LA CALABRIA E 55 ANNI DI REGIONALISMO
TANTE LE RIFORME ANCORA DA ATTUARE

di DOMENICO CRITELLI – Nel 2025 stiamo girando la boa del 55mo anniversario di Regionalismo Calabrese.

Un passaggio ordinario, ormai, di funzionalità della legislazione differenziata e concorrente. Sarebbe stato opportuno, dopo oltre 50 anni, fare un bilancio dei miglioramenti o dei deficit, dei punti di forza e dei punti di debolezza. Di tutto ciò che si poteva fare, e si potrebbe ancora fare, per rendere i calabresi cittadini normali.

Un dato storico il 1970 allorquando si inserì, nella Costituzione, il sesto pilastro del nostro impianto Repubblicano (Corte Costituzionale, Parlamento, CSM, Regioni, Province, Comuni). Ogni anno, puntualmente, si dibatte dei Moti di Reggio successivi a quell’evento. Due narrazioni che si intrecciano e correlate fra di esse, in quanto ad implicazioni politiche e Istituzionali.

La ricostruzione che ne fa Calabria.Live, puntuale e oggettiva, aiuta il “guidatore” (il legislatore odierno) esattamente come uno “specchietto retrovisore”. Non vi si può tenere costantemente lo sguardo, perché si rischia di andarsi a schiantare.
Ma neanche ignorarlo del tutto, per evitare di essere orientati solo da revisionismo fine a se stesso o dalla riproposizione, de quo, di fatti e accadimenti ormai lontani e metabolizzati.

Una occhiata rapida, giusto per calibrare i giudizi, aiuterebbe a rendere più mirati i cambiamenti dell’impalcatura istituzionale ed amministrativa della Calabria, ma, soprattutto, geopolitica. Non è ordinario provare ad aprire un confronto su come rilanciare temi nazionali ma dalle implicazioni territoriali.

L’autonomia differenziata ed il Ponte sullo Stretto, senza perdere di vista la prospettiva di una maggiore coesione, questa volta politica, anche delle Istituzioni Europee.
Non è nemmeno pretenzioso, da parte mia, legare fatti transnazionali con prospettive di macroarea. Intanto, perché tutto si tiene insieme.

Poi, perché ne abbiamo titolo, essendo la Calabria, fra le altre, a comporre la Comm.ne InterMediterranea e ad esprimerne il Presidente, nella persona di Roberto Occhiuto.
E, in ultima istanza, perché sono temi dei quali mi appassiono e scrivo da anni. Il Mediterraneo, non un Oceano, ma con una rilevanza che lo tiene sempre al centro degli equilibri mondiali e ne fa parlare con la stessa dovizia e visione prospettica del Pacifico o dell’Atlantico.

Indubbiamente spazi acquei sterminati che, oltre a collegare continenti, sono sempre stati ritenuti baluardi anche di difesa degli Stati bagnati, per come sostiene Tim Marshal nel suo libro “Le 10 mappe che spiegano il mondo”. Lo stesso Mediterraneo con i suoi “affluenti” (Sicilia, Sardegna, Tirreno, Jonio, Adriatico etc.) potremmo assumerlo come il “nostro” oceano, dacché Mare Nostrum.

Assolutamente rilevante, anche perché in esso si svolge oltre il 25% dell’intero traffico commerciale e turistico del mondo. Senza attardarci in statistiche o citazioni, per venire rapidamente alla “provocazione ma non tanto”, bisognerebbe avere l’ambizione di superare la storica suddivisione di Calabria Citra e Calabria Ultra, dalle quali discesero, qualche millennio dopo, e fino al 1993, le tre Province di emanazione Sabauda (Catanzaro Cosenza Reggio Calabria): la “Calabria dei due Mari”.

Unica Regione italiana ad essere completamente avvolta da due mari, pur non essendo un’isola ma collegata alla terra dall’Istmo di Catanzaro. Si tratterebbe di ridare dignità, o anche di risarcire, l’intera fascia Jonica (Sibari, Corigliano Rossano, Crotone etc.) che, nei millenni successivi alla dominazione Magno Greca, hanno visto perdere sempre più rilevanza fino a ridursi in una terra di passaggio e di sempre meno residenza, fagocitata dai centralismi Regionali ed extra Regionali.

