POVERA CALABRIA: «SE QUESTO È UN LOGO»
BRONZI, È UN’ALTRA OCCASIONE MANCATA

di SANTO STRATI – Con tanto di scuse preliminari a Primo Levi per aver emulato il titolo di un suo famoso libro, ma non ce la facciamo a non dar sfogo a tutta l’indignazione che da Laino Castello (ultimo comune della regione) fino a Melito di Porto Salvo, quindi lungo tutta la Calabria, sta salendo per la grottesca storia della celebrazione dei 50 anni dal ritrovamento dei Bronzi a Riace.

Annunciato in pompa magna, con tanto di segreto assoluto, come per le nomination vincitrici agli Oscar, il logo che dovrebbe lanciare nel mondo le celebrazioni del cinquantesimo del ritrovamento dei Bronzi è di una pochezza infinita. Una scelta “minimalista” spiegherà qualche illustre critico d’arte, ma le domande che farebbe un ragazzino delle scuole elementari ci stanno tutte: dove sono i bronzi? dove sta la Calabria? dove sta la Magna Grecia? e dove sta Reggio? Secondo la logica minimalista, basta metterci un po’ di immaginazione… Ma per favore!

Ora, scusate, abbiamo a disposizione l’immagine dei due guerrieri che è inconfondibile, assolutamente e inimitabilmente identitaria e il “creativo” di turno che fa? Riduce tutto su una scritta, peraltro in italiano. Ma dove vivono i responsabili di questa infamia? C’è l’immagine dei Bronzi riconoscibile in qualunque parte della terra (almeno là dove l’inadeguata campagna di sensibilizzazione fallita per 50 anni ha fatto arrivare una foto dei guerrieri ritrovati a Riace) e il logo “identitario” di un anniversario così significativo si riduce a un lettering (peraltro modesto) e un 50 che emerge dalle stesse lettere. A chi è destinato il messaggio? a quelli di Campobasso o di Ventimiglia di qualsiasi altra località italiana, ma non sicuramente a un pubblico internazionale che – ovviamente – non potrà mai associare una scritta – in italiano – alla maestosa presenza dei Bronzi. I logos servono a esprimere un’identità, ma in questo caso non dicono nulla, con l’aggiunta di una datazione che fa tanto da epigrafe funeraria, nascita e morte. Con buona pace di qualsiasi idea di marketing strategico per attrarre attenzione e visitatori da mezzo mondo. Poteva essere l’occasione, al pari di un’Olimpiade, un anniversario che diventa pretesto per diffondere nel mondo l’immagine dei Bronzi e far venire voglia di vederli da vicino. Invece diventa una festa provinciale che non interessa a nessuno e tratta queste meravigliose testimonianze del V secolo a.C. al pari di una mostra estemporanea di dilettanti della pittura.

logo Bronzi 50°

Saremmo, a questo punto, lieti di ascoltare qualcuno che ci spieghi in quale maniera questo logo esprime: 1) i Bronzi, 2) la Calabria, 3) Reggio 4) la Magna Grecia. E via discorrendo. Saremmo altresì lieti (e crediamo gran parte die calabresi) di conoscere chi lo ha commissionato, chi lo la scelto, chi lo ha approvato. Sicuramente il comitato interistituzionale messo in piedi in quattro e quattr’otto, come se non si sapeva da anni che nel 2022 ci sarebbe stata la ricorrenza del cinquantenario. Tutto quanto, ci spiace rimarcarlo, mostra una grande impreparazione (nonostante siano presenti nel Comitato personalità culturalmente di tutto rispetto) e soprattutto una grande improvvisazione.

Come se non bastasse, c’è un calendario degli eventi, per celebrare al meglio l’anniversario, che sa tanto di strapaese, con qualche piccola eccezione internazionale (tipo un Gran Galà a Vienna all’ambasciata italiana). Secondo quanto annunciato ieri mattina al Museo dei Bronzi sono in programma da qui a tutto dicembre 2022 «mostre, rappresentazioni teatrali, animazione territoriale, promozione di eventi culturali, scientifici e ludici, seminari internazionali e attività di divulgazione storico culturale, coinvolgimento delle scuole, viaggi di istruzione e l’istituzione nelle Università italiane del “Bronzi Day school and University”» con l’aggiunta, all’omonimo Teatro di Reggio, dell’opera Adriana Lecouvrer (del grandissimo palmese, quasi misconosciuto solo in Calabria, Francesco Cilea) con Maria Agresta e il tenore Michele Fabiano.

