PUNTI DI VISTA / Aurelio Misiti: L’autostrada della Ionica

di FRANCESCO RAO  – Già in passato è stato affermato che “al finanziamento del Progetto di Sistema per il Sud, sono chiamati a concorrere sia  fondi di “parte pubblica” sia quelli di parte “privata”, incentivati da un organico e completo quadro territoriale/infrastrutturale volto a concretizzare l’attuazione degli asset naturali, ambientali, climatici, storici e culturali di contesto di cui il Mezzogiorno dispone, rendendoli attrattori di grandi investimenti di portata “globale”.

Questa azione è fondamentale per il concreto rinnovo strutturale e socioeconomico del territorio, nella direzione dei più avanzati e innovativi modelli culturali e degli standard di vita. In tal senso, le vie di comunicazione, oggi come ai tempi dell’Impero romano, rappresentano l’assoluta priorità per superare l’isolamento dei territori e rendere virtuoso il rilancio socio-economico della Calabria e del Mezzogiorno, anche attraverso la valorizzazione delle risorse presenti in loco e non per ultimo ampliando l’attuale paniere dell’offerta turistica all’ambito archeologico-culturale calabrese in quanto già colonia greca e quindi custode di un immenso patrimonio da scoprire e valorizzare. Grazie alla disponibilità del prof. Aurelio Misiti, già Preside della Facoltà di Ingegneria presso la Sapienza di Roma, Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, viceministro alle infrastrutture e trasporti, abbiamo approfondito le opportunità nascenti da un processo di valorizzazione del Meridione praticabile anche con l’ausilio degli investitori privati nel settore delle autostrade.

-Qual è il suo parere relativamente alla valorizzazione della Magna Grecia da Taranto a Reggio Calabria?

Nel prossimo decennio si dovrà attuare una trasformazione per far emergere la grande ricchezza archeologica e culturale della riviera Ionica da Reggio Calabria a Taranto. Che, per quanto riguarda la mobilità, si dovrebbe realizzare nel seguente modo: utilizzare l’attuale ferrovia e le relative stazioni come base di una pista ciclabile da Reggio Calabria a Taranto ricorrendo a fondi privati per la costruzione e la gestione, ristrutturando le stazioni come piccoli alberghi, soprattutto per i ciclisti, aprendo così alle 35 città costiere l’accesso al mare senza impedimenti. Accanto all’autostrada che dovrà realizzarsi con le modalità che descriveremo, andrà prevista la costruzione di due strutture ferroviarie modernissime poste dietro l’autostrada ed i centri abitati per realizzare il movimento delle merci tra l’Africa che si affaccia nel Mediterraneo e l’Europa centrale.   

-L’attualità del “Progetto di Sistema” per il Sud e per l’Italia ha posto l’attenzione anche sul sistema infrastrutturale. Il nostro Meridione, visti gli ingenti investimenti europei, ha saputo superare lo storico divario?

La Sicilia, Calabria, Basilicata, la Puglia e la Campania hanno urgente bisogno di incrementare il sistema dei trasporti da e verso il resto d’Italia e d’Europa, attraverso il miglioramento dei sottosistemi autostradale, ferroviario, aereo e navale. Le autostrade italiane sono state realizzate da parte dello Stato attraverso l’Iri, mediante investimenti che sono stati poi ripagati, insieme agli interessi, nei cinquant’anni trascorsi da coloro i quali hanno utilizzato le stesse autostrade. Fanno eccezione a questa regola due autostrade: la Salerno-Reggio Calabria e la Catania-Palermo-Trapani-Castelvetrano. Le altre autostrade sono tutte pagate dagli utenti. Allora credevano di farci un favore, attraverso il processo di assistenzialismo, anche se veniva giustificato ciò con la mancanza di alternative in caso di chiusura dell’autostrada, circostanza non del tutto vera in quanto, l’autostrada è sempre molto vicina alle due Strade Statali, 18 (Salerno-Reggio Calabria) e 19 (Salerno-Catanzaro), che con opportune e modesti miglioramenti sarebbero state alternative valide all’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Quindi, su questo punto, gli italiani, hanno tutti i diritti ma non tutti i doveri. Queste autostrade sono state finanziate a fondo perduto dallo Stato e gestite dall’Anas e dalla società pubblica siciliana delle autostrade, assegnando nel tempo scarse disponibilità alle manutenzioni ordinarie e straordinarie ed i capitali sino ad ora investiti, comprese le risorse di manutenzione, sono a carico di tutti i cittadini e non solo degli utenti. Quando stavo al Parlamento, alcuni deputati del Nord hanno sempre rimproverato ai deputati del Sud la situazione rappresentata dal mancato pagamento del pedaggio sulla Salerno-Reggio Calabria, ponendo a carico di tutti gli italiani l’intero costo della sua realizzazione e della sua gestione.   

