive Comunità dirimpettaie per avviare la nuova costituzione di due realtà urbane da 100mila abitanti. Di sicuro, le descritte operazioni non avrebbero senso se inquadrate negli attuali contesti perimetrali amministrativi. Piuttosto, andrebbero avviate operazioni di ricollocazione delle due Città joniche in un unico ambito omogeneo che faccia da minimo denominatore tra aree a interesse comune.

Pertanto, lungo l’Arco Jonico, sarebbe il caso di ammainare la sciabola dell’impalpabilità politica che vede tanto Crotone quanto Corigliano-Rossano distinguersi per operazioni inconsistenti e inefficaci. Dovrebbe essere un imperativo, quindi, avviare tutte le interlocuzioni possibili per finalizzare la costituzione di un’area, demograficamente importante e politicamente rilevante, lungo gli ambiti del Crotonese e della Sibaritide.

La Grande Cosenza: modello ispiratore alla Grande Sybaris e alla Grande Kroton, per una nuova narrazione della Calabria 

In un periodo caratterizzato da processi geo-politici di grande mutamento, all’Establischment jonico corre l’obbligo di studiare soluzioni ottimali affinché il proprio ambiente non continui a essere fagocitato dai rispettivi centralismi storici. Due Città da 100mila abitanti ciascuna, inquadrate in una area vasta di oltre 400mila abitanti, avrebbero tutte le carte in regola per sedere al tavolo delle geometrie politiche regionali.

Crotone e Corigliano-Rossano hanno il dovere di fornire alle rispettive popolazioni un ragionevole tasso d’interesse che possa rappresentare il deterrente al dramma dell’emorragia demografica verso altre realtà. Continuare a perseguire strade bocciate dalla storia e dai fatti non aiuterà lo Jonio a diventare un luogo migliore. Fossilizzarsi su proposte come la Provincia della Sibaritide-Pollino per Corigliano-Rossano o, nel caso crotonese, anelare di far parte dell’area centrale della Calabria, significherebbe proseguire in azioni politiche masochistiche, condannando i territori alla soccombenza e all’impalpabilità. Mentre Cosenza, legittimamente, mira a costruire una realtà urbana che guarderà al domani con ambizione e progettualità, Corigliano-Rossano e Crotone non possono continuare a indugiare sul loro necessario futuro comune.

Vieppiù, baloccandosi in rabberciati progetti con quelle realtà che da sempre hanno agito come aguzzini nei rispettivi riguardi.

È tempo di avviare una rivisitazione degli Ambiti Territoriali Ottimali che costituiscono l’hub per la gestione dei servizi economici principali ai cittadini, ma anche centro di crescita, innovazione e sviluppo.

È tempo di aprirsi ai progetti di coesione territoriale con ingegno, visione e prospettiva.

È tempo per la Grande Cosenza, ma anche per la Grande Kroton e la Grande Sybaris.

È tempo, soprattutto, per Magna Graecia. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

EXPORT, IL GRANDE PARADOSSO DI UN SUD
PRODUTTIVO CON IL PIL PRO-CAPITE BASSO

di ERCOLE INCALZA – Senza dubbio il G7 di Villa San Giovanni in Calabria ha messo in evidenza un dato importante e sicuramente sconosciuto, a mio avviso, dalla maggior parte della intellighenzia economica del Paese; mi riferisco ai dati prodotti dall’ICE (Istituto Commercio Estero) e che riporto di nuovo sinteticamente di seguito: nel 2023 l’export italiano ha raggiunto la quota di 626 miliardi di euro, un dato che ha consentito al nostro Paese di salire al sesto posto dei principali esportatori mondiali e, sempre dal rapporto, emerge che l’export dei prodotti italiani è cresciuto del 30,4% rispetto al 2019 e del 60,5% in confronto al 2012.

Del rilevante valore di 626 miliardi di euro, valore che rappresenta la nostra forza produttiva e commerciale, quasi il 30% proviene dal Sud; su questo dato è opportuno fare una precisazione infatti il rapporto dell’Ice precisa: «La provenienza territoriale delle vendite sui mercati esteri si conferma fortemente concentrata nelle Regioni del Centro-nord, da cui proviene l’87,7% dell’export nazionale, mentre il Mezzogiorno ne attiva il 10,9%».

In realtà si dimentica che una rilevante quota di produzione agricola del Sud viene acquistata “alla pianta”, cioè alcuni mesi prima del raccolto operatori del Centro Nord scendono nel Mezzogiorno e acquistano vari prodotti che poi trasformano ed esportano; ma molta quantità di olio, di vino viene acquistata nel Mezzogiorno e messa sul mercato; analogo discorso va fatto per il comparto degli agrumi, per il comparto dei latticini. In realtà trattasi di prodotti il cui packaging viene fatto in aree del Nord e poi esportato. Ci sono vari Istituti di ricerca che hanno approfondito un simile fenomeno che, alla fine di questo mio articolo, ho definito una vera dicotomia tra la capacità di produrre e la capacità di mantenere il valore aggiunto della produzione nel territorio di origine. Lo scorso anno l’Istituto di ricerca della Coldiretti “Divulga” pubblicò un interessante lavoro sul danno causato ai processi logistici del settore agrario dall’assenza di una adeguata offerta infrastrutturale soprattutto nei collegamenti Sud – Nord e dimostrò che il danno era stato nel 2022 pari a 93 miliardi di euro. Spero che quanto prima la Coldiretti possa approfondire ulteriormente il reale contributo del Sud nell’export italiano, sono sicuro che la previsione del 30%, anche alla luce delle quantità movimentate, sarà ampiamente confermata.

Ma il Mezzogiorno oltre alla rilevanza dell’attività produttiva contiene delle condizioni legate alla componente logistica che superano la dimensione nazionale e diventano riferimento portante dell’intero impianto mediterraneo. Vengono in realtà meno le logiche localistiche delle singole realtà regionali e, nel caso specifico, diventano riferimento portante, ad esempio, i tre ambiti territoriali della Campania, della Basilicata e della Calabria.

