«Parliamo, giustamente preoccupati, di distacco tra società civile e società politica e riscontriamo una certa crisi dei partiti, una loro minore autorità, una meno spiccata attitudine a risolvere, su basi di comprensione, consenso e fiducia, i problemi della vita nazionale. Ma, a fondamento di ciò, non c’è forse la incapacità di utilizzare anche per noi, classe politica, la coscienza critica e la forza di volontà della base democratica?»
Era il 1969. Con spirito profetico, parlando ai dirigenti nazionali del suo partito, Aldo Moro coglieva il senso e la portata di una frattura che andava già aprendosi e che sarebbe poi diventata voragine. Oggi la politica – ed i politici – sono come in cerca di se stessi, quasi anche di una ragione e di un’anima, all’interno di una società nel suo complesso – a onor del vero – sospesa tra un mondo che non c’è più ed un altro che stenta a maturare. Le cronache quotidiane ne sono testimonianza, e le recenti vicende legate alla scarcerazione del killer di mafia Giovanni Brusca – giusto per fare un esempio tra i tanti possibili – lo dimostrano: a fronte della comprensibile indignazione popolare, si è assistito ad un diluvio di dichiarazioni da parte di coloro i quali, titolari dell’esercizio del potere legislativo, ben avrebbero potuto – e potrebbero – cambiare le norme di cui lamentano l’applicazione. Peraltro facendo finta di non sapere che il ritorno in libertà del sanguinario omicida di Cosa Nostra è frutto di leggi volute dagli stessi giudici morti proprio per mano di Brusca e dei suoi sodali, utilizzate per arginare lo strapotere di una mafia fino ad allora intoccabile.
Resta, al fondo, un gusto amaro: il compito di una classe dirigente non è quello di seguire la corrente, magari in base agli algoritmi delle tendenze sui social, ma di guidare il Paese illuminandogli la strada. Senza ovviamente cedere un millimetro sui princìpi della legalità, ma ricordando che esiste anche il volto mite della giustizia. Si assiste invece – in molti casi – ad un costante cedimento su entrambi i fronti: sempre più attenti alla realtà virtuale, spesso distratti sul versante del rispetto di regole ed etica. Fino a non molto tempo fa le strade d’accesso alla politica ed al servizio politico nelle istituzioni erano quelle che avevano quale base le scuole di partito. Ai giorni nostri restano eventi di varia natura, messi in piedi – il più delle volte – da organizzatori spesso digiuni di competenze formative ma sazi di propaganda sui social, al malcelato scopo di fidelizzare una parte minimale di giovani e ragazzi, per acquisire così un consenso effimero, ma utile ad accreditarsi agli occhi dell’opinione pubblica, evidentemente quella parte sparuta che poi partecipa alle tornate elettorali.
Rovesciare il banco e ripartire proprio dalle scuole di formazione politica potrebbe essere una soluzione utile, oltre che necessaria, a patto di garantire continuità e durata dell’esperienza formativa, carisma dei maestri, conoscenza e continuo studio del passato e del presente al fine di individuarvi i segni dei tempi e progettare il futuro. «Tempi nuovi si annunciano e si avanzano in fretta come non mai», preconizzava proprio Moro, sottolineando: «Nel profondo è una nuova umanità che vuole farsi, è il moto irresistibile della Storia». E la Storia, si sa, non è un selfie o qualche secondo di tik tok.
+ Vincenzo Bertolone
Presidente Conferenza Episcopale Calabra
Arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace