di SANTO STRATI – Circola una voce, a Germaneto, nella cittadella regionale, sulla presidente e i vari assessori: quando sentono parlare di “calabresi nel mondo” si mettono le mani nei capelli e, immancabilmente, esclamano a una voce: Ancora!?!: Già perché la parola “calabresi nel mondo” evoca la vorace e ormai defunta Fondazione voluta e poi soppressa da Oliverio e su cui pesa una spinosa inchiesta della magistratura per spreco di danaro e malversazioni varie. Le cifre in discussione sono vicine ai dodici milioni, di cui non si conosce la destinazione né tanto meno l’utilizzo. Ebbene, la Fondazione non esiste più da cinque anni, e di essa si occuperà la magistratura, ma esiste la realtà della Consulta dell’emigrazione, un organismo che raccoglie le associazioni dei calabresi di tutto il mondo e non può in alcun modo venire confuso con la Fondazione e suoi guasti. Intanto è successo e il risultato è stato quello di azzerare ogni risorsa in bilancio, anche quelle per eventi già pianificati. La legge istituiva della Consulta regionale dei calabresi all’estero prevede all’art. 16 che entro 60 giorni dal suo insediamento il nuovo presidente della Regione debba nominare e convocare la nuova Consulta, ma l’emergenza Covid e il pregiudizio derivato dalla confusione tra Fondazione e Consulta ha di fatto spostato sine die l’adempimento.
L’equivoco, dunque, continua a ripetersi per cui Presidente e Giunta, indotti in errore, s’indignano quando sentono parlare di “calabresi nel mondo” e cercano di svicolare. Niente di più sbagliato. La presidente Santelli, durante la campagna elettorale aveva parlato di reputazione (l’ex presidente degli industriali reggini Giuseppe Nucera proponeva – ragionevolmente – un assessorato apposito) e di calabresi nel mondo: oggi cerca di non toccare nemmeno il discorso perché, probabilmente, è indotta a pensare che calabresi nel mondo e Fondazione siano la stessa cosa. Allontaniamo questo equivoco e ripensiamo, seriamente, a cosa fare per i calabresi che vivono fuori della regione.
Per cominciare, dimentichiamoci della “Fondazione Calabresi nel mondo” e si pensi a un nuovo brand (“Calabria nel mondo”?) con cui ricostruire un’importante attività che la Regione è tenuta a portare avanti. Estendere e riallacciare i rapporti con i quasi quattro milioni di calabresi sparsi un po’ dovunque potrebbe sembrare un’impresa titanica se non si facesse riferimento alle tante (oltre 200) associazioni di calabresi presenti un po’ dappertutto. Si tratta di offrire assistenza e risorse adeguate, perché la promozione della Calabria, il recupero della reputazione e dell’identità passa necessariamente attraverso il lavoro (instancabile, volontario e non retribuito in alcun modo) di centinaia di entusiasti uomini e donne che guidano piccole, medie, grandi associazioni dedicate alle comunità calabresi.
Sono tantissime le cose che in cambio si possono aspettare dal rilancio di un organismo previsto peraltro dallo Statuto regionale: solo l’aspetto del cosiddetto turismo di ritorno per i figli e i nipoti degli emigrati calabresi – cui offrire opportunità e incentivi – sarebbe una grande boccata d’ossigeno, soprattutto oggi nel post-emergenza, quando la Calabria risulta la prima regione in termini di rischio contagio (0,1) e ha bisogno di aprire il suo territorio, le sue montagne meravigliose, il suo mare incantevole non solo ai calabresi d’Italia, ma anche a quelli del mondo, per far giungere un messaggio positivo a tutti gli altri vacanzieri.
Lo scorso ottobre il congresso dei tour operator tedeschi a Reggio e in altre località della Calabria, aveva fatto immaginare chissà quale ritorno in termini di prenotazioni. Non si tiri in ballo il Covid: le prenotazioni per la stagione turistica – nei grandi numeri – si fanno a Natale e all’epoca non c’era il minimo sospetto dell’emergenza che sarebbe scoppiata in tutto il mondo. Qualcosa dunque non ha funzionato e la “vacanza” dei quasi 700 tedeschi delle agenzie di viaggio ha lasciato solo sguardi ammirati e grande interesse, che però non si sono tradotti in turismo di massa.
Ricominciamo daccapo, puntando sulla reputazione. È fondamentale che la Calabria si possa presentare non solo per la terra ospitale qual è, per la generosità e il calore della sua gente, la qualità e l’incanto dei suoi luoghi turistici, la straordinaria varietà della sua cucina e del suo vino, ma anche come immagine positiva del turismo preferenziale. Quello che arriva dal tam tam dei social, dal passaparola, dall’esperienza di chi – calabrese o no – sia stato qui in vacanza, per qualsiasi ragione. E se poi la motivazione è il senso di appartenenza, la voglia di conoscere i luoghi di origine dei padri e dei nonni, meglio ancora: gli stranieri amano l’Italia, si appassionano alla ricerca delle origini, amano le storie del “ritorno”, si lasciano incantare dai ricordi di chi ha vissuto un’esperienza di viaggio particolarmente suggestiva e ricca di emozioni e di sentimento.