Ma tutto questo stranamente non è congeniale con quello indicatore che vede il Pil pro capite medio delle Regioni del Sud fermo ad una soglia di 21.000 euro contro i 36.000 del Nord con punte addirittura superiori ai 42.000 euro.

Ed allora sorge spontaneo un interrogativo, o meglio una serie di interrogativi: Ma la produzione del Mezzogiorno, soprattutto quell’agroalimentare è gestita da società del Sud o esistono realtà produttive del Nord o, addirittura di altri Paesi che svolgono tali attività e assicurano non un PIL per le realtà locali ma un Pel (Prodotto Esterno Lordo)? Questo approfondimento, insisto, forse farebbe bene a farlo la Coldiretti perché deve essere un lavoro capillare; Ma la logistica delle merci prodotte al Sud è assicurata da operatori del Mezzogiorno o anche in questo caso sono determinanti le società del Nord del Paese o della Unione Europea? Esistono in questo caso dati che vanno solo aggiornati ma che portano già ad una prima conclusione: l’intero Mezzogiorno, comprensivo anche delle isole, movimenta annualmente circa 160 milioni di tonnellate; ogni tonnellata movimentata produce un valore aggiunto per le attività logistiche di circa 12 euro, cioè circa 2 miliardi di euro; di tale valore nel Sud rimane appena il 7%.

Questi due indicatori trovano anche una chiara e motivata presa d’atto: nel Sud, dei quattro impianti portuali transhipment di Cagliari, Augusta, Gioia Tauro e Taranto, svolge una attività adeguata e rilevante solo Gioia Tauro; nel Nord ci sono 8 impianti portuali attrezzati per il transhipment e per attività terminali non di transhipment; nel Sud esiste solo uno impianto interportuale organico quello di Nola Marcianise, nel Nord ne esistono, ormai adeguatamente strutturati, circa 9 ed inoltre, sempre nel Sud, pur esistendo grandi aree della produzione non esistono adeguate aree mercato.

Il sistema finanziario non agevola, o meglio, non supporta iniziative portate avanti da realtà produttive del Sud e non esistono forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP) capaci di costruire le condizioni per creare autonomie gestionali locali. Le logiche con cui vengono definiti gli incentivi legati al Fondo di Sviluppo e Coesione vanno integralmente rivisti perché in realtà dopo oltre venti anni non hanno modificato le condizioni che hanno mantenuto inalterata la presenza delle otto Regioni del Sud nell’Obiettivo Uno, cioè tutte hanno un PIL pro capite inferiore al 75% della media europea.

Questo paradosso spero emerga in un incontro internazionale come il G7 di Villa San Giovanni ed è bene che il Governo italiano comprenda che un simile paradosso non può rimanere a lungo un semplice dato statistico, una semplice conferma dell’assenza di un processo programmatico capace di ribaltare, una volta per tutte, una consolidata volontà a mantenere inalterata una dicotomia tra capacità di produrre e capacità di trasferire i vantaggi ottenuti nelle realtà territoriali generatori dei processi produttivi, logistici e commerciali.

In fondo basterebbe rispettare le regole del mercato, basterebbe rispettare le regole di una sana logistica per incrementare il dato sconcertante del PIL pro capite dell’intero Mezzogiorno. (ei)

TURISMO, SERVE UNA NUOVA STRATEGIA
CON RISORSE, STRUTTURE, INVESTIMENTI

di FRANCESCO NAPOLI – La Calabria, con il suo patrimonio naturale e culturale, ha un potenziale turistico enorme. Tuttavia, la recente stagione estiva ha messo in evidenza alcune criticità, in particolare la carenza di strutture ricettive di alta qualità e problemi legati alla gestione dei rifiuti. Per rilanciare il turismo nella regione, è fondamentale affrontare questi aspetti con una strategia ben definita.

Sviluppo di Strutture di Alta Qualità

Uno degli obiettivi principali per attrarre turisti è l’ampliamento dell’offerta di strutture ricettive a cinque stelle superior.

Investire in hotel di lusso e resort esclusivi non solo migliora l’immagine della Calabria, ma attira una clientela disposta a spendere di più per esperienze di alta gamma. Questo richiede incentivi per gli investitori, la promozione di partnership pubblico-private e una maggiore attenzione alla formazione del personale per garantire standard elevati di servizio.

Impianti di Depurazione e Gestione dei Rifiuti

Un altro aspetto cruciale è la gestione dei rifiuti e la depurazione delle acque. L’estate ha evidenziato l’importanza di impianti efficienti per garantire una pulizia adeguata delle spiagge e dei centri abitati. È fondamentale investire in infrastrutture per il trattamento delle acque reflue e promuovere la raccolta differenziata. La chiusura delle strutture non collegate al servizio di depurazione è una necessità per tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini, ma deve essere accompagnata da un piano di comunicazione per spiegare l’importanza di tali misure.

Sviluppo del Turismo Congressuale

Un settore spesso trascurato, ma con un enorme potenziale, è il turismo congressuale. Attualmente, la Calabria manca di un centro fieristico adeguato in grado di ospitare eventi, conferenze internazionali e fiere dedicate. Investire nella creazione di spazi moderni e funzionali non solo attrarrebbe aziende e professionisti, ma darebbe anche visibilità ai prodotti e ai servizi calabresi. Questo tipo di turismo può contribuire a una maggiore destagionalizzazione, portando visitatori durante tutto l’anno e stimolando l’economia locale.

Promozione del Turismo Sostenibile

Rilanciare il turismo in Calabria non significa solo aumentare il numero di visitatori, ma farlo in modo sostenibile. Promuovere il turismo ecologico, l’agriturismo e le esperienze legate alla cultura locale può attrarre visitatori consapevoli e interessati. Inoltre, valorizzare i prodotti tipici calabresi e l’artigianato locale contribuirà a creare un’offerta turistica unica e autentica.

Collaborazione e Marketing Territoriale

Infine, è essenziale una strategia di marketing territoriale coordinata che coinvolga tutte le parti interessate: istituzioni, operatori turistici e comunità locali. Campagne di promozione mirate, sia a livello nazionale che internazionale, possono mettere in luce le bellezze della Calabria e le sue potenzialità turistiche.

