Addio a Diego Tommasi, ex consigliere e assessore regionale

Cordoglio in Calabria per la scomparsa di Diego Tommasi, ex consigliere e assessore regionale dei Verdi. Aveva 62 anni.

Tommasi è stato da sempre impegnato nelle politiche ambientali e di tutela dei territori, in particolare della Calabria, nella sua vesti di consigliere regionale dal 2000 e successivamente, nel 2005 assessore regionale e presidente nella conferenza Stato Regioni degli assessori all’ambiente d’Italia.

Grande appassionato della pesca sportiva, ha ricoperto incarichi anche all’interno del Coni e vinto diverse manifestazioni di carattere regionale e nazionale. Lascia la moglie Ester e due figli, Silvia e Paolo. I funerali saranno celebrati domani alle ore 15 nella chiesa di San Carlo Borromeo a Rende.

«Sono addolorato per la scomparsa di Diego Tommasi, da sempre impegnato in Calabria nelle politiche ambientali e a difesa dei territori. Più volte amministratore regionale e dirigente politico, senza dubbio il suo prematuro addio lascia una grande tristezza. Anche a nome della Giunta regionale esprimo cordoglio e un profondo senso di vicinanza alla sua famiglia», ha scritto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto.

«Ci rattrista enormemente e ci coglie di sorpresa la notizia della scomparsa dell’amico Diego Tommasi, ex assessore e consigliere regionale e figura politica di spicco della nostra regione». Lo ha detto il Sindaco di Cosenza Franz Caruso che ha espresso i sentimenti del più profondo cordoglio per la scomparsa di Tommasi.

«Uomo di grande generosità, si dedicò molto al sociale. Da assessore all’Ambiente nella giunta regionale guidata da Agazio Loiero – sottolinea Franz Caruso – Diego Tommasi si distinse per una serie di iniziative a tutela dell’ecosistema e del mare, dando impulso a molteplici attività. Anche più recentemente, da Presidente di “Alleanza ecologica per l’Italia” si era molto battuto – prosegue ancora il Sindaco Franz Caruso – per l’immediata applicazione della legge cosìddetta “Salvamare” indirizzando sollecitazioni in questa direzione ai vertici della Regione Calabria, nel convincimento che la stessa legge avesse finalmente colmato un vuoto normativo che consentiva di intraprendere una nuova fase contro l’inquinamento dai rifiuti in mare, consentendo ai pescatori che li recuperavano di portarli in apposite isole ecologiche a terra, prevedendo, inoltre, a favore dei pescatori più virtuosi delle premialità. La sua vis dichiaramente ecologista, alimentata anche nel corso della sua lunga militanza all’interno della formazione politica dei Verdi, fu messa al servizio della comunità soprattutto durante gli anni in cui fu consigliere regionale e Assessore all’ambiente della Giunta Loiero. Un contributo, quello offerto da Diego Tommasi – afferma ancora Franz Caruso – proprio degli uomini e dei politici del fare e che ha portato avanti instancabilmente e con grande impegno».

Il Sindaco Franz Caruso ha, infine, indirizzato a tutti i familiari le sue condoglianze personali e quelle di tutta l’Amministrazione comunale di Palazzo dei Bruzi. (rcs)

Addio al professor Aristide Macris, studioso della grecità

Si è spento all’età di 84 anni il professor Aristide Macris nella notte fra il 19 e il 20 dicembre. Macris è sempre stato ritenuto un amico del popolo di Bova e di tutta la grecità insieme al figlio Daniele.

Studioso di Matematica all’Università di Messina nel 1959, arrivato direttamente dalla Grecia, ha poi insegnato in diversi istituti italiani prima di approdare in Calabria.

Fu politicamente impegnato nel Psiup e nel Partito comunista, fu una voce democratica contro la dittatura dei colonnelli. Come docente Macris fu fra i primi ad affrontare il tema della tossicodipendenza nelle scuole.

Macris fu anche segretario della Cgil Scuola e dei Cobas. (rrc)

Addio ad Alberto Leonetti, regista e musicista come pochi

di PINO NANOAlberto, meravigliosamente Alberto. Tenerissimamente Alberto. Straordinariamente Alberto. Alberto Leonetti era tante cose insieme da noi alla Rai, un poeta, un visionario, un artista, un grande musicista, ma soprattutto un uomo silenzioso, riservatissimo, che non conosceva una sola smorfia di disapprovazione. Pareva educato ad ascoltare gli altri, e ti dava il suo parere solo se glielo chiedevi. Mai un gesto di intolleranza, mai un’arrabbiatura, mai una parola di troppo. 

Era il garbo fatto uomo, l’educazione di un signore d’altri tempi, quasi borghese, a tratti aristocratico. Alberto ti guardava dritto negli occhi e non profferiva parola, c’erano momenti della nostra giornata di lavoro in cui pareva pensasse “ma qui sono tutti pazzi”, poi sorrideva e spariva. Un’araba fenice, una meteora in un mondo dove le schizofrenie legate al tempo che scappa via, e ai TG da chiudere, sono più di quanto nessuno abbia mai raccontato. 

Noi facevamo la riunione del telegiornale delle 14 alle dieci del mattino e lui arrivava sempre sorridente. Pareva un uomo appagato, felice, sereno, soddisfatto di quello che faceva, ma io che lo conoscevo profondamente bene sapevo che al di fuori di quelle mura, prima in Via Montesano (la sede storica della Rai in Calabria) poi in Viale Marconi (la nuova sede, quella attuale), Alberto aveva un mondo tutto suo che viveva intensamente e che riempiva i vuoti della sua esistenza. Era il mondo della musica, il mondo delle canzoni, il mondo dei parolieri, il mondo delle note e dei teatri. Fino a ieri pensavo di sapere tutto, o quasi, della sua vita, ma non era assolutamente vero.

Su Cosenza Channel il giornalista Marco Cribari ne traccia un profilo professionale che è a dir poco bellissimo, completo, dettagliato come non mai. Immagino che tra di loro ci sia stato un rapporto molto più complice di quello che Alberto aveva con me, ma da questo “ricordo” viene davvero fuori la storia affascinante e avvolgente di un musicista di talento.

«Alberto Leonetti – scrive Marco Cribari su Cosenza Channel – veniva da lontano, dai favolosi anni Sessanta, epoca in cui per i giovani di talento come lui, tutto sembrava possibile. Era la stagione dei complessi musicali e Leonetti ci mette poco a imporsi come uno dei principali interpreti della scena cosentina. Il suo gruppo si chiama “I Limbos” e anima le serate allo Young’s club di via Mario Mari, il primo locale aperto in città per la gioia di baby boomer e figli dei fiori. Alberto suona l’organo e si accompagna a Giampiero De Maria (voce), Franco Falco (basso) Giustino Zappone (chitarre e mandolino elettrico) e Mimmo Palermo (batteria). Già allora mette in mostra tutto il suo talento compositivo. Nel 1967, sotto il nome di Tomahawks, lui e gli altri – con Nicola Carnevale ed Ernesto De Paola sassofonisti di rinforzo – incidono uno dei pochi 45 giri realizzati in quel periodo da band cosentine».