Per questa ragione, ci permettiamo di insistere sulla necessità di rivedere l’attuale “riserva” sui calabresi nel mondo, ingiustificata e improduttiva. Ovviamente si tratta di ricominciare da zero, nominando e convocando i consultori, mettendo in piedi una nuova Consulta, ascoltando, percependo, valutando le richieste. Stanziando risorse adeguate, con il massimo rigore nei controlli sul loro utilizzo. Qualunque euro speso in tal senso – ne siamo convinti – avrà un ritorno straordinario in termini di utilità e, soprattutto di reputazione.
Ma com’è nato e perché si continua ad alimentare l’equivoco di confondere la Consulta dell’Emigrazione con la Fondazione? La “Fondazione” – costituita nel 2011 e cancellata nel 2015 – è stata la sciocca risposta alla crescente domanda di attenzione che veniva dai milioni di calabresi sparsi in ogni angolo della terra. Uno strumento inutile, soprattutto perché non gestito nella maniera adeguata e perché l’organismo si è dimostrato assolutamente insensibile a qualsiasi esigenza sia economica per i meno abbienti, sia culturale e di carattere sociale per gli altri. I calabresi nel mondo sono una risorsa straordinaria in termini di reputazione e identità e occorre ripartire proprio da qui. Accanto a personaggi illustri che hanno onorato e onorano col proprio nome e il proprio lavoro la Calabria che hanno lasciato per altri luoghi, per altre esperienze, ci sono centinaia di migliaia di calabresi che occupano ruoli di grande rilievo nel mondo della scienza, dell’impresa, dell’arte, dello spettacolo: sono testimonial specifici (volontari e con grande orgoglio) della “calabresità” come senso di appartenenza, come simbolo di determinazione e voglia di realizzare, come espressione di legalità e rispettabilità, di cultura e tradizione. Sono loro la forza straordinaria su cui la Regione deve puntare nel processo di recupero della reputazione e di promozione della propria immagine all’estero.
Il turismo in Calabria è pressoché un turismo di ritorno, in massima parte sono i calabresi che vivono a Roma, Milano, Torino, negli Usa, nel Canada, in Australia a passare le vacanze nel proprio paese d’origine o quello dei loro avi: e sono loro che possono determinare l’accensione di un grande interesse verso la nostra terra. Non solo viaggiatori di ritorno, per una toccata e fuga dai parenti lontani, ma testimonial diretti di una regione che è cambiata moltissimo e offre opportunità e caratteristiche di grande suggestione.
A gennaio dello scorso anno, ricordiamolo, il New York Times ha indicato la Calabria tra le località di sogno, tra quelle che i viaggiatori avrebbero voluto visitare e farne meta delle proprie vacanze. È stata un’opportunità in parte sprecata: non basta partecipare a fiere enogastronomiche (anche se l’aspetto del cibo è un’attrattiva da non sottovalutare), serve lavorare sul territorio. Quanti sono i Paesi nel mondo che ignorano l’esistenza della Calabria come meta turistica? Troppi, anche se i calabresi sparsi in ogni angolo della terra rappresentano per le comunità locali un significativo esempio di gente laboriosa, instancabile e capace.
Il lavoro sul territorio, dunque, va fatto attraverso le nostre comunità all’estero, promuovendo le loro attività che non si esauriscono nelle feste dei “calabresi” ma costituiscono un elemento di attrazione e di interesse per tutto il territorio. Il calabrese “fuori confini” ama parlare bene della sua terra e, se un tempo, qualcuno si vergognava o temeva di dichiarare le proprie origini, oggi è tutto l’opposto. C’è la fierezza e l’orgoglio dell’essere calabresi e la piena disponibilità a trasmettere un messaggio positivo ad amici e conoscenti che sono curiosi di apprendere, conoscere, sapere cose della Calabria.
Il fatto è che quando a metà marzo del 2018 scoppiò lo scandalo sull’indebita gestione dei fondi della Fondazione, scoperta dai carabinieri di Catanzaro e perseguita dalla Procura del Capoluogo, i soldi (tanti) erano già scomparsi, la documentazione svanita e decine di assunzioni di favore si trovarono a essere totalmente contestate, creando un alone di sospetti sulle associazioni che, in realtà, erano soltanto vittime di certi garbugli. Ma di questo si occuperà la magistratura che il 13 luglio aprirà le udienze del processo a carico dell’ex deputato Giuseppe Galati, già presidente della Fondazione stessa, e di altri funzionari e dirigenti della Regioni, e accerterà responsabilità ed eventuali reati.
Ma il processo a quel che rimane della “Fondazione” (al di là della sperata costituzione di parte civile di Germaneto) non deve interessare più di tanto la Presidente e la Giunta: occorre che la Regione torni a occuparsi dei calabresi lontani, dai più famosi (e l’elenco sarebbe troppo lungo) ai meno fortunati. Offrendo a questi ultimi aiuti economici e l’assistenza necessaria, riservando per gli altri, ovvero per tutti, il caldo e insostituibile abbraccio di una madre che si preoccupa dei suoi figli lontani. Figli che hanno tutti la Calabria nel cuore. (s)