Conclusione

Rilanciare il turismo in Calabria richiede un approccio integrato e strategico, che combini investimenti in strutture di alta qualità con una gestione responsabile dell’ambiente e lo sviluppo del turismo congressuale.

Attirare investimenti richiede un approccio radicalmente diverso da quello visto con Baker Hughes. È fondamentale costruire una burocrazia regionale all’altezza della sfida, che promuova efficienza e rapidità nelle decisioni. Investire nella digitalizzazione, semplificare le procedure e garantire trasparenza sono passi cruciali. Solo così si potrà creare un ambiente favorevole che attragga capitali e supporti la crescita economica. (fna)

(Francesco Napoli è Presidente di Confapi Calabria)

LEGA, IL PROGETTO DELLA MACROREGIONE
È UNA SERIA MINACCIA PER IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAIl retro pensiero era “tanto poi di fronte ai Lep si fermerà tutto”. Ma con leggerezza avevano sottovalutato il tema e soprattutto la determinazione e la forza di impatto di Roberto Calderoli. Mi riferisco a Fratelli D’Italia, a Forza Italia e anche a Noi Moderati di Lupi. D’altra parte la conoscenza della legge era stata sempre molto approssimativa.

In realtà qualcuno lo aveva cominciato a dire in tempi non sospetti che il vero obiettivo erano le materie dove non erano previsti i Lep. Ma è rimasto un profeta inascoltato. Parlo di Adriano Giannola che da tempo sostiene che il vero disegno della Lega Nord, ma in realtà anche di un’aggregazione più ampia, anche di ricercatori e studiosi del Nord, appartenenti anche ad altri partiti, era quello di arrivare ad una macro regione del Nord, che in qualche modo sostituisse, peraltro con il vantaggio di continuare ad avere una colonia interna, che è il Mezzogiorno, il progetto iniziale che vedeva nella secessione il raggiungimento dell’obiettivo bossiano. 

Adesso che il disegno comincia ad essere chiaro, anche a chi riteneva che si chiudesse  la partita dando il contentino alla Lega, in modo da tenere unita e coesa la maggioranza, le preoccupazioni cominciano a nascere. Perché il contentino si sta rivelando estremamente pericoloso  per la coesione nazionale e, si teme, molto costoso per il consenso nei territori meridionali.

Sopratutto per i tre partiti della maggioranza che continuano ad avere lì una base elettorale importante. Inizialmente le voci contrarie del Centrodestra sono state molto isolate. Si pensi che solo tre deputati vicini a Roberto Occhiuto si sono rifiutati di votare a favore del ddl Calderoli. Cannizzaro,  Mangialavori e Arruzzolo.

E il Presidente della regione Calabria si trovava solo, anche all’interno del Partito, sulla posizione critica rispetto all’Autonomia che, dichiarava, sarebbe potuta  andare avanti solo quando i Lep sarebbero stati individuati e finanziati. 

Cosa estremamente difficile considerato che il costo dell’equità territoriale nei diritti di cittadinanza di base, come sanità, scuola infrastrutturazione è molto elevato.

Poi in un secondo momento fece  propria la posizione di Occhiuto anche il Segretario del Partito Antonio Tajani, che insediò un comitato per monitorare l’andamento di tale legge e non perdere di vista le problematiche che essa faceva sorgere.      

Ma approvata la legge, che in molti consideravano fosse solo una bandierina da sventolare per accontentare i leghisti più duri e puri, ci si rese conto invece che Zaia, Fontana, Cirio, insomma tutto il Nord di destra, facevano sul serio. Ed erano pronti a intavolare le trattative per alcuni temi che sembravano irrilevanti, ma che si sta vedendo che sono estremamente importanti. 

E allora vengono fuori i distinguo: Tajani che afferma che il commercio estero non può essere parcellizzato e gestito da 20 regioni. Ieri Musumeci che in una intervista, poi in parte sconfessata, evidenziava che la protezione civile ha esigenze di interventi che solo il Governo Centrale può consentirsi in termini di risorse ma anche organizzativi. 

Si potrebbe dire che i nodi vengono al pettine e che lo stupore di chi non capiva come mai Partiti come Fratelli D’Italia e Forza Italia, con un consenso  raccolto a livello nazionale e con una mission che valorizzava l’idea di Paese unito,  potessero accettare una legge che invece andava in una  direzione che molti hanno chiamata Spacca Italia,  era dovuto alla convinzione che in realtà si stesse facendo il gioco delle parti. 

 Da un lato la Lega aveva il suo contentino e la sua bandierina da sventolare sui campi di Pontida, a due passi da Bergamo, dall’altro rimaneva tutto invariato e quindi nessuno avrebbe disturbato il manovratore. 

Ora che gli inviti a stare calmi e ad aspettare vengono rinviati al mittente, in particolare dal gruppo Veneto con Zaia in testa, con una determinazione inaspettata, solo da alcuni, e con la motivazione che c’è una legge che va applicata, ci si trova davanti a difficoltà non previste e si invocano tavoli diversi da quelli previsti dalla legge, per fare in modo che i passaggi successivi non diventino quasi automatici. 

Ma l’affermazione di Salvini che dice: «indietro non si torna» evidenzia la volontà precisa di non interrompere il processo. Quindi intanto si va avanti con le materie dove non sono previsti i Lep. E per le altre si trova un sistema per cui il livello di tali servizi “essenziali” sia tale da essere compatibile  con la legge che prevede che avvenga tutto a costo zero per il bilancio dello Stato. 

L’obiettivo è quello che si dia valenza e importanza a un concetto assolutamente anticostituzionale, che è quello del residuo fiscale, unico modo per mantenere quella spesa storica che ha consentito finora l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B, con spesa pro capite per ciascuno di loro, nella sanità, nella formazione, nella infrastrutturazione, diversa, e alcune volte dimezzata, rispetto alle Regioni più favorite.