La buona educazione ci suggerisce di non esprimere con un termine sintetico questo “magnifico” programma (ma chi vuol intendere intenda): un programma che ha mandato in brodo di giuggiole il parterre presente al Museo per il “grande annuncio” e il disvelamento del logo: la vicepresidente della Giunta regionale, Giusi Princi, l’assessore regionale alle attività produttive e alle attività culturali Rosario Varì, il direttore del Museo Carmelo Malacrino, i sindaci facenti funzioni Paolo Brunetti per il Comune quello della Città Metropolitana Carmelo Versace, il sindaco di Riace Antonio Trifoli, il Rettore dell’Università Mediterranea Santo Marcello Zimbone, l’assessore al Bilancio e al Patrimonio culturale del Comune di Reggio Irene Calabrò e il presidente della Camera di Commercio di Reggio Antonino Tramontana. Lo scirocco dello Stretto a volte fa brutti scherzi, mettiamola così e non infieriamo su queste imperdonabili quanto clamorose cavolate di gretto sapore provinciale. Ma non non riusciamo a trattenerci dal riferire i commenti del parterre, chiedendoci cosa ci sia da vantare.

Cominciando dall’assessore Varì: «I bronzi di Riace sono simbolo di scoperta, cultura e voglia di rinascita. Oggi, con la celebrazione del 50esimo anniversario del loro ritrovamento, vogliamo avviare un percorso di valorizzazione dell’ingente patrimonio archeologico e culturale che la Calabria possiede e che il mondo merita di conoscere e apprezzare» – ha detto esprimendo apprezzamento per «il programma unitario stilato dai diversi enti istituzionali e territoriali», soffermandosi poi sul fatto che «l’immagine della Calabria è indissolubilmente legata ai Bronzi», e l’occasione non poteva che essere sfruttata per «adottare attorno a questo attrattore culturale una strategia chiara, volta a valorizzare, con i bronzi al centro, tutto il vasto patrimonio calabrese». Appunto: dov’è la Calabria? Nel lettering del logo?

Il direttore Malacrino ha espresso la sua contentezza: «Oggi è un giorno di festa – ha detto – perché si concretizza un’idea sulla quale questo Museo sta lavorando da oltre un anno, per valorizzare il ricchissimo patrimonio culturale calabrese assieme al ministro della cultura, Dario Franceschini che da mesi ha posto l’attenzione su questo evento pensato per celebrare quello che è il simbolo identitario più importante della nostra regione». E dire che quando l’architetto Malacrino, a Paestum aveva esibito il suo logo (subito sbeffeggiato per mancanza di identità) almeno aveva avuto il buon giusto di rimarcare che era fatto in casa, senza costi. Il design non è un’idea astratta, richiede professionisti (che costano e valgono) perché il messaggio sia efficace e duraturo.

E neanche la vicepresidente Princi, verso la quale nutriamo una sincera stima, si è trattenuta dall’evitare una pessima figura davanti al mondo: «Abbiamo lavorato per definire un programma di eventi ed una campagna di comunicazione fortemente digitale e diffusa attraverso tutti i canali. Il logo è stato pensato per accompagnare le immagini dei Bronzi – ha spiegato Giusi Princi – e si mostrerà accompagnato da una melodia ideata utilizzando la successione di Fibonacci. Un logo che ha le caratteristiche dei brand contemporanei in grado di rappresentare il passato, la ricorrenza, mostrare la maestosità, l’eleganza e l’identità dei Bronzi di Riace».

Se i reggini e i calabresi stavolta non s’incazzano davvero, vuol dire che non c’è più alcuna speranza. Il processo di crescita muore di fronte alla banalità di un logo che non rappresenta niente e nessuno. E una celebrazione che non celebra nulla e di cui si perderanno le tracce appena dopo qualche giorno. Ancora una volta si pensa in grande e si finisce al nulla assoluto. Povera Calabria e poveri Bronzi. Qualsiasi posto del mondo avrebbe inventato e messo su una “rivoluzione culturale” a livello planetario avendo a disposizione due capolavori assoluti (che meriterebbero di essere Patrimonio Unesco dell’umanità, solo annunci ma nessuno ci lavora). Il Comitato interistituzionale pensa che basteranno due manifesti al Salone del Libro di Torino e qualche gigantografia in aeroporto (non in quello di Reggio, pressoché inutilizzabile se non a costi stratosferici (Milano-Reggio, tre persone 1.300 euro andata e ritorno): e vogliamo attrarre così visitatori?

Poveri Bronzi, povera Calabria e povera Reggio: si continua a forza di indignazione che, altrove, farebbe vergognare qualche responsabile con ancora un briciolo di dignità, ma che alla latitudine dello Stretto è diventata una tipicità cui manca solo il marchio doc. (s)