di ERCOLE INCALZA – Stimo ed apprezzo l’operato del Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Rixi per questo motivo le considerazioni che farò hanno solo una finalità: superare un momento critico della nostra offerta portuale ed interportuale. In realtà stiamo vivendo una sommatoria di emergenze che rischia di compromettere la intera logistica che caratterizza tutte le attività presenti nel nostro Paese.
Elenco di seguito, in modo sintetico, alcune preoccupanti criticità.
Nelle riforme della Unione Europea che sicuramente saranno varate nel prossimo autunno vi è l’annullamento del ricorso al “diritto di veto” da parte dei singoli Stati. Una proposta che senza dubbio è condivisibile perché solo in tal modo sarà possibile evitare la stasi decisionale della Comunità su scelte strategiche essenziali, tuttavia l’annullamento del ricorso al “veto” dovrà imporci un codice comportamentale adeguato nella definizione delle nostre linee strategiche, dei nostri programmi. Infatti ritengo utile ricordare che nel 1986 il Belgio propose una rivisitazione gestionale del porto di Ostenda con dei particolari abbattimenti dei costi per gli attracchi e per gli stoccaggi e noi imponemmo il veto perché dannoso per la offerta portuale del Mediterraneo; nel 1992 l’Olanda, la Danimarca e la Germania presentarono una proposta di gestione autonoma dei loro porti con sostanziale abbattimento dei costi logistici e noi ponemmo il veto, nel 1996 la Francia propose un rilancio funzionale del Porto di Le Havre inserendo appositi sconti per il containers con dimensioni da 40 piedi e, insieme ad altri Paesi, ponemmo il veto ad una simile proposta.
Tutto questo, quindi, ci impone una immediata azione programmatica e riformatrice che ci consenta di essere competitivi in caso in cui alcuni Paesi della Unione Europea dovessero attuare scelte davvero preoccupanti antitetiche alla nostra offerta portuale ed interportuale. Oltre ai Paesi del Nord Europa prima indicati non sottovalutiamo la Polonia, la Lituania, la Estonia e la Lituania.
È vero che il settore della cosiddetta “economia del mare” o “blue economy” oggi vale il 9,1% del Pil, cioè circa 160 miliardi di euro ma è anche vero che stiamo assistendo all’abbandono della bandiera italiana da parte degli armatori ed i dati parlano chiaro: nel 2012 la flotta italiana aveva una capacità di 18 milioni di tonnellate di stazza lorda, dal 2022 al 2023 abbiamo assistito ad una riduzione dell’8%; questo calo, come ha detto il Presidente di Confitarma, testimonia che per una serie di motivi il commercio e lo shipping italiani non è competitivo.
Dal 2024, la direttiva Ue 2023/959 estenderà l’Eu Ets (European Union Emissions Trading System – Eu Ets) al trasporto marittimo, imponendo limiti alle emissioni di CO2. Questa mossa, che mira a ridurre del 43% le emissioni entro il 2030, presenta sfide tecniche e logistiche per gli armatori, richiedendo innovazioni nel tipo di combustibile e nelle infrastrutture portuali, in un settore cruciale per il commercio globale. Ma l’impatto sarà davvero rilevante: nel 2024 avrà sul settore shipping un impatto di 6 – 7 miliardi di euro e, addirittura dopo il 2026, di 15 – 18 miliardi di euro l’anno.
La crisi nel Mar Rosso; una crisi che si pensava durasse poche settimane e che invece ormai ha portato ad una rivisitazione sostanziale dell’uso del Canale di Suez creando problemi sostanziali per la portualità del Mediterraneo e per l’articolata evoluzione delle politiche e delle strategie di altri Paesi interni ed esterni all’Unione Europea nel costruire nuovi assetti programmatici nella gestione dei propri impianti portuali.
