Legambiente Calabria: Ci costituiremo parte civile per indagine “Waste Water”

Legambiente Calabria ha espresso grande soddisfazione per l’indagine Waste Water, di cui si costituirà parte civile.

L’operazione è stata condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro insieme ai carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Catanzaro e dal personale della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia, coordinati dal Procura della Repubblica di Lamezia Terme.

«Vogliamo rivolgere un plauso particolare – ha dichiarato la presidente di Legambiente Calabria, Anna Parretta – al Procuratore della Repubblica, Salvatore Curcio e al sostituto Procuratore, Marica Brucci, nonché a tutte le forze dell’Ordine coinvolte che con il loro operato hanno permesso di far luce sull’azione criminale di alcuni spregiudicati imprenditori che sversavano rifiuti pericolosi in mare, inquinando le acque del golfo di Lamezia Terme».

Nei mesi scorsi, Legambiente Calabria, attraverso l’avv. Giovanni Arena del Cea.g., braccio giuridico dell’associazione ambientalista, aveva presentato, unitamente ad un gruppo di cittadini del territorio, una particolareggiata denuncia sullo stato in cui versava il mare antistante la costa lametina. In particolare, era stata segnalata la presenza di una vasta e anomala fascia verdastra che, proveniente dalla zona industriale, si propagava lungo tutto il litorale.

«L’Associazione ambientalista – ha concluso Anna Parretta – continuerà la sua battaglia per la salvaguardia dell’ambiente e si costituirà parte civile per chiedere la condanna di questi inquinatori seriali che, per il loro illecito profitto, distruggono il territorio e la sua economia e pregiudicano gravemente la salute delle persone».

«L’inchiesta Waste water – ha dichiarato il deputato del Movimento 5 StelleGiuseppe d’Ippolito – che ha fatto luce su una pesante vicenda di inquinamento nel golfo lametino di Sant’Eufemia, conferma che la Calabria è il punto di approdo, la discarica finale, del traffico illecito di rifiuti provenienti da fuori regione».

«Questo perché – ha aggiunto – mancano controlli efficaci ed è molto facile aggirare le autorizzazioni di legge. Tutto ciò è intollerabile. La provenienza degli indagati, destinatari dell’interdizione dall’esercizio di attività imprenditoriale nel settore dei rifiuti, nonché il sequestro preventivo dello stabilimento della società Ilsap di Lamezia Terme e di terreni contaminati, addirittura per un valore di 150milioni di euro, attestano l’importanza del lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e nel contempo la gravità della situazione per quanto concerne l’insalubrità dell’ambiente, diventato una pattumiera di rifiuti illecitamente smaltiti, tra l’altro con elevata concentrazione di metalli pesanti e l’omessa bonifica del sito interessato».
«Sulla gestione dello smaltimento dei rifiuti in Calabria – ha concluso – bisognerà potenziare il sistema di vigilanza e controllo, il che è una priorità assoluta. Oltretutto, come ho già chiesto con specifici atti parlamentari, è indispensabile modificare le norme sulle autorizzazioni per l’esercizio di ogni attività d’impresa in materia di rifiuti. Si tratta di interventi inderogabili, anche per la tutela della salute pubblica». (rcz)

Legambiente Calabria: Richiederemo verifica al Ministero dell’Ambiente su impianti idroelettrici sul Fiume Noce

Legambiente Calabria, Basilicata e Maratea hanno espresso preoccupazione in merito agli impianti idroelettrici sul Fiume Noce, chiedendo che «Regione Basilicata e Regione Calabria adottino una posizione chiara e ci appelleremo al Ministro dell’Ambiente affinché si faccia una verifica e si adottino gli opportuni provvedimenti».

Antonio Lanorte, presidente di Legambiente Basilicata, Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria e Giuseppe Ricciardi, presidente di Legambiente Maratea, hanno lanciato l’allarme per quanto sta avvenendo sul corso del Fiume Noce interessato ufficialmente da 8 centraline idroelettriche autorizzate.

Il fiume Noce, infatti, è un corso d’acqua di 45 km che nasce alle falde settentrionali del Monte Sirino, sul versante tirrenico della Basilicata e sfocia nel Mar Tirreno, segnando per oltre 10 km nel suo ultimo tratto il confine tra Basilicata e Calabria, che peraltro è quello maggiormente interessato dai progetti (ben 3).

