di FRANCO CIMINO – Ricevo la notizia dai social intorno alle 10,30. Mi trovavo in un luogo pubblico di servizio alla persona, intorno a me tanti cittadini in attesa. Le solite cose che lì dentro si dicono. L’attesa è sempre vissuta come un vuoto, uno spazio inutile, un tempo perduto nell’ansia dispersa. Il coro è sempre quello, antico. Fa ancora così, testualmente: «ma non funziona nulla. È una vergogna. La politica del magna magna. Sono sempre gli stessi. Non cambiano mai. I nomi nuovi? Peggio di quelli di prima. Rubano tutti. E si fanno i soldi alla faccia di noi poveri…».
E, ancora, sul non detto e sul detto irriferibile. Leggo sul telefonino la notizia d’agenzia: «è stato arrestato Giovanni Toti, il presidente della Regione Liguria. Reati ipotizzati, voto di scambio, corruzione». Mi si ghiaccia il sangue. Ma come, pure lui, persona che appare leale con le istituzioni, democratica con il sistema, onesta con l’amministrazione della cosa pubblica, rispettosa con le persone, umile nell’aspetto, elegante nello stile e quel faccione da bambinone e quella dizione un po’ strana ma rassicurante, arrestato? E con quelle contestazioni di reati? Mi cadono le braccia, se penso alle conseguenze su una delle regioni più belle e più ricche d’Europa.
Mi tremano le mani al pericolo che questa notizia procurerà alle urne del prossimo giugno, quando saremo chiamati al rinnovo del parlamento d’Europa e di molti comuni, pur se piccoli molto importanti per la geopolitica nostrana. Il pericolo più grave è quello di un’ulteriore allargamento della percentuale dell’astensione al voto. Arrivare in Europa con una politica divisa e una bassa partecipazione popolare, indebolirà l’immagine complessiva del nostro Paese anche sugli scenari internazionali. Due settimane fa, analoghe inchieste, alcune più pesanti ancora, hanno riguardato la Sicilia per il coinvolgimento di alcuni esponenti del parlamento e del governo siciliano. Quasi tutti del centrodestra. Non c’è stato neppure il tempo per una breve “gioia” del centrosinistra, che scoppia il caso della Puglia del celebrato Michele Emiliano.
Alcuni esponenti importanti del centrosinistra, taluni addirittura del suo PD, vengono arrestati per reati come quelli di Genova. Molti altri indagati. Qualche giorno prima è la giunta del sindaco presidente dell’Anci, Antonio Decaro, a essere interessata da pesanti provvedimenti della Procura. L’accusa qui si estende alle ipotesi di infiltrazioni “mafiose” nell’attività amministrativa e nella ricerca del voto. Diciamolo subito, anche perché vi scriviamo sopra, questi provvedimenti sono di natura “accusatoria”, diciamo più propriamente “inquirente”. Saranno i diversi gradi del giudizio dei tribunali a decidere su colpevolezza o assoluzione. Questo lo sanno pure i bambini. Per fortuna, e fatica della storia, siamo in Italia, il paese del Diritto e della più bella Costituzione. Ma non ce lo deve dire la politica, questo. Lo sappiamo. E lo rispettiamo.
Accade, invece, nell’Italia del progressivo indebolimento del tessuto democratico, che siano gli stessi partiti, e i loro principali rappresentanti, cioè i capi e capetti che li impersonano, ad affermare il principio della non colpevolezza dell’indagato fino a sentenza definitiva. Cioè, tutti i tre gradi di giudizio, che hanno, nell’attuale pesantezza della macchina della Giustizia, un tempo non inferiore ai cinque anni. Cioè una vita, che se passa duramente sulle persone in attesa di giudizio, passa pure faticosamente sui cittadini quando gli indagati o gli “accusati”, sono persone raggiunte nell’esercizio di funzioni pubbliche e nel ruolo ricevuto dal voto popolare. Intanto, i partiti, reagiscono immediatamente, quasi avessero unitariamente concordato una linea di difesa dal “nemico”, i magistrati delle procure. Quasi tutti, su questa trincea, o perché diversamente a turno coinvolti in indagini giudiziarie o perché temono per il futuro o perché presi dal complesso di colpa di fatti passati e acclarati.
Questo coro, quasi in replica a quello delle sale d’attesa o dei bar e delle piazze, dice, in momenti e forme apparentemente distinti, due cose. Quasi testualmente: «è solo un’ipotesi d’accusa, il nostro Diritto contempla la presunzione d’innocenza, quindi nessuna colpevolizzazione». La prima. «Io conosco, noi conosciamo, l’assoluta moralità di… Siamo certi ne uscirà a testa alta. Abbiamo fiducia che la Giustizia chiarirà presto l’equivoco o l’errore”. La seconda. Poi ci sarebbe la terza, ma è molto minoritaria, di quelli che “ giustizia ad orologeria; è un vero complotto; attaccano lui, o loro, per colpire il nostro leader…». E non la tratto affatto.