È evidente che per avere gli stessi livelli di prestazione, meglio sarebbe livelli uniformi, che sono alla base di uno Stato unitario, nel quale l’equità territoriale è la base da cui partire, come quella della progressività del prelievo fiscale, che prescinde dal territorio in cui si nasce e e si lavora, sono necessarie risorse che questo Paese non ha e che non riuscirà ad avere se i tassi di crescita continuano ad essere di zero virgola qualcosa e si vorrà tenere il 40% del territorio ed il 33% della popolazione in una posizione ancillare rispetto alla cosiddetta locomotiva, che a stento trascina se stessa. 

D’altra parte impegnarsi per far crescere veramente quella che alcuni con molta enfasi chiamano la seconda locomotiva, ma che in realtà rimane soltanto una un’area a sviluppo ritardato, dove lavora soltanto una persona su quattro, caratterizzata dai processi migratori tipici delle realtà sottosviluppate, è estremamente impegnativo. 

Perché bisogna infrastruttura bene il territorio, lottare la criminalità organizzata per evitare che sia di impedimento all’insediamento di nuove aziende, dare vantaggi fiscali assolutamente consistenti tali da far scegliere alla impresa che arriva dall’esterno, come Microsoft,  invece che Milano magari Cosenza, e  un cuneo fiscale da azzerare, che pesa  sul bilancio dello Stato in modo rilevante. 

Per far questo bisogna sottrarre risorse alle esigenze di un Nord industrializzato che, correttamente, vuole competere con la Baviera, con il Giappone, con la Cina, che oggi non ha più bisogno dell’alta velocità, già esistente, ma di un treno supersonico con tecnologia Hyperloop, del tubo che faccia spostare  a 1200 km orari. 

 E allora la via di fuga è quella di fissare i Lep  a un livello talmente basso da consentire l’attuazione del progetto, magari inventandosi un diverso costo  della vita tra Sud e Nord. Dimenticando che esso non passa attraverso una differenza tra  territori, quanto molto più probabilmente tra aree metropolitane e interne, aree agricole e turistiche. E non tenendo presente che alcune carenze di servizi di alcune aree anche se non entrano nel costo  della vita Istat appesantiscono i bilanci familiari in modo notevole. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’EOLICO NON FARÀ BENE ALLA CALABRIA
SARÀ UN DISASTRO A LIVELLO AMBIENTALE

di GIOVANNI MACCARRONEChe la Calabria sia la meta preferita per l’installazione degli impianti eolici non è dubbio. Nel novembre 2023, infatti, risultavano già attivi nella nostra regione 440 impianti eolici – il 70% si trova nelle province di Crotone e Catanzaro e sono pure in aumento le richieste di concessioni (attualmente 157 sono in corso di valutazione).

Risultano in aumento anche le richieste di installazione di impianti eolici off-shore. Di recente, in particolare, è venuta alla luce l’ipotesi di costruzione ed esercizio di un parco eolico off-shore di tipo galleggiante denominato “Enotria” nello specchio acqueo del Golfo di Squillace, a largo di Punta Stilo, nel mare Ionio.

Si tratta di un impianto eolico off-shore di tipo galleggiante composto da 37 aerogeneratori con una potenza complessiva di 555 mw posti tra circa 22 e 33 kilometri al largo della costa orientale della Calabria. Ciascun aerogeneratore di potenza unitaria di 15 mw avrà un’altezza massima complessiva di 355 m.s.l.m.

Questo ha creato un grande scompiglio. Sono diversi giorni che se ne parla. Comunque sia, “Nel bene e nel male basta che se ne parli” (lo diceva un certo Oscar Wilde).

È evidente, infatti, che in una regione come la Calabria (nota come la “terra tra due mari”), dove la principale attrazione è rappresentata appunto dal mare, è veramente devastante pensare che tra qualche anno ci troveremo a dover fare i conti con un paesaggio arricchito (si fa per dire) di strutture dotate di pale, turbine e generatori collocati in mare aperto al largo delle nostre coste.

Qualcuno dice che bisogna farsene una ragione. L’obiettivo è quello di realizzare una nuova politica energetica che assicuri la piena sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio nazionale. Per cui, per realizzare questo obiettivo, è necessario sfruttare al meglio l’enorme potenziale energetico del vento. Costi quel che costi (locuzione che Mario Draghi pronunciò il 26 luglio 2012, nell’ambito della crisi del debito europeo). Insomma siamo messi proprio male. 

Il Meridione e la Calabria in particolare devono pagare il fatto che il territorio ha una maggiore disponibilità del vento, esiste una certa profondità dell’acqua e le proprietà geotecniche del fondale marino e tale da consentire l’ancoraggio a catene delle predette strutture.

Forse è stato anche questo il motivo che di recente ha spinto il legislatore a prevede nel D.L. n. 181/2023 (“Decreto Energia”) l’introduzione di un’importante novità in materia di sviluppo della filiera dell’industria dell’eolico off-shore.

Per installare un impianto eolico di questo tipo sono necessarie grandi infrastrutture e logistica, Servono, quindi, strutture per costruire e montare le torri e i galleggianti a partire da enormi tubi di acciaio, banchine esclusive nel porto, depositi per una grande quantità di materiale, e così via, oltre all’affitto di navi specializzate, prenotate con mesi o anni di anticipo.

Consapevoli di quanto sopra è stato perciò previsto nel decreto citato (DL 9 dicembre 2023, n. 181 convertito in legge 2 febbraio 2024, n. 11) un articolo (l’art. 8) che prevede al comma 1 la pubblicazione, entro il 9 gennaio 2024, da parte del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, di un avviso volto alla acquisizione di manifestazioni di interesse per la individuazione, in almeno due porti del Mezzogiorno rientranti nelle Autorità di sistema portuale o in aree portuali limitrofe ad aree in phase out dal carbone, di aree demaniali marittime con relativi specchi acquei esterni alle difese foranee, da destinare, attraverso gli strumenti di pianificazione in ambito portuale, alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare. 

