SECONDO IL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA LE REGIONI MERIDIONALI NE SAREBBERO PENALIZZATE ;
Salario basso, lavoro tanti

NON SERVE IL SALARIO MINIMO IN CALABRIA
SE POI MANCA PROPRIO IL LAVORO STABILE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAMeglio essere sfruttati che non essere nemmeno sfruttati». Così un economista  di nome Hollis Chenery evidenziava che di fronte al nulla anche il poco può essere in qualche modo una soluzione. Ma non ci si può assolutamente accontentare e il vero tema è quello di avere condizioni di lavoro che siano accettabili e degne dell’essere umano.     

Ma il trade off è ben messo in evidenza dalle affermazioni del noto economista, che ci mette in guardia dall’evitare che forme di protezione possano eliminare il bene che vogliamo proteggere, cioè il buon lavoro.

Per questo non bisogna fermarsi alle dichiarazioni, assolutamente apprezzabili, di chi pretende che vi sia  un salario minimo, senza guardare alle conseguenze dirette ed indirette.

Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di salario minimo?

Rappresenta, secondo una nozione condivisa, la retribuzione minima che dovrebbe essere garantita ai lavoratori per una determinata quantità di lavoro.

L’istituto del salario minimo non deve essere confuso con il reddito minimo. Concetto che va a collegarsi con l’esigenza di un reddito di cittadinanza per chiunque non abbia le risorse necessarie per la sopravvivenza, inteso in questo caso in termini assistenziali, finalizzato  a garantire un minimo vitale a tutti i cittadini, anche non lavoratori, in ragione di uno stato di bisogno accertato; o ancora con il reddito di cittadinanza, misura invece che dovrebbe essere a-selettiva, e che non dovrebbe considerare le condizioni economiche del percipiente, e che quindi non dovrebbe considerare l’occupabilità del soggetto quanto piuttosto la sua condizione momentanea.

Con lo scopo di consentirgli la ricerca di un posto di lavoro adeguato.

Ritornando al salario minimo, la sua principale finalità  è quella di contrastare la povertà attraverso la garanzia di una retribuzione che sia proporzionata al lavoro svolto.

In tale prospettiva lo Stato dovrebbe  intervenire  nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari operata dal mercato al fine di incrementare le retribuzioni di coloro che sono in fondo alla scala salariale.

Le resistenze verso l’attuazione di un provvedimento di tal genere riguardano la preoccupazione che una tale norma possa smarcare il mondo del lavoro, eliminando dalla competizione alcune attività, che potrebbero essere messe fuori mercato o ancora peggio alimentando il sommerso, già molto consistente in alcune parti del Paese, facendolo diventare prevalente rispetto al contrattualizzato.

Nella maggior parte dei Paesi europei il salario minimo viene fissato in maniera unica ed universale dalla legge. Soltanto in una minoranza di paesi 6 su 28 (Danimarca, Finlandia, Svezia, Cipro, Austria, Italia) è la contrattazione collettiva a prevedere settorialmente la misura dei minimi di retribuzione.

Il percorso del salario minimo è di recente tornato all’ordine del giorno in Parlamento, prima con il disegno di legge proposto dal Partito Democratico, e poi con quello presentato dal Movimento 5 Stelle.

I due disegni di legge si differenziano per la dimensione monetaria del salario orario, 9 euro netti nella proposta del PD (da incrementarsi secondo gli indici Istat), 9 euro lordi nel DdL del M5S, da incrementarsi secondo l’indice Ipca.

Come evidenziato dall’Osservatorio sui Conti pubblici italiani un salario minimo fissato in 9 euro lordi, aumenterebbe notevolmente il costo del lavoro per le aziende. Un semplice confronto con i 28 paesi OCSE, che già dispongono di un salario minimo fissato per legge, consente di notare come un salario minimo di 9 euro lordi sarebbe il più alto nell’area Ocse.                  

Se da un lato è necessario che il livello non sia troppo basso – altrimenti non svolgerebbe la funzione di sostenere il reddito delle persone – dall’altro sarebbe opportuno evitare un livello troppo alto perché potrebbe causare una riduzione della occupazione regolare da parte delle imprese e un aumento del lavoro nero. Secondo l’Ocse, quindi, una soluzione che rispetti questi requisiti e sia anche in linea con l’esperienza degli altri paesi europei prevedrebbe un salario minimo orario compreso tra i 5 e i 7 euro lordi.

Ma al di là del quanto, le principali voci contro l’introduzione di un salario minimo legale provengono dai sindacati dei lavoratori, che vedrebbero nell’introduzione del salario minimo un ostacolo alla loro azione contrattuale. Inoltre l’individuazione ex lege di un salario minimo, non sembra tener conto delle peculiarità dei CCNL, dove i minimi retributivi non sono costituiti solo ed esclusivamente dai cosiddetti “minimi tabellari”, ma anche dalla incidenza delle mensilità aggiuntive.

Si potrebbe, pertanto, arrivare al paradosso della determinazione di un salario minimo di gran lunga inferiore rispetto ai minimi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva. L’introduzione poi del salario minimo se fosse unico per tutto il Paese potrebbe mettere in difficoltà molte attività marginali che si svolgono nel Sud, soprattutto nel settore agricolo, con un un ulteriore sostituzione della manodopera locale con manodopera straniera, più facilmente “gestibile”.

D’altra parte l’individuazione di due salari minimi differenti al Nord e al Sud riporterebbe a forme di gabbie salariali, tanto contrastate per gli effetti di incoraggiare le attività meno innovative e con minore redditività a vantaggio di imprese che si pongono in concorrenza con le realtà a sviluppo ritardato, con le quali sono destinate ovviamente a perdere, in una rincorsa al ribasso tra basse remunerazioni, bassi profitti, bassa innovazione, nessuna capacità di competizione.

Anche per il salario minimo così come per le norme che vorrebbero incoraggiare il rientro dei meridionali fuggiti all’estero la ricetta vera è quella dell’incremento della base produttiva, dell’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area nei settori tecnologici avanzati, che consentono remunerazioni adeguate e richiesta di professionalità di alto livello.

In tale prospettiva  probabilmente stabilire il salario minimo diventerebbe  inutile e nel caso in cui invece si voglia stabilire una remunerazione di dignità potrebbe aversi l’effetto opposto di eliminare qualunque corrispettivo perché eliminerebbe alcune attività. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’altravoce dell’Italia]