L’AUTONOMIA TRA CONFUSIONE E DIVISIONI
SI LAVORI PER GARANTIRE I LEP E I DIRITTI

di ETTORE JORIOIl regionalismo differenziato è arrivato in Parlamento il 16 gennaio scorso nel testo del ddl Calderoli così com’è uscito implementato alla prima Commissione permanente-Affari costituzionali del Senato.  A sfavore delle aspettative ci sarà un lavoro lungo e difficile, considerati i poco meno di 330  emendamenti proposti dalle minoranze e il dibattito fuori aula che sta assumendo toni accesi e, invero, sviluppando argomentazioni spesso fuori luogo e tema.

Autonomia differenziata, ma legislativa

La disputa sul regionalismo asimmetrico, in verità fondata su argomentazioni confuse, fa nascere l’esigenza di una più generale chiarezza interpretativa e attuativa della Costituzione, violata da quella propria della più accesa competizione politica, spesso fine a se stessa. Prima fra tutte quella afferente alla sua denominazione  da considerarsi quantomeno impropria, se non addirittura coniata leggendo (forse) una Costituzione che non è la nostra. 

Viene, infatti, sostenuta una definizione per metà contraddittoria e per l’altra ridondante. Come se l’autonomia non lo fosse già sufficientemente di suo per essere definita tale. Supporre di rafforzarla con l’aggettivo qualificativo “differenziata” è come non ritenerla già tale per suo conto, come se il governo degli enti regionali dipendesse da terzi. Non è così. Lo si poteva, tutt’al più, immaginare, ma in modo ardimentoso, prima che intervenisse nel 2001 la riscrittura dell’art. 114 della Costituzione, che ha tradotto gli enti sub-statali di ieri (tali erano considerati tutti quelli territoriali) in enti infra-statali, di pari livello di autonomia decisionale e finanziaria (art. 119), sostenuti dallo Stato con il criterio, ancora attuale, della spesa storica.

La Costituzione impone l’ordine delle cose

In tutta questa confusione, incomprensibile per l’Europa, nasce l’esigenza di chiarire e riaffermare le regole costituzionali. Sono pochi infatti gli interlocutori che le tengono nella dovuta considerazione. Un macello, si discute mettendo insieme indistintamente di Lep, federalismo fisale e regionalismo asimmetrico. 

Tante le contraddizioni di chi ha scritto le regole costituzionali nel 2001. Lo stesso che critica oggi, l’estensione alle Regioni della loro potestas legislativa al di là dalle competenze comuni riconosciute loro dall’art. 117, commi 2 e 3, della Costituzione con possibili estensioni a quelle elencate dall’art. 116, comma 3, della Costituzione. 

Ciononostante che il medesimo abbia:  a) aderito, durante il governo Gentiloni, per il tramite del presidente Bonaccini, richiedendo escludendo dalle tutte le 23 materie differenziabili le “norme generali sull’istruzione”; b) elaborato un ddl attuativo del regionalismo differenziato (art. 116, comma 3, della Costituzione) a firma dell’allora ministro Boccia del governo Conte II poi ripreso dalla ministra Gelmini del successivo governo Draghi entrambi molto simili al ddl Calderoli. 

Sulla base di queste considerazioni, ascoltando le dichiarazioni rese in aula nel corso dell’appena iniziato iter parlamentare del ddl Calderoli, sembra di assistere ad una partita ove sono messi a confronto due giocatori che piuttosto che confrontarsi secondo le regole, le scrivono nel mentre. 

Confusione e divisioni pericolosissime

Così facendo non si compete per mettere in piedi il migliore finanziamento per il Paese e per garantire la esigibilità dei Lep della Nazione nella sua interezza, funzionale ad assicurare uniformemente i diritti e la perequazione della quale in pochi, pochissimi parlano. 

Non solo si stimola una eccessiva conflittualità intesa a dividere di più la Nazione. Si privilegia l’accentuazione delle differenze tra nord e sud, si sottolinea la non sufficienza dei finanziamenti concessi al Mezzogiorno negando che, invece, lo stesso non sia mai stato capace di spenderli bene, si difende lo stato di governo attuale finanziato con la spesa storica che ha reso una popolosa metà del Paese senza sanità, senza assistenza sociale, senza trasporti pubblici, senza una scuola accogliente, senza quasi nulla. Si sottace sul miliardo che il nord incamera dalla emigrazione sanitaria che depaupera, di pari entità, le regioni meridionali. 

Insomma, non si comprende come il muro contro muro evita che il nord e un sud si avvicinino attraverso Lep uguali per tutti. Allo stesso modo non si comprende che il maggiore gap per il Mezzogiorno è rappresentato dalla sua classe dirigente, confermata acriticamente dai meridionali in un cinquantennio di pene sociali.

Il momento è cruciale. Occorre stare attenti, a tutela dell’unità sostanziale del Paese e della Nazione, a non tradurre la competizione politica in strumento di divisione, che può costituire una ulteriore causa di alterazione della convivenza sociale, di abbandoni delle residenze tradizionali sino a raggiungere lo spopolamento del sud del Paese. 

Concludo. In situazioni, come quella attuale, funzionali a cambiare radicalmente il sistema della finanza pubblica, allontanandola da quel criterio monstre della spesa storica, che ha distrutto dalle radici l’esigibilità della griglia dei diritti civili e sociali necessita che si eviti di rincorrere “trofei politici” a discapito dei “trofei dei diritti goduti”. 

Non si può, dopo 22 anni di colpevoli ritardi nell’attuare un propria regola costituzionale e non solo (legge 42/2009 e d.lgs. 168/2011), fare battaglie politiche ispirate non si comprende a neppure a cosa, non accorgendosi che il linguaggio esasperato al quale si sta facendo ricorso rappresentano “parolacce” indirizzate a se stessi.

Si pensi pertanto, piuttosto che aizzare gli uni contro gli altri, andando a sbandierare quei titoli di libri generati allo scopo di fare cassetta, a sollecitare la definizione dei Lep che sta andando a rilento. E ancora a determinare i costi standard per Lep e i fabbisogni standard individuati correttamente sulle diverse esigenze delle Regioni. Il tutto da assicurare con la perequazione per quelle più povere. Ma tutto questo è altra cosa dall’autonomia legislativa differenziata, e sarà compito dei governi che si avvicenderanno a finanziare un siffatto percorso. Magari privilegiando la sanità rispetto alle armi in Ucraina e al perdono degli extraprofitti delle banche. (ej)

(L’articolo nel suo testo integrale è sul domenicale)