Il programma radiofonico forse più famoso di Alberto Leonetti in Rai aveva anche un sottotitolo, Don Casciotta e Ciccio Panza (Le avventure di un nobile decaduto e del fido servitore in terra di Calabria), parodia in chiave popolare dei due famosi personaggi del Don Chisciotte di Cervantes. I testi e le musiche erano appunto di Alberto. Le prime 13 puntate andarono in onda dal 2 luglio 1988 al 10 ottobre di quello stesso anno, le successive 12 puntate dal 29 dicembre 1988 al primo aprile del 1989. Attori protagonisti, Angelo Lombardi e Gabriele Nicoletti. Questo fu uno dei programmi radiofonici in assoluto più seguiti della storia della Rai, il merito forse fu solo suo, di Alberto, che ne era registra e conduttore, e che col passare degli anni ne fece poi anche un appuntamento fisso di ogni palinsesto, un vero e proprio cabaret radiofonico che trattava fatti e misfatti di Calabria traendo spunto dalla cronaca e dal costume. In studio due attori e un autore che per 43 minuti amavano scherzare con il proprio pubblico. Indimenticabile Alberto.

Ho scritto ieri a Marco Cribari un messaggio personale per ringraziarlo del modo come lo aveva raccontato, ma anche per confessargli che Alberto non mi aveva mai parlato del suo incontro con Gianni Morandi e della canzone che regalò a Morandi perché ne facesse uno dei suoi successi preferiti.

«Gianni Morandi – scrive Marco Cribari – si esibisce al vecchio stadio “Morrone” e alla fine del concerto Alberto Leonetti gli passa le registrazioni dei suoi brani. Finalmente le grandi case discografiche possono accorgersi di lui, pensa, mentre consegna la bobina alla superstar italiana del momento. Attende da lui una risposta, anche solo un cenno. Che, però, non arriverà mai».

Ricordo che in Rai diventava difficile anche fotografarlo. Quando si accorgeva che qualcuno tirava fuori dal cassetto una macchina fotografica per fissare su carta fotografica momenti particolari della nostra vita di redazione, Alberto spariva, come se non ci fosse mai stato prima d’allora in quella che era la mia stanza al primo piano di Viale Marconi, ma prima ancora al terzo piano di Via Montesanto. 

Si nascondeva, scappava via, forse era un modo per sopravvivere a questa sua condizione di regista- programmista, ruolo allora quasi ibrido nella organizzazione interna delle sedi regionali, figura professionale in realtà mai usata a dovere e mai valorizzata. 

Ma lui credo se ne fosse fatta subito una ragione, e la sua vita di giorno era da noi per noi e con noi, e di sera si trasferiva altrove, a spasso con la musica.

«Molti dei suoi temi musicali – “Love island” su tutti – sembrano scritti per il cinema – racconta ancora Marco Cribari – Alberto Leonetti maneggia con sapienza e abilità la samba, il jazz, il blues, il tango e li mescola come i grandi direttori d’orchestra. La sua è musica che mira in alto, ma con un’anima sempre pop. Emulo di Piero Umiliani e Armando Trovajoli. Gli Shadows che incontrano Chopin. Questo era Leonetti. Poteva diventare una star, ma ha scelto di diventare sé stesso».

Alberto aveva 79 anni, e se ne è andato in silenzio, per come aveva scelto di vivere. Ho appreso della sua morte dai social, mi sarebbe piaciuto esserci ai suoi funerali, ma quando ho chiesto ad un collega della Rai quando fossero stati mi ha risposto “hanno già fatto tutto”.

Artista fino in fondo. Poeta più di prima. Musicista di grande talento. Uomo della solitudine e come tutti gli amanti del silenzio grande visionario. 

Ma forse ha ragione Marco Cribari, che lo conosceva meglio di me, quando scrive «Ora che il suo tempo quaggiù è scaduto, ora che lui non è più, v’è la certezza che ad attenderlo, tra le nuvole, abbia trovato un comitato d’accoglienza di tutto rispetto: l’adorata moglie Maria in primis e con lei Rino Cosentino, Dino Pisacane, Ermanno Cammarota, Frank Costa, Giusi Santoro, Raffaele Borretti e tutti gli straordinari interpreti di un’epoca ormai lontana irripetibile. Ognuno armato di strumento per salutare come si deve l’arrivo del maestro. Piace pensare che anche Ennio Morricone, attirato dal clima di festa, si sia fermato a scambiare due battute con lui. E che Totonno Chiappetta, dando di gomito a qualche angelo o santo, se ne sia uscito con una battuta vurpigna delle sue: «Chi è quel simpatico vecchietto che parla con Alberto Leonetti?».

Così va la vita. (pn)

Il “calabrese” Piero Ausilio, direttore sportivo dell’Inter, riceve il “Premio De Agazio”

Piero Ausilio, direttore sportivo dell’Inter, è stato insignito a Vibo Valentia del “Premio De Agazio”. Ausilio, nel corso della serata promossa dal giornalista Maurizio Insardà, oltre che raccontare delle proprie esperienze lavorative ha spiegato alla platea di essere calabrese di origine.

A dialogare con il direttore sportivo sono stati, oltre lo stesso Insardà, la giornalista Marika Giannini; Saverio Mirachi, presidente del Comitato regionale Calabria della Figc e Salvatore Nusdeo della Camera di commercio.

«Pur essendo nato a Milano – ha raccontato Ausilio – sono calabrese a tutti gli effetti e calabrese mi sento: l’amore per questa terra mi è stato trasmesso dai miei genitori, originari di Campana in provincia di Cosenza, e dai miei nonni. Io lo continuo a coltivare».

«Ho amato il calcio sin da bambino – ha continuato il direttore sportivo dell’Inter – giocavo bene poi a 16 anni diversi infortuni mi hanno impedito di proseguire, così ho pensato di vivere il mondo del calcio da una prospettiva diversa. Con passione e un costante impegno, sono arrivato nell’Inter di Moratti. Alla famiglia Moratti devo tantissimo».