Quindi, stando a quanto sopra riportato, non solo il nostro territorio rischia di essere invaso da strutture dotate di pale, turbine e generatori da realizzarsi sulla terraferma (impianti onshore) su autorizzazione della Regione (o delle province delegate) oppure  da posizionarsi a mare (impianti offshore), dietro autorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma dovremmo assistere anche alla creazione nelle aree del Mezzogiorno di un polo strategico nazionale nel settore della progettazione, della produzione e dell’assemblaggio di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare.

I più attenti avranno notato che il testo originario del decreto-legge prevedeva l’individuazione di due soli porti (anziché “almeno” due porti) del Mezzogiorno di aree demaniali marittime da destinare alla realizzazione di un polo strategico nazionale per l’eolico off-shore.

Come è facile intuire, tutto questo consentirà la realizzazione di più aree – che dovranno necessariamente essere aree portuali del Sud Italia – destinate alla realizzazione di “infrastrutture idonee a garantire lo sviluppo degli investimenti del settore della cantieristica navale per la produzione, l’assemblaggio e il varo di piattaforme galleggianti e delle infrastrutture elettriche funzionali allo sviluppo della cantieristica navale per la produzione di energia eolica in mare”.

Il che, come è evidente, significa che di questo passo il nostro mare e le nostre coste saranno invase da enormi strutture metalliche.

Siamo alla fine (almeno per ora…) di un percorso, come si è visto, a dir poco sconvolgente.

Ma a livello ambientale quale futuro ci aspetta? Un vero e proprio disastro. È importante notare sul punto che, per la realizzazione e l’esercizio dei vari progetti, sarà necessario immettere in mare materiale derivante da attività di escavo e di posa in opera di cavi e condotte, con grave inquinamento dell’acqua marina e riduzione della biodiversità.

Inoltre, le strutture off-shore – come si è sopra detto – utilizzano un sistema di ancoraggio a catene. L’ormeggio “a catenaria” utilizza delle catene lunghissime che tengono ancorata la struttura galleggiante sovrastante, anche grazie alle ancore terminali. Tuttavia, c’è un problema: i galleggianti, e di conseguenza le catene, tendono a muoversi, sotto la spinta delle onde e delle maree, determinando notevoli problemi alla flora e alla fauna ittica (si pensi alle praterie di Posidonia Oceanica).

A tal proposito bisogna prendere in considerazione anche il rumore emesso dagli impianti che provoca un vero e proprio inquinamento acustico che, a sua volta, incide fortemente sull’ecosistema del nostro mare.

Non bisogna trascurare, poi, che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili entrano sicuramente in collisione con la tutela del paesaggio. Non è chi non veda, infatti, che spesso gli impianti off-shore risultano visibili dall’occhio umano dalla costa o unitamente alla costa. Essi, quindi, incidono negativamente sui valori paesaggistici. Ma anche quando gli impianti in questione non dovessero risultare visibile all’occhio umano (in quanto posti a circa 22 o 32 Km dalla costa), il risultato non cambierebbe, dato che essi possono tranquillamente incidere negativamente sui valori paesaggistici anche se poste a notevole distanza dai territori costieri.

In tal senso è, del resto, la Corte Costituzionale, secondo cui il paesaggio deve essere considerato «l’ambiente nel suo aspetto visivo», e che l’art. 9, secondo comma, Cost. sancisce un principio fondamentale, che vale sia per lo Stato che per le Regioni, ordinarie e speciali, con la precisazione che il riferimento testuale della norma costituzionale è alla «Repubblica», con ciò affermandosi la natura di valore costituzionale in sé e per sé del valore del paesaggio. 

Pertanto, se da una parte siamo d’accordo con chi giustamente sostiene che l’uscita dalle fonti fossili è necessaria per fermare la crisi climatica, dall’altra parte riteniamo tuttavia molto importante valutare con una certa attenzione l’eventuale pregiudizio al paesaggio derivante da un impianto eolico off-shore. Non c’è dubbio, in sostanza, che «all’interesse alla tutela del paesaggio debba essere riconosciuto, nel bilanciamento con gli altri interessi potenzialmente antagonistici (primi fra tutti quello alla tutela dell’ambiente e quello allo sviluppo delle fonti rinnovabili a copertura del fabbisogno energetico), un peso specifico particolarmente elevato, fino a giustificare, in determinate e motivate ipotesi di compromissione irreversibile di aspetti e caratteri identitari del territorio ritenuti irrinunciabili ed in assenza di alternative (quale potrebbe essere in ipotesi, l’arretramento verso il mare aperto degli impianti o l’adozione di misure di mitigazione), anche un divieto di installazione».

È del resto chiaro, in conclusione, che, siccome si è comunque in presenza di un interesse costituzionale gerarchicamente superiore, sarebbe il caso di trovare strade alternative per ridurre le emissioni di gas serra a livello globale.

Si pensi che solo nel 2020, per quanto riguarda l’Europa, è stata registrata una riduzione delle emissioni di gas serra pari al 7,6%. Le ragioni sono state direttamente collegate a un grande cambiamento delle abitudini lavorative e di vita: con lo smart working, la riduzione dei viaggi d’affari e turistici, l’intera industria dei trasporti ha visto un calo nell’uso, e di conseguenza, un crollo nelle emissioni.

Forse sarebbe il caso di ripartire da qui e crederci

Speriamo bene. (gm)

QUEL PIANO DI BILANCIO INADEGUATO PER
LE REALI ESIGENZE DI CRESCITA DEL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – È cominciato il rito delle audizioni. Dinanzi alla Camera dei Deputati è stato sentito il 7 ottobre il capo del Dipartimento di Economia e Statistica di Banca d’Italia, Sergio Nicoletti Altimari, per esaminare il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025 2029, che con un acronimo difficilissimo viene chiamato (PSBMT).

L’8 ottobre, presso la Sala del Mappamondo di Montecitorio, le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029, si è svolta l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti.    

