di PINO NANO – «Ero all’estero e, ricordo, scrissi una cartolina ad uno dei miei professori più cari. “Mi manca il mio paese” e non ero a Schindilifà, ero a Brighton, a pochi passi da Londra per seguire un corso di inglese. Eppure, mi mancava il contatto con la gente, con i miei genitori, mia sorella, mio fratello, mi mancava la passeggiata in piazza, l’incontro con Pino e con Ciccio, la nostra gitarella a Palmi o a Gioia Tauro – non Parigi o Berlino. Mi mancava il luogo dell’anima. O l’anima di quel luogo…».
Appena fresco di stampa, Ecco l’anima del luogo, Gruppo Albatros Il Filo (182 pag), è il nuovo libro del giornalista Gregorio Corigliano che dopo aver raccontato 30 anni di cronache in televisione ora racconta sé stesso e i luoghi della sua infanzia con una dolcezza e un senso di solitudine che la dicono lunga sulla sua vita di grande successo.
Ad aprire questa favola moderna sono i versi di una canzone bellissima che hanno reso poi famosa Iva Zanicchi che di suo padre confessava: «Non esiste un altro uomo/ Così caro come lui/ Sogna ancora ad occhi aperti/ E non ama la tristezza/ Noi ci somigliamo tanto/ Ma io non sogno ad occhi aperti/ Io appartengo a un altro mondo/ Dove lui vivrebbe male/ Caro, caro vecchio mio/ Ora corri insieme al tempo/ E non corri più nel vento/Ho il tuo sangue nelle vene/ E ti porto nel mio cuore…».
Questa è la storia di una saga, la storia intima di una famiglia del Sud, una famiglia sana, perbene, come mille altre in quegli anni, alle prese con i mille problemi della guerra prima, della ricostruzione dopo, e della rinascita ancora più tardi.
«Quel che più conta è che se ne sono andati i rapporti di un tempo…Mia sorella è andata a vivere nel bolognese, io nel cosentino, ma torno due volte al mese. C’è mio fratello che tiene aperta la casa ed i ricordi. E non è assolutamente poco…».
È la casa del “rosmarino”, che è la casa natale di Gregorio, quella di San Ferdinando, dove tutto ruota attorno ai ricordi passati.
«Nel mare delle parole scritte per esser lette – scrive nella prefazione che fa la scrittrice Barbara Alberti – ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze…».
Ma questo libro è anche la storia di un popolo, quello calabrese, eternamente in bilico tra miseria e disperazione, eternamente in viaggio e in cammino, ma è anche la storia della “Piana”, quella di Eranova e Gioia Tauro, dei suoi aranceti, dei suoi contadini, dei suoi artigiani, dei suoi mandriani di pecore, dei suoi sacerdoti.
È la storia del mare che sta di fronte casa sua, a due passi dal porto di Gioia Tauro, una landa di sabbia bagnata dalla fortuna, poco più avanti la Costa Viola, con i profumi dell’Aspromonte, una montagna quasi sacra, irraggiungibile ed eternamente tormentata dalla paura di violenze inconfessabili. Storie di uomini e di cose senza tempo che hanno affidato al mare e ai tramonti sullo stretto di Messina le proprie speranze e le proprie illusioni.
«Oggi ho preso la bicicletta – scrive l’autore – ed ho camminato a lungo, e non solo per le vie del centro-paese. Anche in periferia. Pedalando, pedalando ho potuto notare che ci sono centinaia e centinaia di case chiuse- nel senso non più abitate. Ma chiuse non per possibili ritorni, case dalle porte sbarrate, incatenate, se non a pezzi, quindi aperte. Non una o due, ma una infinità. Case un tempo vissute da famiglie, spesso numerose, ed ora in completo abbandono…»
Questo saggio è uno straordinario scrigno di ricordi, una cassaforte di emozioni, la narrazione romantica e straordinariamente avvincente di una Calabria che non esiste più, dove gli uomini partivano per la guerra e a casa rimanevano donne e bambini, e dove i bambini per tutta la vita hanno sognato una stretta di mano da padri invece condannati alla solitudine e ai lavori massacranti di un popolo errante. (pn)