Dopo aver ricordato la gioia del triplete del 2010, Ausilio ha ricevuto il “Premio De Agazio”: «Sono onorato di ricevere questo riconoscimento – ha detto – dedicato alla memoria di un grande sportivo al quale mi accomunano sia la calabresità che il legame con i Moratti». (rvv)

Addio al prof. Pasquale Versace, ordinario a Ingegneria dell’Unical

di FRANCO BARTUCCIL’Università della Calabria listata a lutto per la Pace messa a rischio a seguito della guerra in Ucraina, nel Medio oriente, con Gaza sotto distruzione totale, ed in varie altre località del mondo; ma soprattutto da mercoledì 7 dicembre per la scomparsa del prof. Pasquale Versace, Ordinario della Facoltà di Ingegneria dell’Università della Calabria e Professore Emerito di Idrologia, Costruzioni Idrauliche e Marittime della stessa Università, titolo conferitogli a fine carriera  con merito nel 2017, a seguito delle delibere previste a norma di legge dagli Organismi Accademici dell’Ateneo e dell’approvazione del Ministero dell’Università.

Il prof. Pasquale Versace, di origine napoletana, nel 1973 ha preso servizio all’Università della Calabria come Tecnico laureato presso la Facoltà di Ingegneria al seguito del prof. Vincenzo Marone, anch’egli di origine napoletana, che assunse fin dal suo arrivo le funzioni di direttore del dipartimento di difesa del suolo e per un periodo breve anche di pro Rettore del rettore Beniamino Andreatta e di Presidente dell’Opera Universitaria dedita a curare i servizi residenziali per gli studenti.

Il prof. Versace dal 1973 al 1975 svolse il ruolo di assistente incaricato della Cattedra di Idraulica sempre presso la Facoltà di Ingegneria; dal 1975 al 1983 fu assistente Ordinario della Cattedra di Idraulica; mentre dal 1983 al 1986 svolse le funzioni di Professore Associato; dal 1986 al 1989 Professore Straordinario; dal 1989 al 2016 fu Professore Ordinario sempre presso la Facoltà di Ingegneria dell’UniCal. Nel 2017, come sopra già scritto, ebbe la nomina di Professore Emerito di Idrologia, Costruzioni Idrauliche e Marittime, Università della Calabria.

Tutto questo in funzione di 43 anni di carriera ininterrotta arricchita di un intenso lavoro e ricerca svolto nell’Università della Calabria nel campo del dissesto idrogeologico e delle costruzioni idrauliche, tenute sotto osservazione in Calabria come in altre regioni italiane; ma soprattutto da una intensa e ricca attività didattica rivolta a migliaia di studenti che hanno frequentato i suoi corsi nell’ambito della Facoltà di Ingegneria, che lo hanno trovato in moltissimi interessato a dare il suo contributo, come relatore e non, allo sviluppo di tesi di laurea, incidendo nei loro percorsi formativi e professionali nel settore dell’idrologia e delle costruzioni idrauliche e marittime, come dell’ambiente.

Ricchissimo il suo curriculum vitae per funzioni svolte, sia all’interno dell’Università della Calabria dove ha assunto la direzione del dipartimento di difesa del suolo e del dipartimento di Ingegneria Informatica, Modellistica, Elettronica e sistemistica (Dimes); nonché ideatore e direttore del Laboratorio di Cartografia Ambientale e Modellistica Idrologica (CAMIlab); come a livello nazionale assumendo le funzioni di: Direttore del Centro di Competenza del Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri;  Componente della rete ICL (International Consortium of Landslides); Membro della Commissione Grandi Rischi del Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altro ancora, portando l’immagine in positivo dell’Università della Calabria nei circuiti scientifici e politici nazionali e regionale, come internazionali, ricordando il ruolo svolto in qualità di responsabile dei progetti internazionali tra l’Università della Calabria ed il Politecnico di New York e l’Università Marquette di Chicago.

Ritornando alle funzioni svolte all’interno dell’Università della Calabria sono da ricordare la presidenza del Consiglio del corso di laurea in ingegneria civile dal 1986 al 1989; nonché la presidenza del Consiglio del corso di laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, dando il suo apporto fondamentale per la sua istituzione come anche all’attivazione del dipartimento di ingegneria per l’ambiente e il territorio a seguito dell’entrata in vigore della legge di riforma universitaria del 2008 del Ministro Gelmini.

Si è occupato molto di protezione civile avendo fatto parte del primo nucleo di protezione civile, costituito nel mese di gennaio del 1973 dal Rettore Beniamino Andreatta all’Università della Calabria, per un intervento assistenziale e di studio nel Comune di Fabrizia, in Provincia di Vibo Valentia, interessato da un vasto dissesto idrogeologico. Una esperienza ed un pronto intervento che l’Università della Calabria ebbe modo di riproporla nel 1978 in occasione del terremoto verificatosi in Irpinia.

In materia di protezione civile è il caso di ricordare le funzioni assunte quale: responsabile scientifico dell’accordo tra Protezione Civile Regione Calabria e Università della Calabria per l’attuazione dell’OCDPC n. 473/2017; nonché di responsabile scientifico dell’accordo tra Protezione Civile Regione Sardegna e CINID per delimitazione delle zone di allertamento e per la determinazione delle soglie pluviometriche. Da segnalare che ha pure svolto il ruolo di responsabile dell’accordo triennale, 2019-2021, con il Dipartimento di Protezione Civile per “criteri di allertamento, valutazione delle conseguenze e preannuncio di eventi idrogeologici estremi relativi al rischio da frana e da Inondazione.

In Calabria si occupò delle alluvioni che coinvolsero Vibo Valentia e Crotone per le quali presentò uno studio idrologico e idraulico e la mappatura delle aree a rischio di inondazione. Per non parlare della frana di Sarno in Campania. Ha curato vari Master all’UniCal di specializzazione in materia di esperti in tecnologie innovative per l’ambiente, come per la previsione/prevenzione del rischio idrogeologico. Ha organizzato numerosi convegni scientifici a carattere regionale, nazionale ed internazionale. Dal suo lavoro di ricerca e studio sono scaturiti oltre 200 pubblicazioni tecnico scientifiche, che saranno di grande utilità per le nuove generazioni di studenti e professionisti del settore.

Essendo entrato in quiescenza nel 2016 l’ultima generazione degli studenti d’ingegneria non ne conoscono la figura ed il ruolo svolto per gli studi d’ingegneria; ma per 43 anni n’ è stato un animatore, per come hanno riconosciuto alcuni docenti dell’Università, suoi colleghi (in tutto 20 ed alcuni di loro anche in funzione di direttore di dipartimento), che hanno manifestato il loro dispiacere e condoglianze alla famiglia mediante il giornale interno di comunicazione “Mercurio”. Ben poca cosa se pensiamo all’intera comunità dell’Università che si assesta, in base agli ultimi dati noti, attorno alle 25 mila unità guardando alla presenza pure dei docenti e non docenti. In questo momento è mancata la comunicazione di lutto da parte dell’intera istituzione dell’Ateneo e questo fa male pensando a quello che hanno dato e consigliato i padri fondatori nella realizzazione della nostra Università che la vedevano come una creatura unica nel nostro Paese, un centro di alta formazione e ricerca innovativa guidato da un profondo spirito umano, sociale e solidale. Era costume e regola che ad ogni scomparsa di docente o non docente l’UniCal ne dava comunicazione attraverso apposito necrologio che veniva pubblicato sui giornali locali tramite l’interessamento dell’ufficio stampa di Ateneo, per non essere una istituzione chiusa e disumana. Primeggiava il valore di una comunità o meglio di una famiglia.