«Innanzitutto, come è evidente – ha detto Ricciardi – colpisce il numero degli impianti idroelettrici che interessano il corso d’acqua. Al momento, solo considerando quelli autorizzati, ci sarebbe in media una centralina per nemmeno 6 km di fiume. Un numero che appare oggettivamente spropositato. E che ci preoccupa non poco».

In generale, la proliferazione degli impianti che si riscontra in Italia in questo momento  è certamente il frutto della presenza di incentivi  agli impianti idroelettrici nei corsi d’acqua naturali, garantito anche dal decreto Rinnovabili Fer 1, ma anche da frequenti aggiramenti della Direttiva Quadro europea sulle Acque.

«Pertanto – ha sottolineato Lanorte – la nostra prima richiesta a Regione Basilicata e Ministero dell’Ambiente è verificare se gli impianti autorizzati sul fiume Noce rispettino la Direttiva Quadro».

«Entrando nel merito degli aspetti relativi all’impatto ambientale degli impianti autorizzati – ha continuato Lanorte – il primo elemento che va sottolineato riguarda l’evidente incompatibilità di tali impianti con gli interventi in corso da più di 20 anni messi in atto dai comuni di Maratea e Tortora (oltre che dalle due Regioni e Autorità di Bacino) per il riordino del tratto terminale del fiume Noce ai fini della protezione dei rispettivi litorali».

«I progetti autorizzati per le centraline idroelettriche – ha sostenuto  Parretta – prevedono la costruzione di opere che sono di ostacolo al trasporto solido e che producono danni ambientali al ripascimento naturale delle spiagge di Maratea, Tortora e Praia a Mare. Infatti, la ricostruzione delle briglie rischia di annullare gli interventi realizzati di riduzione progressiva delle stesse eseguite a partire dall’anno 2001 di ripristino del profilo idraulico originario e che sono finora già costati oltre 2,5 milioni di euro di fondi pubblici».

«Tali interventi – ha aggiunto – riguardano nello specifico la riduzione progressiva di tutte le briglie che ostacolano il trasporto solido fluviale che alimenta i litorali e la non ricostruzione di quelle esistenti e scalzate dal regime fluviale per ripristinare il profilo idraulico originario di equilibrio che fu modificato dalla costruzione di argini e traverse non ben dimensionate nella seconda metà degli anni ’80».

«Inoltre – ha proseguito Lanorte – poiché la Regione Basilicata ha emesso un parere di non invio a Via tali progetti, essi non sono corredati di valutazione dell’impatto ambientale dei danni prodotti sull’intero bacino fluviale e sul litorale sotteso e non posseggono i requisiti ambientali minimi riguardo alla compensazione dei danni prodotti che non vengono valutati e stimati nel tempo intero di vita dell’opera. Tanto più che se le opere di compensazione necessarie di ripristino della continuità del trasporto solido e di ripascimento dei litorali fossero state previste esse avrebbero reso gli interventi non convenienti per l’operatore privato perché avrebbero messo in crisi la stessa remunerazione economica dei progetti».

Altra questione rilevante, riguarda l’impatto dei tali impianti sul regime idrico e le condizioni biologiche del corso d’acqua. La stessa Direttiva 2000/60 CE indica che per la salute del fiume, non basta rilasciare un “Deflusso Minimo Vitale” definito a priori, ma è necessario che il fiume mantenga, e dove sta male raggiunga, un “buono” o “elevato” Stato Ecologico.

Tale Stato Ecologico va misurato con tutta una serie di indici basati sullo stato degli elementi biologici (pesci, macroinvertebrati, piante acquatiche), chimico-fisici (inquinamento) e idromorfologici (artificializzazioni, sedimenti, forme fluviali, regime idrologico). Se questi elementi peggiorano il proprio stato a seguito della realizzazione/gestione di un impianto idroelettrico, viene violato uno dei principi cardini della Direttiva e cioè il concetto di “ non deterioramento”.