Perché è grave che i partiti, con sempre maggiore arroganza e padronanza, assumano decisamente la linea cosiddetta “garantista”? Lo è perché viene trasferita ogni questione giudiziaria sul campo improprio e franoso dello scontro tra politica e magistratura. Ancora più grave, in questo tempo che sembra restringersi fortemente nella decisione, a maggioranza parlamentare, intorno alla vecchia intenzione di riformare nel profondo il sistema giudiziario. È grave, perché alla gente appare come il duplice tentativo della classe politica di auto assolversi preventivamente e, nel contempo, di porsi, per il fatto di essere eletta (poco importa se da una minoranza complessiva di elettori) al di sopra di ogni potere. Al di sopra della legge stessa. Legge che a convenienza personale, a maggioranza del parlamento, viene continuamente cambiata, su alcuni reati anche in modo clamoroso. Direi, scandaloso, come dimostrano i fatti di questi ultimi vent’anni. Non può continuare così.
Fermo restando la presunzione d’innocenza, valida per tutti i cittadini, uguali difronte alla legge, se non terremo separate le vicende giudiziarie e il perseguimento dei reati di cui risponde solo chi li commette, dal comportamento di un politico in sede istituzionale e dalla sua azione di governo non disgiunta dalla morale, il nostro Paese resterà in cima alla classifica delle democrazie a più alto tasso di corruzione della propria classe politica. Ed é ormai scientificamente accertato che trasparenza e correttezza dell’agire politico e sviluppo economico sono strettamente intrecciate, tanto che la corruzione estesa blocca lo Sviluppo, droga il Progresso e devia ingenti risorse verso canali maligni.
Maligni, perché rubano la ricchezza di tutti e la trasferiscono nei forzieri di pochi. I quali se ne servono per accrescere il potere della corruzione, con il quali alterano il gioco democratico, comprano o fanno nascere partiti, impongono con le liste bloccate gli eletti nel Parlamento per diventare i padroni di tutte le istituzioni. Come definire questa situazione se non l’ultimo metro oltre il quale la nostra Democrazia cadrà nel baratro, davvero non saprei. Come considerare questo progressivo degrado delle istituzioni democratiche se non l’emergere di un nuovo autoritarismo, davvero non saprei. Come restare muti dinanzi al crescente pericolo che grava sul Paese, davvero non potrei. È da tempo che denuncio, su approfondita analisi, questo rischio e la situazione nel tempo determinatasi. Per tale motivo provo sempre più rabbia e dolore nel contempo. Ma ora la situazione si è fatta intollerabile.
Lanciare un nuovo grido d’allarme sul possibile aumento dell’astensione serve a poco. Di certo, non ai partiti di cui sopra, che proprio dalla crescente rinuncia al voto trovano il più grande vantaggio. Quanti vanno a votare sono sempre più quelli che non vogliono il cambiamento. Ovvero, sono intorpiditi dalla propaganda del potere che ne ha obnubilato la coscienza sociale e democratica. C’è una questione morale che si è dilatata e copre il buco profondo che ha scavato il corpo della Democrazia. Questa questione, che ieri era emergenza politica, ora è diventa questione democratica. Che sta svuotando di senso la nostra Costituzione e la speranza in un futuro prospero per la nostra Nazione.
E per l’intera Europa, della quale, per vocazione e mandato della storia, siamo ancora protagonisti. Vorrei ricordare a me stesso, e anche a quanti di quel passato, cui sono appartenuti, ritengono che la responsabilità della fine dei partititi tradizionali e della prima Repubblica, ricada solo sull’azione pesante di “Mani Pulite”, che quella straordinaria lunga stagione del Progresso e della libertà, è stata interrotta dalla incapacità della classe dirigente di allora (già orfana dei più grandi leader che l’Italia abbia avuto, fra tutti Moro e Berlinguer), di comprendere che avanzava nella società una nuova questione morale. Un nuovo processo politico. Un vento nuovo che spirava da lontano. E, col vento, la domanda che nei palazzi dovesse entrare aria nuova. E nelle piazze di dovesse realizzare l’incontro, per una felice contaminazione, tra la stessa politica e le energie nuove che si agitavano nel mondo giovanile e in quello femminile, in quello della cultura e del nuovo attivismo per i nuovi diritti umani.
Pertanto, se la politica attuale, invece che assolvere e giudicarsi assolvendosi, non ripartisse da quell’errore dei primi anni novanta del secolo scorso, e, facendo una seria e rigorosa autocritica, in particolare sul rapporto tra eletto, che appartiene al popolo, e istituzioni, che non sono negoziabili, soffermandosi pure sulla insopportabile distanza, che sempre più si allarga, tra le indennità degli eletti e le misere paghe dei cittadini, questa nostra Repubblica cambierà il suo bel volto antico e diventerà una cosa diversa. Una cosa che non saprei definire, ma la cui maschera intravedo. Ed è brutta. (fc)