Il prof. Pasquale Versace ha finanche concorso nel mese di maggio 2007 per divenire Rettore dell’Università della Calabria avverso il Rettore uscente, prof. Giovanni Latorre, che la spuntò in una campagna elettorale molto dura per effetto della modifica del regolamento che prevedeva per tutte le figure dirigenziali dell’Ateneo solo due mandati di quattro anni.

Attraverso “Mercurio” il prof. Latorre ha inteso rivolgere al prof. Versace queste parole: «Caro Lino, tu che con la tua grande presenza intellettuale ed umana non sei mai passato inosservato in tutti gli ambienti che hai frequentato te ne sei andato in punta di piedi. Con te se ne vanno anche tanti bei ricordi ed un’antica amicizia nata nel lontano 1972 a Bari, dove eravamo per il servizio militare e dove cominciammo a parlare delle opportunità che si aprivano con la imminente nascita dell’Università della Calabria. Alla costruzione del nostro Ateneo hai lavorato con grande passione e lasci un vuoto incolmabile in tutti quelli che ti hanno conosciuto. Che la terra ti sia lieve, amico mio». 

Chiudiamo questo servizio con il pensiero letto sempre su “Mercurio” del direttore del Dimes, prof. Stefano Curcio, del quale il prof.Versace ne faceva parte negli ultimi anni: «Il Prof. Versace è stato una figura eccezionale, dotata di straordinarie qualità scientifiche e umane. Il suo contributo al nostro Dipartimento e all’intero Ateneo è stato enorme, caratterizzato da una dedizione senza pari all’insegnamento, alla ricerca e allo sviluppo accademico. Le sue lezioni appassionate e il suo impegno instancabile hanno ispirato intere generazioni di studenti, molti dei quali sono oggi nostri colleghi».

«Il suo impegno nella ricerca, i numerosi studi pubblicati, i ruoli occupati in prestigiosi consessi nazionali e internazionali sono chiara testimonianza del contributo che il Prof. Versace ha offerto nel settore della prevenzione dei rischi naturali e, in generale, della protezione civile. In questo momento di lutto, vorrei ricordare il Prof. Versace per il suo spirito instancabile e la sua passione per la conoscenza. La sua assenza sarà profondamente sentita da tutti noi e il suo positivo impatto sull’intera comunità accademica rimarrà sempre vivo nei nostri cuori e nelle nostre menti”. A nome di tutto il DIMES, rivolgo le più sincere condoglianze alla famiglia». 

La sua storia per come dimostra il curriculum vitae ne fa un personaggio pubblico di spessore regionale e nazionale ed è giusto il nostro interessamento anche perché fa parte della storia dei primi cinquant’anni di vita dell’UniCal che il Rettore non ha inteso celebrare per come meritava per gli effetti prodotti. El il prof. Lino Versace ne sarebbe stato un degno testimonial. Di ciò ne sono certo per l’entusiasmo che sapeva creare in segno di partecipazione e senso umano della vita. Ciao Lino. (fb)

Addio ad Aldo Turchiaro, uno dei più grandi artisti moderni

di ROSARIO SPROVIERI – «Vorrei poter regalare alcuni dei miei capolavori più famosi alla città che mi ha visto nascere e dove sono cresciuto accanto ai miei genitori e alla mia famiglia, ma vorrei ricordare che non ho più molto tempo davanti a me e che il mio orizzonte si riduce sempre di più». Il grande Alto Turchiaro è morto portandosi dietro il sogno più grande della sua vita, che era quello di poter regalare 100 quadri della sua collezione privata alla città di Cosenza, che non era la sua città natale, ma che lui amava come se lo fosse.

Abbiamo appreso della sua scomparsa quasi per caso, e con grande amarezza abbiamo scoperto che in realtà il grande artista calabrese se ne è andato il 30 agosto scorso, nel silenzio più generale di questo nostro mondo.

Aldo Turchiaro, il “patriarca dell’arte italiana”, uno degli ultimi grandi artisti ancora viventi, era nato 94 anni fa in Calabria a Celico, il paese silano che ha dato i natali a Gioacchino da Fiore.

Una vita la sua interamente percorsa sulla strada maestra dell’arte, con la A maiuscola, in perfetto unisono con il sentire di Bernardino Telesio: «L’uomo per comprendere la natura, essendo esso stesso natura, non deve far altro che affidarsi, quasi abbandonarsi ai sensi che gliela svelano».

Turchiaro, – come per il filosofo cosentino – sa che la conoscenza dell’universo è essenzialmente sensibilità, comprensione del “creato”; per questo le sue opere sono la visione armonica e melodiosa del palpitare di questo regno comune fra umani, animali natura acqua e aria.

A 94 anni appena compiuti il famoso artista calabrese, che viveva ormai a Roma stabilmente da almeno 70 anni rilanciava il suo appello alla città di Cosenza: «Vorrei poter lasciare le mie opere più belle alla mia città natale e considero Cosenza la mia città natale. Vorrei regalare alcuni dei miei capolavori più belli al sindaco della città di Cosenza perché essi rimangano patrimonio storico della mia città, ma vorrei poterlo fare prima che sia troppo tardi. Vorrei che il sindaco di Cosenza, l’avvocato Franz Caruso, mi dicono sia un grande giurista e un intellettuale come pochi, possa accogliere e fare suo il mio appello e il mio ultimo sogno, prima però che sia troppo tardi. Ogni giorno che passa il mio orizzonte si accorcia sempre di più».

Ma se ne è andato prima di poter realizzare questo che era il suo ultimo vero grande sogno nel cassetto.

Aldo Turchiaro era stato per lunghissimi anni a stretto contatto di gomito con i grandi maestri della pittura italiana contemporanea; per anni vicinissimo a Renato Guttuso, di cui è stato allievo, aiutante, stimolatore e amico; ore e ore trascorse presso lo studio del maestro siciliano di via di Villa Massimo a Roma, insieme al pittore Raffaele Leomporri. Turchiaro è stato poi successivamente insigne professore in tante accademie italiane, Firenze, Brera a Milano, e a Roma nella prestigiosa scuola di via di Ripetta.