-La partecipazione pubblico-privato, per la realizzazione delle autostrade può essere un modello da praticare in Calabria e Sicilia? 

Quando ero con Di Pietro ministro, abbiamo realizzato in Lombardia la Bre.Be.Mi. (Brescia-Bergamo Milano). Per questa infrastruttura lo Stato ha messo il 20% e il privato l’80% ed è stata realizzata in poco tempo. La mia intenzione è quella di praticare lo stesso schema al Sud e Sicilia. Lo studio di fattibilità qui presentato è stato realizzato alla presenza del compianto ex ministro Zamberletti, con la partecipazione di alcuni tecnici di livello e in presenza dei capi Intesa e Unicredit banca. Questi ultimi, mi hanno suggerito che loro potevano partecipare al bando nel Mezzogiorno solo se lo Stato avesse contribuito con il 50% degli investimenti. Appresa questa esigenza, conti alla mano, io ho accettato la proposta in quanto lo stato aveva già investito negli ultimi anni 13,9 miliardi per rinnovare la Salerno Reggio Calabria, non avrebbe provveduto a esigere dalla società di gestione il pagamento del canone trentennale e avrebbe esonerato le imprese dal pagamento dell’Irap e del Ires. 

-Quanto costa la realizzazione della nuova autostrada e l’adeguamento delle trasversali?

Si è fatto il calcolo che gli investimenti privati si aggirano intorno ai 15 miliardi e per tanto le esigenze delle banche venivano totalmente recepite. 

-Per quale motivo i finanziatori privati avrebbero sostenuto una spesa di tale importanza?

Pe un motivo molto semplice. L’azienda mista che avrebbe gestito il sistema delle autostrade meridionali, dopo un mese dalla firma, avrebbe cominciato a incassare i fondi dagli utenti.

-A quanto sarebbero ammontati gli importi dovuti dagli utenti?

Le entrate della società mista sarebbero state circa il 70% dell’importo complessivo a regime in quanto sarà previsto per sette anni la gratuità dell’acquisto del bollo, per la parte degli utenti della Calabria e della Basilicata nonché per la provincia di Taranto, mentre l’ottavo anno avrebbero pagato il bollo per 1/3, il nono anno 2/3 e il decimo anno pagheranno 3/3. 

-Questa proposta come è stata colta dai decisori politici locali?

Considerando che l’autostrada sarà ultimata in sette anni, i sindaci inizialmente erano tutti contrari. Quando hanno ascoltato la proposta, molti di loro ne hanno colto immediatamente l’opportunità. In merito alla scelta del presidente Occhiuto, con la destinazione di 3 miliardi del Pnrr all’Anas per la realizzazione del tratto Crotone-Catanzaro lido, non vi sono contrarietà, purché la realizzazione del suddetto tratto sia omogenea con il tratto dell’autostrada E90 che parte da Lisbona e va a finire in Turchia, considerando che per i prossimi cento anni, non vi saranno occasioni come quelle attuali per ultimare l’opera. Insomma, se in 50 anni sono stati realizzati 60 km, per realizzare 470 km con fondi dello Stato quanti anni ci vorranno?

L’infrastruttura completa, ricorrendo alla proposta illustrata, consentirebbe la realizzazione dell’intera opera in sette anni. Insomma, attraverso la realizzazione del progetto di sistema, si realizza quel futuro posto ai prossimi 150 anni con una visione nella quale, attraverso la realizzazione delle trasversali, anche le aree interne, sempre più soggette a desertificazione demografica ed economica, tornerebbero ad essere popolate e soprattutto ogni singola realtà troverà il modo per esprimere i valori del territorio e delle sue popolazioni, rendendo la Calabria e il Mezzogiorno ulteriore trazione di crescita e sviluppo per l’Italia. Rendendo così in dieci anni i cittadini Meridionali con gli stessi diritti e gli stessi doveri degli Italiani. (fr)

 

 

PUNTI DI VISTA / Aurelio Misiti: L’autonomia differenziata

di FRANCESCO RAOL’argomento ha polarizzato in modo particolare l’attenzione dei media e quindi degli italiani. La politica, nelle sue diverse compagini partitiche, si è frammentata: oltre ai sostenitori ci sono i contrari ed i parzialmente favorevoli. Seppur il provvedimento voluto dal Ministro Calderoli è già legge, con buona probabilità, essendo in fermento il desiderio di promuovere l’abrogazione della norma attraverso il ricorso all’Istituto del Referendum, abbiamo avuto modo di intervistare il prof. Aurelio Misiti, già Preside della Facoltà di Ingegneria presso la Sapienza di Roma, Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, vice ministro alle infrastrutture e trasporti,  il quale, con molta disponibilità, ha voluto condividere non solo il suo pensiero in merito ma ha  illustrato una proposta alternativa di riforma, rispetto alla norma recentemente approvata. 

