di ALESSANDRO BUTTICÈ – Non capisco nulla di calcio. E sono pochissime le volte che ho messo piede in uno stadio. Una di queste è stata per Italia ‘90, per vedere gli Azzurri.
Avevo il pass per la tribuna stampa. E confesso, non senza un po’ di vergogna, di averlo usato solo per assistere alla finale.
Chi pensa che la vittoria non conta non vincerà mai nulla
Non posso però esimermi dal riconoscere la grandissima carica emotiva che il calcio rappresenta nella nostra società.
Capace di diventare anche un impareggiabile aggregante. Al di là delle diverse differenze, ideologiche e di altro genere, che lacerano così tanto il nostro Paese. E non solo.
Non mi addentro nell’argomento. Non solo perché non è mio campo di gioco congeniale, ma anche perché sarebbe discorso complesso. Che richiederebbe maggiore spazio e tempo.
Mi limito a dire che ho pensato da subito che la finale degli Europei di calcio, a Londra, tra l’Italia, Paese fondatore dell’Ue, e l’Inghilterra della Brexit, avrebbe avuto un’impareggiabile carica comunicativa. Quella che travalica, come spesso accade, i nobili principi di De Coubertin, messi da tempo in soffitta. E lo dico col rammarico del vecchio schermidore, pur senza alcuna ingenuità.
Doveva essere evidente a tutti che la finale Italia-Inghilterra, nella capitale del Brexit, poteva trasformarsi nel trionfo dei sostenitori del primo (e spero anche ultimo) divorzio della storia dell’Unione europea. Ricordando che il grande Pelé ammoniva “colui che pensa che la vittoria non conta, non vincerà mai nulla”. E questo mi preoccupava parecchio. Non solo per la spavalderia social dei vari giullari della Brexit, come Farage. Ma anche per l’annuncio dello scapigliato primo ministro britannico di proclamare un giorno di festa nazionale in caso di vittoria dell’Inghilterra.
Tifare per gli azzurri, un dovere di unità europea
La mia preoccupazione non era per l’impatto sui britannici, perché sono rassegnato al fatto che, purtroppo, io non li vedrò rientrare nell’Ue. Anche se spero possano rivederli un giorno i miei nipotini. Dopo che le più giovani generazioni avranno pagato il prezzo della scelleratezza dei politici avventurieri che, per fini esclusivamente personali e interni, hanno voluto la Brexit. Ottenendola persino con sorpresa. Come Farage, rimasto senza ragione di continuare a esistere politicamente dopo l’inaspettato divorzio.
Mi preoccupava invece, e non poco, l’impatto che una vittoria inglese, e quindi della Brexit, avrebbe avuto sui tanti “exiter” che aleggiano nel resto dell’Europa. Italia compresa. Passando per Germania, Francia, Polonia e Ungheria. Tanto per citare alcuni dei Paesi dove non manca il pensiero “sovranista” e nazionalista. Che nulla ha a che fare, come ricordava il Generale De Gaulle, con il patriottismo.
Il sostegno dall’Ue
Ho accolto quindi con grande soddisfazione la dichiarazione di sostegno agli Azzurri da parte della presidente della Commissione europea. La tedesca Ursula von der Leyen. Ribadita in sala stampa dal portavoce della Commissione, Eric Mamer, e dall’entusiasmo molto più mediterraneo dell’ex portavoce della Commissione europea, e oggi commissario europeo, il greco Margaritis Schinas. Che in un bel tweet ha scritto: “Fratelli d’Italia, Fratelli d’Europa. Forza Azzurri”.
L’Ue non poteva perdere quest’occasione unica e forse irripetibile, per provare a unire e non dividere, Stati ancora molto diversi, con interessi apparentemente ancora divergenti. Che alcuni vorrebbero amplificare, nascondendo i tanti invece molto comuni, e le tante conquiste e libertà raggiunte proprio grazie all’Ue.
Bruxelles tripudio di Tricolori
Gli italiani sono stati contenti di vedere che tutta l’Ue teneva per la propria squadra. E che nella capitale d’Europa, Bruxelles, era un tripudio di Tricolori. Con un sostegno pieno agli Azzurri, da parte di belgi e comunità internazionale, sin dopo l’onorevole sconfitta dei Diavoli rossi.
I cittadini Ue che non hanno tifato per gli Azzurri sono stati un’eccezione. Rispettabile, ma che per fortuna non ha avuto peso.
Anche se personalmente ho registrato qualche individuale dissenso alla mia certezza che le istituzioni Ue, e i tifosi degli altri Stati membri, non potevano non tifare per la squadra che non rappresentava solo il proprio Paese. Ma anche tutta l’Ue. Dalla quale l’Inghilterra (anche se non Londra) aveva deciso di staccarsi.
Il dissenso dell’europeismo al caviale e dei radicali del politicamente corretto
Dissenso che mi ha un po’ rattristato, anche se non del tutto sorpreso, perché registrato in fasce che definisco di “europeismo al caviale”. E in altre del radicalismo del “politicamente corretto”. Che, da voltairiano convinto, e oppositore di ogni pensiero unico, aborrisco come ogni forma di integralismo.
