L'ANALISI DI PIETRO MASSIMO BUSETTA SU COME QUESTO SISTEMA POTREBBE GIOVARE AL MERIDIONE;
Il ministro Raffaele Fitto

PERCHÉ AL SUD SERVE IL CENTRALISMO
PER MIGLIORARE LA GESTIONE DEL PAESE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Centralismo o federalismo. Vi sono nel Governo due forze che spingono in direzioni opposte. Da un lato la Lega che, con la proposta di autonomia differenziata di Calderoli,  porta avanti un progetto che vorrebbe che le Regioni diventassero piccoli Staterelli, e che i Governatori assumessero il ruolo di Presidenti del Consiglio della loro realtà.

Dall’altra parte quello che sta accadendo con Raffaele Fitto che sta spingendo, con l’accordo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, verso forme sempre più accentuate di centralismo. Gli episodi più recenti riguardano l’unica Zes per tutto il Mezzogiorno e la centralizzazione del fondo di coesione. 

Il mancato funzionamento nei tempi previsti dei fondi strutturali che sono stati assegnati al Mezzogiorno dall’Unione Europea è dipeso fondamentalmente da due fattori: il primo la struttura carente delle organizzazioni regionali che hanno avuto difficoltà a mettere a terra risorse importanti. La seconda il conflitto tra le  varie forze politiche che spesso preferiscono che le risorse non vengano spese, piuttosto che vengano utilizzate in modo che favoriscano elettoralmente la parte avversaria. 

L’operazione che sta avvenendo è una forma di commissariamento per evitare le problematiche accennate. Ma non dimenticando che alcune volte i commissariamenti, se non virtuosi, producono risultati peggiori di quelli che si volevano evitare. L’esempio più eclatante è quello della sanità calabrese, nella quale si nominarono commissari improbabili e una disattenzione ai motivi dell’origine del commissariamento che ha prodotto risultati pessimi, tanto che oggi in Calabria hanno avuto bisogno dei medici cubani. 

Il rischio che si corre però é che i fondi diventino il bancomat utile per tutte le esigenze di risorse per fatti eccezionali, che poi si presentano molto frequentemente: dalle alluvioni, ai terremoti. L’altro elemento di centralizzazione é l’istituzione della Zes unica, che fa decadere gli attuali commissari, nominati dal Governo precedente. Anche qui i rischi esistono e bisognerà vedere come verrà gestita centralmente la Zes unica. I problemi delle otto precedenti non sono stati pochi, se la Zes unica riesce a superarli sarà un passo in avanti. 

Tale strumento è importantissimo perché dovrebbe consentire l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area. Per avere quella occupazione nel manifatturiero che tanto manca nell’economia meridionale. Il funzionamento della Zes, unica adesso, é un passaggio fondamentale del piano di sviluppo del Sud. Se fallisce lo strumento sarà un tassello importante del piano che viene meno. 

Dal 1° gennaio 2024, l’istituzione della Zona economica speciale unica per il Mezzogiorno, che dipenderà da una cabina di regia di Palazzo Chigi e da una struttura di missione che subentrerà agli attuali commissari (i cui incarichi scadranno a marzo 2024), potrebbe finalmente portare grandi investimenti. Che arrivano soltanto se tutto il Paese lo vuole. L’interlocutore per la Intel é evidente che non può che essere che il Governo. 

Poter poi usufruire delle procedure semplificate non soltanto per «progetti infrastrutturali», ma per «progetti inerenti alle attività economiche ovvero all’insediamento di attività industriali, produttive e logistiche» da licenziare con autorizzazione unica, il tutto da gestire attraverso uno sportello unico digitale, è un passaggio fondamentale. 

Mentre quello strumento che è il credito d’imposta che serve ad avere la detassazione degli utili per i primi anni, nel nostro caso per tre anni, fino al 2026, riguarderà tutti i settori produttivi con l’esclusione di trasporti ed energia.

Vi é  poi una decisione virtuosa quella del via libera ad un piano di assunzioni straordinario che permetterà di assegnare 2.200 funzionari anche alle Regioni e ai Comuni meridionali. 

È noto che la mancanza di professionalità adeguate é stato un limite notevole a tutte le azioni, comprese quelle relative al PNRR, che riguardano il Sud. Capire che senza risorse umane adeguate qualunque piano non può funzionare é un passaggio importante.  

Non cambia  il vincolo di destinare l’80% delle risorse al Mezzogiorno. Risorse che però non transiteranno tutte dalle Regioni. Ma soprattutto l’utilizzo dei fondi dovrà essere concordato con il ministero, che avrà sempre l’ultima parola. Il meccanismo del fondo di rotazione, peraltro, verrà applicato anche ai fondi dell’attuale ciclo 2014-2020 su cui , aveva detto Fitto negli scorsi mesi, le Regioni non hanno brillato.  

Dietro questo decreto vi è una dichiarazione di sfiducia nei confronti delle Regioni, che da molti sono state ritenute una moltiplicazione di passaggi, un appesantimento dei costi complessivi, che ha portato ad un ritardo, soprattutto nelle regioni meridionali, del processo della spesa, che è venuto fuori in maniera evidente con il Pnrr, che ha dato scadenze precise per incassare le varie rate e che quindi ha evidenziato tutti i punti carenti del processo decisionale, che poi porta a mettere a terra le risorse. 

Sono venuti fuori i limiti di una classe dominante estrattiva che invece di pensare al bene comune pensa ad alimentare le proprie clientele.  Limite che riguarda, trasversalmente, sia la destra che la sinistra, visto che nelle regioni meridionali vi sono amministrazione di entrambi gli schieramenti. 

Tale esigenza di centralismo, probabilmente, si presenta meno pressante nelle regioni settentrionali, nelle quali il controllo della società civile è più presente e che presentano invece esigenze opposte, anche se la gestione della sanità nel periodo del covid ha dimostrato che molte attività, come la sanità, vanno gestite in maniera centralistica. 

Certamente le decisioni prese dal Ministro Fitto devono far riflettere su quale deve essere la governance migliore per arrivare ad una gestione più avvertita di tutto il Paese. 

Forse è necessario un ripensamento globale sul ruolo e sui poteri delle Regioni, nonché sulla loro utilità se rimangono organizzate come lo sono state. 

L’esperienza della Regione Siciliana, che ha dimostrato come maggiore autonomia possa risultare uno strumento per amplificare gli sprechi e i privilegi deve essere illuminante sul percorso da seguire. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]