Il maestro calabrese, agli inizi degli anni sessanta, frequentò il gruppo dei cosiddetti giovani pittori, che si avvicendavano, nel mostrare le proprie creazioni, presso le più prestigiose gallerie del fervore culturale della città di Roma. Antonello Trombadori e Alvaro Marchini, proposero – più volte -le opere dell’artista cosentino, presso la storica galleria “La Nuova Pesa” in via del Vantaggio in Roma, ove – poco prima di lui – avevano esposto Picasso e Leger, Glazunov, Guttuso, Attardi, Vespignani e Levi. Qui, Turchiaro presentò una selezione delle sue opere, relative al suo primo periodo, di matrice esistenzialista; insieme ai suoi lavori furono esposti anche i disegni di Carlo Quattrucci amico del poeta Rafael Alberti, scomparso prematuramente negli anni ottanta, alla giovane età di quarantasette anni. Quattrucci e Turchiaro erano stati co-fondatori, insieme a Marcello Confetti, Paolo Ganna, Piero Guccione, Gino Guida, Pino Reggiani e Pasquale Verusio del gruppo d’Arte: “Libertà – Realtà” che era nato sempre nell’anno ’61. Il gruppo si era proposto una nuova figurazione in contrasto con la nozione dell’astrattismo come ‘unica espressione valida di un operare moderno’.

Questo sodalizio artistico realizzò un’unica mostra, sempre nell’anno del 1961 presso la Galleria Stagni di Roma, ove riscosse un grande successo al di là di ogni aspettativa, di valenza nazionale, registrando l’attenzione di tante personalità del mondo della cultura e dei critici d’arte come Lionello Venturi.

Perfezionista e lucido nella ricerca del colore, con le sue “prismatiche rifrazioni della luce”, cacciatore di perle fra la moltitudine di arnesi, di strumenti e dei più svariati oggetti della tecnologia, prende tanto in prestito dalla meccanica e dalla robotica e affianca, e integra, il suo sconfinato universo del mondo animale, vegetale delle onde che agitano l’aria e il mare. Le ispirazioni, il metodo e la figurazione riportano a Fernand Léger alla sua visione utopica della vita, al suo modo di considerare favorevolmente il progresso tecnico e le macchine per la vita futura di tutta l’umanità.

Anche per Aldo Turchiaro – come per Leger – gli oggetti perdono consistenza materiale per ridursi alla loro funzione simbolica. Così è il mondo delle creature della natura del pianeta dell’arte di Turchiaro, che si popola magicamente di emblemi, di creature cariche di simbologia come era accaduto secoli prima, nell’arte bizantina.

L’artista cosentino ha la ricchezza delle lunghe radici della quercia, sa dello stormire delle foglie di alta quota, conosce l’arte di intrecciare i nidi degli uccelli, i guizzi delle creature dell’acqua cristallina e, le melodie del canto che uomini e donne sussurrano alla terra. Turchiaro ha saputo segnare nuovi sentieri, strade aperte agli artisti contemporanei; egli ha proposto tematiche e ha tracciato segni, fuori dai luoghi della massificazione, fuori dai concetti “sociali e astrattisti”.

Al maestro Aldo Turchiaro va riconosciuta l’originalità e l’unicità della sua vita d’artista, egli di fatto, continua ancora adesso a scrivere tramite le proprie creature – in piena autonomia – nella storia dell’arte contemporanea, ciò che il famoso critico e letterato sovietico Victor Šklovskij aveva già stampato nel lontano 1922: «il colore dell’arte non deve riflettere il colore della bandiera che sventola sulla fortezza della città”. “Lo scopo delle arti figurative non è mai stato quello di rappresentare oggetti esistenti: è stato e sarà la creazione di oggetti artistici: e cioè della forma artistica. Un quadro è qualcosa di costruito secondo leggi proprie, non imita».

Buon viaggio dunque al grande Aldo Turchiaro.

La sua vita e le sue opere rimarranno patrimonio comune del mondo, degli uomini, degli animali, degli uccelli, dei pesci, delle creature dell’aria, della terra e delle acque dei fiumi e del mare e sarebbe stato bellissimo se il suo appello, e il suo ultimo sogno terreno, fosse potuto diventare realtà proprio nella città che lui amava di più al mondo, Cosenza. (rs)

Margherita Ganeri, “fondatrice” del Centro di ricerca sulla letteratura e la cultura italoamericana

di MARIACHIARA MONACOSe dovessimo dare un titolo a questa storia, l’ideale sarebbe: C’era una volta in America. Non tanto per il fantastico film di Sergio Leone, ma perché alcune storie nascondono una bellezza tale da rimanerne folgorati. Ne sa qualcosa la professoressa Margherita Ganeri, Ordinaria di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università della Calabria, la quale, grazie a una serie di esperienze vissute oltreoceano, ha iniziato tra il 2008-09 ad avvicinarsi agli studi italoamericani.

Quanto è importante includere nel canone letterario italiano gli autori italoamericani?

«È molto importante. Il discorso andrebbe allargato alla categoria di scrittori diasporici, in particolare della diaspora italiana. Molti di loro ancora oggi scrivono in italiano, quindi non si vede perché debbano essere esclusi dalla letteratura italiana contemporanea. Ma anche autori che scrivono in altre lingue, o almeno in inglese, che ormai è una lingua franca internazionale, dovrebbero in qualche modo essere inclusi, perché le tematiche che affrontano sono strettamente legate alla nostra storia».

Dopo un lungo periodo in America, la professoressa insieme ad altri suoi collaboratori, ha messo in piedi presso l’Università della Calabria l’unico centro di ricerca sulla letteratura e la cultura italoamericana di tutto il sistema accademico italiano. Si chiama Italian Diaspora Studies Seminar, ma di cosa si tratta?

«È iniziato con alcuni inviti già nel 2013-14, poi dal 2015-17 abbiamo avuto per tre anni un programma congiunto con il Calandra Institute, un istituto di ricerca dedicato alla cultura italoamericana, affiliato alla City University of New York. Loro erano molto interessati ad avviare una collaborazione con noi, anche perché la Calabria è una delle regioni da cui sono partite tante persone».

Passa il tempo, e ad oggi il centro di ricerca non si limita solo agli Usa, molto spazio è dato anche al Canada, e in generale a tutte le destinazioni mondiali in cui si è riversata la diaspora italiana. Dal 2019 anche all’Oriente, in particolare al Giappone.

«Il Clia (corso di letteratura Italo americana), invece è stato associato a una cattedra Fulbright. L’unica in ambito umanistico che c’è in Italia, e l’unica nel centro sud».

Si tratta di una cattedra molto prestigiosa, ci racconta: «C’è un concorso riservato a professori e studiosi di nazionalità statunitense, i quali concorrono e vengono selezionati, e il vincitore viene da noi per un semestre, per insegnare il corso Clia».

Gli studenti hanno la possibilità di frequentare un corso unico in Italia, e di poter interagire con dei professori americani. Quest’anno il visiting professor arriva dall’University of New Hampshire. Si chiama Piero Garofalo, e – gioco del destino – ha origini cosentine.