La valutazione dello stato ecologico del fiume risulta, nel caso specifico del Noce, un elemento, se possibile, di maggiore rilevanza considerando che alcune centraline, in particolare i 3 impianti collocati negli ultimi 10 km (in località Parrutta e Saporitana nel comune di Trecchina e in località Milossina nel comune di Maratea) sono all’interno di aree Sic, Siti di Interesse Comunitario (Sic Valle Noce IT9210265 e  Sic Marina di Castrocucco IT9210155). Ebbene per nessuno degli interventi viene valutato l’impatto sugli habitat e quindi sullo stato biologico del fiume.

Difatti, la Valutazione d’Incidenza (cioè lo strumento che si usa per valutare l’impatto ambientale di opere nei Sic) quando è presente per gli impianti in questione, contiene elementi del tutto generici e largamente ininfluenti in relazione alla compatibilità delle centraline con gli habitat protetti.

«Altro elemento fondamentale da considerare – ha concluso Lanorte – è l’assenza di qualsiasi valutazione dell’impatto cumulativo di più impianti sullo stesso corso d’acqua. È chiaro che, anche nei casi in cui ciascuno degli impianti, preso singolarmente, presenti un impatto limitato sul corso d’acqua interessato, il loro impatto cumulativo (es. in relazione all’alterazione morfologica e alla limitazione della dinamica laterale, del trasporto solido, o della continuità longitudinale) può diventare critico e non compatibile con gli obiettivi di qualità complessivi. Inoltre va tenuto presente che diversi fattori di pressione si manifestano (e quindi cumulano con altri) a scale temporali diverse, più o meno ampie».

In conclusione, secondo Legambiente ci sono tutti gli elementi per lanciare un allarme su quanto sta avvenendo sul Fiume Noce e per questo chiediamo alle due Regioni un approfondimento urgente della situazione esistente e ci appelliamo al Ministero dell’Ambiente per verificare procedure autorizzative e rispetto dei requisiti ambientali.

Inoltre, il caso del fiume Noce dimostra che occorre sicuramente rivedere le regole per l’idroelettrico prevedendo regole chiare nella tutela dei corsi d’acqua, che spingano al recupero energetico da acquedotti e a un utilizzo più efficiente degli impianti esistenti, per mantenere la produzione idroelettrica di cui abbiamo bisogno nella transizione energetica.

L’Italia è tra i maggiori produttori di energia idroelettrica in Europa e la fonte idraulica è quella che garantisce il principale contributo alla produzione di energia elettrica nazionale da rinnovabili nel nostro paese. I piccoli impianti sono, però, molte volte realizzati in contesti che conservano un’elevata qualità ambientale e  le autorizzazioni a costruire sono spesso state date in violazione della Direttiva Acque.

I cambiamenti climatici in atto obbligano sempre più ad un’attenta valutazione del contesto ambientale in cui si opera, e per quanto concerne le risorse idriche e i corsi d’acqua il tema si fa ancora più delicato.

È urgente avviare interventi di rinaturazione fluviale diffusi per recuperare le aree di esondazione naturale e restituire naturalità ai fiumi per aumentare la sicurezza, tutelarne la biodiversità e avviare una seria politica di adattamento ai cambiamenti climatici. (rrm)

Legambiente Calabria: Questione rifiuti non si risolve con termovalorizzatore a Crotone

In merito alla proposta apparsa, su diverse testate giornalistiche, di realizzare a Crotone un termovalorizzatore che bruci i rifiuti dell’intera regione, Legambiente Calabria ha espresso grande sconcerto.

La proposta è stata avanzata dai leghisti Giancarlo Cerrelli e Marisa Luana Cavallo, a seguito dell’emergenza rifiuti scoppiata nella città pitagorica nel periodo di Natale.

Per i due esponenti della Lega, infatti, «soltanto la realizzazione di un termovalorizzatore, nel territorio del Comune di Crotone possa essere la soluzione adeguata a risolvere il problema dei rifiuti della nostra provincia. Tale soluzione permetterebbe, tra l’altro, cosa non di poco conto, anche di produrre profitti a favore delle casse dell’Ente, dei quali potrà beneficiare, come avviene in alcune città, vedi Brescia, l’intera cittadinanza». Inoltre, «potrebbe, sicuramente – hanno spiegato – fornire un significativo contributo al fabbisogno energetico della città; oltre, infatti, a produrre energia elettrica, si potrebbe recuperare il calore generato e convogliarlo, attraverso una rete di teleriscaldamento fino alle abitazioni delle famiglie crotonesi, quantomeno di quelle più bisognose, oppure convogliarlo per riscaldare strutture pubbliche».

