di MARIACHIARA MONACO – Se dovessimo dare un titolo a questa storia, l’ideale sarebbe: C’era una volta in America. Non tanto per il fantastico film di Sergio Leone, ma perché alcune storie nascondono una bellezza tale da rimanerne folgorati. Ne sa qualcosa la professoressa Margherita Ganeri, Ordinaria di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università della Calabria, la quale, grazie a una serie di esperienze vissute oltreoceano, ha iniziato tra il 2008-09 ad avvicinarsi agli studi italoamericani.
– Quanto è importante includere nel canone letterario italiano gli autori italoamericani?
«È molto importante. Il discorso andrebbe allargato alla categoria di scrittori diasporici, in particolare della diaspora italiana. Molti di loro ancora oggi scrivono in italiano, quindi non si vede perché debbano essere esclusi dalla letteratura italiana contemporanea. Ma anche autori che scrivono in altre lingue, o almeno in inglese, che ormai è una lingua franca internazionale, dovrebbero in qualche modo essere inclusi, perché le tematiche che affrontano sono strettamente legate alla nostra storia».
Dopo un lungo periodo in America, la professoressa insieme ad altri suoi collaboratori, ha messo in piedi presso l’Università della Calabria l’unico centro di ricerca sulla letteratura e la cultura italoamericana di tutto il sistema accademico italiano. Si chiama Italian Diaspora Studies Seminar, ma di cosa si tratta?
«È iniziato con alcuni inviti già nel 2013-14, poi dal 2015-17 abbiamo avuto per tre anni un programma congiunto con il Calandra Institute, un istituto di ricerca dedicato alla cultura italoamericana, affiliato alla City University of New York. Loro erano molto interessati ad avviare una collaborazione con noi, anche perché la Calabria è una delle regioni da cui sono partite tante persone».
Passa il tempo, e ad oggi il centro di ricerca non si limita solo agli Usa, molto spazio è dato anche al Canada, e in generale a tutte le destinazioni mondiali in cui si è riversata la diaspora italiana. Dal 2019 anche all’Oriente, in particolare al Giappone.
«Il Clia (corso di letteratura Italo americana), invece è stato associato a una cattedra Fulbright. L’unica in ambito umanistico che c’è in Italia, e l’unica nel centro sud».
Si tratta di una cattedra molto prestigiosa, ci racconta: «C’è un concorso riservato a professori e studiosi di nazionalità statunitense, i quali concorrono e vengono selezionati, e il vincitore viene da noi per un semestre, per insegnare il corso Clia».
Gli studenti hanno la possibilità di frequentare un corso unico in Italia, e di poter interagire con dei professori americani. Quest’anno il visiting professor arriva dall’University of New Hampshire. Si chiama Piero Garofalo, e – gioco del destino – ha origini cosentine.
-Che rapporto ha lei con le sue radici?
«È un ottimo rapporto. Sono nata a Cosenza, ma sono vissuta a Paola fino a 18 anni. In seguito ho abitato a lungo a Siena e poi a Roma, e ho trascorso lunghi periodi nel Regno Unito e in USA. Poi ho deciso di ritornare, perché sono molto legata all’Unical, dove ho la possibilità di conciliare molto bene l’attività di ricerca internazionale con il lavoro in sede. Ogni anno trascorro in genere un semestre d’insegnamento o di ricerca in università all’estero. Questo mi permette di tornare con esperienze nuove. A breve andrò all’University of Toronto per tre mesi».
In una realtà così veloce e globale, lo studioso come lo scienziato ha bisogno di muoversi, di conoscere nuove realtà per poi farne tesoro, condividendo quando si ritorna ciò che si apprende all’estero, una volta ritornati alla base. Uno zaino che si svuota, rendendo tutti protagonisti di un viaggio che non hanno vissuto.
-Secondo lei, il mondo delle università italiane cosa dovrebbe prendere dal sistema americano? O viceversa, il sistema americano cosa dovrebbe prendere da quello italiano?
