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Con "Good Mothers" un pezzo di Calabria è approdato su Disney+

Con “Good Mothers” un pezzo di Calabria è approdato su Disney+

di MARIACHIARA MONACOUn pezzo di Calabria è approdato, dal 5 aprile scorso su Disney +, grazie alla serie tv The Good Mothers.

Vincitrice del “Berlinale Series Award”, il racconto diviso in sei puntate, è stato ispirato dal bestseller del giornalista Alex Perry e diretto da Julian Jarrold insieme a Elisa Amoruso, e finanziato da Calabria Film Commission con il Bando per il sostegno alle produzioni audiovisive.

Le riprese hanno coinvolto diversi angoli del Reggino, a partire dalla zona del Duomo, fino al Castello Aragonese e al Lungomare Falcomatà, passando in rassegna paesaggi mozzafiato come la Tonnara di Palmi, e la vicina Fiumara.

Proprio le ambientazioni sono state tra le motivazioni che hanno portato la serie ad aggiudicarsi l’importante riconoscimento, ritirato a Berlino solo poche settimane fa: «La bella fotografia, la scenografia e le location hanno contribuito alla sensazione ultra realistica della serie,  il che è giusto considerando che è basata su fatti veri, e su personaggi della vita reale», ha sottolineato la giuria composta da Mette Heeno, André Holland e Danna.

Dunque al centro della storia c’è la ‘Ndrangheta, questa volta però, trattata dal punto di vista delle donne che hanno osato sfidarla, figure marginalizzate troppo spesso da un sistema estremamente iniquo e  patriarcale. Figlie, madri, mogli si trovano puntualmente a combattere contro le loro stesse famiglie per il diritto di sopravvivere e costruire un nuovo futuro per sé e per i loro figli. Donne che sono state disposte a disconoscere i loro padri, fratelli e mariti nella speranza di una nuova vita, trapunta di libertà.

Una serie impregnata di pathos, capace di tenere incollati davanti allo schermo milioni di spettatori ( è stata tradotta in 75 paesi), che alla fine si affezioneranno, perché no, a queste donne, continuamente messe in pericolo, ma sempre pronte, arditamente ad incastonare per i loro figli un futuro migliore.

«Il tema della criminalità organizzata viene sempre trattato dal punto di vista maschile, perché sono gli uomini ad avere il potere. Ma in questo film volevamo parlare al femminile – afferma la regista Elisa Amoruso – raccontare di quelle donne che, solo pochissimi anni fa, vivevano in famiglie così oppressive che non le permettevano di uscire di casa se non per accompagnare i figli a scuola, che non hanno scelto di diventare madri ma lo sono diventate, loro malgrado, a quindici o sedici anni. A più livelli queste strutture di patriarcato si ripropongono in tante situazioni e culture, ed è quindi importante che il messaggio possa essere portato il più lontano possibile».

Nella serie, si tocca la violenza come tensione nervosa sempre palpabile, mentre la macchina da presa punta su un mondo, quello delle ‘ndrine, pieno di contraddizioni estreme che accompagna costantemente le “buone madri” del titolo, a portare sulle spalle il confine labile tra il bene ed il male, senza mai stare sulla soglia. In questo mondo parallelo non ci si può ribellare, innamorare liberamente. Figure come il padre-padrone, il fratello picchiatore, sono emblemi viventi di una catena di violenze che si tramandano di generazione in generazione.

Adesso vediamo da più da vicino chi sono le tre donne protagoniste: si tratta di Denise, figlia di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola, e Giuseppina Pesce, tre donne che osano contrapporsi alla ‘Ndrangheta. Ad aiutarle la P.M. Anna Colace (interpretata da Barbara Chichiarelli) che, appena arrivata in Calabria, ha un’intuizione: ovvero che, per poter abbattere e indebolire le ‘ndrine, è necessario puntare sulle donne.