Alcuni di questi hanno provato a darmi lezioni dialettiche sul proverbiale fair play inglese, che purtroppo non è pervenuto a Wembley. A causa dei fischi durante il Canto degli italiani (comunemente noto come Inno di Mameli o Inno nazionale), e dell’abbandono degli spalti prima della premiazione dei vincitori. Comportamenti che nulla hanno a che fare con lo sbandierato fair play. E che non hanno riguardato solo i presunti hooligan e le analoghe sottospecie umanoidi che esistono ovunque. Italia compresa. Ma la stessa Nazionale inglese, che si è vergognosamente tolta dal collo, con palese sdegno, la medaglia d’argento. E che ha persino coinvolto la Famiglia reale presente alla partita. La quale, non ha avuto la reale cortesia di andare a felicitarsi della vittoria con il nostro presidente della Repubblica.
A riprova, non solo che lo stereotipo del fair play, come tutti gli stereotipi, ha i suoi limiti, ma anche che quella partita, per l’Inghilterra come per l’Ue (anche se meno consapevolmente che per i Brexiter) era molto più di una semplice partita di calcio.
Agli amici europeisti da piedistallo e talebani del politicamente corretto, ricordo una volta di più quanto già scritto per Eurocomunicazione a proposito di Europeismo dogmatico e radical chic? Bisogna stare con in piedi per terra, lo scorso 13 febbraio.
Bisogna stare con i piedi per terra, se si vuole davvero difendere l’unità europea. E se si vuole davvero “parlare europeo” bisogna anche saper parlare il linguaggio della gente. Ricordandosi che l’Europa unita è di tutti. Non solo di chi ha avuto la fortuna, l’opportunità o anche soltanto il coraggio di sperimentare sulla propria pelle i benefici dell’unità europea. Vivendo come me, da oltre tre decenni, questa bellissima esperienza.
E per convincere gli euroscettici ed exiter vari delle nostre buone ragioni, e del fatto che non può esserci futuro per i nostri Paesi fuori di un’Europa unita, serve ogni mezzo comunicativo. Ma soprattutto un linguaggio comprensibile da tutti. Anche da chi quando non ha il pane non può sostituirlo con le brioches.
E quello del calcio e dell’inclusività che può generare, è un linguaggio di grandissima efficacia. I cui risultati sono incomparabili a qualunque campagna di comunicazione sull’Europa. Spesso un po’ troppo cervellotiche e criptiche per raggiungere anche il cuore e la pancia della gente. Oltre che il cervello delle solite élite che non hanno bisogno di essere convinte.
E quale migliore testimonial di Unione europea del tifo calcistico a supporto della squadra Ue che fronteggia, nella capitale del Brexit, la squadra del Brexit?
Quale migliore “parlare europeo”? Difficile per me capire chi non l’abbia ancora capito.
Gli azzurri hanno strappato agli exiter la Brexit Day
Grazie quindi agli Azzurri! Dalla parte più profonda del mio cuore di patriota italiano ed europeo. Sull’esempio di due grandi italiani ed europei. I presidenti Sergio Mattarella e Mario Draghi.
Assieme al ringraziamento di tutti i cittadini e tifosi dell’Ue per avere tolto a Boris Johnson il pretesto di trasformare una vittoria calcistica nel Brexit–Day.
Gli inglesi restano amici e parte fondamentale del nostro continente e della nostra storia. Ma hanno scelto loro, democraticamente, di abbandonarci. E devono assumersene le conseguenze, anche di fronte al tifo calcistico. Al quale non hanno risposto con il loro tradizionale fair play. Provando il declino, che auguriamo di arrestare, di una grande Nazione che ha retto la fiamma della democrazia in momenti cruciali della storia europea.
Un simbolico segno di elegante distensione é però giunto il 14 luglio proprio da Bruxelles, capitale dell’Ue. Con la visita congiunta dell’ambasciatore d’Italia, Francesco Genuardi, e del suo omologo britannico, Martin Shearman, allo stadio Heysel. Alla presenza del sindaco di Bruxelles, Philippe Close, si sono uniti in un momento di raccoglimento comune in memoria delle 39 vittime della finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool del 1985.
I due Ambasciatori hanno voluto simbolicamente rendere omaggio alle vittime e alla città di Bruxelles che ospita le due Rappresentanze diplomatiche tramite la deposizione di una corona di fiori. “Rilanciando così – secondo una nota dell’Ambasciata d’Italia – il segnale di un’amicizia lunga nel tempo che unisce Italia e Inghilterra, accomunate dalla solidarietà e dal dovere della memoria verso le vittime dell’Heysel dalla medesima passione per il calcio e per lo sport”.
Sulla scorta del bel gesto dell’Ambasciatore Shearman, al piccolo Principe George, infine, va la mia carezza consolatoria di nonno per la sua tristezza. Con l’augurio che anche lui, un giorno non troppo lontano, assieme ai miei nipotini, possa nuovamente sventolare la bandiera europea. Magari durante un derby Ue Italia-Inghilterra, alla finale della Coppa del Mondo. (alb)
[courtesy Eurocomunicazione]