Si è trattato di illustrare i dati fondamentali per un periodo estremamente lungo: cinque anni. La Commissione Europea vuole vederci chiaro sui progetti dei vari Paesi dell’Unione, dopo la parentesi del Covid, nella quale si è proclamato il “liberi tutti”. I temi fondamentali riguardano il debito pubblico accumulato negli anni e la sua sostenibilità, il deficit annuale, il saldo primario, le riforme necessarie che allineano i percorsi di tutti i Paesi dell’Unione, tipo la Bolkstein, l’incremento atteso del Pil e dell’occupazione. 

È un vero e proprio quadro di cosa sarà il Paese nel  periodo prossimo considerato e quindi alla fine dei cinque anni. Ma non può essere un libro dei sogni perché le poste che si presentano devono essere coerenti tra di loro ed effettivamente realizzabili. Il grande rischio che si corre è, però, che in tutte le audizioni previste ci si addentri  nelle singole poste con molta precisione e si perda di vista il quadro generale. In particolare questo problema esiste per il Mezzogiorno che di questo progetto o piano strutturale vorrebbe conoscere gli elementi fondamentali che riguardano il suo futuro. 

Tra questi quelli che interessano maggiormente sono il numero di posti di lavoro che saranno creati nel periodo considerato nell’area.  Anche in tutto il Paese, cosa altrettanto importante, ma maggiormente nelle realtà meridionali, nelle quali le esigenze sono più importanti.

Infatti la quantità di persone che dovranno andar via per cercare una ipotesi di futuro altrove, i figli e i nipoti che potranno rimanere accanto ai loro genitori e ai loro nonni, dipenderà da quel rapporto occupati popolazione che continua ad essere al Sud di una persona su quattro.

Il 36,2 per cento della domanda di lavoro sarà innescata nelle Regioni del Mezzogiorno, con la Campania (68.194 unita) e la Sicilia (56.031 unita), che coprono il 17,5 per cento della domanda di lavoro generata dal Pnrr. Cosi recita il Piano. 

Ma questa è una dichiarazione di sconfitta assoluta. Perché anche se il numero globale di saldo occupazionale fosse nei cinque anni prossimi vicino ai 500.000, e dalle previsioni del piano siamo assolutamente distanti da questi numeri, saremmo molto lontani dalle esigenze effettive che il Mezzogiorno ha per arrivare a un rapporto popolazione occupati simile a quelle delle aree sviluppo a compiuto. Quel benchmark di riferimento che è l’Emilia-Romagna, nella quale il rapporto é vicino all’uno a due. 

Altimari, per esempio nella sua audizione ha riconosciuto l’importanza del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029, nel quadro della nuova governance economica europea, approvata nell’aprile 2024, che prevede l’impegno dei Paesi membri con un elevato debito pubblico, come l’Italia, a intraprendere un percorso di riduzione del rapporto debito/Pil. E nessuno può pensare di non concordare su tale importanza. 

Ma vogliamo anche dire che il Piano prevede che, anche in costanza in parte degli effetti del Pnrr, la situazione non muterà  rispetto alla domanda di posti di lavoro necessaria per il Mezzogiorno? 

Vogliamo dire che la Zes unica, succeduta alle otto Zes, nel piano è ritenuta un fallimento visto che l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, per la quale è stata concepita, alla fine non crea quei posti di lavoro che nessuno mai si è azzardato di quantificare adeguatamente? Oppure si ritiene che i vari temi  vadano ognuno per la propria strada e siano indipendenti? Certo il Vangelo dice che è bene che la destra non sappia quello che fa la sinistra, ma in quel caso si parlava di elemosina, di fare del bene. Qui invece si analizzano  tutti gli aggregati macroeconomici, cercando di farli rimanere all’interno del range che l’Unione ritiene opportuno, ma alla fine non vi è una parola chiara sul fatto che con questi dati del Piano si prevede che perduri quel percorso che si è avuto fino ad adesso e che vede piccole crescite sia del Pil che degli occupati, certamente inadeguate rispetto alle esigenze.

Nessun  salto di qualità, nessuna crescita particolare, nessun recupero di ritardo previsto. È tutta la saggistica sul Mezzogiorno batteria d’Europa, sul Mediterraneo centrale per il prossimo futuro, sul Sud nuova opportunità e locomotiva del Paese, rimangono per le prossime grida manzoniane. 

Grida che  serviranno  per le  future campagne elettorali, per illudere i meridionali che qualcosa cambierà finalmente, in termini occupazionali, in termini di diritti. 

Il Piano dice invece quello che effettivamente avverrà con tutti i vincoli dei quali non si può tener conto a cominciare dall’enorme debito pubblico che ci fa pagare interessi importanti che sottraggono risorse agli investimenti possibili. Debito pubblico che, visto lo stato della infrastrutturazione del Mezzogiorno, nasce anche dalle grandi opere che sono state fatte in una sola parte del Paese. O dagli aiuti che sono dati alla parte produttiva che certamente nella sua maggiore dimensione è localizzata al Nord. 

Nemmeno l’opposizione evidenzia in modo adeguato le carenze del Piano, perché segue le logiche delle audizioni, perdendosi spesso nei dettagli e perdendo di vista il quadro complessivo.  

Ma è evidente che il Piano previsto forse è l’unico possibile se si tiene  conto dei condizionamenti esistenti, di realtà consolidate che non possono essere ignorate, di un appesantimento di una struttura amministrativa burocratica centrale che certo non può essere sfoltita e alleggerita in modo rapido.  La cosa più facile è il percorso degli anni passati, andare piano. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’OCCASIONE PERDUTA DI BAKER HUGHES
SFUMATO L’INVESTIMENTO A CORIGLIANO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – B

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ker Hughes ha rinunciato a investire nel Porto di Corigliano Rossano. Sfuma, così, l’ennesima opportunità di sviluppo di un territorio che ha un’insaziabile fame di lavoro, ma anche di riscatto e di rilancio di un’area portuale non valorizzata quanto dovrebbe.

Una «difficile ma inevitabile decisione», ha spiegato l’azienda che in Italia opera principalmente attraverso la società Nuovo Pignone, provocata «dall’incertezza legata ai tempi di sviluppo, rallentati da un ricorso dell’Amministrazione comunale di Corigliano-Rossano, e quindi il venire meno delle condizioni temporali necessarie per realizzare il progetto come inizialmente concepito, inclusa la concentrazione di tutte le attività in un’unica area idonea ad ospitarle, cioè la banchina».