-Che rapporto ha lei con le sue radici?

«È un ottimo rapporto. Sono nata a Cosenza, ma sono vissuta a Paola fino a 18 anni. In seguito ho abitato a lungo a Siena e poi a Roma, e ho trascorso lunghi periodi nel Regno Unito e in USA. Poi ho deciso di ritornare, perché sono molto legata all’Unical, dove ho la possibilità di conciliare molto bene l’attività di ricerca internazionale con il lavoro in sede. Ogni anno trascorro in genere un semestre d’insegnamento o di ricerca in università all’estero. Questo mi permette di tornare con esperienze nuove. A breve andrò all’University of Toronto per tre mesi». 

In una realtà così veloce e globale, lo studioso come lo scienziato ha bisogno di muoversi, di conoscere nuove realtà per poi farne tesoro, condividendo quando si ritorna ciò che si apprende all’estero, una volta ritornati alla base. Uno zaino che si svuota, rendendo tutti protagonisti di un viaggio che non hanno vissuto.

-Secondo lei, il mondo delle università italiane cosa dovrebbe prendere dal sistema americano? O viceversa, il sistema americano cosa dovrebbe prendere da quello italiano?

«Le università americane posseggono grandi patrimoni economici, però è anche vero che si tratta di un sistema privato e dunque costa molto agli studenti. Io sono a favore dell’università pubblica statale, che garantisce a tutti il diritto allo studio – afferma – il settore degli studi umanistici e letterari nel sistema di mercato delle università americane in questo momento storico si va rimpicciolendo, perché c’è una visione della funzionalità ai fini del guadagno, che non mi piace. Per quanto riguarda il mio settore di ricerca, l’Italia è un Paese culturalmente chiuso, arretrato. Nonostante le forti ondate migratorie abbiano caratterizzato e ancora caratterizzino la storia della nazione unita, gli studiosi del campo letterario hanno mostrato una chiusura pregiudiziale verso le forme letterarie derivanti dall’emigrazione, e tutt’ora la manifestano. Il termine /diaspora/ allude all’emigrazione di massa dei ceti sociali più bassi – racconta – e c’è un certo classismo tra gli studiosi».

Una “chiusura”, che si cerca di curare anche attraverso degli eventi come l’Italian Diaspora Writing Retreat 2023. Infatti nel maggio scorso, per dodici giorni, venticinque tra scrittori, poeti, saggisti e artisti americani, sono stati ospiti del Grand Hotel San Michele, a Cetraro.

«Si è discusso di tantissimi temi relativi alla diaspora, all’emigrazione, all’identità. Ci sono stati dei workshops ma anche degli spazi liberi, per scrivere. Abbiamo curato l’aspetto della riflessione culturale, ma anche quello della produzione letteraria – afferma –. La scrittrice e poetessa Maria Mazziotti Gillan, ospite d’onore del programma, ha vinto il premio Città di Cetraro».

Si tratta di un programma biennale, il prossimo sarà a maggio-giugno 2025.

«Dietro programmi come questo c’è un grande lavoro organizzativo – conclude –. Nel Writing Seminar del 2019 avevamo avuto studiosi provenienti da tutto il mondo, mentre a maggio scorso erano prevalentemente dagli USA».

Cultura, bellezza, viste mozzafiato e tanto altro.

«È anche un modo per valorizzare i nostri territori, soprattutto quelli meno conosciuti. In molti poi decidono di tornare, e attraverso il passaparola portano altre persone». 

Abbiamo intervistato anche il Prof. Piero Garofalo, vincitore dell’attuale cattedra Fulbright collegata al corso Clia.  

-Come si trova all’UniCal?

«Qui mi trovo benissimo – racconta – i colleghi sono molto gentili e gli studenti sono molto bravi.  Io sono nato in Italia, a Pisa, ma mio nonno era originario di un piccolo paese qui vicino».

Un amore, quello per la cultura nostrana che si è sviluppato grazie all’ambiente familiare, ma anche  grazie alla passione per la letteratura, la storia, il cinema.

«Ho studiato matematica ed economia, e avevo intenzione di fare il dottorato – confessa – poi ho avuto la possibilità di tenere un corso d’italiano prima di laurearmi, e l’esperienza in aula mi ha cambiato la vita. Vedere l’interesse per la lingua da parte dei ragazzi, il loro entusiasmo nell’imparare ogni giorno cose nuove, mi ha convertito da economista ad italianista».

E, se la vita è un continuo susseguirsi di sorprese, quella del prof. Garofalo ha in sottofondo uno dei maggiori capolavori di Frank Sinatra: Cycles.

-Perché? 

«Racconta la storia di un uomo che viene spesso sconfitto e trafitto dalla vita, ma nonostante questo continua a sorridere – confessa – anche la migrazione è un’esperienza dove si affronta l’impossibile per sopravvivere. Chi è partito, come mio nonno, ha lasciato qui i sapori, i suoni, i profumi, gli affetti di una vita».

Come un’araba fenice bisogna risorgere dalle ceneri, sperando sempre in un futuro migliore, proprio come cantava Frank Sinatra: Life is like the seasons, After winter comes the spring(mm)

Addio all’ex sindaco di Cosenza Claudio Giuliani

È morto Claudio Giuliani, di 88 anni, per due volte sindaco di Cosenza negli anni ’80. Esponente del Partito repubblicano italiano, è stato eletto mpiù volte in consiglio comunale e ha ricoperto vari ruoli negli assessorati ai Trasporti e viabilità, al Bilancio e programmazione, e all’Urbanistica.

Cordoglio per la morte di Giuliani è stato espresso dal sindaco di Cosenza Franz Caruso. «Mi rattrista profondamente – afferma – la scomparsa di Claudio Giuliani, già sindaco della città per due volte, a cavallo tra la metà del 1985 e il 15 luglio del 1986. Con lui scompare un autentico galantuomo e uno degli esponenti di spicco del Partito repubblicano sotto le cui insegne, oltre all’esperienza di aindaco, fu più volte consigliere comunale ed anche assessore ai trasporti e viabilità, al bilancio e all’urbanistica».