Il coordinatore provinciale Cerrelli e il consigliere comunale, infatti, hanno sottolineato che la realizzazione di tale strumento – qualora il Comune decida di dotarsene – «la nostra Provincia godrebbe, finalmente, di enormi benefici».

«Con tale riorganizzazione del sistema rifiuti – hanno spiegato Cerrelli e Cavallo – sarebbe facilmente attuabile una raccolta differenziata selettiva e di qualità per le cinque categorie di rifiuti (carta, plastica, vetro, acciaio e alluminio) e tutto il resto andrebbe ad essere conferito nel termovalorizzatore».

Inoltre, si risolverebbe anche il problema dello smaltimento «delle altre province calabresi, che avrebbero la possibilità di conferire i loro rifiuti nel nostro impianto, con il vantaggio, da parte del nostro Comune, di ricevere, con quest’ultima attività, profitti apprezzabili, che potrebbero essere destinati a progetti infrastrutturali e/o alle fasce più deboli della popolazione».

A questa proposta, dunque, Legambiente ha detto fermamente no, spiegando che  «Crotone – si legge in una nota – è una città già duramente colpita sotto il profilo ambientale da politiche di industrializzazione prima e di deindustrializzazione poi, totalmente errate e i cui effetti nefasti incidono ancora oggi sul territorio e sulla salute delle persone e, sicuramente, non ha bisogno di termovalorizzatori. In Calabria la gravità della questione rifiuti impone serietà, e non necessita di annunci teatrali quanto anacronistici e costosi».

«La direzione della politica europea in materia è molto chiara– ha spiegato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria – i fondi comunitari, da ultimo quelli previsti dal Recovery Fund, devono concentrarsi sull’economia verde e sulla lotta ai cambiamenti climatici, mentre impianti di incenerimento, discariche ed altre strutture di smaltimento di rifiuti indifferenziati non dovrebbero più essere finanziati per i loro effetti nocivi su salute e ambiente».

«I dati sulla raccolta differenziata nella città di Pitagora – ha commentato Nicola Abbruzese, membro del Consiglio Direttivo di Legambiente Calabria e co-responsabile del settore rifiuti e depurazione  – sono molto bassi. In Calabria, sui rifiuti, bisogna fare scelte chiare che vadano nella direzione di un’economia circolare seria ed efficace, e devono essere costruiti gli impianti della filiera del riciclo, a partire dagli impianti di compostaggio e digestione anaerobica per la produzione di compost di qualità e biometano».

«Annunci ad effetto – ha aggiunto – da parte di alcuni politici, come quello sulla realizzazione di un termovalorizzatore nella città di Crotone, vanno nella direzione sbagliata e sono indirizzati a destabilizzare il sistema della raccolta differenziata che, se pur con troppa lentezza, sta finalmente crescendo in Calabria».

«Per superare la perenne emergenza nella gestione dei rifiuti – ha concluso Anna Parretta – la Calabria deve uscire dalla logica degli inceneritori e delle discariche, sviluppando ogni possibile azione, per come previsto dalla normativa vigente, per far aumentare il riciclo da raccolta differenziata e lavorare  sulla riduzione alla fonte dei rifiuti,  seguendo l’esempio dei Comuni ricicloni e rifiuti free calabresi che anche quest’anno Legambiente premierà nel corso dell’Ecoforum regionale sull’economia circolare». (rrm)

Legambiente Calabria: Grave la decisione del Consiglio regionale di tagliare fondi alla Riserva naturale Valli Cupe

Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria ha dichiarato che «la decisione di tagliare i fondi per la Riserva Naturale delle Valli Cupe è grave ed ingiustificata, e pregiudica lo sviluppo dell’intero comprensorio in cui ricade l’area protetta».

Il Consiglio regionale della Calabria, infatti, ha approvato la legge di stabilità, con cui si dimezza il contributo stabilito per le spese di gestione della Riserva per l’anno 2021 ed addirittura si azzera, in via previsionale, per i successivi anni 2022 e 2023.

