di ANTONIO ERRIGO – È sufficiente sfogliare un dizionario o “googlare” per scoprire che quello che, per noi, oggi è scontato, in passato non lo era affatto. Mi riferisco alla sottile differenza tra i termini ‘famoso’ e ‘famigerato’, parole il cui significato oggi è per tutti noi chiaro e netto. Famigerato ha un senso negativo ma un tempo non era così.
Il latino, infatti, ci insegna che il fami-geratus era un portatore di fama, attestando quindi il significato del termine su un valore positivo. Successivamente, gli usi ironici susseguitisi nel tempo hanno fatto assumere al termine una valenza negativa (la fama può essere tutt’altro che buona).
Per tutta una serie di valide ragioni, nel comune sentire, la Calabria è oggi famigerata, nel senso più deteriore del termine. Lo si ascolta nei telegiornali, lo si vede in alcune fiction televisive, lo si legge in tanti libri. Ed io mi chiedo quando e come la gente di Calabria abbia permesso che l’accezione positiva ed originale di questo termine si smarrisse per strada facendo prevalere quello negativo. Si badi bene, non è mia intenzione fare di tutta l’erba un fascio. Mi riferisco alla gente di Calabria con la piena consapevolezza che c’è chi per la Calabria si batte, chi di Calabria vive, chi della Calabria ne decanta con ardore e passione le bellezze e le virtù. Chi con il proprio impegno rende tutti orgogliosi d’esser calabresi. Uomini e donne che meritano un costante plauso per quel che fanno e per le diverse prospettive che offrono ad una collettività che non rema sempre a favore…
Mi riferisco piuttosto a quanti hanno permesso che l’amor proprio ed il senso di appartenenza lasciassero il passo ad una diffusa percezione negativa di una terra che sembra avere troppe poche speranze per scrollarsi di dosso quell’aura di negatività che l’avvolge. Mi riferisco, piuttosto, a quanti hanno permesso di sottostimare costantemente il potenziale della ricchezza naturale, mineraria e della biodiversità facendo sì che questi luoghi perdessero treni e occasioni…
Mi riferisco piuttosto a quanti hanno permesso (ci si chiede con il sostegno di chi?) che le ricchezze della Calabria fossero drenate, lasciando questa terra con infrastrutture pubbliche di scarsa qualità, elevati livelli indecenza urbana e suburbana, persistenti livelli di disinteresse e stati ahimè sempre troppo precari di bellezza. Tutte cose che fanno risucchiare la Calabria nel vortice dei luoghi comuni.
Mi riferisco piuttosto a chi si macchia ogni giorno di “alto tradimento” perché non si oppone e si adegua al peggiore dei fenomeni umani in questa terra che tra tutti i primati possibili viene sempre citata e conosciuta per essere la base, la fonte, la sorgente dell’organizzazione criminale più potente al mondo. Mi riferisco forse a chi, come me, dovrebbe farsi carico di un impegno maggiore, a chi come me dovrebbe poggiare là proprie mani sul timone di questa vecchia e grande nave che si dirige inesorabile verso una secca e dovrebbe imprimere tutta la forza possibile per invertire la rotta aiutando quei “capitani coraggiosi” che non si sono mai rassegnati al mare “forza 9”, alle tempeste o alle ingannevoli correnti di risacca.
Vivere in un confuso stato di attesa pensando di essere intrappolati, sospesi tra preoccupazioni e dipendenze, convincendosi di non avere gli strumenti necessari per costruire il proprio futuro, convincendosi che il proprio futuro è nelle mani di qualcun altro: è questa la vera circostanza che ha fatto sì che l’accezione negativa del termine “famigerato” prevalesse in questo territorio.
Serve molto coraggio per dirigersi verso le origini, verso il significato più intimo delle parole ed io spero che qualcuno torni presto a pensare ad una Calabria famigerata, portatrice di fama. Nell’attesa forse servirebbe riflettere di più e meglio sul significato più intimo del termine “coraggio”. Ma questa è tutta un’altra storia… (ae)
In copertina, Il castello di Santo Niceto a Motta San Giovanni (RC)