Ecco perché Autonomia e Ponte sullo Stretto potrebbero offrire la stura a rilanciare la MacroRegione Mediterranea, con zoccolo di partenza, Sicilia Calabria e Basilicata, e Capoluogo la “Città dello Stretto” unite dalla più grande opera ingegneristica del mondo, almeno in quanto a lunghezza e temerarietaà geostatica. La seconda Regione d’Italia con i suoi poco più di 7 mln di abitanti.

Una opportunità irripetibile per rilanciarci, affidandoci a noi stessi e, soprattutto, alla nostra testardaggine: quella positiva, ovviamente.
Non trascurerei neppure il fatto che le tre Regioni hanno la stessa maggioranza politica e la guida affidata a 3 Liberalpopolari che affondano, nell’autonomismo Sturziano, la cultura di Governo che li orienta. Saremmo competitivi e da primato su diverse materie quali Energia, Turismo, produzioni agricole, beni archeologici, enogastronomia mediterranea e Contee vitivinicole. E poi, artigianato e industrie eco-sostenibili.
Una sfida quotidiana ad elevare la qualità della vita, tra gli altri, dei Calabresi e di quelli Jonici, alla pari.

Sopratutto tornare ad essere attrattivi anche per tutti i nostri figli che hanno deciso di mettere subito a reddito i sacrifici di anni di studio, emigrando. L’articolazione Amministrativa fra funzioni legislative (Comm.ne Europea, Stato e Macro Regione) e di coordinamento (Province) potrebbe applicare, sul principio di densità demografica e contiguità territoriale, l’estensione e/o la contrazione di Province preesistenti ma dalle dimensioni sproporzionate, anche rispetto alla rivisitazione dell’ultima legge di Riforma, Del Rio, che pone un tetto(300 mila abitanti) oltre il quale il territorio finisce per essere sterminato e ingovernabile.

Allo stesso modo, sperequativo, Province piccole come Crotone e Vibo, o, addirittura, di pochi Comuni, 6 (sei) come nel caso della Provincia Toscana di Prato.
Le riforme nazionali, che procedono a rilento, fra scontri di casta o ideologici, come la Giustizia, il Premeriato e la stessa Autonomia fiscale, non possono non trovare applicazione che dialogando con il territorio.

In Calabria, invece, tutto si stà riaccorpando secondo la vecchia articolazione istituzionale delle 3 grandi Province preesistenti al 1993: aree nord, centro e sud.
Da ciò, le Camere di commercio, le organizzazioni di categoria, i Sindacati confederali etc.

Un “usato sicuro”, per molti, ma senza riscontro del sentimento popolare e delle ricadute politiche, infrastrutturali ed economiche.

A questo sommiamo la contestuale assenza dei partiti, ultraventennale, che non ha generato classe dirigente con capacità critica o autonoma visione del futuro, ma ambascerie periferiche, in taluni casi, vere e proprie sotto-prefetture del consenso.
Questo è, in buona parte, responsabilità della mia generazione che anziché porsi al servizio e basta, si è posta al servizio se.

Ma poi per fare cosa!? Per ritornare tutti abbracciati e, magari, anche saltellando, alla vecchia Provincia di Catanzaro? E chi lo stabilirebbe, il Consiglio Regionale o la Comm.ne parlamentare ?
Avevo proposto, già nel 2020, una consulta Regionale Interistituzionale aperta al mondo delle professioni e dell’associazionismo, per avviare, ad origine della legislatura, un confronto che avesse l’ambizione di aprire una stagione Riformista e innovatrice dell’articolazione Istituzionale amministrativa e territoriale della Calabria.

Cercando anche di evitare che questi 32 anni trascorsi dalla riforma delle autonomie locali (1993), si risolvessero alla Fantozzi (il comico): abbiamo scherzato. Se così dovesse essere, la forzatura sarebbe solo responsabilità dei tanti epigoni che calcano la scena nazionale e Regionale, senza interrogare o rendere partecipe il territorio.

Al netto delle preferenze personali – sono sempre stato per l’autonomia da Catanzaro fin dal 1979 anno di ingresso nella DC e, da qualche anno, sostengo la costituzione della Provincia della Magna Grecia – credo che il territorio vada costruito seguendo direttrici di sviluppo che riducono la perifericità dei territori e affidandosi, tra le altre infrastrutture, anche a Città policentriche o territorio.

