Anche in Calabria si è celebrato il Giorno del Ricordo, i tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe.
Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha evidenziato come «nel Giorno del Ricordo rinnoviamo la commossa memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, e dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati dalle loro terre».
«Le stime parlano di più di diecimila persone uccise – ha spiegato – gettate spesso ancora vive nelle cavità rocciose dell’altopiano del Carso».
«Un pezzo di storia amarissima – ha concluso – per troppi anni occultato, che lega il nostro Paese alla guerra ma che oggi deve rappresentare un importante momento di riflessione affinché quegli orrori non si ripetano mai più».
A Catanzaro, in Piazzale Martiri, delle Foibe, si è svolta una manifestazione promossa dal “Comitato 10 febbraio” e patrocinata dall’Amministrazione Comunale.
Erano presenti l’assessore alla Cultura e Pubblica Istruzione, Donatella Monteverdi, i consiglieri comunali Eugenio Riccio, Giorgio Arcuri e Anna Chiara Verrengia, il consigliere Paolo Mattia in rappresentanza dell’Amministrazione Provinciale e Salvatore Bullotta, storico e componente dell’Ufficio di Gabinetto del sindaco.
L’assessore regionale Emma Staine e il consigliere regionale Pietro Molinaro, partecipando alla commemorazione di Cosenza, hanno evidenziato come «la storia e i suoi eventi ci insegnano che la vendetta, la discriminazione, a qualunque titolo esercitati, accrescono solo altro odio e violenza».
«È un impegno di civiltà – hanno evidenziato – conservare e rinnovare la memoria, per ricordare sempre che i crimini contro l’umanità non hanno mai alcuna giustificazione. Serve inoltre a ricordare che l’impegno politico di tutti deve basarsi sul rispetto reciproco affinché possa orientare, essere da esempio, alla crescita civile e umana».
«Sicuramente – hanno proseguito – sono stati anni bui quelli tra il 1943 e il 1947 quando migliaia di vittime vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità carsiche dell’Istria e della Dalmazia, le cosiddette foibe».
«Una dolorosa vicenda della storia italiana del Novecento – hanno detto ancora – a lungo trascurata che permette di non dimenticare tutte le cosiddette “pulizie etniche” e di ribadire il valore della pace».
«Questo deve essere un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari – hanno detto – che negano i diritti fondamentali della persona. L’Italia ha saputo reagire a queste sciagure in modo democratico con i principi e valori della Carta Costituzionale di cui quest’anno ricorre il 75° anno dalla promulgazione».
«I nostri Padri Costituenti – hannon concluso – hanno fissato con l’illuminante art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua di religione di opinioni politiche di condizioni personali e sociali”».
L’Anpi “Ruggero Condò”, condannando le foibe, in una nota ha spiegato come «troviamo doveroso sottolineare come questo elemento sia soggettivo, mentre la memoria sia oggettiva. Infatti, le atrocità slave e titine nei confronti degli italiani di Venezia Giulia, Istria, Fiume e Dalmazia sono un fatto storico inoppugnabile, ovviamente deprecabile nell’eliminazione fisica di militari e civili».
«Però la storia – continua la nota – va evocata nella sua interezza, dunque vanno citate le imposizioni e le violenze italiane e fasciste alle popolazioni slave, antefatto della reazione culminata col riprovevole fenomeno delle foibe. La pratica delle foibe fu attuata dagli jugoslavi a ridosso dell’8 settembre 1943, in Istria, e vide riaccendersi anche del secolare conflitto tra città e campagna, con gli italiani odiati più per il loro elevato status sociale che per la loro nazionalità, e nel maggio 1945, quando i titini dilagarono in territorio italiano fino a Trieste col preciso disegno politico che intendeva sradicare gli italiani da quelle zone, annientando i fascisti e gli antifascisti intenzionati a opporsi all’instaurazione del regime di Tito».
«Si arrivò alla cifra attendibile di 5mila morti – continua la nota – e all’esodo di più 300mila nostri connazionali costretti a lasciare le loro case. Sarebbe il caso di ripensare alle parole di Mussolini nel 1920 a Pola: “Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone… i confini dell’Italia devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche… io credo che si possano più facilmente sacrificare 500mila slavi barbari a 50mila italiani”. E al milione e 706 morti slavi causati dal regime fascista, di cui solo poco più di 300mila i partigiani e gli altri tutti civili».
«Quindi – conclude la nota – la “Giornata del ricordo” non dovrebbe essere politicizzata, come semplificazione anticomunista o come contrappeso alla Shoah, quasi come fosse una rivincita». (rcz)