Legambiente Calabria, qualche giorno fa, alla luce della bozza del bilancio previsionale della Regione, aveva lanciato l’allarme sulla questione rilevando che, se il Bilancio fosse stato approvato in quei termini, l’Associazione ambientalista avrebbe avuto grosse difficoltà a raggiungere gli importanti obiettivi prefissati.

«Si tratta di una decisione talmente illogica ed incomprensibile – ha spiegato il direttore della Riserva, Antonio Falcone – che la Regione avrebbe dovuto avere chiare le conseguenze sulla gestione della Riserva delle Valli Cupe. Dopo avere evidenziato il problema, avevamo avuto rassicurazioni da parte della Regione. Eppure, ieri, la voce di bilancio sulla Riserva è arrivata in Consiglio senza correzioni ed è stata approvata. Noi, in ogni caso, continuiamo a lavoraree a gennaio, covid permettendo, insedieremo la Comunità ed il Comitato tecnico scientifico».

Non si tratta di un problema di risorse visto che la stessa legge di stabilità regionale, che dimezza i fondi a Valli Cupe e che decurta anche se in percentuali molto minori il contributo di altre Riserve regionali, prevede, paradossalmente, per l’anno 2021, contributi molto alti (250 mila euro) per una neonata associazione che risulta così beneficiaria di un doppio finanziamento, in base alla legge regionale n. 2 /2020, che tuttavia si riferiva al solo esercizio finanziario 2020.

Tali anomalie erano state evidenziate anche dal sindaco di Sersale, lo scorso 24 dicembre, in una comunicazione inviata a tutti i consiglieri, assessori, al presidente facente funzioni ed ai dipartimenti Bilancio ed Ambiente, e per conoscenza a Legambiente Calabria.

«La Regione Calabria – dice ancora la presidente Parretta– sostiene solo a parole di voler rafforzare il sistema di aree protette e la tutela degli ecosistemi marini e terrestri, ma nei fatti taglia i fondi per il rilancio di uno dei luoghi più suggestivi dell’intera Calabria. Il futuro possibile della Calabria è strettamente legato ad un modello di sviluppo verde che punti sulla biodiversità e sulle risorse naturalistiche, tuteli l’ambiente e valorizzi le Aree protette ed i Parchi».

«Chiediamo, dunque – ha concluso – alla Regione di tornare sulla propria decisione affinché non venga interrotto il circuito virtuoso creato dalla Riserva, che ha effetti positivi non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia del territorio». (rrc)

Legambiente: dopo Crotone, azioni immediate contro il dissesto idrogeologico

Interventi immediati contro il dissesto idrogeologico: secondo Legambiente Calabria non c’è più tempo da perdere, dopo il disastro di Crotone e gli altri danni sulla costa jonica. Sul suo web Legambiente Calabria mette in evidenza l’allarme lanciato a settembre sull’emergenza climatica. «Nel mese di settembre 2020 – si legge sul sito –, dopo che la città di Crotone aveva subito i gravi danni derivati dal “Medicane” (MEDIterranean hurriCANE) chiamato “Ianos”, Legambiente Calabria chiedeva che la Politica non attendesse la prossima tempesta. Purtroppo, nella drammatica inerzia di chi avrebbe dovuto prevenire ed intervenire, nei giorni scorsi Crotone è stata nuovamente invasa dalle acque per effetto delle piogge intensissime (circa 200 mm in 4 ore) che si sono verificate nella fascia jonica calabrese, causando frane, allagamenti e danni molto ingenti.

Un fenomeno correlato ai cambiamenti climatici in corso che, per come Legambiente Calabria ha rilevato molte volte, è, purtroppo, destinato a ripetersi ancora ed a diventare sempre più distruttivo. Proprio oggi la presentazione del Rapporto “Il Clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, redatto con il contributo di Unipol, la collaborazione scientifica di Enel Foundation e arricchito dalle collaborazioni con ISPRA. Nel documento viene redatta una mappa dei territori colpiti da fenomeni metereologici tra il 2010 e il 2020. Dieci anni di eventi estremi che hanno visto i Comuni italiani colpiti da lunghi periodi di siccità e temperature estreme, danni dovuti a trombe d’aria, che nel Meridione sferzano le città costiere, numerosi allagamenti da piogge intense che hanno determinato esondazioni fluviali e frane, con conseguenti danni alla popolazione, alle infrastrutture e al patrimonio storico-archeologico».