«Claudio Giuliani – sottolinea Caruso – è stato un politico appassionato e che, nel periodo in cui ha guidato la città ed ha ricoperto incarichi assessorili, ha lasciato un buon segno del suo passaggio e un buon ricordo. A lui mi accomunava la passione per i motori, che Claudio Giuliani divideva a metà con la passione calcistica e per i colori rossoblù. Era stato anche capitano della Primavera del Cosenza, prima di dedicarsi agli studi di ingegneria. Durante la sua gestione amministrativa fu realizzata la variante al Piano regolatore generale Vittorini. Molti ricordano il libro che scrisse qualche anno fa, ‘Corse e ricorsi – Una storia di famiglia e motori’, edito da Pellegrini, nel quale raccontò mirabilmente, con il contributo del figlio, il giornalista Camillo Giuliani, il mondo delle corse, con un corredo fotografico di particolare spessore che restituisce le atmosfere delle competizioni automobilistiche in giro per l’Italia e nelle quali furono impegnate tutte le generazioni dei Giuliani». Caruso ha poi espresso a tutta la famiglia Giuliani le più sentite condoglianze dell’Amministrazione comunale di Palazzo dei Bruzi.

A esprimere sentimenti di cordoglio anche il presidente della giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto. «Con la scomparsa di Claudio Giuliani – dice il governatore – la comunità di Cosenza perde un politico e un amministratore d’altri tempi, che nelle vesti di sindaco, assessore e consigliere ha lasciato la sua impronta nel tessuto e nella crescita della città. Figura poliedrica e dalle svariate passioni, Giuliani appartiene a una generazione, impegnata in politica e nelle istituzioni, divenuta poi punto di riferimento. A nome mio e della Giunta regionale, invio un messaggio di cordoglio e vicinanza alla sua famiglia».

Anche la presidente della Provincia di Cosenza Rosaria Succurro esprime il cordoglio suo personale e dell’amministrazione provinciale per la scomparsa di Claudio Giuliani, «già Sindaco di Cosenza negli anni ottanta, un uomo di grande spessore politico, culturale e professionale che lascia un’impronta indelebile nella storia cittadina e un’eredità importante, fatta di impegno per lo sviluppo del territorio e di valori fondati sulla solidarietà sociale e sulla legalità dell’attività amministrativa». (rcs)

Sandra Savaglio, l’astrofisica tornata all’Unical

di MARIACHIARA MONACOCerti amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Perché le storie, quelle vere, attraversano lo spazio ed il tempo. Lo sa bene Sandra Savaglio, astrofisica di fama mondiale, che dopo molteplici esperienze oltreoceano e in Europa, ha fatto ritorno lì dove tutto è iniziato: l’Università della Calabria. Come un naufrago che sa da quale porto è partito, ma non sa dove attraccherà. E forse è giusto così, perché se sei circondato dal mare tutti i giorni, quel porto poi non esiste più.

Un cerchio che si chiude, penserete, eppure c’è veramente tanto altro. Come il suo ultimo libro, Tutto l’Universo per chi ha poco spazio – tempo, un saggio che studia ed interpreta le leggi della fisica attraverso i fenomeni principali (materia, luce, forze, misure), passando per il  Sole, la Terra, il nostro sistema planetario, e tanto altro.

«È stata un’occasione per approfondire tutti gli argomenti che, in questi anni, anche se erano interessanti, ero riuscita solo ad accarezzare. Per un po’ mi ci sono dedicata, mettendo insieme appunti raccolti nel tempo su cose che ho sempre considerato particolarmente significative sul piano scientifico», confessa.

La incontriamo in un’aula, ha appena finito di fare lezione e con fare gentile, tipico dei grandi che non hanno bisogno di fare rumore ci fa accomodare al di là della cattedra, come se noi fossimo le insegnanti, e lei l’alunna. Ci sorride, inizia a raccontarci di com’è nata la sua grande passione:

«Da bambina ero affascinata dalle macchine, mi è sempre piaciuto smontare e rimontare le cose. Poi mio padre ha comprato un telescopio, ed è lì che si è accesa la scintilla. Anche le letture sono state fondamentali, in particolare Esplorando la terra ed il cosmo di Asimov, mi ha cambiato la vita».

Poi gli studi, i maestri, un professore di scienze illuminato al liceo, e la scelta di studiare fisica, come una scalata:

«Ero molto determinata, studiavo perché volevo arrivare all’obiettivo. A distanza di molti anni – racconta – sarebbe bello tornare indietro con la consapevolezza di oggi».

In un attimo riecheggiano alla mente delle immagini: i passi veloci che hanno percorso centinaia di volte le aule, le ansie, le paure. Un flashback che mescola immagini del passato con quelle del presente.

Mentre parliamo, ci chiede se avessimo visto Sliding Doors, un film su come una porta scorrevole, un elemento assolutamente imprevedibile, possa cambiare la vita di una persona in modo altrettanto imprevedibile. Proprio com’è successo a lei, occasione dopo occasione, dalla Johns Hopkins University di Baltimora, fino all’Istituto Max Planck di fisica extraterrestre a Berlino, con l’obiettivo di ricostruire l’intero puzzle della storia dell’universo, portando con sé i più potenti telescopi al mondo capaci con i loro occhi e le loro antenne di captare ogni minima perturbazione tra le stelle, le nebulose e intere galassie. 

Fino a diventare nel 2004 per la prestigiosa rivista Time, il simbolo dei giovani cervelli in fuga, che dall’Europa emigravano negli Usa: «Come si è sentita appena ha visto il suo volto sulla prestigiosa rivista? E cos’ha pensato in quel momento?»

«Non l’ho vista subito, Time ha due versioni diverse negli Usa e in Europa, ed io in quel momento mi trovavo in America – sorride – è come quando c’è stato l’atterraggio sulla luna, nel mondo è stato un grande evento, ma gli astronauti hanno realizzato il tutto quando sono ritornati sulla terra».

Poi in merito ai cervelli in fuga: «Per il nostro paese è una perdita immane, ma per gli scienziati viaggiare è naturale, la ricerca non ha confini. In Italia i soldi sono pochi e spesso vengono utilizzati male, di conseguenza i giovani non hanno lo spazio che meriterebbero di avere».

Una via difficile da percorrere quella della ricerca, soprattutto se si è giovani, e se si è donne: «Le cose sono migliorate rispetto al passato, le facoltà scientifiche sono molto frequentate dalle ragazze. La ricetta sta nell’avere ambizione e curiosità – continua – bisogna puntare in alto e fare qualcosa che nessuno ha mai fatto».

Parole che ci fanno venire in mente un’altra donna che aveva il sogno di cambiare le sorti di questa terra: Jole Santelli. Fu proprio lei in qualità di Presidente della Regione nel 2020, a proporre a Sandra Savaglio di ricoprire il ruolo di Assessora con delega all’Università, alla Ricerca Scientifica e all’ Istruzione: «L’impatto con il mondo politico è stato complicato – afferma – spesso i progetti finanziati partono in ritardo o vengono sprecati. Jole sarebbe stata la persona giusta per cambiare le cose. Aveva capito che i giovani sono la vera risorsa, e che attraverso l’università si possono fare grandi cose».