Da ciò la fusione dei 6 Comuni rivieraschi di Crotone, Isola Capo Rizzuto,Cutro, Scandale, Rocca di Neto e Strongoli in un unico grande Comune di oltre 100 mila abitanti e ad una incidenza, e rilevanza geopolica, della più grande Città dello jonio calabrese, da Sibari a Locri, e del 3 territorio più esteso d’Italia dopo Roma e Ravenna(612 kmq).
Catanzaro, invece, è stata una Città “Centralista”.

Tutto avveniva subordinatamente agli interessi del Capoluogo. Da ciò la domanda di autonomia istituzionale, anticipata da quella politica, della mia generazione che, mi auguro, i “nuovi” sapranno difendere. Rispetto a questi temi riscontro, purtroppo, un fatalismo e una mancanza di idee, anche diverse, – chissà che non mi si convinca del contrario – che non lascia ben sperare, anzi!!

Le prossime elezioni Amministrative (2026) dovranno servire proprio per far crescere e condividere dal basso queste tematiche. Diversamente si continuerà a dibattere di Bonifica in termini reazionari e populisti senza neanche sapere di cosa si parla e quante opportunità si sono perse in attesa di Godot. Anche in questo caso, non mi fido dei nuovi e nemmeno di quelli della mia generazione che hanno attraversato gli ultimi 30 anni osservando o generando cumuli di rifiuti tossici e radioattivi ma utilizzando, nei mandati elettorali a loro discrezione per la Città, le Royalties.

E lo hanno fatto anche i cosiddetti Comuni Rivieraschi del Crotonese. Ecco perché mi fido e sostengo, solitariamente, l’azione del generale Errigo, Commissario Sin, sul quale si prova anche ad orientare il venticello della calunnia. Quest’ultimo anche da parte di chi essendo stato al Governo della Regione (Oliverio) o al Governo del Paese ( Conte I e II) ha titolo a confrontarsi ma non a porre addebiti o a suggestionare i Crotonesi.

Domenico Critelli è stato assessore Provinciale ed è componente del Comitato Magna Graecia]

LE LACRIME DI REGGIO DOPO 55 ANNI
SERVANO DA MONITO PER IL FUTURO

di SANTO STRATI – Provate a chiedere a un liceale calabrese, della rivolta di Reggio Calabria del 1970. Neanche i ragazzi di Reggio sapranno rispondere: c’è un ricordo forte, pur se annebbiato dagli anni, tra gli over 60, quelli, per intenderci, all’epoca avevano 10 anni, ma la damnatio memoriae ha colpito anche qui.

Fu una rivolta di popolo e non per il pennacchio del capoluogo (come malauguratamente sosteneva l’on. Gaetano Cingari, Psi): c’erano anni di sopportazione e delusioni, è bastata una scintilla per far scendere in piazza, giovani, vecchi, genitori con bambini in carrozzella, donne, tantissime donne, che gridavano di avere attenzione. Chiedevano un futuro per i propri figli, lavoro, crescita del territorio e sviluppo che avrebbe significato benessere.

I politici di allora non capirono e, anzi, fecero pesare ancor di più la supremazia (politica) di Cosenza e Catanzaro: loro avevano Misasi, Mancini, Pucci, Reggio aveva onesti (e modesti) rappresentanti in Parlamento. Sono passati 55 anni ma le “lacrime di Reggio” (come titolammo uno speciale per il 50° anniversario, in pieno Covid) sono ancora umide. La Calabria non ha ancora realizzato l’idea di fare rete, superando localismi e campanilismi, ma ci sono segnali incoraggianti. Però non si può dimenticare il passato, non si possono cancellare i soprusi, le vittime, i mutilati, i feriti, gli arrestati e l’illusione, allora, che qualcuno avrebbe dato ascolto ai reggini.

Va conservata la memoria storica, non soltanto per i reggini, ma per tutti i calabresi: è stata una rivolta cruenta, la più rilevante del Novecento in Europa, con l’arrivo persino dei carri armati a Reggio per domare i rivoltosi. Eppure si è persa – fino a oggi – l’occasione per far sì che la memoria e il ricordo di quelle drammatiche giornate non vadano dispersi. I giovani non sanno nulla della rivolta, bisogna che se ne parli, che venga spiegato loro, con onestà di pensiero, cosa e perché è successo. E per raccontare ai ragazzi la rivolta l’arch. Antonella Postorino ha realizzato una storia a fumetti, una graphic novel, disegnata da Marco Barone, ambientata durante i moti di Reggio.