«Baker Hughes l’ha assunta con grande rammarico – prosegue la nota – nonostante le risorse impiegate e il grande impegno dedicato nel corso dell’ultimo anno e mezzo al confronto e all’ascolto degli attori del territorio: istituzioni, parti sociali e società civile. A fronte di questa mancata espansione in Calabria, e per poter rispondere alle esigenze dei clienti nei tempi appropriati, Baker Hughes sta valutando soluzioni interne di medio termine per garantire la continuità del proprio business».

E, mentre i progetti a Corigliano Rossano sono sfumati, l’Azienda ha confermato, invece, che «gli investimenti annunciati nel proprio stabilimento di Vibo Valentia, che consentiranno di potenziarne la capacità produttiva e realizzare nuove infrastrutture, a testimonianza del ruolo della Calabria nelle strategie aziendali e nella filiera globale di Baker Hughes».

«L’azienda riconosce e apprezza l’impegno, la disponibilità e la collaborazione offerte al progetto nelle numerose e frequenti interazioni da parte di Regione Calabria, Autorità di sistema portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio, Zes, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Confindustria, organizzazioni sindacali e quanti altri siano stati coinvolti nel percorso», conclude la nota.

«Al di là di un incomprensibile e ingiustificato formalismo procedurale, la verità è che la Giunta Comunale ha dimostrato, nei fatti, che non voleva l’insediamento industriale in un porto deserto da 40 anni, condannandolo ad altri 100 anni di solitudine», ha commentato il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirreno Meridionale e Ionio, Andrea Agostinelli, ribadendo come l’Autorità di Sistema «aveva fortemente voluto, con l’appoggio convinto della Regione, degli industriali, di tutto il fronte sindacale e anche della società civile», un progetto che avrebbe portato tra Vibo Valentia e Corigliano-Rossano, la creazione di duecento nuovi posti di lavoro, indotto, sviluppo, riqualificazione industriale di un intero quadrante.

Per Agostinelli, dunque, «hanno detto no ad un’imperdibile occasione di sviluppo nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale. Hanno detto no a 200 posti di lavoro e a 200 giovani che da domani prenderanno la via del Nord per cercare la propria occupazione. Chi non ha voluto che questo progetto si insediasse nel Porto di Corigliano Calabro, si goda questa tragica vittoria».

A puntare il dito contro l’Amministrazione comunale di Corigliano Rossano è anche il presidente della Regione, Roberto Occhiuto: «ha da sempre avuto un atteggiamento ostativo nei confronti di questa multinazionale che aveva deciso di scommettere sulla Calabria.
Sono amareggiato, quasi sconfortato».

«Sto facendo di tutto per attrarre investimenti, per creare opportunità, per raccontare alla comunità nazionale e internazionale una Calabria nuova, che ha voglia di crescere, di competere e di mettersi in gioco», ha spiegato il Governatore, ricordando che incontra quotidianamente imprenditori, decisori, politici e istituzioni.

«Qualcuno, invece – e mi piacerebbe conoscere a tal proposito l’opinione dei sempre loquaci rappresentanti dell’opposizione in Consiglio regionale –, si diletta a fare il ‘signor no’ di professione – ha concluso – distruggendo senza alcuna ragione ciò che altri faticosamente provano a costruire.Un comportamento davvero incomprensibile»-

«Fa male, dopo aver profuso tanto impegno per creare un contesto favorevole ad un insediamento produttivo significativo, come quello proposto da Baker Hughes nel porto di Corigliano Rossano, vedere svanire l’opportunità di un investimento da 60 milioni di euro che avrebbe potuto cambiare le sorti di un intero territorio», ha commentato l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Rosario Varì.

«In Calabria c’è un governo regionale, guidato dal presidente Occhiuto – ha ricordato – che lavora quotidianamente per attrarre investimenti, fonti di crescita, sviluppo e ricadute occupazionali per i nostri giovani. C’è poi un’altra parte politica che, invece, lavora nella direzione opposta, condannando i territori che amministra all’oblio e facendo scappare aziende e opportunità».

Sulla vicenda è intervenuto il sindaco Flavio Stasi, ribadendo la necessità di fare chiarezza: «purtroppo, a differenza di chi racconta altro, paghiamo il fatto che da 30 anni il nostro Porto sia colpevolmente sprovvisto di pianificazione ed il Comune non poteva dare alcuna conformità urbanistica, se non violando le norme».

«Lo sapete che, nonostante questo – ha proseguito il primo cittadino – l’investimento aveva da mesi una autorizzazione valida a tutti gli effetti? Questo perchè il Comune non ha mai chiesto alcuna “sospensiva”, ma attende da un anno una proposta di pianificazione o una nuova conferenza dei servizi. Una proposta l’abbiamo persino fatta noi, senza risposta».
«Continuiamo ad essere disponibili a trovare soluzioni condivise che garantiscano l’investimento e la compatibilità con un piano di sviluppo complessivo del Porto – ha concluso – intervenendo anche nella zona industriale ed assicurando che quello di Schiavonea non diventi un porto totalmente industriale. Ovviamente nel rispetto delle procedure e delle vocazioni del territorio».

I segretari generali di Cgil Pollino Sibaritide Tirreno, Cisl Cosenza e Uil Cosenza, rispettivamente Giuseppe GuidoGiuseppe LaviaPaolo Cretella, hanno definito la rinuncia di Baker Hughes come «una notizia non certa inaspettata, motivata dall’azienda dal ricorso presentato dal Comune che ha rallentato e bloccato le fasi autorizzative e di realizzazione dell’investimento».

