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L'OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il Rapporto Svimez occasione per fare il punto sul Mezzogiorno

L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il Rapporto Svimez occasione per fare il punto sul Mezzogiorno

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – “Dopo una buona ripartenza anche nel Mezzogiorno l’incertezza indebolisce la ripresa e allarga il divario Nord-Sud”.  E poi “Nel 2023 Sud in recessione a -0 4% con Pil Italia a +0 5%. Un Mezzogiorno “sotto shock“ prova a resistere e rimettersi in gioco”.

Questi i due titoli dei comunicati stampa del rapporto Svimez presentato a Roma. Anche se solo anticipazioni, quelle del rapporto Svimez rappresentano un momento per fare il punto sia sulla situazione congiunturale che strutturale del Mezzogiorno e sul suo rapporto con il Paese.

La presenza del ministro Fitto, che annuncia peraltro una collaborazione più stretta con l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, rende la presentazione ancora più pregnante, considerato che un tale accordo presuppone la volontà di occuparsi in maniera più decisa di un Mezzogiorno che certo non si può dire che abbia risolto i propri problemi, malgradi alcuni segnali positivi che si colgono in settori diversi.

Le anticipazioni del rapporto mettono in evidenza i grandi problemi del Sud, che riguardano principalmente quelli della scuola. In varie tabelle viene sottolineata la carenza di una scuola, anch’essa, a due velocità.

Anche se i dati si riferiscono al 2020-2021 i grafici riportati degli alunni con tempo pieno alle primarie e il tempo scuola medio settimane per alunno nella primaria, sempre nello stesso anno scolastico 2020-2021, dimostrano inequivocabilmente come esistano due scuole diverse, anche senza autonomia differenziata. E tale diversità di formazione non può non incidere anche sulla capacità di scelta di una buona classe dirigente, colpa che viene attribuita a tali aree.

Ma certo se la scuola ha tali carenze è facile che poi fornisca cittadini che non abbiano consapevolezza completa dei loro compiti, anche nelle urne.

Un capitolo del rapporto viene intitolato: utilizzare il Pnrr per colmare il divario di infrastrutture sociali a partire dall’istruzione. I dati sono drammatici: nel Mezzogiorno circa 650.000 alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. Circa 550.000 alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno (65% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Un minore meridionale su tre (31,35%) nella fascia tra i 6-17 anni è in sovrappeso rispetto ad un minore su cinque del Centro Nord.

Per questo il rapporto raccomanda di utilizzare le risorse disponibili per colmare le differenze nei diritti di cittadinanza. In realtà l’obiettivo del Pnrr sarebbe dovuto essere quello di costruire una base produttiva adeguata a far partire quella che viene chiamata la seconda locomotiva.

Quindi gli investimenti teoricamente non dovevano riguardare l’equiparazione dei diritti di cittadinanza, a cominciare da quelli dell’istruzione e a finire a quelli della sanità,  quanto invece a ripristinare le condizioni di Stato minimo riguardanti la infrastrutturazione ferroviaria, stradale, la messa a regime dei porti, la lotta alla criminalità organizzata, per consentire l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, la concessione di esenzioni fiscali per essere competitivi rispetto agli altri Paesi dell’Unione.

Ma, considerate le difficoltà a spendere le risorse che sono state assegnate in parte a fondo perduto e in parte a prestito all’Italia, meglio che l’utilizzo avvenga anche per colmare i divari nei diritti di cittadinanza invece che si perdano o vadano in altre regioni.  

Per quanto attiene all’occupazione finalmente nel primo trimestre del 2022 è tornata ai livelli del primo trimestre del 2020, ma ancora con 280.000 posti di lavoro da recuperare rispetto al primo trimestre 2009. Il recupero dell’occupazione del 2021 e però interamente dovuto al sud ad una crescita dell’occupazione precaria. Al di là del dato congiunturale positivo, non ci si muove da una realtà che vede a livello strutturale lavorare solo una persona su quattro. E con i ritmi di crescita, peraltro inferiori a quelli del Centro Nord, la speranza di poter eliminare il gap e creare quei posti di lavoro che servono per evitare il depauperamento e l’emigrazione che, come il rapporto ha evidenziato, continua senza sosta, in particolare per quanto attiene ai diplomati e ai laureati, è nulla.

Qualcuno direbbe che vi sono luci e ombre nel rapporto, ma la precisazione che va fatta é che se qualche luce si può intravedere è solo nella parte congiunturale.

La struttura dell’occupazione, la mancanza di politica industriale per aumentare la capacità attrattiva del Mezzogiorno sono lì a testimoniare che una parte del Paese  non riesce a trovare una sua via autonoma di sviluppo. Anche quella che viene ritenuto un asset che registra andamenti interessanti, che è il turismo, in realtà parte da dati talmente contenuti che il recupero di una dimensione sufficiente a dire che è un driver fondamentale diventa estremamente complicato.

Purtroppo la sensazione netta é che il percorso da fare per il Mezzogiorno sia ancora tutto da impostare: dalle difficoltà a capire quale deve essere il sistema per aumentare la capacità produttiva, ancora estremamente contenuta, ad una logistica che vede ancora Gioia Tauro non completamente utilizzata, in particolare nel suo retro porto, mentre Augusta come le stelle di Cronin sta a guardare, in attesa che venga costruito quel ponte sullo stretto che dia continuità al sistema infrastrutturale ferroviario che la colleghi a Berlino.

Per cui dei tre driver importanti che dovrebbero creare i 3 milioni di posti di lavoro necessari perché tale realtà vado a regime non ne è partito seriamente nemmeno uno.

Peraltro il rischio di cambiare in corsa gli strumenti per raggiungere gli obiettivi proposti porta a ritornare spesso alla prima casella del gioco dell’oca, con una probabilità ampia che l’obiettivo non venga mai raggiunto. Mentre peraltro continua quel processo di spopolamento e di desertificazione che sta rendendo molta parte del Mezzogiorno una realtà bella e spopolata.

Mentre i giovani meridionali ed anche i loro padri sono ormai convinti profondamente che un’ipotesi di futuro, in termini di lavoro e di diritti, è possibile soltanto allontanandosi dalle realtà dei loro padri. Certamente al Mezzogiorno serve lo sviluppo, ma prodromico ad esso, serve che la gente che ancora lo popola riabbia la consapevolezza, che ha perso, che esista in quelle aree un futuro. In molti non ci credono più e questo é il peggio che possa avvenire, perché non potranno esserci politiche sufficienti per far crescere una realtà che ha perso la speranza dei suoi abitanti. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]