Il sipario si apre con l’agghiacciante scomparsa di Lea Garofalo, (interpretata da Micaela Ramazzotti),che dopo aver testimoniato contro il marito Carlo Cosco, desiderava iniziare una nuova vita con la figlia, Denise (interpretata da Gaia Girace). Dopo dieci anni difficili, vissuti in clandestinità, in un continuo nascondersi e entrare e uscire dal programma di protezione, Lea aveva deciso di riavvicinarsi al marito con la speranza di essere perdonata e riunire la famiglia. Ma non fu così, la donna venne prima rapita e poi uccisa. Secondo le regole dettate dalla ‘ndrangheta, doveva pagare per quello che aveva fatto, perché la famiglia è sacra.

«Mi inorgoglisce far parte di questa serie, perché Lea Garofalo, cresciuta nella paura e nell’omertà, ha fatto qualcosa di fortissimo: diventare testimone di giustizia, ribellarsi alla famiglia, pur sapendo che la sua stessa famiglia la ucciderà – ha sottolineato Micaela Ramazzotti –. Lea Garofalo è riuscita a trasmettere con determinazione forza e libertà a sua figlia, che ha, poi, testimoniato contro il padre e le persone che l’avevano uccisa».

Una storia che si treccia vertiginosamente con quella di un’altra donna, Maria Concetta Cacciola (interpretata da Simona Distefano), la quale a soli 13 anni si ritrova già sposa di Salvatore Figliuzzi, vicino al clan Bellocco di Rosarno. La sua vita comincia piano piano a sprofondare verso un inferno di violenza, paura, sopraffazione, crudeltà. Ella si rende conto poco alla volta che quella vita le stava stretta e che, fuori da quelle quattro mura, c’era un mondo che voleva vivere, c’erano sogni che voleva inseguire.

Così, si libera di quell’amore sbagliato, ma suo padre e suo fratello, riescono a fare anche di peggio, rinchiudendola in casa, segregata e isolata, lontano da qualsiasi contatto con il mondo esterno, sopraffatti dal sospetto che la donna potesse avere una relazione extraconiugale. Una vergogna che il codice della ‘ndrangheta non poteva tollerare, e che può essere tradotto tutto in questa frase: «Questo è il tuo matrimonio e te lo tieni per tutta la vita».

L’11 maggio del 2011 la donna, all’epoca 31enne, presentandosi alla Tenenza dei Carabinieri di Rosarno, finisce nel programma di protezione, interrompendo qualsiasi contatto con la famiglia. Eppure Maria Concetta non riusciva ancora a prendere pace, perché non aveva con sé i suoi figli. Così dopo pochi mesi, sua madre e suo fratello andarono a prenderla per riportarla di nuovo a Rosarno. Passarono pochi giorni, e la donna venne  ritrovata in fin di vita, l’acido muriatico che le era stato intimato di  ingoiare, le bruciò la bocca. Fu un suicidio per la sua famiglia, che prontamente depositò un esposto in cui la giovane donna viene descritta come una depressa, una malata di mente.

Un epilogo diverso invece, per Giuseppina Pesce (interpretata da Valentina Bellé), figlia, sorella e nipote, di uno dei boss più potenti. Inizialmente le venne affidato un ruolo, quello di staffetta  tra il padre in carcere e i suoi uomini fuori. 

Ad appena 14 anni sposò Rocco Palaia, di 22 anni, ma la vita con il ragazzo però non era quella che si aspettava, proprio come accadde a Maria Concetta e a Lea. Anche per lei iniziarono ad arrivare le prime violenze, le minacce, tanto da voler lasciare il marito, ma la ‘ndrangheta non perdona. Fu una retata a salvarla. Nel 2010 finí in carcere con l’accusa di essere la ‘postina’ del clan, e iniziò a collaborare con il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti, alla quale iniziò a raccontare i soprusi subiti dal marito e soprattutto la sua vita da ‘mafiosa’. La sua testimonianza ha permesso agli inquirenti di ricostruire la piramide del potere della sua famiglia, e di portare al sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro. Oggi vive sotto protezione in una località protetta.

Una serie da non perdere, che fa luce su fatti realmente accaduti, a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro. Storie di donne, che hanno avuto il coraggio di dire no. (mm)