Il ruolo del Mar Nero nel sistema internazionale della portualità mediterranea. A tale proposito non posso non ricordare due distinte scelte: Quella di Erdogan relativa alla realizzazione di un Canale parallelo al Bosforo (Canale Istambul) lungo 45 Km per aumentare la fluidità dei transiti tra il Mar Nero e il Mediterraneo; La proposta varata dal nostro Paese nel 2003 in occasione del Piano dei Trasporti irakeno (redatto sempre dal nostro Paese) di un Corridoio terrestre che dal porto di Bassora avrebbe raggiunto Bagdad – Mossul – Ankara ed il porto di Anaklia sul Mar Nero (proposta poi supportata da un Consorzio di imprese italiane nel 2012). Tale corridoio terrestre era a tutti gli effetti un’alternativa al canale di Suez. Un mese fa la Cina ha avviato i lavori del porto di Anaklia in Georgia (valore 2,6 miliardi di euro) e quanto prima avvierà il progetto dell’asse terrestre Bassora – Mossul – Ankara – Anaklia.
E noi siamo fermi con una offerta dei nostri porti e dei nostri interporti che non è in grado di affrontare, in modo organico, queste emergenze che, nell’arco di pochi anni, rischiano di mettere in crisi un indicatore già preoccupante quale quello che da almeno dieci anni caratterizza la movimentazione dei nostri porti: 450 milioni di tonnellate di merci e 10 milioni di Teu (container lungo 6 piedi). A tale proposito io ricordo sempre che tre porti quello di Algeciras, quello di Valentia e quello del Pireo, nello stesso periodo, sono passati da una soglia di 2 milioni di Teu ad oltre 5 – 6 milioni di Teu.
Occorre, quindi, con la massima urgenza, dare vita ad una riforma del nostro impianto logistico e ritengo che un simile processo riformatore dovrà rispettare il seguente codice comportamentale: Una organica azione riformatrice mirata sia alla portualità che alla interportualità; una motivata e responsabile identificazione dell’autonomia finanziaria degli organismi preposti alla gestione sia dei porti che degli interporti; una riaggregazione delle Autorità di Sistema portuale ed interportuale. Il Mezzogiorno, ad esempio, dovrebbe avere solo tre Autorità di Sistema Portuale ed Interportuale strettamente fra loro interagenti; riporto solo una possibile articolazione con i possibili Hub; sistema basso Adriatico e Jonio comprensivo degli impianti di Bari, Taranto, Brindisi e interagenti con gli Hub interportuali di Cerignola, di Bari Lamasinata, di Tito, di Francavilla; sistema basso Tirreno e Jonio comprensivo degli impianti di Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Reggio Calabria, Crotone e Corigliano interagenti con gli Hub interportuali di Nona Marcianise, di Battipaglia, di Benevento, di Castrovillari e del retroporto di Gioia Tauro; sistema delle due isole Sicilia e Sardegna comprensivo degli impianti portuali di Cagliari, Olbia, Palermo, Termini Imerese, Catania, Gela, Siracusa e Trapani e interagente con gli Hub interportuali di Catania, Termini Imerese, Vittoria, Nuoro.
– Il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilità un apposito Fondo mirato a ridimensionare il danno creato dalla direttiva comunitaria Eu Ets; il Governo dovrebbe prevedere sin dalla prossima Legge di Stabilita un apposito capitolo finanziario mirato a ridimensionare i costi della movimentazione dei container provenienti dall’Asia in modo da evitare un forte crollo della movimentazione nei nostri porti, Un capitolo di spesa che dovrebbe essere supportato anche dalla Unione Europea.
Senza dubbio sono solo ipotesi ma è bene che con la massima urgenza il Governo affronti questa preoccupante crisi; se ritardiamo anche solo di un mese rischiamo di rendere irreversibile questa grave crisi.
Ultimamente il Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi ha dichiarato: «In autunno il Governo affronterà il tema della riforma portuale; chiederò un’accelerazione perché dobbiamo intervenire sul tema delle concessioni, sulla digitalizzazione, irrobustendo la governance; in realtà cercando di avere una governance centrale per indirizzare uno sviluppo armonico del sistema logistico nazionale».
Parole sacrosante ma già dette nel novembre del 2022, ripetute nel maggio del 2023, nel luglio del 2023, nell’autunno del 2023, nell’aprile del 2024.
Ora spero che il prossimo autunno questo impegno diventi concreto. (ei)