VOTO IN CALABRIA DOPO IL 15 SETTEMBRE
PD NEL PALLONE CON DIMISSIONI DI ZINGA

di SANTO STRATI – L’annuncio (avvelenato) delle dimissioni del segretario dem Nicola Zingaretti ha anticipato di poco la decisione del Consiglio dei Ministri di annullare le elezioni regionali calabresi fissate all’11 aprile, rinviandole a una finestra temporale tra il 15 settembre e 15 ottobre. Le due cose sono evidentemente staccate l’una dall’altra, ma si intuisce che l’allungamento dei tempi per il voto regionale, con le dimissioni di Zinga, offrono l’opportunità al centrosinistra di schiarirsi le idee, che, fino a ieri mattina continuavano ad essere molto controverse e confuse. Lo slittamento, apparentemente, favorisce – ma non è stato imposto per questo, è chiaro – l’antagonista molto debole di un centrodestra che, secondo i numeri, avrebbe la vittoria in pugno. i dem avranno una bella gatta da pelare (Bonaccini sta preparando la valigia per Roma) per ricomporre i pezzi di un’unità ormai da tempo smarrita e, forse, potrebbero tentare di trovare una convergenza che in Calabria serve più del pane, e senza la quale non c’è storia per la riconquista della Cittadella di Germaneto.

Il rinvio (che avevamo da molto tempo previsto su queste colonne) è obbligato dalla situazione pandemica di cui si sta perdendo il controllo: per le grandi città chiamate al voto (Roma, Milano, Napoli) è un’insperata boccata d’ossigeno visto che allo stato attuale c’erano troppe idee confuse sulle candidature, ad esclusione del sindaco Beppe Sala di Milano pronto a bissare senza difficoltà il mandato, con la piazza romana in preda al panico giallo-rosso (purtroppo non si tratta di tifosi romanisti) e Napoli su cui ci sono molte mire da ogni parte politica. Ma per la Calabria questo rinvio è una disgrazia: dalla scomparsa della povera presidente Jole la Regione è in un limbo dove trionfa il “vorrei ma non posso” che contrasta brutalmente con i precedenti governi del “potrei ma non voglio”: Consiglio e Giunta sono chiamati al minimo sindacale, esclusivamente per l’ordinaria amministrazione. Dovevano andare tutti a casa a dicembre, invece se ne riparla a settembre (se tutto andrà bene) e qualche perplessità sulla cosiddetta “ordinaria amministrazione” qualcuno, per la verità, se l’è fatta venire. Il punto principale è uno solo: cosa può fare una Regione rappresentata in facente funzioni di fronte alle scadenze del Recovery Plan, di fronte alla programmazione infrastrutturale (?), di fronte a un Nord sempre più rapace nei confronti del Mezzogiorno? Poco, pochissimo, niente.

Il centrodestra,che stava ricostruendo (agevolmente) la coalizione puntando su Roberto Occhiuto, si trova spiazzato. L’onda emotiva dell’eredità della compianta Santelli è già finita ai primi giorni dell’anno, quindi l’effetto psicologico della continuità era già venuto meno: serviva un personaggio su cui coagulare le forze e la scelta di Forza Italia di indicare l’attuale capogruppo (anche lui ff) della Camera è risultata indovinata. Ma da qui a settembre cosa succederà con un governo multicolore, tendenzialmente pronto alla rissa, con troppe anime strategicamente separate e politicamente zucchero e miele, almeno all’apparenza? Il ruolo di Salvini e di Giorgetti prenderà una marcata differenziazione nell’orizzonte amministrativo d’autunno o stringerà di più i vincoli di lealtà con l’opponente Giorgia forte dei suoi Fratelli?

Infuriato Luigi De Magistris, affiancato da un ancor più furente Carlo Tansi («Il differimento del voto a dopo l’estate – aveva detto l’altro ieri l’ex capo della Protezione Civile calabrese – sarebbe una lesione della democrazia»), perché la sua prodigiosa avanzata in Calabria troverà una brusca frenata.  Fino a ieri mattina, quando ancora si pensava ragionevolmente al 9 giugno come data probabile per il voto, la confusione grillini-dem in regione giocava a suo favore e si poteva persino immaginare un passo indietro del centrosinistra (che avrebbe potuto ritirare la candidatura di Irto) per un patto “scellerato”, unica soluzione per fermare il centrodestra. Fino a ieri mattina metà dei grillini  mostrava, senza nasconderlo, una crescente simpatia per l’avventura civica degli arancioni, rifiutando di sostenere il vicepresidente Nicola Irto. Oggi, lo scenario cambia, anzi viene stravolto completamente. E se da un lato si profila una “rinascita” dei pentastellati grazie a Conte-Mandrake, dall’altro le dimissioni (annunciate, non ancora confermate) di Zingaretti fanno mutare totalmente il quadro a sinistra. Poco prima dell’annuncio delle dimissioni («Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni») Zinga aveva provato a far entrare in giunta i grillini con il placet dei dem (ma non degli stessi pentastellati), lasciando però autonomia per le elezioni amministrative. L’assemblea dem prevista per il 13 marzo – confermata, anche alla luce dell’annuncio di Zinga – dovrà affrontare e risolvere una crisi che ha radici lontane e che non promette niente di buono. Meno che meno in Calabria, dove – com’è noto – non si fa da anni il sempre richiesto congresso, il partito è commissariato e la sua anima divisiva trova ogni giorno motivi di ulteriori disagi di convivenza.

