Sara Tafuri, la ragazza che aveva fatto l’attrice

di LUIGI TASSONISara era bellissima, ma d’una bellezza non banale, anzi strettamente legata al suo modo d’essere, al suo carattere vitale e spinto da entusiasmi. E siccome aveva soprattutto un’intelligenza dinamica, sapeva coinvolgere l’interlocutore, gli amici, i suoi compagni di avventura.

L’avventura di Sara Tafuri era cominciata in sordina a Catanzaro, città piccola e insufficiente, come lo è oggi ancora, per i giovani talenti. E allora (siamo intorno al 1976) un gruppetto di giovani attori cercava la propria strada, incoraggiato da un appassionato come Lillo Zingaropoli, e da un grande professionista come Mario Foglietti. Tutti loro, Diego Verdegiglio, Rosa Ferraiolo, Anna Maria De Luca, Pino Michienzi, Carlo Greco, investivano il loro impegno e il loro studio come giovani attori in una provincia desolata, e a volte ravvivata da brevi sprazzi di opportunità, di confronto e di attenzione. Tutti loro si muovevano nel piccolo teatro della vita di provincia pensando al palcoscenico, e alcuni alla macchina da presa. 

Sara era la più piccola, non ancora ventenne, animata dalla voglia di farcela, e cosciente del sacrificio e della spietata scena in cui avrebbe dovuto confrontarsi, quella scena della vita e delle immagini che non l’ha risparmiata e che allo stesso tempo l’ha affidata alla nostra memoria, legandola comunque alla storia del cinema. Dunque, quando arriva Fellini, poco prima del 1980, dopo alcuni anni di ingrata gavetta anche televisiva, è come se quelle porte magiche che i ragazzi di provincia sognavano a occhi aperti si fossero spalancate d’improvviso.

La soubrettina Sara nella Città delle donne sembra aver trovato il palcoscenico giusto, e quelle sue movenze, di lei sorridente e giocosa intorno a un Mastroianni attonito e volubile, andrebbero lette come la passerella appariscente di un femminile ammirato, osannato e mortificato in egual misura, ma un femminile che ha molto di più da dare e da dire. La seduzione, e questo Fellini lo sapeva bene, come lo sapevano i suoi amici Simenon e Zanzotto, che con lui conversavano di queste cose, è un effetto che s’aggira oltre le superfici, oltre le apparizioni eclatanti, è fatta di pause, silenzi, passi cauti, e di intelligenza. Tutte doti che non mancavano a Sara, come dimostra la sua presenza di attrice nei Tre fratelli di Francesco Rosi, e come mostra benissimo un bellissimo film documentario, oggi diremmo un docufilm, sullo scrittore Fortunato Seminara, firmato da Foglietti e da chi scrive per il testo, che appartiene alla cineteca della Calabria.

Lì Sara vi appare in una scena magica a suo modo, accompagnata dalle note di Rachmaninov, negli interni di un vecchio casotto di campagna (che era la campagna di mio padre), con il suo sguardo luminoso ed enigmatico rivolto all’orizzonte. Anche questa sua immagine è destinata a perdurare nel tempo, a dirci implicitamente di lei, a darci la misura del suo generoso dialogo con il mondo.

Ragazza incuriosita dalla conversazione, familiare in tutto il suo essere, Sara era e resta quell’immagine giocosa che, in un pomeriggio di agosto, con il poeta Nelo Risi coinvolgemmo in una intrecciata chiacchierata sul femminile, sulla fierezza, sulla dignità, sulla gioia, sulla passione e sul rispetto, che ogni donna dà e sa che deve ricevere, come era giusto che fosse e con urgenza in anni in cui tutto questo non era affatto dato per scontato. Sara incarnava questa complessità, con la tenacia e la perseveranza di un femminile differente, coraggioso, avventuroso. (lt)