La raccolta manuale delle olive

di GREGORIO CORIGLIANO – Quel giorno pioveva. Eppure dovevamo andare alle Colline, così si chiamava la zona dell’uliveto che mio padre aveva acquistato dalla sorella emigrata in America. Non si poteva spostare il giorno stabilito perché le raccoglitrici di olive erano già sotto casa pronte per il lavoro. E così, anche se il tempo sembrava dire acqua e domini acqua, siamo saliti sul furgoncino Vaxol in possesso di mio padre e ci siamo diretti al terreno. Venti minuti ed eccoci al fondo. Scendiamo con ombrelli ed impermeabili e con le scope pronti a raccogliere le olive.

Erano le sette del mattino. Verso le otto e mezza, per fortuna, le nuvole cedettero il posto ad un tenue sole, faceva freddo, ma Giove pluvio era andato a coricarsi. Così, mia madre e tre signore che avevano accettato, a pagamento, di collaborare con lei per la raccolta delle olive, scese dal furgoncino, indossato un foulard per coprire i capelli (come lo chiamavamo?) poste sotto un albero di fico le colazioni, tirate fuori le apposite scope si è avviata “l’operazione scopa”. Mio padre aveva deciso da dove iniziare per poter eseguire la raccolta secondo un filo logico. Le scope? Si trattava non di ramazze casalinghe, ma di “attrezzi” (di bambù e rami di ulivo) costruiti apposta, in maniera artigianale, per spingere le olive verso un angolino e farne un mucchietto. Vatrici, la più svelta delle donne-raccoglitrici, sembrava una trottola, mia madre dietro di lei, le altre tutte in fila, sotto l’albero. Da noi c’erano solo olive ottobrariche (maturate in ottobre, cioè) nere e gustose anche da assaggiare al momento. Scopa che ti scopa, spingi che ti spingi, si costruivano montagnole di olive. Realizzatene sei o sette, Grazia, iniziava l’operazione cernitura.

Munita di un cerniglio apposito (un setaccio circolare che permette di separare le olive dalle foglie e dalle impurità) eredità della zia, prendeva le olive dal mucchietto, le piazzava dentro e le lanciava in alto. Sembrava un gioco, ma era l’unico sistema conosciuto e praticato per rendere le olive commerciabili o lavorabili. Io guardavo le raccoglitrici, pronto a soddisfare il desiderio di un caffè o di un bicchiere d’acqua che avevamo portato da casa, mio padre, dopo un’oretta di collaborazione con una scopa più piccola, sceglieva di andare a caccia. Si era portato il suo calibro 16 che era custodito accuratamente e gelosamente in casa (utilizzato solo per le marvizze – i tordi –) mai per passeri e spingi e si appartava dietro un secolare ulivo. Lo sparo di un colpo rompeva il silenzio o il canto delle raccoglitrici ( “andiamo a mietere il grano, il grano…” di Dalida).

Ogni tanto, la necessità di un “bisognino” portava le donne a nascondersi dietro un grosso albero, solo Beatrice, detta Vatrici, riusciva, incredibilmente, a fare la pipì, rimanendo in piedi, senza vergognarsi, ma chiedendo scusa per il gesto. Le altre, come se avessero avuto il c.d. bagno alla turca. “Accoccarate” intanto, il lavoro di raccolta andava avanti. A Mezzogiorno preciso, senza guardare l’orologio, la pausa pranzo. Una colazione a sacco, la trusciata, che ognuno si era portato da casa. In genere una parmigiana o una frittata, pane e(non)vino, ma acque dalle bombole di terracotta. Raccolte le ulive, venivano sistemate in cassette di plastica che mio padre si premurava di portare all’ingresso del terreno e così via, fino alle quattro del pomeriggio, quando arrivava Pascalino Naso, già avvertito, col suo camioncino pronto a prendere le olive. “Nino, allora, che vuoi fare? Olio o mi vendi le olive?” Raggiunto l’accordo, Naso rientrava.

Quella volta mio padre decise di fare metà e metà, vendita contanti e olio, per le necessità di casa. Con i soldi ricevuti in contanti, ovviamente, mica c’era l’Iban, si pagavano seduta stante le donne e si faceva rientro a casa felici e contenti. La giornata era passata. La cena, che preparava sempre mia madre, ci attendeva, prima di andare a letto. L’indomani toccava andare al frantoio. Il frantoiano, sempre Pascalino, avrebbe, con la macchina dell’olio, franto le olive in tre quattro ore.

Ci dava, mi pare di ricordare, subito l’olio della nostra terra, trattenendo per sé il 25 per cento dell’olio prodotto. Quando non era disponibile quel frantoiano, si faceva ricorso ai fratelli Rombolà, i trumbi, che avevano la macchina dell’olio sulla provinciale per Nicotera. Un rito irripetibile, questo della raccolta delle olive, adesso è tutto meccanizzato. Non è la tessa cosa. Allora era un rito vero e proprio, da tramandare come ricordo. Vuoi mettere? (gc)

Consorzio di tutela e valorizzazione Olio di Calabria IGP: avviato il periodo della raccolta e della molitura delle olive

In queste settimane, il Consorzio di tutela e valorizzazione Olio di Calabria Igp, rendo noto che, le tante aziende che fanno parte del Consorzio, stanno procedendo all’estrazione, alla raccolta e alla spremitura delle olive.