Un’opera che piacerà molto ai giovani, non molto affascinati dalla lettura, ma certamente divoratori di fumetti. La storia di una bambina che vede con i suoi occhi innocenti le cariche della polizia, respira l’aria contaminata dai lacrimogeni (nessuno ha mai contato o detto quanti candelotti lacrimogeni sono stati sparati durante la rivolta) e viene salvata da uno sconosciuto durante una carica della polizia. La presentazione a Palazzo Campanella, a Reggio, è stata l’occasione per parlare della rivolta, con due protagonisti di allora, il sen. Renato Meduri (all’epoca aveva 33 anni) e l’on. Natino Aloi (nel 1970 aveva 32 anni) entrambi già in politica. Il loro racconto è stato emozionante, vivido, pieno di amarezza ma senza livore e senza rancori. La memoria storica di una rivolta che la sinistra, stupidamente, lasciò nelle mani della destra, tenendo a inspiegabile distanza il popolo reggino e le sue accorate richieste.

Io che all’epoca avevo 18 anni e mezzo l’ho vissuta giorno per giorno: per me e Franco Bruno – che facevamo la maturità al liceo classico Campanella con le camionette della polizia fuori della porta e i primi scontri di piazza sul corso Garibaldi – è stato un battesimo di fuoco (è il caso di dirlo) per la nostra aspirazione di fare i giornalisti. Accanto a Luigi Malafarina, cronista di nera della Gazzetta del Sud, il primo vero grande indagatore di mafia e gran conoscitore dei segreti della ‘ndrangheta (ci ha scritto svariati libri, ampiamente saccheggiati poi dai nuovi maîtres à penser presunti mafiologi) abbiamo imparato sulle barricate come si fa giornalismo.

Peraltro a Reggio vennero giornalisti da tutto il mondo e Malafarina li accoglieva tutti e dispensava loro notizie che non avrebbero mai scoperto, suggeriva come mettersi al sicuro durante le cariche della Celere, spiegava le ragioni di quella rivolta di popolo. Malafarina cominciò a raccogliere con meticolosità tutto quello che veniva pubblicato: centinaia di ritagli di quotidiani, pagine di settimanali, periodici di tutto il mondo. Non so come facesse ma si faceva mandare le pagine pubblicate sulla rivolta, giorno dopo giorno, voleva essere documentato da come la stampa trattava i moti. Una stanza piena di giornali che io e Franco eravamo entusiasti di aiutare a classificare e archiviare.

Nacque così l’idea di scrivere a sei mani la storia della rivolta, raccontando le varie posizioni politiche, la cronaca e riportando con assoluta terzietà “pillole” dei vari inviati, in un collage informativo estremamente vigoroso e obiettivo. Vide la luce così Buio a Reggio, la monumentale storia della rivolta che, però, nessun grande editore voleva pubblicare. In realtà, c’erano stati contatti importanti con la Rizzoli e con Laterza, ma la prima si defilò dopo qualche “suggerimento” proprio il giorno della firma del contratto, la seconda, per voce dell’allora presidente Vito Laterza “rinunciò” a pubblicare un libro – mi disse l’editore pugliese – che «avrebbe fatto male alla sinistra».

Il libro era pronto (migliaia di cartelle dattiloscritte, mica c’era il computer allora!) che aspettavano solo di diventare carta stampata. Fu l’on. Giuseppe Reale (Dc) a volerlo pubblicare con la sua Casa editrice Parallelo 38: commissionò all’artista reggino Leo Pellicanò quattro meravigliosi disegni delle copertine (sarebbero stati 4 volumi in cofanetto per circa 1000 pagine) e si accordò per la stampa con uno dei più grandi stabilimenti tipografici di allora, la Frama di Chiaravalle. Allora si stampava con il piombo: passai due settimane a Chiaravalle Centrale, in mezzo alla neve, quel dicembre del 1972 a correggere le bozze, circondato da tonnellate di pagine di piombo uscite dalla linotype. E a metà dicembre il libro uscì e fu un successo clamoroso.

Vent’anni dopo, un altro editore “coraggioso” Franco Arcidiaco ne fece una ristampa anagrafica in due volumi e anche questa trovò largo consenso, a riprova che della rivolta si sapeva ancora troppo poco e il nostro libro ne costituiva la genuina (e indipendente) memoria storica. Buio a Reggio l’ho completamente riveduto e corretto e quindi rieditato (per Media&Books) in occasione del Cinquantenario, nel 2020, in pieno Covid.

