di MARIACHIARA MONACO – “Pnrr tanti soldi, poche idee” questo è il titolo del seminario organizzato dalle quattro associazioni: Attiva Rende, Federazione riformista, L’Italia del Meridione, e Noi, con la partecipazione del dott. Mimmo Cersosimo, economista, e già docente presso l’Università della Calabria.
Al centro del dibattito, luci ed ombre che porta con sé il Piano nazionale di ripresa e resilienza, riconosciuto da molti come un secondo Piano Marshall, pensato appositamente dall’Europa dopo lo shock sanitario dovuto al Covid 19, e la successiva crisi economica che ha colpito anche i Paesi frugali quelli, che solitamente fanno bene i compiti a casa.
Tutto ciò rappresenta una svolta radicale rispetto al passato, soprattutto se si pensa ai 10 anni di austerità, fatti di tagli alle spese pubbliche, grandi restrizioni economiche; una ricetta che secondo gli economisti avrebbe portato alla crescita, però tagliando, un ossimoro contemporaneo.
Dopo il Covid però, tornando ai giorni nostri, abbiamo assistito ad una crisi simmetrica, che ha colpito tutti i Paesi, portando all’accensione, finalmente in Europa, di una lampadina Neokeynesiana.
C’è stato il bisogno di attuare un intervento generalizzato, che andasse a contrastare le difficoltà di imprese e famiglie, e la Bce, con a capo Christine Lagarde, si è mossa in direzione contraria rispetto all’ordinaria amministrazione, fornendo risorse finanziarie a tutte le economie.
Le divisioni interne europee sono venute meno, lo dimostrano un’attenta politica coordinata sui vaccini, e poi appunto il Next generation EU. All’Italia, è toccata la fetta più grossa della torta economica, ben 172 miliardi di euro, su un totale di 750 miliardi, distribuiti sulla base di due indicatori: impatto della pandemia, e problemi strutturali dei singoli paesi.
«Non dobbiamo dimenticare però che il Next generation EU si avvale di due grandi protagonisti, Francia e Germania. Paesi con una visione, e con una forte propensione a proteggere gli interessi nazionali – commenta Cersosimo – finanziare Spagna e Italia, per i cugini d’oltre Alpe e i tedeschi, significa autofinanziarsi, visto che l’ industria italiana, è fortemente integrata, nella loro di industria».
Per l’Italia sembra già un’occasione mancata? Per far sì che ciò non avvenga, il nostro Paese deve dotarsi di una visione, e dunque chiedersi: come sarà l’Italia nel 2026? Ci saranno ancora disuguaglianze e divari infiniti da colmare?
«Si tratta di un disegno, poco attento alle specificità territoriali, pronto a procedere per linee settoriali. Certo si faranno delle cose, ma non sapremo come andranno a finire».
I frutti della crescita si vedranno attraverso i progetti che si metteranno a cantiere che, almeno sulla carta, dovranno migliorare la vita delle persone, trasformando la penisola.
La realtà ci dice che sono circa 213 le riforme da approvare, e 314 gli obiettivi da raggiungere, e la certezza è una: “Se fallisce il Pnrr italiano, fallisce la strategia europea. Si tratta di investimenti affidati per 40 miliardi ai sindaci, e per il 70% agli enti locali, uno schiaffo all’autonomia regionale, visto che in questo caso le regioni non toccano palla», afferma l’economista sull’onda di una metafora calcistica.
Continuiamo a dare i numeri, poiché non bisogna mettere da parte i circa 100 miliardi di euro stanziati per le opere pubbliche. Peccato che, almeno nella nostra regione, siano opere già finanziate, come la SS 106.
Dunque un progetto platonico, o un’inversione di marcia reale?
La certezza è che i comuni più attrezzati, con una notevole capacità di spesa riusciranno ad indire bandi, e a far fiorire progetti, mentre le amministrazioni locali più destrutturate, sotto il profilo tecnico e progettuale, non riusciranno a muoversi. Una competizione tra disuguali, tra comuni di serie A e comuni di serie B, un divario che permane da più anni, e che nessuno, nel paese reale, vuole effettivamente colmare. Il sud ed il nord, due piatti della stessa bilancia, come due fratelli che non si parlano da anni, oppure una coppia di amanti che litiga in continuazione senza avere il coraggio di “staccare” la spina una volta per tutte.
Pensare che il Pnrr fu pensato per rivitalizzare i sistemi sanitari, di ogni paese, e vedere che proprio questa spesa, nella nostra nazione è all’1%, fa rabbrividire: «Prendiamo in considerazione le case di comunità. Dove sono i soldi per assumere il personale sanitario? Il piano finanzia le opere, non la spesa corrente», riflette Cersosimo.
Una volta scoperchiato il vaso di Pandora, che si fa? «Ci vorrebbe un grande piano d’assunzione pubblica. Il comune di Corigliano-Rossano, ad esempio ha solo 7 dirigenti con una densità di popolazione di 70.000 abitanti. Nel mezzogiorno ci sono circa 3 dirigenti ogni 100.000 abitanti», afferma l’economista, mettendo a fuoco il problema della Pubblica Amministrazione.
Senza i dirigenti “pianificatori” si percorre poca strada, e pure a rilento.
Al termine del seminario, viene fatta una proposta comune, quella di un monitoraggio civico, che vada a controllare l’operato, e la realizzazione o l’idea di realizzazione, dei progetti legati al Pnrr su base locale, provinciale.
Chissà chi vincerà alla fine questa lunga partita, una cosa è certa, l’Italia non può permettersi il lusso di perderla. ν