«Le università americane posseggono grandi patrimoni economici, però è anche vero che si tratta di un sistema privato e dunque costa molto agli studenti. Io sono a favore dell’università pubblica statale, che garantisce a tutti il diritto allo studio – afferma – il settore degli studi umanistici e letterari nel sistema di mercato delle università americane in questo momento storico si va rimpicciolendo, perché c’è una visione della funzionalità ai fini del guadagno, che non mi piace. Per quanto riguarda il mio settore di ricerca, l’Italia è un Paese culturalmente chiuso, arretrato. Nonostante le forti ondate migratorie abbiano caratterizzato e ancora caratterizzino la storia della nazione unita, gli studiosi del campo letterario hanno mostrato una chiusura pregiudiziale verso le forme letterarie derivanti dall’emigrazione, e tutt’ora la manifestano. Il termine /diaspora/ allude all’emigrazione di massa dei ceti sociali più bassi – racconta – e c’è un certo classismo tra gli studiosi».
Una “chiusura”, che si cerca di curare anche attraverso degli eventi come l’Italian Diaspora Writing Retreat 2023. Infatti nel maggio scorso, per dodici giorni, venticinque tra scrittori, poeti, saggisti e artisti americani, sono stati ospiti del Grand Hotel San Michele, a Cetraro.
«Si è discusso di tantissimi temi relativi alla diaspora, all’emigrazione, all’identità. Ci sono stati dei workshops ma anche degli spazi liberi, per scrivere. Abbiamo curato l’aspetto della riflessione culturale, ma anche quello della produzione letteraria – afferma –. La scrittrice e poetessa Maria Mazziotti Gillan, ospite d’onore del programma, ha vinto il premio Città di Cetraro».
Si tratta di un programma biennale, il prossimo sarà a maggio-giugno 2025.
«Dietro programmi come questo c’è un grande lavoro organizzativo – conclude –. Nel Writing Seminar del 2019 avevamo avuto studiosi provenienti da tutto il mondo, mentre a maggio scorso erano prevalentemente dagli USA».
Cultura, bellezza, viste mozzafiato e tanto altro.
«È anche un modo per valorizzare i nostri territori, soprattutto quelli meno conosciuti. In molti poi decidono di tornare, e attraverso il passaparola portano altre persone».
Abbiamo intervistato anche il Prof. Piero Garofalo, vincitore dell’attuale cattedra Fulbright collegata al corso Clia.
-Come si trova all’UniCal?
«Qui mi trovo benissimo – racconta – i colleghi sono molto gentili e gli studenti sono molto bravi. Io sono nato in Italia, a Pisa, ma mio nonno era originario di un piccolo paese qui vicino».
Un amore, quello per la cultura nostrana che si è sviluppato grazie all’ambiente familiare, ma anche grazie alla passione per la letteratura, la storia, il cinema.
«Ho studiato matematica ed economia, e avevo intenzione di fare il dottorato – confessa – poi ho avuto la possibilità di tenere un corso d’italiano prima di laurearmi, e l’esperienza in aula mi ha cambiato la vita. Vedere l’interesse per la lingua da parte dei ragazzi, il loro entusiasmo nell’imparare ogni giorno cose nuove, mi ha convertito da economista ad italianista».
E, se la vita è un continuo susseguirsi di sorprese, quella del prof. Garofalo ha in sottofondo uno dei maggiori capolavori di Frank Sinatra: Cycles.
-Perché?
«Racconta la storia di un uomo che viene spesso sconfitto e trafitto dalla vita, ma nonostante questo continua a sorridere – confessa – anche la migrazione è un’esperienza dove si affronta l’impossibile per sopravvivere. Chi è partito, come mio nonno, ha lasciato qui i sapori, i suoni, i profumi, gli affetti di una vita».
Come un’araba fenice bisogna risorgere dalle ceneri, sperando sempre in un futuro migliore, proprio come cantava Frank Sinatra: Life is like the seasons, After winter comes the spring. (mm)