Malafarina è scomparso nel 1988, Bruno nel 2011: senza i miei compagni di viaggio (che ho sentito comunque a me vicinissimi durante il lavoro di riedizione) ho voluto riscrivere un’introduzione con gli occhi di 50 anni dopo e dare un volto a tutti i protagonisti (politici, sindacalisti, etc.) di allora, proprio a salvaguardia della memoria storica, raccogliendo immagini dell’epoca e riutilizzando gran parte delle foto che il buon Lello Spinelli (fotografo della Gazzetta) aveva donato a Malafarina.

Tornando a al libro a fumetti 1970 La rivolta di Reggio Calabria (Laruffa editore) c’è da aggiungere che l’evento a Palazzo Campanella ha registrato numerosi interventi, a cominciare dal Presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso che ha sottolineato l’esigenza, oggi più che mai, di fare rete tra le città calabresi, superando antistorici localismi e odiosi e inutili campanilismi.

Quello che è accaduto a Reggio – ha detto Mancuso (coordinatore regionale della Lega) non va rimosso né cancellato, ma deve servire a indicare la strada di una comune intesa (senza più le storiche rivalità fra le province) per uno sforzo comune inteso alla crescita e allo sviluppo del territorio. Una sala affollatissima e un dibattito promosso da Forza Italia e coordinato da Giuseppe Sergi, che ha registrato un vibrante intervento in streaming video da Roma di Wanda Ferro, sottosegretario all’Interno, e dell’illustratore Marco Barone.

Ma applauditissimo è stato l’intervento di Francesco Cannizzaro, vicecapogruppo alla Camera, deputato azzurro e segretario regionale FI) che ha puntato tutto sull’orgoglio reggino, ferito e calpestato, sulla devastazione morale, ancorché fisica della città, mettendo in evidenza la necessità di fare finalmente chiarezza sui fatti di Reggio. 55 anni fa – ha detto Cannizzaro – io non ero nemmeno nato e le poche cose che so le ho apprese dal libro di Malafarina, Bruno e Strati: bisogna far conoscere ai nostri giovani cosa successe 55 anni fa e perché, bisogna andare nelle scuole (e il libro di Postorino-Barone ha buone chances di essere accolto e apprezzato dagli studenti), ma bisogna parlare e far parlare chi c’era e chi è venuto dopo, chi ha studiato la rivolta e i documenti oggi non più secretati, perché la memoria del passato – ha detto – è la pietra d’inciampo del futuro.

Molte cose, a partire dal Porto di Reggio, non sarebbero state realizzate senza i morti e i feriti di Reggio: non lo dimentichiamo. (s)

L’OPINIONE / Vincenzo Vitale: l’attualità dei Moti reggini del 1970, incompresi anticipatori della Storia

di VINCENZO VITALE – Viandante, tu entri in una città morta. In questa città la partitocrazia ha ucciso la democrazia”. Così un cartellone sui muri di una casa di Santa Caterina ai tempi del suo Granducato. Si sintetizzava in due frasi il comune sentire reggino: se la prima oggi suona retorica, la seconda ha la forza di esprimere “spirito del tempo”.

La partitocrazia uccide la democrazia: il concetto, posto dall’anonimo cartellonista nel 1970, diviene di scottante attualità per tutti gli italiani solo quando Tangentopoli nel 1992 pone la pietra tombale sulla Prima Repubblica. Oggi si può scorgere in quegli anni l’abbrivio della deriva involutiva che avrebbe portato il sistema alla sua implosione: gestione del potere fatta di accordi partitici nascosti e trasversali, operazioni occulte e spartitorie, muri di gomma e false aperture all’ascolto, obliqui clericalismi e ipocriti ideologismi.

Vi è un’altra espressione utile a decodificare il comune sentire di quei giorni: ha un autore, Antonio Di Terla, citato da Piefranco Bruni nel suo saggio introduttivo a “Reggio Calabria oltre la Rivolta” di Natino Aloi.

«La Rivolta di Reggio ha avuto tra i tanti meriti quello di aver anticipato la caduta delle ideologie». Non obbedendo a nessuna ideologia politica, i Moti del Settanta non sono stati capiti né dal centro né dalla sinistra, entrambi incapaci di concepire una sommossa popolare che non si rifacesse a questioni socio-economiche o di lotta di classe. Addirittura uno storico di sinistra spocchiosamente li definì come una lotta per un «pennacchio spagnolesco».