-L’esperienza di 54 anni delle Regioni italiane mostra un bilancio chiarissimo. In questo periodo, il divario tra il (ricco) Nord e il (povero) Sud è aumentato?

La Costituzione italiana prevede che le Regioni debbano dedicarsi alla programmazione del territorio, mentre esse, oltre a programmare, si sono caricate di un’attività operativa tipica dei comuni. Tanto è vero che i Presidenti si autoproclamano governatori. Al Titolo V della nostra Carta costituzionale è prevista l’autonomia, che non va definita differenziata, in quanto ciò vuol che in Italia ci sarebbero Regioni ricche e regioni povere da assistere con una prevista solidarietà. Non basta affermare che, prima di attuare la legge approvata dal Parlamento, bisogna realizzare i Lep e mettere nelle stesse condizioni di partenza le regioni e addirittura le stesse persone. Ciò significherebbe che le Regioni del Nord aumenteranno la loro ricchezza e quelle del Sud la loro povertà. 

-In merito alla Legge Calderoli, indicata come spaccaitalia, il suo pensiero appare divergente. Può illustrarci la ragioni?

Vista nel suo complesso, la legge proposta dal Ministro Calderoli va abolita. In quanto va attuata l’autonomia prevista dalla Costituzione, ragion per cui le unità territoriali dovrebbero essere in grado di gestirsi autonomamente in tutto e senza ricorrere ad assistenza esterna. Per raggiungere questo risultato, sarebbe necessaria una profonda riforma costituzionale da realizzarsi nel prossimo decennio.

-Perché secondo lei è necessaria una profonda riforma alla Carta costituzionale? 

Come già anticipato, il regionalismo previsto dai costituenti, nel dare vita alla Costituzione più avanzata del mondo occidentale, aveva l’obiettivo di realizzare la parità tra le regioni del Mezzogiorno e le regioni del Nord. Di fatto, l’evolversi delle dinamiche post-belliche, con la ricostruzione dell’Italia, ha comportato l’affermazione del divario Nord-Sud. Bisogna ricorrere alla storia culturale, politica e costituzionale del nostro Paese, unificando le regioni, le quali, da sole non riescono a gestirsi e attraverso una riduzione del numero delle stesse, sarebbe necessario passare dalle attuali venti a quattro. Le attuali regioni saranno enti intermedi (tipo le vecchie province), operative e attuatori delle politiche decise e programmate dalle macroregioni. Nello specifico: nel Meridione otto regioni, unite in una macroregione, conterebbero circa 18 milioni di abitanti. Poi, Lazio, Umbria, Marche, Sardegna, Toscana, macroregione centrale, con oltre dieci milioni di abitanti; Emilia-Romagna, Veneto, Venezia Giulia, Alto Adige, con 13 milioni di abitanti, diverrebbe la macroregione nord-est e infine, Liguria, Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta macroregione nord-ovest con circa 17 milioni di abitanti. Ciascuna delle macroregioni rappresenterebbe una entità statale con tutti i poteri e le strutture necessarie. L’Italia diventerebbe uno Stato con i poteri fondamentali: forze armate, economia, istruzione, sanità – che deve tornare allo Stato in quanto è necessario garantire a tutti le stesse opportunità prima di tutto in ambito sanitario. Questo modello è riconducibile al sistema federale già diffuso in Europa – Germania, Francia Spagna e Svizzera e il potere periferico viene esercitato attraverso la funzione decisionale dei rispettivi Länder oppure dei Cantoni.

-Attraverso questa proposta, non si potrebbe rischiare un ulteriore acuirsi delle cause che hanno generato gli attuali divari non solo tra Nord e Sud ma anche tra le diverse regioni d’Italia?