L’olio di Calabria, sta raggiungendo notevoli livelli di gradimento, grazie anche alle iniziative volte alla promozione, organizzate dal Consorzio di tutela  e valorizzazione  Olio di Calabria IGP. La procedura è ben organizzata e scandita da passaggi obbligati. Le olive vengono portate al frantoio subito dopo essere state raccolte, in modo che si garantisca la massima qulità e resa, successivamente tutto il raccolto viene rovesciato nel defogliatore, un macchinario preciso che in maniera automatica, per mezzo di ingranaggi a rete, stacca le foglie e i ramoscelli che sono sfuggiti agli occhi attenti degli agricoltori, separandoli dalle olive. Si passa, poi, alla “ripilitura” attraverso appositi macchinari.

I frutti dopo il lavaggio  arrivano, dunque, al frantoio ed entrano direttamente nel frantumatore iniziando il ciclo di lavorazione. Il momento della raccolta e della molitura delle olive è chiaramente fondamentale per tutte le aziende che fanno parte del Consorzio di tutela  e valorizzazione  Olio di Calabria IGP che esorta gli imprenditori ad essere competitivi anche per i mercati esteri, incuriositi ed attratti dall’eccellente olio calabrese, unico al mondo per clima, terreno e identità. (rcs)

Al Liceo Scientifico Zaleuco di Locri un “Olio fuoriclasse”

Due giornate dense ed avvincenti quelle vissute il 5 e 6 Novembre dagli allievi del Liceo Scientifico Zaleuco di Locri, guidato dal Dirigente Carmela Rita Serafino, nei giorni 5 e 6 Novembre. Un vero e proprio lavoro di squadra, per un’attività oramai consolidata nella nostra scuola, che lega tradizione, cura del territorio e investimento produttivo: la raccolta delle olive da cui l’affermato “Olio di Zaleuco”.

Progetto, seguito dal prof. Corrado Sità, in collaborazione con l’Azienda agricola del barone Macrì di Modi (Gerace), facente parte delle attività di PCTO che la scuola garantisce per ottimizzare la formazione degli allievi, affiancando al percorso didattico l’esperienza sociale e lavorativa. Nato, all’inizio, per non disperdere l’abbondante produzione degli alberi d’ulivo, presenti nel cortile della scuola, è diventato, nel tempo, un appuntamento consolidato e atteso con delle finalità ben definite, non solo per la sua azione di salvaguardia delle tradizioni locali, ma anche per l’impegno di rilanciare una produzione propria di olio sul mercato, con tanto di etichetta.

A tal proposito, è doveroso soffermarsi sull’immagine che rappresenta l’olio di Zaleuco. Un’effigie del legislatore Zaleuco, inserita nella chioma rigogliosa di un albero d’ulivo con lunghe e articolate radici, dalle olive ben mature e pronte per essere raccolte da due rappresentanti della civiltà greca, attraverso la bacchettatura o bacchiatura.

La simbologia è una mirabile sintesi tra passato, presente e futuro: la ricchezza delle antiche tradizioni elleniche, di cui siamo i continuatori e i custodi, si mantiene, con rispetto e cura, nel quotidiano come parte intrinseca di noi, come radici profonde che alimentano questa terra di valori e operosità, che non si esauriscono, ma si corroborano di sempre nuova energia vitale, ad abbellire di frutti di coraggio e creanza il nostro leggendario ambiente.

L’impegno profuso nell’attività progettuale è sicuramente, per il nostro territorio, un esempio che ci fa capire come le nuove generazioni continuino a rispettare le nostre antiche usanze, mantenendo così in vita l’anima di una popolazione e le sue radici ben solide, ma calate nel nostro tempo, che può rendere gli usi e i costumi più fruibili attraverso le nuove tecnologie e strategie di mercato, investendo su di essi e tramutandoli in opportunità produttive ed efficaci, soprattutto dal punto di vista del riscontro equo e sostenibile.

Quindi, anche una semplice raccolta di olive e la conseguente produzione di olio può divenire, a tutto tondo, un intervento di cittadinanza attiva. Nel rispetto dell’ambiente un’iniziativa che riesce a riversarsi sul territorio, per il territorio, perché orientata al miglioramento della propria comunità scolastica, ma anche di quella civile e sociale. Il lavoro collaborativo aiuta i ragazzi a comprendere che il miglior risultato è sempre quello che viene fuori dall’unione delle forze di ognuno, nessuno escluso. Ciascuno di loro non ha messo solo la forza delle braccia, ma anche la forza delle proprie emozioni, la forza dei propri sogni.

L’Olio di Zaleuco, così, non è solo il prodotto di un processo meccanico, scandito da ritmi ben definiti, ma l’essenza dell’animo calabrese, ricco di iniziativa, di intraprendenza, di desiderio di rivalsa e amore incondizionato per il proprio ambiente. Un sigillo indelebile di fedeltà al proprio passato e di proposità verso il futuro, che accompagna sempre e ovunque nel mondo, un olio “fuoriclasse” insomma. Ci aspettiamo, allora, altre iniziative da parte del Liceo Scientifico Zaleuco, che possano arricchirci e arricchire. «Bisognerebbe imparare dagli ulivi e lasciarsi modellare dal vento senza perdere il proprio carattere». (Fabrizio Caramagna)