Non vennero capite le vere motivazioni della Rivolta, nonostante che alcuni inviati (Alfonso Madeo ed Egidio Sterpa, del Corriere della Sera; Francesco Fornari, de La Stampa) avessero già nei primi giorni evidenziato che: i Moti”non rispondevano a logiche precise, a pressioni razionali”; i sentimenti e gli stati d’animo di quei giorni “si ritrovavano a tutti i livelli, senza distinzione di classe sociale, di colore politico, di età”; partecipavano tutti i cittadini, “borghesi, proletari, giovani, vecchi, comunisti, neofascisti, socialisti, democristiani, repubblicani”.

I Moti anticipatori della Storia? Basta identificare nella loro spontaneità i fermenti di un nuovo modo di concepire un’insurrezione, quello che avrebbe portato alla fine del Secolo Breve e alla caduta del Muro di Berlino, icona delle opposte ideologie.

Ai primi anni Settanta, ancora immersi nell’analisi dei Moti del Quartiere Latino (maggio 1968) e di Praga (agosto 1968), gli analisti politici non seppero cogliere la novità di quanto stava accadendo in fondo allo Stivale: la rivendicazione della propria identità e il rifiuto dell’asfissiante cappa del decisionismo verticistico.

Fu così che si etichettò come lotta per un “pennacchio spagnolesco” quella che invece fu una spontanea, forse incosapevole, “romantica” anticipazione dei movimenti localistici e di rivalutazione delle singole identità territoriali che, in opposizione al trend globalizzante “illuminato”, oggi fanno parte a pieno titolo del dinamismo sociale postmoderno. (vv)

A Reggio alla segretaria di Fdi si sono ricordati i Moti di Reggio

Nei giorni scorsi, nella segreteria politica di Fratelli d’Italia a Reggio Calabria, si è svolto il convegno La Rivolta di Reggio: riflessioni di un testimone di quello strano evento storico dell’Italia contemporanea. Alla ricerca di una memoria storica condivisa, per i ragazzi di allora e per quelli di oggi, organizzato dal Coordinamento cittadino di FdI.

Il convegno, moderato dall’architetto Marcello Altomonte, ha visto i saluti iniziali del consigliere comunale e capogruppo di Fratelli d’Italia Demetrio Marino e dell’eurodeputato Denis Nesci, collegato in videoconferenza.

Attraverso le relazioni del dott. Vincenzo de Salvo e dell’arch. Filippo de Blasio di Palizzi, si è tornati indietro nel tempo, ricordando anni difficili e complessi per Reggio Calabria, evidenziando come la Rivolta sia da considerare un “evento storico nazionale” anticipatore di processi politico-sociali che si sarebbero affermati in seguito su scala nazionale e non solo.

Il dott. De Salvo, nel corso del suo intervento, ha elencato date e fatti ufficiali in modo lucido e chiaro, senza prestarsi a campanilismi che avrebbero potuto favorire ambiguità e mistificazioni. La spontaneità e la legittimità che portarono alla Rivolta di Reggio trovarono purtroppo una macchina statale sorda e impreparata, con gli esiti che tutti conosciamo.

L’arch. Filippo de Blasio di Palizzi, con un prezioso intervento, è riuscito a fare luce rispetto gli aspetti tecnici legati all’urbanistica non soltanto degli anni della Rivolta ma anche del periodo successivo. Un punto di vista originale, figlio di competenza e preparazione, utile anche a chiarire le difficoltà attuali di Reggio Calabria da un punto di vista urbanistico.

L’evento  organizzato dal Coordinamento cittadino di FdI si è chiuso con il sentito intervento dell’on. Natino Aloi, protagonista in prima persona degli anni della Rivolta. Attraverso un intervento emozionante e coinvolgente, l’on. Aloi ha fatto rivivere ai presenti le emozioni e la passione che guidarono la città negli anni ‘70, periodo che vide una Reggio Calabria compatta e determinata a combattere uno scippo subito.

Lo sguardo analitico e preciso di Aloi infine si è spostato sull’attuale periodo storico, con la Reggio Calabria di oggi che solo con coerenza, moralità e rifacendosi ai valori di un tempo potrà trovare nuova linfa e la via del riscatto. (rrc)