Prima di affermare che siamo autonomi dobbiamo pensare alle necessarie modifiche costituzionali. Non bisogna fare i Lep – livelli essenziali delle prestazioni –, bisogna fare il cambio della struttura regionale. Naturalmente, l’unificazione delle macroaree non dovrà far perdere la singola originalità delle regioni. 

-Secondo lei, i tempi sono maturi per attuare una riforma del genere?

Se questa riforma costituzionale venisse realizzata avremmo in Italia l’autonomia vera e propria, per intenderci, quella prevista dal Titolo V della Costituzione e, in tal modo, si potrebbe andare avanti tutti insieme. Naturalmente ci sarà qualcuno che andrà più veloce e qualcuno che andrà meno veloce. Ma la velocità di cui stiamo parlando non sarà tale perché prevista dalla Costituzione. I ritardi saranno generati dall’incapacità, mentre le azioni virtuose saranno frutto della capacità amministrativa e allora, i risultati, andranno ricercati tra le attività svolte tra le macroregioni e non tra le persone.

-Attraverso questo suo ultimo concetto ripone una forte aspettativa sulle persone. Quale sarebbe il loro ruolo secondo lei? 

In tali condizioni ci sarebbe il ritorno della gente nei luoghi di origine e tutto ciò significherebbe rinascita strutturale dei sistemi socioeconomici e produttivi. Basti pensare che i contratti nazionali di lavoro potranno essere stipulati nelle singole macroaree interessate, mentre la parte giuridica dovrà essere uguale in tutta Italia e la parte economica, contrariamente ad oggi, terrà in considerazione le esigenze locali. Vista la nostra condizione territoriale, può anche darsi che i contratti collettivi di lavoro potrebbero essere più vantaggiosi nell’area meridionale che nell’attuale Lombardia e quindi potremmo attirare nuovi investimenti e rendere possibili nuove opportunità di crescita socioeconomica. 

-Attraverso la realizzazione di questa riforma, il Meridione assumerebbe un ruolo fortemente strategico per il rilancio dell’intero Paese? 

Esatto. La visione di questa riforma, da attuare nel corso del prossimo decennio, potrebbe dare vita al progetto di sistema per il Sud dell’Italia e l’Europa, come a suo tempo illustrato con lungimiranza dallo studio pubblicato da Svimez nel 2021, creando quei presupposti di sviluppo per il corso dei prossimi cento anni attraverso un virtuoso processo di crescita e sviluppo. Si pensi infine al ruolo che potrebbe svolgere una Città Metropolitana dello Stretto, composta dalle due Città metropolitane di Reggio Calabria e Messina con circa 1,5 milioni di abitanti, il Porto di Gioia Tauro, l’aeroporto dello Stretto, l’Aspromonte, gli scavi archeologici di Locri, le Università e tutte le ricchezze afferenti alle risorse culturali della Magna Grecia, quest’ultimo autentico vettore di cultura e di attrazione turistica mondiale. La Città Metropolitana dello Stretto potrebbe superare definitivamente gli effetti della rivolta del 1970 che hanno portato alla suddivisione, proposta allora dal Governo nazionale, con l’istituzione dell’Università a Cosenza, il Capoluogo a Catanzaro e la sede del Consiglio regionale della Calabria a Reggio. 

Tutto ciò potrebbe dar vita ad una piccola Rio de Janeiro, naturalmente senza le favelas, divenendo oggettivamente la capitale del Mediterraneo. In sostanza, queste riforme potrebbero portare al superamento del Gap tra Sud e Nord attualmente esistente. (fr)

 

PUNTI DI VISTA / Aurelio Misiti: Disinquinamento di Crotone

di FRANCESCO RAOLa bonifica e la rigenerazione dei siti contaminati sono estremamente legate alle possibilità di riutilizzo degli stessi. È importante, perciò, soffermarsi non soltanto sul disinquinamento ma anche sull’aspetto urbanistico affinché le due azioni, condotte nel rispetto delle leggi possano generare nel complesso, benefici sociali, economici e ambientali tesi a divenire quell’opportunità strutturale per la quale anche il patrimonio archeologico presente a Crotone possa nuovamente divenire baricentro mondiale, attraverso la valorizzazione della scuola Pitagorica e la promozione della pace, tema particolarmente caro al fondatore di una tra le più importanti scuole di pensiero dell’umanità. Grazie alla disponibilità del Prof. Aurelio Misiti, già Preside della Facoltà di Ingegneria presso la Sapienza di Roma, Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, viceministro alle infrastrutture e trasporti, abbiamo affrontato l’importantissimo tema del disinquinamento del sito di Crotone-Cassano-Cerchiara ottenendo anche alcune proposte tese a conferire alla scienza il complesso compito di risolvere i problemi.