Diciamo la verità, con tutto il rispetto per la ministra Lamorgese che ha scelto la via della cautela con il rinvio, il Governo, almeno per la Calabria poteva tentare di fissare il voto regionale a giugno, salvo a un eventuale, se inevitabile, rinvio: la situazione pandemica in regione non è preoccupante rispetto alla situazione del Paese, e si sarebbe dovuto tenere presente che i calabresi sono senza governo dal 16 ottobre, con tutto il rispetto per il massimo impegno che il vicepresidente (non eletto dal popolo) Nino Spirlì sta profondendo dal primo giorno del suo mandato di presidente  facente funzioni. La regione e la Regione sono ferme, non ci possiamo permettere di stare ancora a guardare le rapine del Nord e l’indifferenza della classe politica (inclusa buona parte di quella calabrese).

Ha detto Nicola Irto: «Prendo atto del rinvio delle elezioni regionali al prossimo autunno. Le decisioni del governo, dettate dall’emergenza Covid, vanno rispettate. Ma questa non è una buona notizia per la Calabria che ha bisogno di votare al più presto per restituire ai cittadini una giunta regionale legittimata democraticamente». Secondo il vicepresidente del Consiglio regionale « i cittadini calabresi hanno bisogno di punti di riferimento veri in un momento decisivo per il futuro, nel quale bisognerà vigilare sull’operato di chi sta mal governando la regione e occorrerà soprattutto elaborare, come già stiamo facendo, proposte concrete sui temi della sanità, del Recovery plan, delle aspettative degli enti locali, della crisi delle imprese, delle difficoltà delle famiglie e dei giovani, delle persone fragili, per quel ‘diritto al futuro’ che la nostra Calabria non può più attendere oltre. La pandemia, la crisi economica e sociale che vivono anche i calabresi, richiedono scelte politiche forti e condivise con i territori e le comunità, gli enti, le organizzazioni».

Forti perplessità ha espresso De Magistris su un provvedimento che «arriva a comizi già indetti e a raccolte di firme in atto, con Carlo Tansi che le aveva raccolte per la seconda volta e noi le stavamo raccogliendo». Il sindaco di Napoli, candidato presidente, ha detto di condividere il rinvio, ma – ha detto – «non comprendo e non comprendiamo sinceramente perché non rinviarle ad esempio nella seconda metà di giugno, quando anche l’esperienza dell’anno scorso dimostra che la pandemia subisce un crollo».  Secondo De Magistris «adesso ci saranno le restrizioni che allenteranno il contagio, il piano vaccinale che si presume a giugno sia entrato nel vivo. E poi un decreto legge consente in sessanta giorni, prima della conversione, di verificare l’andamento pandemico. Quindi è molto grave il rinvio in autunno perché si lascia una regione strategica del nostro Mezzogiorno e del nostro Paese senza presidente eletto dal popolo, guidata da un vicepresidente nominato che non ha la legittimazione popolare per governare. Per sei mesi accadrà questo e, quindi, grande vigilanza democratica, e noi la faremo, perché non si utilizzino questi mesi – ha dichiarato de Magistris – per fare cose che un vicepresidente non eletto non è nelle condizioni di poter fare. Sarà tempo che si perde per il Recovery Found, per affrontare il dramma sanitaria, la pandemia sociale ed economica, il lavoro».

Lamentarsi non serve, ma non è vero che non c’è via d’uscita. Si tratta di un decreto che andrà convertito in legge entro il 4 giugno, previa discussione in aula. Una postilla per la Calabria – sempre che l’approvazione sia rapida – potrebbe prevedere una deroga per far votare i calabresi entro metà giugno. Facile a dirsi, ma bisognerà capire a chi conviene anticipare i tempi e a chi risulterà utile ritardare la chiamata alle urne. Facendo i conti, la decisione spetta al gruppo più consistente della Camera, quello dell’ex governo Conte. Ma sia ai dem che ai grillini farà più comodo votare in autunno. Auguri, povera Calabria! (s)