L’associazione chiede al governo l’approvazione immediata del piano di adattamento climatico, il rafforzamento del ruolo delle Autorità di distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico con risorse per la progettazione e realizzazione degli interventi, l’assunzione di tecnici, la priorità delle aree urbane negli interventi di adattamento al clima, norme più efficaci per adattare i territori agli impatti climatici e la messa in sicurezza delle persone.

«Siamo vicini a tutti i cittadini di Crotone» ha detto Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria «e ribadiamo che per contenere e limitare questo tipo di fenomeni meteorologici estremi, è indispensabile ed urgente che gli Enti territoriali ed in primo luogo la Regione Calabria affrontino l’emergenza climatica a partire dai nodi irrisolti del dissesto idrogeologico, dell’abusivismo edilizio e delle scelte urbanistico-edilizie totalmente errate. Se la Calabria vuole avere un futuro diverso è necessario scegliere ora, con una visione strategica che sinora è mancata, la direzione che passa dalla tutela e dalla cura del territorio e dell’ambiente e che è l’unica possibile per salvaguardare anche la vita e la salute umana. Non c’è più tempo».

L’appello di Legambiente Calabria: salvaguardare l’Abbazia di S. Maria di Corazzo di Carlopoli

Salvaguardare l’Abbazia di S. Maria di Corazzo di Carlopoli da ogni intervento che ne snaturi la bellezza e l’autenticità. È questo l’appello lanciato da Legambiente Calabria, che condivide la preoccupazione suscitata dalla diffusione di alcuni rendering del progetto preliminare di consolidamento e di restauro dell’Abbazia.

«Per quanto emerge dalle notizie rese note – si legge in una nota – la struttura, verrebbe ad essere pesantemente snaturata, con grave danno per gli interessi dell’intera collettività, dagli interventi di restauro e di recupero previsti dal progetto promosso dalla Soprintendenza Abap di Catanzaro e Crotone e finanziato dalla Regione Calabria».

«Appare evidente – ha dichiarato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria –  che qualsiasi intervento di restauro e di recupero da prevedersi e progettarsi in relazione all’Abbazia di Corazzo deve rispettarne la bellezza ed il grande valore paesaggistico, architettonico e artistico del sito».

Per tale motivo, Legambiente Calabria ha inoltrato al Comune di Carlopoli, ai sensi della vigente normativa, una richiesta di accesso agli atti del procedimento al fine di verificare, nell’interesse della collettività e dell’ambiente, la legittimità e la regolarità tecnico-urbanistica nonché l’osservanza, da parte degli interventi di restauro e recupero previsti, dei corretti criteri per valorizzare e conservare l’autenticità della struttura dell’Abbazia oggi esistente.

Legambiente Calabria ha, inoltre, invitato l’Amministrazione comunale di Carlopoli, a compiere, anche in via di autotutela, tutti gli accertamenti ritenuti necessari ed opportuni a tutela dell’ambiente e del territorio al fine di salvaguardare la struttura dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo da ogni intervento non consono alla storia ed alle caratteristiche architettoniche, paesaggistiche ed artistiche del luogo.

In attesa di poter procedere ad una valutazione degli atti, Legambiente Calabria, nel sottolineare la necessità di un confronto pubblico sinora inesistente, ribadisce come vi debba essere la massima cura ed attenzione nella tutela di tesori inestimabili come l’Abbazia di Corazzo, facenti parte del grande e purtroppo troppo spesso sconosciuto e poco valorizzato, patrimonio culturale ed artistico calabrese.

I possenti ed estremamente affascinanti ruderi dell’Abbazia, risalente all’ XI secolo e legata al nome di Gioacchino da Fiore – qui, infatti, vestì l’abito monacale divenendone, subito dopo, abate – si ergono nella valle del fiume Corace a testimonianza di un grande passato di prestigio e cultura. I ruderi sono visibili in località Castagna, una frazione di Carlopoli (rcz)