Un sogno che rimarrà solo un sogno? Chi lo sa.  Di certo, la Calabria è un posto unico per guardare le stelle: «Il nostro è un cielo ancora abbastanza buio, e la Sila è un posto meraviglioso  per osservare le stelle. A Savelli c’è anche un telescopio che consente un’osservazione più professionale».

Dopo aver varcato i palcoscenici più importanti del mondo scientifico, e con la sensazione di essere arrivata in paradiso, ecco che arriva la nostalgia di quell’inferno meraviglioso. Una questione irrisolta, una porta da riaprire perché il tempo sfugge inesorabile, e non ci sono calcoli matematici che tengano. Perché in fondo, la ragazza delle galassie lo sa, più lontano ti sposti con lo sguardo, più viaggi all’indietro nel tempo e più ottieni informazioni che appartengono all’universo giovane, primordiale. 

E, se tutto quello che osserviamo della sfera celeste è qualcosa che è già passato, Sandra come Andromeda, è la Galassia più vicina distante due milioni e mezzo di anni luce. 

«Ma qual è adesso il suo sogno nel cassetto?»

«Vorrei riuscire a trovare tempo per la ricerca, coinvolgendo i miei alunni. Ci sono delle menti brillanti che hanno bisogno di fiducia. Il fatto di aver realizzato il sogno che avevo da bambina è stata una fortuna – continua – ed è bello vedere, a distanza di tempo, alcuni alunni spiccare il volo, è una sensazione indescrivibile».

Dulcis in fundo, le chiediamo della musica che ascolta. Fa partire una canzone: Somebody to love dei Queen.

Ci accorgiamo che la sua, è una dichiarazione d’amore al sole, alle radici, quelle che rimangono tali nonostante gli anni, come delle querce secolari che non smettono mai di fare ombra ai propri figli.

«Quando l’ascoltavo da ragazza, mi piaceva così tanto. Com’è possibile che l’essere umano possa creare qualcosa di così bello?». (mm)

L’impegno politico di Ada Bastone (M5S) per la sua Calabria e i suoi giovani

di MARIACHIARA MONACOLei è Ada Bastone, una giovane donna con tanti sogni nel cassetto e una forte passione per la politica. Di Carfizzi, un piccolo paesino albanofono in provincia di Crotone, ha iniziato a muovere i primi passi tra i vicoli delle sue mura amiche:  «L’interesse per la cosa pubblica a Carfizzi si respira costantemente, e anche se cerchi di rimanere più defilato, finisci sempre per ritrovarti a dibattere con chiunque – sorride – c’è uno scambio generazionale costante, anche in famiglia la politica è stata sempre all’ordine del giorno».

Poi il trasferimento a Rende, gli anni dell’università e un nuovo mondo tutto da scoprire con la tenacia e la determinazione di sempre.

«Il mio impegno si è concretizzato proprio qui – afferma – ho deciso di unirmi alle battaglie del Movimento 5 stelle, perché quelle stesse battaglie sono sempre state un po’ le mie».

In una nazione che sta perdendo giovani, soprattutto nel Mezzogiorno, (nel 2056 si prevede che le regioni del Sud perderanno circa 1 abitante su 4), ragazze come Ada rappresentano linfa da custodire e da difendere, indipendentemente dallo schieramento politico. Perché quando si parla di diritti non ci sono bandierine che tengano.

«Ho immaginato com’è dover vivere in un territorio dove il 30% della popolazione è anziana, ultrasettantenne, e mi sono chiesta come invertire questa tendenza – ha continuato – non c’è una ricetta miracolosa per arginare questo fenomeno, ma abbiamo il dovere di garantire ai ragazzi il diritto a restare e soprattutto il diritto a tornare, spingendo la classe politica a volgere lo sguardo verso le nostre istanze».

Perché giovani che parlano ai giovani, non è uno slogan, ma una relazione che si costruisce passo dopo passo, tra un passato a tratti da dimenticare e un futuro tutto da scrivere.

«Con il nuovo corso e la guida del presidente Conte, è previsto un radicamento più capillare nei territori, anche quelli più marginalizzati – afferma – così facendo ci verrà data la possibilità d’incidere sul presente producendo la nostra personale alternativa».

Un disegno politico ampio, ambizioso, che Ada, come tanti altri suoi coetanei ha deciso di abbracciare. E se la cercate, la troverete con i suoi giornali sottobraccio, nelle manifestazioni o nei gazebo, a sostenere misure come il salario minimo:   

«Domenica 8 ottobre c’è stato il firma day, una giornata importante, perché in tutto il paese i cittadini hanno dimostrato che vogliono questa misura. Al governo non c’è nessuna apertura, e la preoccupazione è che il testo vada nel dimenticatoio. Eppure questa misura rappresenterebbe un’opportunità di riscatto sociale, soprattutto al sud dov’è molto più ampia la forbice delle diseguaglianze».

Perché non importa dove ti trovi, se a Roma o in una piccola piazza di una piccola provincia. L’importante è seguire la stella polare, perché solo lei ti riporterà a casa.

E la seconda casa di Ada è Rende: «Siamo noi giovani i protagonisti, anche qui, dove si è costituito il gruppo territoriale di cui faccio parte, guidato da Domenico Miceli. Questo processo è appena partito e proseguirà parallelamente al percorso nazionale, nato a giugno con la presentazione della nuova giovanile».

Con la voce sicura, e gli occhi lucenti di chi ama quello che fa, continua: «Il dialogo con deputati, senatori, portavoce locali, ma anche con i vari rappresentanti dei gruppi territoriali, è sempre molto diretto. Anche il confronto con i giovani di tutta Italia mi ha fatto capire che ci sono delle differenze, ma i disagi hanno più o meno gli stessi connotati».

Scopriamo che da poche ore è stata nominata referente giovane del gruppo territoriale di cui fa parte, la chiusura di un cerchio magico, dopo anni di battaglie: «Collaborare a stretto contatto con i diversi rappresentanti territoriali, e con il coordinatore provinciale Giuseppe Giorno, sarà molto avvincente. L’obiettivo è quello d’incrementare il numero di ragazzi/e nel gruppo territoriale, e iniziare a prendere contatti con realtà associative, organizzazioni o enti, che operano nell’ambito delle politiche giovanili».

Ma qual è il suo sogno politico? 

Glielo chiediamo, e dopo averci pensato un po’, confessa: «Il mio sogno è quello di rompere veramente il soffitto di cristallo, coinvolgendo le classi sociali meno abbienti, i giovani e soprattutto le donne».

Un empowerment che non sia lo specchio di un uomo solo al comando, (simbolo di un patriarcato ancora in auge), ma di un sistema collettivo, dove si può e si deve avere voce in capitolo.

Non si può predire quel che sarà, ma una cosa è certa: con la pazienza e la dedizione si possono ottenere buoni risultati. Proprio come la goccia che scava la pietra, non con la forza, ma con la perseveranza. (mm)