70.000 calabresi ai gazebo delle primarie PD A Zingaretti la “ricostruzione” della sinistra

di SANTO STRATI

— Due dati sono estremamente significativi di queste primarie PD: il primo riguarda la straordinaria affluenza (oltre 1.800.000 a fronte di una stima che faticava ad arrivare al milione), il secondo la percentuale altissima di consensi al nuovo segretario. Entrambi gli elementi concorrono a rendere chiaro che la sinistra “non è morta” (forse stava solo sonnecchiando?) e che, anche in Calabria, c’è voglia di alternativa e di riscatto. Marco Minniti, mancato aspirante segretario, aveva rimarcato che un segretario che non avesse raggiunto la maggioranza alle primarie sarebbe stato un segretario dimezzato, costretto a subire i giochi del congresso, incapace di riunire le tante “anime” della sinistra. Nicola Zingaretti ha sbaragliato ogni previsione che pur lo dava per vincente: la sua missione – ricostruire la sinistra – è sicuramente ora più agevole, perché la grande partecipazione al voto mostra un elettorato che vuole tornare ad essere protagonista, che faccia sentire la presenza di un’opposizione che, francamente, sembrava davvero all’acqua di rose negli ultimi tempi.

È un ottimo segnale che si associa all’altro pervenuto sabato scorso da Milano: la società civile (quella che in piazza Duomo ha riunito giovani, donne, anziani, militanti o semplici cittadini) non può più tollerare di vedere l’Italia andare a rotoli, a causa di dilettanti allo sbaraglio che credono di governare solo con le parole e i proclami. È ora che torni la politica, quella seria, dove l’opposizione faccia l’opposizione dove è necessario, valuti e trovi eventuali alleanze per proporre un governo agli italiani, in grado di rimettere in moto crescita e sviluppo.

Per correttezza, occorre riconoscere anche agli altri due candidati, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, il merito di avere dato una sorta di scossa a un partito che sembrava destinato a cambiare nuovamente nel difficile percorso di condivisione e di aggregazione delle sue varie componenti (non basta – come pensa qualcuno – cambiare solo il nome per rigenerare un partito). Invece, la risposta che viene da queste primarie è la supremazia della politica sull’incompetenza e il pressapochismo. Èd è un segnale che in Calabria va letto con una lente ancora più spessa: le due mozioni a sostegno di Zingaretti (una di Oliverio, l’altra di Carlo Guccione) hanno contribuito al successo del candidato, ma hanno, qualora non si fosse capito, rimarcato lo spirito divisivo che ancora insiste nella sinistra e, in particolar modo, nel pd calabrese.

Il tentativo di delegittimare Mario Oliverio – al di là delle vicende giudiziarie che, di fatto, hanno dimezzato il ruolo del governatore – in termini politici è riuscito solo in minima parte: il commissario regionale Stefano Graziano sta facendo il possibile per riallacciare le fila di componenti fuori controllo, ma dovrà essere Zingaretti – che non è venuto in Calabria nel suo pur faticoso tour elettorale – a indicare soluzioni non più divisive. La Calabria andrà al voto probabilmente a novembre e il candidato “naturale” Oliverio non sembra essere la scelta più azzeccata per contrastare una destra che è quasi certa di conquistare la Cittadella di Germaneto. Destra o sinistra, governo od opposizione, il fatto è che la Calabria ha bisogno di essere guidata: troppa burocrazia, troppi progetti fumosi, poca adesione al contesto sociale, alla realtà quotidiana. Chi vincerà le prossime elezioni regionali dovrà fare i conti con questo quadro d’insieme, se avrà a cuore una ripartenza seria per una regione sempre più ai margini, incapace di sfruttare e utilizzare le tantissime risorse del territorio e dei suoi validissimi giovani laureati.

A valutare l’operato di Oliverio in questi anni di governo regionale ci penseranno gli elettori, se sarà riproposto per un secondo mandato, però il malpancismo, tipico della sinistra e ancora più accentuato dalle nostre parti, potrebbe suggerire altre soluzioni. La Calabria ha una tradizione di lotte contadine, di una sinistra forte e combattiva: in questi ultimi anni, però, la sinistra ha mostrato solo il suo aspetto litigioso e divisivo, lontano dal popolo, staccato dalla realtà, non in grado di interpretare i sentimenti popolari. Facile col populismo intaccare questi valori, ma si può, sicuramente, recuperare.

Al neo segretario, in questo momento, arrivano complimenti e felicitazioni; noi vorremmo suggerire, da subito, di aprire il dossier Calabria: sono troppi i problemi da risolvere e non sarà l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza (se mai vedrà la luce) a modificare in alcun modo la drammatica situazione occupazionale e la costante emorragia di risorse giovani, costrette all’emigrazione più odiosa, quella intellettuale. La Calabria, i calabresi non vogliono assistenzialismo né l’elemosina del reddito di cittadinanza: richiedono iniziative e opportunità che consentano di creare e offrire lavoro a chi non l’ha mai avuto, a chi lo ha perso, a chi lo cerca, nella sua terra. (s)