«Abbiamo sempre sostenuto, unitamente alle federazioni di categoria – hanno spiegato – la bontà dell’investimento per le sue ricadute occupazionali, circa 200 posti di lavori, per l’indotto che sarebbe stato generato e per le competenze che sarebbero state trasferite sul territorio. I nostri appelli rivolti all’amministrazione comunale e al Sindaco sono caduti nel vuoto. Il Consiglio Comunale non ha trovato il tempo di discutere di un argomento così importante, anche dopo una conferenza dei capigruppo aperta alle forze sociali, nella quale come Cgil, Cisl e Uil, abbiamo spiegato le ragioni del nostro si all’investimento. Un’occasione persa per il territorio. Hanno vinto le associazioni senza associati, i Presidenti del nulla. Hanno vinto le sindromi di nimby e nimto. Non nel mio giardino, non nel mio mandato elettorale. Ha vinto il nostro autolesionismo. Un investimento pienamente compatibile con le altre vocazioni della struttura portuale: pesca, commercio, diporto».
«Noi lo ripetiamo, affidare il nostro futuro soltanto alle sorti magnifiche e progressive di agricoltura e pesca, settori pur importanti, è un errore strategico – hanno ribadito –. L’investimento era ed è pienamente compatibile con queste vocazioni. Se ci fosse un solo spiraglio di riaprire la partita, tutti, nessuno escluso, dovrebbero coglierlo; il nostro è un appello accorato a tutte le Istituzioni che richiamiamo al senso di responsabilità nell’interesse di una comunità che ha fame di lavoro dignitoso. In attesa di decine e decine di navi da crociera, che sono lì, alla rada, e che aspettano solo di entrare nel Porto». (ams)

UNA CAPITALE REGIONALE DELLA CULTURA
BELL’IDEA PER MOTIVARE I PICCOLI CENTRI

di FABRIZIA ARCURIParte da Belvedere Marittimo un’importante iniziativa volta a valorizzare il patrimonio culturale della Calabria: l’istituzione del titolo di ‘Capitale Regionale della Cultura’. Durante l’ultimo Consiglio Comunale, riunitosi di recente, è stata approvata all’unanimità la proposta da presentare alla Regione Calabria.

Questo ambizioso progetto, promosso dall’assessore alla Cultura, Istruzione e Politiche Sociali della cittadina tirrenica, Raffaela Sansoni, mira a valorizzare il patrimonio culturale, artistico e paesaggistico della Calabria, ispirandosi a modelli di successo adottati in altre regioni italiane, come Veneto e Puglia. L’iniziativa punta a favorire uno sviluppo culturale e turistico sostenibile, allineandosi con la visione strategica regionale e comunale, che pone la cultura al centro della crescita dei territori e della regione.

L’Assessore Sansoni ha espresso grande soddisfazione per l’approvazione unanime dell’iniziativa, evidenziando il potenziale di questo progetto. «Con questa proposta – ha dichiarato – intendiamo dare il via a un progetto che possa coinvolgere l’intera Calabria, mettendo in luce la straordinaria ricchezza culturale e paesaggistica delle nostre città e borghi. Ogni anno, i comuni calabresi potranno candidarsi per ottenere il titolo di ‘Capitale Regionale della Cultura’, presentando progetti culturali che rappresentino l’identità, la storia e le tradizioni del nostro territorio. Si tratta di un’importante opportunità per promuovere una visione della Calabria come terra di cultura, arte e innovazione, e non solo come destinazione turistica stagionale».

La proposta di ‘Capitale Regionale della Cultura’, seguendo l’esempio della Capitale Italiana e Europea della Cultura, rappresenta un’occasione unica per stimolare non solo lo sviluppo culturale, ma anche la coesione sociale e l’inclusione. In questo modo, il patrimonio culturale diventa un motore di crescita economica e di benessere per le comunità locali.

Il progetto prevede che la Regione Calabria, attraverso un bando pubblico, selezioni annualmente una città calabrese a cui verrà attribuita la designazione. Quest’ultima dovrà dimostrare la capacità di realizzare un programma culturale di alto profilo, in grado di coinvolgere la cittadinanza e attrarre visitatori a livello nazionale e internazionale.

«La cultura rappresenta un elemento fondamentale per lo sviluppo sostenibile dei nostri territori – ha sottolineato Raffaela Sansoni –. Questo progetto ambizioso permetterà ai comuni di mettersi in gioco, di arricchire la propria offerta culturale e di collaborare con le istituzioni regionali, nazionali ed europee per attrarre nuove risorse e opportunità. Gli stessi non solo beneficeranno di una grande visibilità, ma contribuiranno anche a dare nuovo slancio all’intera regione. Questo riconoscimento avvierà, infatti, un percorso di espansione e consolidamento delle realtà culturali locali».

L’Assessore ha poi aggiunto: «Uno degli elementi chiave di questa iniziativa è il coinvolgimento delle comunità locali. Non si tratta solo di proporre eventi culturali, ma di creare un percorso condiviso che parta dal basso, con il contributo delle associazioni, delle scuole e delle imprese locali. Chi si candiderà dovrà dimostrare non solo di avere un patrimonio culturale da valorizzare, ma anche di saper coinvolgere la popolazione in un processo di partecipazione attiva. Questo favorirà un senso di appartenenza e di identità, elementi fondamentali per un progresso culturale».

Si tratta dunque di una vera e propria proposta di legge che stabilisce requisiti e criteri di selezione e si inserisce in una visione di lungo termine volta a promuovere una Calabria inclusiva, innovativa e competitiva. L’istituzione del titolo di ‘Capitale Regionale della Cultura’ consentirà infatti di mettere in rete i comuni calabresi, valorizzando le specificità di ciascuno e creando nuove opportunità di crescita non solo in termini culturali, ma anche turistici ed economici.

L’Assessore alla Cultura ha concluso affermando con grande fervore: «Ci auguriamo che la Regione Calabria accolga con favore questa iniziativa e che altri enti locali si uniscano a noi in questa visione ambiziosa. La cultura rappresenta la nostra risorsa più preziosa; se sapremo valorizzarla adeguatamente, avremo l’opportunità di costruire un futuro arricchente non solo per le nostre comunità, ma per l’intera regione. Insieme, possiamo trasformare la Calabria in un faro di cultura, innovazione e progresso». (fa)