-L’attività industriale presente a Crotone, da molti decenni, ha smesso la propria produzione. Per superare i ritardi del disinquinamento del sito quali strade potrebbero essere oggi percorse?

Gli attuali Sin (siti di interesse nazionale) non sono una invenzione dei recenti governi ma la sintesi di tutte quelle indicazioni provenienti nel tempo dall’Europa, a seguito del percorso avviato nel passato da quei settori industriali con un impatto ambientale fortemente inquinante. In tutta Italia ci sono siti di questo tipo e da anni si lavora per disinquinarli. Tant’è vero che nelle università, promotore Sapienza, è stato costituito un gruppo di ingegneria sanitaria-ambientale diffondendo il proprio operato attraverso la realizzazione di una rete universitaria che si occupa da sempre dello studio di siti contaminati. Attualmente, la coordinatrice del gruppo nazionale di università che raggruppa Catania, Brescia, Milano, Torino, Genova e Palermo è una docente della Facoltà di Ingegneria dell’Università Sapienza di Roma e tutti i componenti di questo gruppo di lavoro sono tutti di specialisti del disinquinamento industriale. Ogni due anni, il SiCon – acronimo di Siti contaminati – attraverso un Workshop, oltre a diffondere una copiosa letteratura scientifica, si apre al confronto, contribuendo notevolmente ai processi di disinquinamento dei singoli siti interessati.  

-Per il disinquinamento di Crotone è stata incaricata una società dell’Eni, Eni Rewind. Il governo ha nominato un Commissario ad acta e recentemente, sulle scelte messe in campo per affrancare l’area interessata. Sono sorte contraddizioni per le quali il Regione, Provincia e Comune di Crotone, hanno impugnato il Decreto del Ministro dell’Ambiente davanti al Tar. Tutto ciò rischia di compromettere il processo di disinquinamento avviato?  

Noi abbiamo la disponibilità dell’Eni che è una società specializzata e che lavora in tutto il mondo. Non c’è bisogno di inviare i rifiuti a Copenaghen o altrove. Inoltre, credo che la politica non possa competere con l’Eni in termini di competenza scientifica. Bisogna sottolineare che la società in questione, oltre ad aver maturato precedenti esperienze in questo settore dispone dei migliori ingegneri, molti dei quali sono stati allievi della Sapienza e oggi lavorano in contesti nazionali e internazionali di elevatissimo prestigio scientifico. Mentre l’Eni ha previsto che le procedure disinquinanti siano svolte in luogo, i partiti politici, la regione e il Sindaco del Comune di Crotone sostengono che i rifiuti inquinanti devono essere smaltiti fuori dalla Calabria. Va precisato a scanso di equivoci che il ricorso alla discarica diverrebbe la strada da seguire solo dopo l’avvenuta eliminazione dei veleni dalla massa di rifiuti interessati, attuando così il processo di disinquinamento e superando ogni pericolo presente e futuro per l’ecosistema. Frenare questa occasione, potrebbe significare il blocco del processo di disinquinamento chissà per quanto altro tempo. 

-Quale proposta intende condividere in merito per superare l’eventuale fase di stallo?

Il suggerimento che vorrei condividere, posto all’attenzione sia del Sindaco di Crotone Voce sia del  Commissario Errigo,  potrebbe essere quello di  valutare l’ipotesi di avanzare una richiesta formale a una delle università che si occupano di tali procedure finalizzata ad una eventuale sottoscrizione di una convenzione in modo tale da far dialogare sull’argomento Sin Crotone la scienza con l’Eni e con quanti si pongono oggi in contrapposizione alle scelte da compiere per raggiungere l’obiettivo agendo non secondo parere ma secondo assunti scientifici. Questa proposta è funzionale alla soluzione del problema. Allo stato attuale, nessuno parla in questi termini e perciò, andando avanti per approssimazione, i problemi continueranno ed essere irrisolti. Attraverso il metodo scientifico, quando si riterrà che l’Eni stia sbagliando nel fare qualcosa, si potrà affermare: l’Università ha affermato il contrario, sulla base di precisi dati ed Eni Rewind dovrà seguire quelle indicazioni. Diversamente, la condivisione delle scelte praticate, approvate dal mondo accademico, oltre a convalidarne il metodo diverranno la garanzia del raggiungimento del risultato, finalizzato principalmente a liberare Crotone e ovviamente tutti i siti nazionali sulla base di questo metodo scientifico. (fr)