È una denuncia grave, quella dell’Associazione AbcDiabete Onlus, che ha raccolto la storia di tanti calabresi che, affetti dal diabete di tipo 1, prima di ricevere il presidio salvavita, affrontano un lungo travaglio.
«Un travaglio – si legge in una nota – composto da chiamate ai vari uffici preposti, solleciti in presenza, giornate perse alla ricerca di risposte che molte volte, quando si ottengono, sfociano in un ‘’c’è carenza di personale e non abbiamo nessuno che possa effettuare gli ordini e gli acquisti’’ oppure “non abbiamo i soldi”. Questa è la migliore delle situazioni poiché in alcuni contesti le persone preposte elargiscono commenti ed opinioni sulla gestione della malattia che poco hanno a che fare con le loro competenze».
«Ma qui in Calabria – ha concluso Martina – nonostante le buone leggi che, purtroppo, sono solo rimaste sulla carta e mai applicate, non è così, la storia si complica, la nostra vita quotidiana si complica e ognuno di noi ne ha una da raccontare».
«Un fatto gravissimo – continua l’Associazione – una risposta inammissibile! È evidente che chi dovrebbe organizzare e disporre il servizio, non ha idea di che cosa sia il diabete, di come va trattato e gestito e di come la cronicità della patologia determini un carico al paziente e alla famiglia che non può e non deve essere assolutamente aggravato da problematiche di questo tipo».
L’Associazione, per far comprendere meglio la gravità della situazione, racconta la storia di Martina, 22 anni, che convive con il diabete di tipo 1 da 16 anni.
«Sono solo una – racconta Martina – tra le 300.000 persone in Italia ad essere affetta da questa patologia e sono solo una piccolissima rappresentanza di una percentuale non indifferente in Calabria. Quando si parla di diabete di tipo 1 c’è sempre molta confusione e poca informazione. Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune, diversa dal diabete di tipo 2 che si tratta invece di una malattia metabolica. L’unica cosa che hanno in comune è l’organo che viene danneggiato: il pancreas».
«Il diabete di tipo 1, spesso – continua Martina – è erroneamente definito come ‘diabete giovanile’ ma non è così poiché può insorgere a qualsiasi età. Un tempo veniva definito ‘diabete insulino-dipendente’ ma anche questa definizione è parzialmente errata poiché anche i soggetti con diabete di tipo 2 possono diventare insulino-dipendenti.
«L’unica cura e terapia salvavita, attualmente disponibile per il diabete di tipo 1, è l’insulina – ha spiegato –. Non è un trattamento monotono, uguale per tutti, diverse sfumature caratterizzano questa malattia: ogni paziente richiede cure, schemi di terapia insulinica, controllo della glicemia personalizzati. Microinfusori, sistemi di monitoraggio in continuo e pancreas artificiali sono la concretizzazione di un grande passo avanti che la tecnologia ha fatto in questo campo ciò permette di gestire al meglio la patologia che per ogni paziente è una compagna di vita. Sembrano apparentemente sistemi complessi ma che, noi persone col diabete, conosciamo bene, ci salvano la vita, ci consentono di vivere meglio, di ritardare se non del tutto evitare le gravi complicanze che la cronicità del diabete comporta, in altre parole ci consentono di avere una vita quasi normale».
«Il diabete non concede pause – ha ribadito Martina –. Le persone che accedono ai questi dispositivi sono: donne in gravidanza consapevoli che l’utilizzo del device è indispensabile per partorire un bambino sano e sanno che senza i sensori, senza la possibilità di monitorare in maniera costante la propria glicemia, aumentano i rischi di complicanze sia per la mamma che per il nascituro; bambini anche molto piccoli, con le loro mamme costrette a vegliare sui loro piccini durante la notte per paura delle ipoglicemie notturne che, se inavvertite possono essere mortali, e che grazie a questi devices sono notevolmente ridotte; bambini in età scolare i cui genitori, grazie ai sensori hanno la possibilità di monitorare a distanza, senza essere costretti a lasciare il lavoro per recarsi a scuola; giovani ragazzi come me e adulti che grazie all’azione del microinfusore e del sensore sono arrivati a un compenso glicometabolico. Tutti i pazienti con diabete di tipo 1 che ne hanno la necessità dovrebbero avere la possibilità di indossare il sensore o il microinfusore».
«Tanti riferiscono – continua l’Associazione – che l’unica soluzione possibile, stremati, sia quella di recarsi dai carabinieri per una denuncia. Tuttavia non mancano storie positive, Asl che effettivamente svolgono il loro lavoro nei tempi giusti, adottando un modus operandi chiaro e preciso, senza lunghe trafile, senza rischiare di mettere in pericolo la vita di un paziente diabetico di tipo 1. Sulle numerose persone che l’associazione AbcDiabete onlus ha intervistato, purtroppo le storie positive trovano un riscontro molto basso, anzi, quando le cose vanno come dovrebbero andare, ci si meraviglia, si ringrazia perché si crede di aver trovato una persona gentile che ha avuto pietà».
«Ma se la maggior parte dei pazienti con diabete – dice ancora l’Associazione – si trova in un triste luogo comune, nonostante una delibera regionale chiara, precisa, perché le province stanno a delle sotto-regole diverse? Perché nessuno ha ben chiara l’urgenza e il bisogno che i pazienti hanno di questi dispositivi salva-vita? Si cercano più che delle risposte dei provvedimenti immediati. Parlare non serve più». (rrm)